di Carlo Bellieni
Abbiamo di recente letto su più testate nazionali inviti ad abolire l’obiezione di coscienza dei medici in caso di aborto. In Italia il 71% dei ginecologi obiettano: ma molti opinionisti si stracciano le vesti perché non si troverebbero medici che pratichino aborti, stupendosi poi di numeri degli obiettori così elevati. Come se fosse un caso tutto italiano, o legato a una questione di fede. È facile farlo sembrare un problema provinciale o di arretratezza, quando invece è un dato globale, che nasce da una domanda: ‘ma lo sapete cos’è un aborto’?
Scarseggiano i medici per fare gli aborti e non è un’esclusiva italiana. Il calo viene descritto in Canada, in Francia, dove sono diminuiti anche i centri che praticano aborti, e in Inghilterra, dove Sophie Strickland del King George Hospital riporta questo trend tra i medici di pari passo con un incremento dell’obiezione di coscienza tra gli studenti di medicina. Questi ultimi secondo uno studio dell’Università di Birminghan sono a favore della vita per il 33% con in più un 7% di indecisi.
Negli Stati Uniti un recente studio pubblicato sulla rivista Obstetrics and Gynecology ha mostrato un crollo del numero di ginecologi disposti a praticare un aborto: dal 22% nel 2008 al 14% nel 2011.
Sarà per le contraddizioni che un aborto solleva in un medico? Non si tratta solo di domande di ordine morale o religioso.
Helen Dolk, per conto di Eurocat, centro di documentazione sulle anomalie congenite affiliato all’Onu, lamenta sulla rivista scientifica Lancet la facilità con cui ancora si tramanda che l’aborto è una forma di «prevenzione primaria», e spiega poi che la prevenzione delle malattie è tutt’altra cosa.
Certo, si può rispondere che l’aborto preverrebbe il disagio materno derivante dalla nascita di un figlio non voluto. Ma ne siamo certi? Studi che confrontano le conseguenze psicologiche sulla donna di un aborto e della nascita di un figlio non programmato scardinano questo dogma.
Un medico sperimenta la contraddizione di eseguire un aborto e vedere, toccare, assorbire ciò che si riferisce non solo all’adulto ma anche al bambino: pensate che per noi medici sia indolore? Una contraddizione è ancora più lampante: per la giurisprudenza italiana l’aborto – dice la legge – si fa per salvaguardare la salute materna. La cura della salute di solito passa per un giudizio medico, in particolare quando si tratta di chirurgia o di farmaci.
Ma nell’aborto – caso unico nella medicina – quasi sempre la paziente si autodiagnostica il grave rischio per la salute comportato dalla nascita del figlio, e su quella base si auto-prescrive l’interruzione di gravidanza come ‘terapia’. Si capisce come il medico possa sentirsi estraniato dalla sua funzione all’interno di questo processo dove, più che criteri oggettivi medici – cui tiene e che è stato istruito a seguire – valgono piuttosto criteri molto soggettivi.
Per più di un medico pesa un’ulteriore contraddizione, quella di percepire attorno a sé la strana e inarrestabile tendenza della società a non contemplare più la nascita di figli ‘diversi’. È un controsenso evidenziato da Didier Sicard, presidente del Comitato di bioetica francese: «È successo come se a un certo momento la scienza avesse ceduto alla società il diritto di stabilire che la venuta al mondo di alcuni bambini fosse divenuta collettivamente non desiderata e non desiderabile».
Obiezione di coscienza non è solo etica o religiosa ma anche frutto delle contraddizioni che l’aborto genera nella coscienza. Ciò risulta sempre più evidente verificando quanto accade tra i medici in Paesi che non hanno più un esplicito radicamento nella fede cattolica.
L’obiezione di coscienza risulta così anzitutto un diritto civile, cui giustamente nessuno si può seriamente opporre quando, per esempio, si parla di servizio militare o di partecipazione ad una guerra. Pare invece che questa chiarezza venga meno quando l’esercizio di un diritto indiscutibile come l’obiezione intacca un dogma – il libero aborto – della società post-moderna: società che finisce per scaricare il peso e le contraddizioni dalle spalle del medico a quelle della donna con l’aborto farmacologico, e che continua a offrire davvero poco alle tante mamme in difficoltà. Non ci sembra un grande progresso.
Avvenire - E’ Vita 1 novembre 2012
Abbiamo di recente letto su più testate nazionali inviti ad abolire l’obiezione di coscienza dei medici in caso di aborto. In Italia il 71% dei ginecologi obiettano: ma molti opinionisti si stracciano le vesti perché non si troverebbero medici che pratichino aborti, stupendosi poi di numeri degli obiettori così elevati. Come se fosse un caso tutto italiano, o legato a una questione di fede. È facile farlo sembrare un problema provinciale o di arretratezza, quando invece è un dato globale, che nasce da una domanda: ‘ma lo sapete cos’è un aborto’?
Scarseggiano i medici per fare gli aborti e non è un’esclusiva italiana. Il calo viene descritto in Canada, in Francia, dove sono diminuiti anche i centri che praticano aborti, e in Inghilterra, dove Sophie Strickland del King George Hospital riporta questo trend tra i medici di pari passo con un incremento dell’obiezione di coscienza tra gli studenti di medicina. Questi ultimi secondo uno studio dell’Università di Birminghan sono a favore della vita per il 33% con in più un 7% di indecisi.
Negli Stati Uniti un recente studio pubblicato sulla rivista Obstetrics and Gynecology ha mostrato un crollo del numero di ginecologi disposti a praticare un aborto: dal 22% nel 2008 al 14% nel 2011.
Sarà per le contraddizioni che un aborto solleva in un medico? Non si tratta solo di domande di ordine morale o religioso.
Helen Dolk, per conto di Eurocat, centro di documentazione sulle anomalie congenite affiliato all’Onu, lamenta sulla rivista scientifica Lancet la facilità con cui ancora si tramanda che l’aborto è una forma di «prevenzione primaria», e spiega poi che la prevenzione delle malattie è tutt’altra cosa.
Certo, si può rispondere che l’aborto preverrebbe il disagio materno derivante dalla nascita di un figlio non voluto. Ma ne siamo certi? Studi che confrontano le conseguenze psicologiche sulla donna di un aborto e della nascita di un figlio non programmato scardinano questo dogma.
Un medico sperimenta la contraddizione di eseguire un aborto e vedere, toccare, assorbire ciò che si riferisce non solo all’adulto ma anche al bambino: pensate che per noi medici sia indolore? Una contraddizione è ancora più lampante: per la giurisprudenza italiana l’aborto – dice la legge – si fa per salvaguardare la salute materna. La cura della salute di solito passa per un giudizio medico, in particolare quando si tratta di chirurgia o di farmaci.
Ma nell’aborto – caso unico nella medicina – quasi sempre la paziente si autodiagnostica il grave rischio per la salute comportato dalla nascita del figlio, e su quella base si auto-prescrive l’interruzione di gravidanza come ‘terapia’. Si capisce come il medico possa sentirsi estraniato dalla sua funzione all’interno di questo processo dove, più che criteri oggettivi medici – cui tiene e che è stato istruito a seguire – valgono piuttosto criteri molto soggettivi.
Per più di un medico pesa un’ulteriore contraddizione, quella di percepire attorno a sé la strana e inarrestabile tendenza della società a non contemplare più la nascita di figli ‘diversi’. È un controsenso evidenziato da Didier Sicard, presidente del Comitato di bioetica francese: «È successo come se a un certo momento la scienza avesse ceduto alla società il diritto di stabilire che la venuta al mondo di alcuni bambini fosse divenuta collettivamente non desiderata e non desiderabile».
Obiezione di coscienza non è solo etica o religiosa ma anche frutto delle contraddizioni che l’aborto genera nella coscienza. Ciò risulta sempre più evidente verificando quanto accade tra i medici in Paesi che non hanno più un esplicito radicamento nella fede cattolica.
L’obiezione di coscienza risulta così anzitutto un diritto civile, cui giustamente nessuno si può seriamente opporre quando, per esempio, si parla di servizio militare o di partecipazione ad una guerra. Pare invece che questa chiarezza venga meno quando l’esercizio di un diritto indiscutibile come l’obiezione intacca un dogma – il libero aborto – della società post-moderna: società che finisce per scaricare il peso e le contraddizioni dalle spalle del medico a quelle della donna con l’aborto farmacologico, e che continua a offrire davvero poco alle tante mamme in difficoltà. Non ci sembra un grande progresso.
Avvenire - E’ Vita 1 novembre 2012
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