di Roberto Allegri
Il suo nome è Chiara Amirante. E’ la fondatrice di Nuovi Orizzonti, un movimento cattolico laico, fondato una ventina di anni fa, ma già famoso in tutto il mondo, che ha lo scopo di aiutare le persone vittime di gravi disagi sociali, di accogliere chi vive ai margini e di presentare loro l’alternativa del Vangelo. Un movimento che la Santa Sede, prudentissima sempre in queste cose, ha già riconosciuto come Associazione Internazionale privata di fedeli. E Chiara, per la sua coraggiosa e straordinaria attività e testimonianza cristiana, nel 1997 è stata nominata da Giovanni Paolo II Consultrice del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, e recentemente, da Benedetto XVI, Consultrice del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.
Nuovi Orizzonti ha, oggi, oltre 170 centri in diversi Paesi e può contare su più di 30 mila collaboratori. Al movimento aderiscono oltre 250 mila persone, che si impegnano a vivere il Vangelo in modo radicale. Sono i “Cavalieri della Luce” e ne fanno parte anche personaggi celebri come, per esempio in Italia, il cantante Nek e il tenore Andrea Bocelli.
Di Chiara Amirante avevo tanto sentito parlare. E l’avevo vista in televisione, dove spesso viene chiamata come ospite. A colpirmi era stato il suo sorriso. Non era la solita “maschera” che la maggior parte della gente indossa davanti alle telecamere. Si vedeva che il sorriso di Chiara veniva da dentro. Il sorriso di chi ha compreso, di chi è sereno, di chi ha raggiunto “qualcosa”.
L’ho incontrata a Piglio, in provincia di Frosinone, in un ex convento francescano che oggi è la sede centrale di Nuovi Orizzonti.
L’attività di Chiara è frenetica, per certi versi immensa. Tutti i centri fanno capo a lei, anche quelli all’estero, e sono tanti. Poi Chiara scrive libri e l’ultimo, edito da Piemme con il titolo Solo l’amore resta, in un mese ha avuto 5 edizioni ed ha conquistato anche i politici: martedì 18 dicembre sarà presentato alla Sala Mappamondo della Camera dei deputati, dal vice presidente della Camera, onorevole Maurizio Lupi, con Lorella Cuccarini e il vice direttore di Rai 2 Roberto Milone.
Tanti impegni farebbero pensare ad una donna anziana, coi capelli bianchi e il viso pieno di rughe. E invece Chiara è una giovane donna di 46 anni, dinamica e moderna. E quando me la sono trovata davanti, oltre a quel famoso sorriso, ho visto i suoi occhi: luminosi, accesi e nello stesso tempo colmi di pace. Uno sguardo che rivela una grande forza che riposa.
“Il segreto sta nella gioia e nell’amore, e vengono da Gesù. Tutto questo è opera sua”, mi ha detto indicando il convento e tutti i numerosi collaboratori che la circondavano. E poi, seduti nel chiostro del convento dove si trova una statua della Madonna, mi ha raccontato la sua storia.
“Nel 1988 mi ammalai di uveite cronica, un’infezione agli occhi. Si trattava di una malattia inguaribile che mi provocava terribili dolori e che mi stava facendo diventare cieca. In due mesi la mia vista era passata da dieci decimi a due. I medici non davano alcuna speranza.
“Ero già una persona di fede, ero cresciuta nell’ambiente dei Focolarini di Chiara Lubich. Avevo anche conosciuto Chiara in più di un’occasione. Incontri speciali. Avevo quindi l’abitudine di pregare, di affidarmi a Dio, e andavo quotidianamente in chiesa a pregare.
“Ma un giorno, proprio mentre stavo entrando, sentii che leggevano il brano di Isaia: “Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi”. Ho pensato subito a me, alla mia malattia. Ma ne ho inteso il significato spirituale e non ho certo considerato il brano alla lettera, non ho pensato ad una possibile guarigione. Dio invece aveva altri progetti.
“Da diversi anni sentivo forte il desiderio di dedicarmi ad aiutare chi soffriva ma in quel momento ero costretta ad accantonare tutto quanto. Non potevo fare niente nelle mie condizioni. Mi rivolsi a Dio dicendogli che se voleva che andassi tra la gente in difficoltà, se davvero quello era il suo volere, allora doveva donarmi un minimo di salute per permettermi di compiere la sua volontà.
“Quella sera andai a dormire presto. Il giorno dopo sarei dovuta andare in ospedale per le consuete iniezioni di cortisone. Ma quando fui in ospedale, il medico che mi visitò rimase interdetto. Chiese ai colleghi se mi era stata somministrata qualche altra medicina di cui lui non era a conoscenza. Era allibito. Chiese un parere ad altri specialisti, mi visitarono anche loro. Poi mi dissero: “La malattia è scomparsa. Non c’è più. Non sappiamo dare una spiegazione.” Nei giorni seguenti feci altri controlli: la mia vista era di undici decimi, meglio di prima.
“Con un segno del genere, mi era impossibile non capire. Dedicai la mia vita completamente a Dio e alle persone in difficoltà. Iniziai ad andare alla stazione Termini di Roma, nei sottopassaggi della metropolitana. Fu un’esperienza allucinante. Quello era un vero inferno dantesco: ubriachi che si accoltellavano, prostitute, ragazzi che si drogavano. Vidi un ragazzo a terra, corsi ad aiutarlo. Si chiamava Angelo. Lui è stato il primo. Da quel momento nacque “Nuovi Orizzonti”.
“All’inizio eravamo solo io e un’amica, poi crescemmo di numero. Prima in due stanzette, poi in una villetta in affitto a Trigoria, nella periferia di Roma. Accoglievamo le persone definite “impossibili”: spacciatori, alcolisti, tossicodipendenti, malati di AIDS, immigrati, ragazze madri in strada, ex detenuti, prostitute: praticamente ogni tipo di problema e di devianza. C’erano anche tanti ragazzi che avevano avuto esperienze in sette sataniche.
“Noi non imponevamo il Vangelo ma lo presentavamo come alternativa. Non ho mai voluto convertire nessuno. Però, quando fai una scoperta che ti cambia l’esistenza e che senti davvero fondamentale, avverti anche la necessità incontenibile di condividerla con quante più persone possibili. Per me è stato così. Avevo scoperto che nel Vangelo c’erano le risposte a tutti i bisogni più profondi del mio cuore, al bisogno di pace, di gioia piena, di verità, di libertà, di amore. Scoprire questo è stata la scintilla che mi ha spinto ad andare per la strada. Il mio desiderio era fortissimo: volevo dividere la gioia che sentivo dentro, la gioia che nasce dal Vangelo vissuto. Volevo dividere quel “segreto” che Gesù ci ha lasciato: amatevi come io vi ho amato. E queste cose le volevo dividere con chi era più disperato.
“All’inizio non sapevo cosa fare, né cosa dire. Non potevo certo andare in mezzo a gente che viveva di criminalità e dire: “Ho scoperto che Gesù è la Via!”. Però ho scoperto che era un po’ come andare in un deserto con una tanica d’acqua. Non hai bisogno di dire tante cose, la gente ha sete e viene a bere. E’ stato lo stesso in mezzo alla strada. Stavo là, alla Stazione Termini, tra ragazzi che vivevano di prostituzione e di spaccio, e cercavo di portare loro amore semplicemente con un saluto, un sorriso, interessandomi di loro. E mi colpiva la “sete” incredibile che dimostravano. In fondo è un processo naturale: quando vedi in qualcuno la gioia che stavi cercando, la pace, la pienezza d’amore di cui hai bisogno, viene spontaneo farsi delle domande.
“Erano gli stessi ragazzi ad avvicinarmi, a raccontarmi i loro drammi, come se ci conoscessimo da sempre. E ad un certo punto, tutti mi facevano la stessa domanda: “Ma a te, chi te lo fa fare di rischiare la vita per gente come noi?”. Rischiare la vita è il termine esatto perché in quell’ambiente si rischiava di essere derisi come anche di ricevere una coltellata. C’era chi non era proprio contento della nostra presenza.
“Raccontavo ai ragazzi qualcosa della mia storia, dei nuovi orizzonti che Gesù mi aveva fatto vedere. E loro mi rispondevano che avevano sempre considerato il Cristianesimo come una cosa noiosa, piena di regole e di divieti. Non avevano mai pensato al fatto che il Signore ci ha amato così tanto da dare la sua vita per noi. Quindi, la reazione di quei ragazzi era immediata. “Portaci via di qui”, mi dicevano. “Vogliamo incontrare anche noi questo Gesù che ti ha cambiato la vita”.
“Abbiamo iniziato così. La prima comunità di accoglienza è nata proprio su questo pensiero: proviamo a vivere insieme il Vangelo. Gesù ha rivoluzionato la Storia. Può farlo anche con la nostra vita. Dicevo a quei ragazzi che non era importante se credevano o meno in Dio, e molti di loro erano decisamente anticlericali. L’importante era provare. L’entusiasmo con cui accoglievano l’idea, mi colpiva. Con assoluta semplicità dicevano: “Abbiamo provato di tutto. Proviamo anche questo Gesù Cristo!” E cambiavano vita.
“Si vedevano subito i frutti, risultati che anni e anni di psicoanalisi non avrebbero potuto dare. Ma la cosa più straordinaria era constatare che quei ragazzi dimostravano subito il desiderio di tornare negli inferni da cui erano fuggiti per aiutare gli altri. Per essere testimoni, solo dicendo: “Io ero morto. E grazie all’amore di Dio adesso sono risorto.”
“Era fantastico! Persone che prima erano disperate ora volevano cantare la gioia di vivere, avvicinare gli altri disperati e dire che non solo la gioia c’è ma che è possibile anche nella sofferenza.
“Insomma, proprio ragazzi che avevano sempre vissuto di violenza ora erano i migliori evangelizzatori. E soprattutto, erano credibili perché non portavano convincimenti ideologici ma esperienze vere.
“In pochi anni abbiamo visto la nascita di 172 centri specializzati in accoglienza, evangelizzazione e spiritualità. Poi centri di servizi che vanno dall’animazione e lo spettacolo, ad esempio nelle carceri, alla formazione, alla cultura, alla comunicazione. Nel 2006 sono nati “I Cavalieri della Luce” che si impegnano a provare a vivere il Vangelo con radicalità per essere testimoni della gioia che scaturisce dall’incontro con Gesù. Stanno nascendo le “Cittadelle del Cielo”, cinque cittadelle in Italia e all’estero, che non solo danno accoglienza a chi è in difficoltà ma sono anche luoghi di formazione per chi poi a sua volta vuole impegnarsi nell’apertura di nuovi centri, o andare sulla strada.
“Sono partita dalla strada cercando i più disperati. All’inizio della mia avventura, pensavo che fosse la droga il veleno più mortale tra i giovani. E’ ancora un grosso problema, tutt’altro che in diminuzione. Il fatto è che ci sono nuove droghe oggi al posto dell’eroina. Droghe micidiali che però sono molto sottovalutate. Ma come dicevo, all’inizio pensavo che la droga fosse il male peggiore. Invece, mi sono accorta dell’esistenza di veleni molto più subdoli e meno identificabili come l’edonismo, il consumismo, il relativismo. Quest’ultimo, terribile. Fino a qualche anno fa infatti c’era una certa coscienza di ciò che è bene e ciò che è male. Ma oggi è tutto relativo, tutto si può fare. E così l’uomo vive contro la propria coscienza, sviluppando un malessere spirituale profondissimo.
“Un altro terribile male moderno è la sesso dipendenza. Non se ne parla tanto perché pare sia una cosa normalissima. Ma i danni che provoca sono enormi. Il messaggio è: sei fai sesso di qui e di là, sei in gamba! Ma se si parla coi ragazzi ci si accorge che non è così. E’ tutto bello, tutto divertente ma nel momento in cui ci si innamora e poi si viene trattati come un giocattolo, allora ci sono ferite che distruggono interiormente. Si parla anche di 225 milioni di ragazzi che ricevono abusi. E sono ferite che rimangono per tutta la vita. Si parla di un giro di prostituzione in cui le ragazze subiscono violenze fisiche e psicologiche al di là di ogni immaginazione. Si parla degli aborti: i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di alcuni fa riportavano 54 milioni di aborti ogni anno. L’aborto è una cosa che noi facciamo passare come una grande conquista per la donna ma se poi si va a parlare con le donne che hanno abortito si comprende come, il più delle volte, quando rielaborano l’evento, cadano in un lutto che spesso porta a depressioni allucinanti.
“Vado nelle classi dei quartieri “in” e scopro che l’80% dei ragazzi fa uso di cocaina, che hanno problemi con una sessualità abusata, vissuta male, problemi di anoressia e bulimia che poi sono legati a mancanza di affettività, problemi di depressione legati alla solitudine. La realtà dei giovani oggi è questa. E quindi per un non-cristiano è un optional dire che ci sono ragazzi in difficoltà. Invece, per un cristiano è omissione di soccorso non dare loro una mano.
“E’ però sfibrante raccogliere tutte queste lacrime. E’ dura. Ma per quanto mi riguarda, l’energia senza la quale non andrei avanti neppure una settimana, sta nella preghiera. Sono assolutamente consapevole che con le mie sole forze non ce la potrei fare. Perché tutto quello che mi circonda, i centri e l’associazione e tutto il resto, è una cosa più grande di me. Nello stesso tempo, ho la certezza che niente è impossibile a Dio, che l’Amore fa miracoli perché Dio è Amore. E questo lo sottoscrivo col sangue perché è l’esperienza della mia vita.
“Mi trovo tutti i giorni di fronte a problemi impossibili da risolvere. Pensiamo anche solo al mantenimento di tutti i centri. Poi però mi accorgo che la Provvidenza arriva quotidiana, con una puntualità che ha davvero dell’incredibile. Noi non abbiamo sovvenzioni, non abbiamo entrate fisse. Viviamo seriamente di Provvidenza. Questo è il “miracolo” che si compie ogni giorno: quando abbiamo bisogno di qualcosa, puntualmente arriva l’aiuto. E’ così dall’inizio.
“Ricordo che il primo centro che ho aperto aveva un costo di circa 23 milioni di lire ogni mese. Al tempo avevo un lavoro e guadagnavo un milione al mese e così ero disperata. Ma mi sono detta: Chiara, che persona di poca fede che sei. Ho capito che ci avrebbe pensato Dio, stava scritto nel Vangelo. E puntualmente quei soldi, in un modo o in un altro, arrivavano.
“Un altro episodio, che chiamo lo “schiaffo della Provvidenza” è questo. Una delle prime bollette da pagare era di 583 mila lire. Una cifra enorme. Non avevamo quei soldi. Portai la bolletta in chiesa e dissi a Gesù: “Pensaci tu”. Quel giorno, una signora mai vista prima mi chiese se poteva fare un’offerta. Svuotò il portafogli e mise il denaro in una busta. Nessuno conosceva l’ammontare della bolletta. Quando contai i soldi mi accorsi che erano esattamente 583 mila lire.
“Nel 1997 eravamo ormai stretti nella villetta di Trigoria. Dovevamo trovare un’altra sede. Ci contattò un imprenditore che voleva donarci 700 milioni per comprare un casale. Cominciò però a ricevere intimidazioni e minacce: la nostra missione non sempre era benvoluta. Quell’uomo fece marcia indietro. Uno dei ragazzi che avevamo accolto in comunità, che era stato nella banda della Magliana, fece allora una proposta. Con la sua parlata romanesca, ci disse: “A regà, potremmo fare nove giorni de digiuno e de preghiera giorno e notte, davanti ar Santissimo.” Facemmo la novena ed esattamente il nono giorno, il provinciale dei Francescani ci offrì questo convento.”
Zenit, 16 dicembre 2012
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