di Padre Giovanni Cavalcoli
Nella cultura attuale spesso si guarda con scetticismo, come a pretesa o vanto da presuntuosi, la convinzione o anche la sola opinione di possedere o poter possedere la verità, soprattutto nel campo degli interessi più importanti dell’uomo e della vita.
Si considera questa pretesa o questo vanto una prospettiva impossibile o una mira pericolosa per se stessi e per gli altri, in quanto sarebbe il segno di un travalicamento indebito delle proprie possibilità mentali, che porterebbe l’individuo che così si ritiene in “possesso” della verità, ad un comportamento di altezzosità verso gli altri e ad un complesso di superiorità, nonché ad una forma di rigidità mentale e di irragionevole intransigenza circa le proprie idee, alle quali il soggetto sarebbe ostinatamente attaccato, perché da lui ritenute, benché senza prove, assolutamente vere.
L’individuo che ritiene di possedere la verità assumerebbe, secondo questa concezione oggi diffusa, un atteggiamento arrogante, sospettoso e diffidente nei confronti di chi ha idee diverse e contrarie, sempre all’erta nei confronti di possibili errori negli altri, sempre alla ricerca di questi errori da confutare, sempre pronto a scovare cattive intenzioni, a controbattere duramente, a condannare senza appello, ignaro di aspetti positivi e costruttivi. Insomma un individuo aggressivo, litigioso ed insopportabile, che sempre turba la pace delle coscienze, con volontà di dominarle, disprezzando le diversità e compromette il dialogo, la libertà di pensiero e la serena convivenza umana.
Come negare l’esistenza effettiva, nella nostra povera umanità, di atteggiamenti del genere? Chi di noi ne è sempre e del tutto esente? Essi si ritrovano anche in coloro che sostengono l’impossibilità di possedere la verità. Anch’essi sono a caccia di “eretici” e guai a contraddirli!
Chiediamoci però a questo punto se è vero che qualunque convinzione di possedere la verità genera necessariamente quegli atteggiamenti. E ancora più a monte chiediamoci se è effettivamente vero che è impossibile possedere la verità. Innanzitutto potremmo osservare che chi sostiene quella tesi sembra egli stesso convinto almeno implicitamente di possedere la verità di quello che sostiene, altrimenti non lo sosterrebbe. Già con questa osservazione di buon senso, comprendiamo subito che nella tesi di coloro che negano che si possa possedere la verità e condannano coloro che la pensano diversamente, c’è qualcosa che non funziona. E qui abbiamo il primo gol contro gli scettici: uno a zero.
I negatori del possesso della verità si rifanno volentieri al famoso apologo di Gotthold Efraim Lessing, il famoso filosofo dell’Illuminismo tedesco, il quale, messo da Dio davanti alla scelta tra il cercare e il possedere il vero, racconta di aver detto a Dio con falsa modestia: “Tu, o Dio, tienti il possesso della verità, perché ciò spetta solo a te; a me come uomo basta la ricerca”. Lessing che non era contrario al cristianesimo, si era dimenticato del detto di Cristo, detto che peraltro è basato sul buon senso, anche se sulla bocca del Salvatore si riferisce evidentemente ai più alti valori della vita: “chi cerca, trova e a chi bussa, sarà aperto”.
Infatti, se ci pensiamo, una ricerca fine a se stessa è una cosa frustrante ed esasperante, che può causare anche psicologicamente irrimediabili stati depressivi. Era questo il vizio degli Accademici, contro i quali saggiamente e vigorosamente polemizzò Sant’Agostino.
Naturalmente si deve cercare ciò che può essere trovato; e va cercato e trovato ciò che ci fa bene. Altrimenti la ricerca sarebbe inutile o stolta e non potremmo comprendere l’assicurazione di Cristo. Quindi, come già osserva S.Agostino, ripreso da Pascal, per cercare occorre già sapere in anticipo che cosa cerchiamo, quindi occorre già averne una conoscenza.
Si potrebbe quindi dire con un apparente paradosso che per trovare e quindi possedere la verità, occorre già in partenza possedere la verità. Infatti, ognuno di noi, gli piaccia o non gli piaccia, parte necessariamente da alcune verità iniziali che non può non riconoscere, come vedremo subito. E questo è un altro punto contro gli scettici. Siamo due a zero.
In terzo luogo bisogna però fare un’importante distinzione per non farci fare un gol dagli scettici, i quali, proprio a questo punto, potrebbero accusarci di trovarci in un circolo vizioso: che cosa cerchi a fare se hai già trovato?
Vediamo allora qual è la distinzione mediante la quale impedire il gol degli avversari e farne un terzo a loro. Bisogna intendersi bene sul concetto del “cercare”. Esiste un cercare istintivo, inconscio e necessario che dipende dall’entrata in funzione della ragione nei primissimi anni dell’infanzia dell’individuo.
Infatti, la ragione, che è un’attività vitale come le altre, appena esistono nel soggetto le sufficienti condizioni neuropsicofisiche e l’individuo è sano, inizia immancabilmente il normale funzionamento, così come il neonato, uscito dal seno materno grazie all’intervento della levatrice, si mette immediatamente a piangere perché i suoi polmoni cominciano a funzionare autonomamente all’aria libera, dopo il lungo periodo di vita fetale.
Come la ragione comincia a muoversi, fa in tutti noi alcuni passi naturali, che inevitabilmente la spingono alla ricerca della verità che ancora non possiede. Ecco qui la ragione e la verità profonda della famosa metafora aristotelica della “tabula rasa”, troppe volte scioccamente negata e derisa da tutti coloro che vorrebbero ammettere nella mente umana all’origine della sua attività la presenza in essa di non so quali idee “innate” o “forme apriori” o illuminazioni celesti o addirittura, secondo la teoria della reincarnazione, la presenza di ricordi della “vita precedente”.
Questi pensatori, tra i quali vi sono grandi filosofi, a Oriente ed a Occidente, da Platone a Cartesio, Leibniz, Kant e Rosmini, sino agli idealisti tedeschi, non si rassegnano ad ammettere umilmente e realisticamente che quando veniamo al mondo, siamo del tutto ignoranti di tutto, come del resto insegna la fede cattolica circa le conseguenze del peccato originale.
No: costoro sentono il bisogno irrinunciabile, non si sa su quale fondamento e senza alcuna buona dimostrazione, certo in base a considerazioni belle, sublimi ma fantastiche, di ammettere nell’intelletto o nella ragione umana all’origine della sua esistenza nell’individuo, e magari già nel seno della madre, una specie di coscienza o autocoscienza intellettuale, quindi quasi a livello strutturale, come se senza questo possesso originario e naturale, innato o “apriorico”, l’intelletto non fosse intelletto, ignorando un fatto di inconfutabile esperienza, e cioè che l’intelletto umano non è come l’intelletto puro dell’angelo o di Dio, assolutamente privi di una base corporea, per cui questi intelletti soli sono originariamente in atto.
Ciò non toglie che l’intelletto, come potenza intellettiva, sia presente nel soggetto umano sin dal momento del concepimento, in quanto già da questo momento esiste la persona, come individuo composto di anima spirituale e corpo, solo che il corpo non ha ancora quella strutturazione fisica che è necessaria per l’esercizio della ragione e della volontà.
Infatti l’intelletto umano, dovendo preliminarmente utilizzare il senso per poter funzionare come intelletto, passa dalla potenza all’atto, dall’ignoranza alla conoscenza e successivamente, se la ragione funziona bene, ad un continuo aumento della conoscenza. Ma con questo passaggio l’intelletto coglie subito le nozioni prime ed i princìpi fondamentali, che poi gli serviranno per tutto il successivo progresso del pensiero e la ricerca della verità. Ecco dunque qui alcune prime verità saldamente possedute, che sono come i germi di tutte le seguenti verità che la ragione troverà nella sua attività di ricerca per tutta la vita.
Esiste poi un cercare cosciente, riflesso e metodico. In questo caso la ragione all’inizio della ricerca non conosce affatto ciò che troverà. E così abbiamo sciolto l’apparente contraddizione. Tre a zero. Infatti in questo caso la ragione parte certo da verità note e vagamente ha un concetto di ciò che cerca – in tal senso valgono le parole di S.Agostino e di Pascal. La ragione non sa però che cosa troverà o potrà sapere esattamente o precisamente o dettagliatamente circa l’oggetto della sua ricerca. Esempio classico è quello della ricerca di Dio.
La ragione spontaneamente coglie le cose di questo mondo e comprende che hanno una causa. Spontaneamente chiama “Dio” questa causa. Tuttavia a questo punto essa non è affatto soddisfatta di ciò che ha spontaneamente trovato e sente il bisogno di conoscere meglio e pienamente, secondo le sue forze, questa Causa. Ecco allora iniziare la vera e propria ricerca di Dio, fatta possibilmente con metodo ed impegnando tutte le forze, comprese quelle morali, accompagnate dalla preghiera affinché voglia Dio stesso rivelarsi alla mente.
E’ importante soprattutto nella questione di Dio, sapere che cosa bisogna cercare, per non fare ricerche inutili o addirittura dannose. Cosa importantissima, per esempio, da cercare in questo campo è la volontà di Dio: sapere che cosa Dio vuole da noi. E’ questa la somma verità sul bene. Se sappiamo questo, possiamo esser certi che chiedendolo a Dio nella preghiera, saremo esauditi ed anche al di là dei nostri desideri, dato che chiederemo a Dio quello stesso che egli vuol darci.
Quanto al possesso della verità, in questo secondo senso, esso va soggetto a gradi di perfezione e deve continuamente aumentare e rafforzarsi col lavoro costante della nostra ragione illuminata dalla fede. Per quanto, parlando di “possesso della verità”, anche qui dobbiamo fare un’importante distinzione che ci consentirà di far un quarto gol contro gli scettici, che per sostenere le loro idee, sono anche dei grandi sofisti confusionari.
Gli scettici infatti, per negare la possibilità di un possesso della verità partono da un concetto di verità come verità assoluta ed infinita per concludere che tale possesso è impossibile. Questo è evidente, considerando la limitatezza e la fallibilità delle forze umane. Ma a questo punto dobbiamo fare un’altra distinzione tra verità e verità che ci consentirà di fare un quinto gol.
Infatti, soprattutto nel campo del cristianesimo, esiste un duplice concetto di verità. C’è una verità assoluta e divina, fatta Persona, che è Cristo stesso. E c’è la verità della dottrina di Cristo, che è un insieme di proposizioni, un corpo di dottrina – la divina Rivelazione – che Cristo ha affidato alla sua Chiesa da insegnare a tutto il mondo.
Ora, mentre è possibile sin da questa vita “possedere” per intero, al presente e globalmente la verità intesa come Cristo Verità, così come diciamo di possedere una persona che amiamo, il possesso della verità contenuta nei dogmi della fede è un processo graduale di apprendimento legato normalmente alla catechesi ed alla cultura cristiana, anche se è chiaro che anche il “possesso” di Cristo in questa vita deve continuamente migliorare e rafforzarsi soprattutto con l’esercizio non del solo intelletto, ma anche e soprattutto di tutte le virtù cristiane, a cominciare dalla carità.
Da notare inoltre che il possesso della verità, nella nostra fragile natura portata alla superbia e alla “volontà di potenza”, può effettivamente costituire una tentazione a danno di noi stessi e del prossimo, ed inoltre, se si tratta di verità religiose, possiamo rischiare di disonorare il nome stesso di Dio a causa del nostro cattivo comportamento. Che cosa voglio dire? Che è importantissimo accompagnare il possesso della verità e il suo doveroso conseguente insegnamento, che comporta anche la confutazione degli errori, con un costante atteggiamento di carità e tutto il corteggio di virtù che o la implicano, come per esempio l’umiltà e l’obbedienza o la presuppongono, come il coraggio, la generosità e lo spirito di sacrificio.
In tal modo potremo dire di aver risposto adeguatamente a quel pericoloso scetticismo oggi diffuso, che vorrebbe rifiutare il possesso della verità in nome di una falsa umiltà, di un apparente rispetto delle convinzioni altrui e di un malinteso spirito di dialogo, che praticamente impedisce un arricchimento reciproco ed un cammino comune verso la verità.
Libertà e Persona 1 novembre 2012
Si considera questa pretesa o questo vanto una prospettiva impossibile o una mira pericolosa per se stessi e per gli altri, in quanto sarebbe il segno di un travalicamento indebito delle proprie possibilità mentali, che porterebbe l’individuo che così si ritiene in “possesso” della verità, ad un comportamento di altezzosità verso gli altri e ad un complesso di superiorità, nonché ad una forma di rigidità mentale e di irragionevole intransigenza circa le proprie idee, alle quali il soggetto sarebbe ostinatamente attaccato, perché da lui ritenute, benché senza prove, assolutamente vere.
L’individuo che ritiene di possedere la verità assumerebbe, secondo questa concezione oggi diffusa, un atteggiamento arrogante, sospettoso e diffidente nei confronti di chi ha idee diverse e contrarie, sempre all’erta nei confronti di possibili errori negli altri, sempre alla ricerca di questi errori da confutare, sempre pronto a scovare cattive intenzioni, a controbattere duramente, a condannare senza appello, ignaro di aspetti positivi e costruttivi. Insomma un individuo aggressivo, litigioso ed insopportabile, che sempre turba la pace delle coscienze, con volontà di dominarle, disprezzando le diversità e compromette il dialogo, la libertà di pensiero e la serena convivenza umana.
Come negare l’esistenza effettiva, nella nostra povera umanità, di atteggiamenti del genere? Chi di noi ne è sempre e del tutto esente? Essi si ritrovano anche in coloro che sostengono l’impossibilità di possedere la verità. Anch’essi sono a caccia di “eretici” e guai a contraddirli!
Chiediamoci però a questo punto se è vero che qualunque convinzione di possedere la verità genera necessariamente quegli atteggiamenti. E ancora più a monte chiediamoci se è effettivamente vero che è impossibile possedere la verità. Innanzitutto potremmo osservare che chi sostiene quella tesi sembra egli stesso convinto almeno implicitamente di possedere la verità di quello che sostiene, altrimenti non lo sosterrebbe. Già con questa osservazione di buon senso, comprendiamo subito che nella tesi di coloro che negano che si possa possedere la verità e condannano coloro che la pensano diversamente, c’è qualcosa che non funziona. E qui abbiamo il primo gol contro gli scettici: uno a zero.
I negatori del possesso della verità si rifanno volentieri al famoso apologo di Gotthold Efraim Lessing, il famoso filosofo dell’Illuminismo tedesco, il quale, messo da Dio davanti alla scelta tra il cercare e il possedere il vero, racconta di aver detto a Dio con falsa modestia: “Tu, o Dio, tienti il possesso della verità, perché ciò spetta solo a te; a me come uomo basta la ricerca”. Lessing che non era contrario al cristianesimo, si era dimenticato del detto di Cristo, detto che peraltro è basato sul buon senso, anche se sulla bocca del Salvatore si riferisce evidentemente ai più alti valori della vita: “chi cerca, trova e a chi bussa, sarà aperto”.
Infatti, se ci pensiamo, una ricerca fine a se stessa è una cosa frustrante ed esasperante, che può causare anche psicologicamente irrimediabili stati depressivi. Era questo il vizio degli Accademici, contro i quali saggiamente e vigorosamente polemizzò Sant’Agostino.
Naturalmente si deve cercare ciò che può essere trovato; e va cercato e trovato ciò che ci fa bene. Altrimenti la ricerca sarebbe inutile o stolta e non potremmo comprendere l’assicurazione di Cristo. Quindi, come già osserva S.Agostino, ripreso da Pascal, per cercare occorre già sapere in anticipo che cosa cerchiamo, quindi occorre già averne una conoscenza.
Si potrebbe quindi dire con un apparente paradosso che per trovare e quindi possedere la verità, occorre già in partenza possedere la verità. Infatti, ognuno di noi, gli piaccia o non gli piaccia, parte necessariamente da alcune verità iniziali che non può non riconoscere, come vedremo subito. E questo è un altro punto contro gli scettici. Siamo due a zero.
In terzo luogo bisogna però fare un’importante distinzione per non farci fare un gol dagli scettici, i quali, proprio a questo punto, potrebbero accusarci di trovarci in un circolo vizioso: che cosa cerchi a fare se hai già trovato?
Vediamo allora qual è la distinzione mediante la quale impedire il gol degli avversari e farne un terzo a loro. Bisogna intendersi bene sul concetto del “cercare”. Esiste un cercare istintivo, inconscio e necessario che dipende dall’entrata in funzione della ragione nei primissimi anni dell’infanzia dell’individuo.
Infatti, la ragione, che è un’attività vitale come le altre, appena esistono nel soggetto le sufficienti condizioni neuropsicofisiche e l’individuo è sano, inizia immancabilmente il normale funzionamento, così come il neonato, uscito dal seno materno grazie all’intervento della levatrice, si mette immediatamente a piangere perché i suoi polmoni cominciano a funzionare autonomamente all’aria libera, dopo il lungo periodo di vita fetale.
Come la ragione comincia a muoversi, fa in tutti noi alcuni passi naturali, che inevitabilmente la spingono alla ricerca della verità che ancora non possiede. Ecco qui la ragione e la verità profonda della famosa metafora aristotelica della “tabula rasa”, troppe volte scioccamente negata e derisa da tutti coloro che vorrebbero ammettere nella mente umana all’origine della sua attività la presenza in essa di non so quali idee “innate” o “forme apriori” o illuminazioni celesti o addirittura, secondo la teoria della reincarnazione, la presenza di ricordi della “vita precedente”.
Questi pensatori, tra i quali vi sono grandi filosofi, a Oriente ed a Occidente, da Platone a Cartesio, Leibniz, Kant e Rosmini, sino agli idealisti tedeschi, non si rassegnano ad ammettere umilmente e realisticamente che quando veniamo al mondo, siamo del tutto ignoranti di tutto, come del resto insegna la fede cattolica circa le conseguenze del peccato originale.
No: costoro sentono il bisogno irrinunciabile, non si sa su quale fondamento e senza alcuna buona dimostrazione, certo in base a considerazioni belle, sublimi ma fantastiche, di ammettere nell’intelletto o nella ragione umana all’origine della sua esistenza nell’individuo, e magari già nel seno della madre, una specie di coscienza o autocoscienza intellettuale, quindi quasi a livello strutturale, come se senza questo possesso originario e naturale, innato o “apriorico”, l’intelletto non fosse intelletto, ignorando un fatto di inconfutabile esperienza, e cioè che l’intelletto umano non è come l’intelletto puro dell’angelo o di Dio, assolutamente privi di una base corporea, per cui questi intelletti soli sono originariamente in atto.
Ciò non toglie che l’intelletto, come potenza intellettiva, sia presente nel soggetto umano sin dal momento del concepimento, in quanto già da questo momento esiste la persona, come individuo composto di anima spirituale e corpo, solo che il corpo non ha ancora quella strutturazione fisica che è necessaria per l’esercizio della ragione e della volontà.
Infatti l’intelletto umano, dovendo preliminarmente utilizzare il senso per poter funzionare come intelletto, passa dalla potenza all’atto, dall’ignoranza alla conoscenza e successivamente, se la ragione funziona bene, ad un continuo aumento della conoscenza. Ma con questo passaggio l’intelletto coglie subito le nozioni prime ed i princìpi fondamentali, che poi gli serviranno per tutto il successivo progresso del pensiero e la ricerca della verità. Ecco dunque qui alcune prime verità saldamente possedute, che sono come i germi di tutte le seguenti verità che la ragione troverà nella sua attività di ricerca per tutta la vita.
Esiste poi un cercare cosciente, riflesso e metodico. In questo caso la ragione all’inizio della ricerca non conosce affatto ciò che troverà. E così abbiamo sciolto l’apparente contraddizione. Tre a zero. Infatti in questo caso la ragione parte certo da verità note e vagamente ha un concetto di ciò che cerca – in tal senso valgono le parole di S.Agostino e di Pascal. La ragione non sa però che cosa troverà o potrà sapere esattamente o precisamente o dettagliatamente circa l’oggetto della sua ricerca. Esempio classico è quello della ricerca di Dio.
La ragione spontaneamente coglie le cose di questo mondo e comprende che hanno una causa. Spontaneamente chiama “Dio” questa causa. Tuttavia a questo punto essa non è affatto soddisfatta di ciò che ha spontaneamente trovato e sente il bisogno di conoscere meglio e pienamente, secondo le sue forze, questa Causa. Ecco allora iniziare la vera e propria ricerca di Dio, fatta possibilmente con metodo ed impegnando tutte le forze, comprese quelle morali, accompagnate dalla preghiera affinché voglia Dio stesso rivelarsi alla mente.
E’ importante soprattutto nella questione di Dio, sapere che cosa bisogna cercare, per non fare ricerche inutili o addirittura dannose. Cosa importantissima, per esempio, da cercare in questo campo è la volontà di Dio: sapere che cosa Dio vuole da noi. E’ questa la somma verità sul bene. Se sappiamo questo, possiamo esser certi che chiedendolo a Dio nella preghiera, saremo esauditi ed anche al di là dei nostri desideri, dato che chiederemo a Dio quello stesso che egli vuol darci.
Quanto al possesso della verità, in questo secondo senso, esso va soggetto a gradi di perfezione e deve continuamente aumentare e rafforzarsi col lavoro costante della nostra ragione illuminata dalla fede. Per quanto, parlando di “possesso della verità”, anche qui dobbiamo fare un’importante distinzione che ci consentirà di far un quarto gol contro gli scettici, che per sostenere le loro idee, sono anche dei grandi sofisti confusionari.
Gli scettici infatti, per negare la possibilità di un possesso della verità partono da un concetto di verità come verità assoluta ed infinita per concludere che tale possesso è impossibile. Questo è evidente, considerando la limitatezza e la fallibilità delle forze umane. Ma a questo punto dobbiamo fare un’altra distinzione tra verità e verità che ci consentirà di fare un quinto gol.
Infatti, soprattutto nel campo del cristianesimo, esiste un duplice concetto di verità. C’è una verità assoluta e divina, fatta Persona, che è Cristo stesso. E c’è la verità della dottrina di Cristo, che è un insieme di proposizioni, un corpo di dottrina – la divina Rivelazione – che Cristo ha affidato alla sua Chiesa da insegnare a tutto il mondo.
Ora, mentre è possibile sin da questa vita “possedere” per intero, al presente e globalmente la verità intesa come Cristo Verità, così come diciamo di possedere una persona che amiamo, il possesso della verità contenuta nei dogmi della fede è un processo graduale di apprendimento legato normalmente alla catechesi ed alla cultura cristiana, anche se è chiaro che anche il “possesso” di Cristo in questa vita deve continuamente migliorare e rafforzarsi soprattutto con l’esercizio non del solo intelletto, ma anche e soprattutto di tutte le virtù cristiane, a cominciare dalla carità.
Da notare inoltre che il possesso della verità, nella nostra fragile natura portata alla superbia e alla “volontà di potenza”, può effettivamente costituire una tentazione a danno di noi stessi e del prossimo, ed inoltre, se si tratta di verità religiose, possiamo rischiare di disonorare il nome stesso di Dio a causa del nostro cattivo comportamento. Che cosa voglio dire? Che è importantissimo accompagnare il possesso della verità e il suo doveroso conseguente insegnamento, che comporta anche la confutazione degli errori, con un costante atteggiamento di carità e tutto il corteggio di virtù che o la implicano, come per esempio l’umiltà e l’obbedienza o la presuppongono, come il coraggio, la generosità e lo spirito di sacrificio.
In tal modo potremo dire di aver risposto adeguatamente a quel pericoloso scetticismo oggi diffuso, che vorrebbe rifiutare il possesso della verità in nome di una falsa umiltà, di un apparente rispetto delle convinzioni altrui e di un malinteso spirito di dialogo, che praticamente impedisce un arricchimento reciproco ed un cammino comune verso la verità.
Libertà e Persona 1 novembre 2012
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