di Juan Miguel Montes su Radici Cristiane del
19-11-2012
Il 9 settembre scorso è stata consacrata la nuova cattedrale
cattolica di Karaganda dedicata alla Madonna di Fatima – Madre di tutti i
popoli, nel centro di uno dei più famigerati lager sovietici. Il tempio sembra
in qualche maniera anticipare il «trionfo del Cuore Immacolato»
annunciato a Fatima dopo la diffusione degli «errori della
Russia».
Il pellegrinaggio intrapreso per presenziare alla consacrazione della nuova
cattedrale cattolica di Karaganda, in Kazakhistan, era contestuale alla visita
al centro amministrativo, nel vicino paese di Dolinka, uno dei maggiori centri
concentrazionari dell’Unione Sovietica – uno dei famosi Gulag di Solgenitzin –
che qui assumeva il nome di Karlag, abbreviazione per Karaganda Lager.
Karlag e il suo orrore
Un complesso di 26 campi, esteso su una superficie di 300 per 200 chilometri,
con un 1.500.000 di deportati, 500.000 dei quali esecutati sommariamente per
mano dell’utopia comunista che voleva costruire l’uomo nuovo. Qui la famosa
equazione totalitaria di colpire uno per educarne cento assumeva proporzioni
ancora molto più atroci.
La delegazione di Luci sull’Est ha potuto sperimentare questa istruttiva
realtà proprio alla vigilia della festosa domenica di consacrazione del nuovo
tempio.
Il governo locale, con l’aiuto del British Council, ha trasformato
questo sinistro palazzone staliniano in un formidabile museo delle atrocità
bolsceviche, con tanto di documenti e oggettistica originali.
Ci sono le sale degli interrogatori, dove i “nemici del popolo” dovevano
stare per ore in piedi subendo accuse false e insulti; le sale delle torture,
con i tavoli su cui venivano legati per essere morsi da cani feroci durante
alcune “sedute”; le camere da letto per trenta persone, dove i detenuti dovevano
condividere a turni il drammatico privilegio di dormire su otto giacigli di
paglia semi avvolta in rozzi stracci; c’è il pozzo profondo quattro metri, in
cui alcuni particolarmente “meritevoli” di punizione potevano passare settimane
e settimane in piedi su 15 centimetri di acqua mista a liquami, a volte a 40°
sotto zero, nutriti di una dieta giornaliera di 200 grammi di pane e un po’
d’acqua. Questa del resto era la razione per tutti.
Poi, in fondo a un buio corridoio, il macabro muro delle fucilazioni
chiazzato di sangue.
Ci sono, tali e quali, le stanze dove le mamme dovevano consegnare i loro
bambini di due-tre anni agli agenti di babbo Stalin che, raffigurato su un
grande affresco, lo si vede ad accoglierli col ghigno sinistro sotto il
baffone.
Ci sono poi le cartoline che i piccini erano satanicamente indotti a scrivere
ai genitori raccontando quanto fossero felici nella loro nuova situazione,
liberi da genitori che avevano tradito gli ideali dell’URSS e, giù, altri
insulti.
Ci sono i Messali cattolici requisiti a donne di origine tedesca e polacca;
gli spessi occhiali presi da professori e magistrati viziati dalla corrotta
mentalità precedente; si vedono impressionanti figure in cera che, vestendo
indumenti originali, riproducono con grande realismo lo smarrimento, l’angoscia,
la mancanza di ogni orizzonte.
Per un attimo ci spaventano. Sembrano vivi a guardarci esterrefatti,
implorandoci aiuto. Ma a ben vederli, sono ormai rassegnati alla nostra
impossibilità di riscrivere alcunché dei tragici fatti che li ingoiarono per
sempre nella sterminata steppa asiatica.
Il rovescio della medaglia
Era necessario vedere tutto questo prima per poter meglio capire in tutta la
sua grandezza e significato la nuova stupenda cattedrale cattolica sorta a
Karaganda e dedicata a Nostra Signora di Fatima – Madre di tutti i popoli.
Sì, perché come ha dichiarato in una recente intervista a L’Osservatore
Romano colui che è stato l’anima e il motore di questa felice iniziativa,
l’attuale vescovo ausiliare della capitale Astana e fino a poco fa ausiliare di
Karaganda, mons. Athanasius Schneider, questa cattedrale intende essere
anzitutto un inno alla gloria di Dio, un luogo per il culto che le devono
rendere i credenti, ma anche un religioso memoriale per quelle persone qui morte
nelle decadi tragiche del bolscevismo, molte delle quali perseguitate proprio
per la loro fede in Cristo, come l’eroico sacerdote beato Alexij Saritski, uno
dei compatroni del nuovo tempio.
E, sempre secondo l’idea di mons. Schneider, la cattedrale doveva essere
identificabile – in una città dove sorgono imponenti moschee, sinagoghe e templi
di diverse confessioni, tutte dall’impronta molto caratteristica – con uno stile
schiettamente cattolico. Quindi la scelta dell’intramontabile e insuperabile
gotico.
Sì, perché in questo mosaico di cento etnie diverse, qui sono finiti anche
migliaia e migliaia di cattolici tedeschi, polacchi, lituani, ucraini e ci sono
ancora moltissimi dei loro discendenti.
Un segno dei tempi
Poi, come in tanti Paesi dell’ex impero sovietico, abbondano le persone,
soprattutto giovani, che non hanno nessuna religione, tuttavia sono affamati di
trascendenza e di spiritualità. Ce lo confermava un bravo ragazzo kazako che
abbiamo trovato per caso nel volo da Francoforte ad Astana. Lui, figlio di
musulmano e ortodossa, si manifestava più che fiero di tanta bellezza costruita
dai cattolici nella sua terra. Con sincera soddisfazione ci diceva ritenere
questo tempio una cosa unica nel suo immenso Paese.
Altrettanto asseriscono importanti autorità civili, persino musulmane. Il
nuovo tempio rappresenta una presenza cattolica che, a volte preoccupa alcuni
cattolici pavidi ma che, paradossalmente, rende felici tanti che cattolici non
sono. Un vero segno dei tempi.
Madre di tutti i popoli
All’indomani della visita al Karlag, abbiamo visto per la prima volta questo
formidabile tempio neogotico, decorato con pregiatissimi altari e sculture fatte
ad Ortisei nel Tirolo italiano e con alcune non meno eloquenti pale dipinte a
Roma.
Da lontano si potevano già scorgere le due alte torri in una pietra
giallastra che risplende come la calda “stella mattutina”, dopo la notte che
sembrava senza fine del comunismo. Cosa simboleggia questo tempio, che aurora
annuncia questa “stella mattutina”? Un’anteprima di quel ansimato “trionfo del
Cuore Immacolato”, promesso da Nostra Signora a Fatima?
«Madre di tutti i popoli – commentava mons. Mumbiela, giovane
vescovo di Almaty, l’ex capitale della nazione kazaka – un nome adeguato per
quello che abbiamo visto stamattina in Chiesa».
Infatti alla solenne consacrazione presieduta dal cardinale Decano Angelo
Sodano, delegato del Papa, aveva partecipato un grandioso mosaico di popoli: un
giovane di etnia aborigena sposato a una germanica, un coreano sposato con
un’ucraina e via dicendo. Ma tutti fieramente kazaki.
Ironie della storia: Stalin inconsapevolmente seminò la Chiesa in Asia, dopo
avere promosso a ferro e fuoco “l’espansione degli errori” del comunismo, come
preannunciato a Fatima proprio nel fatidico 1917. Abbiamo commentato col
menzionato presule che forse solo a San Pietro di Roma si sarebbe potuto vedere
tante nazionalità radunate per un atto religioso.
Karaganda ammira il suo monumento
La Messa Sol Maggiore di Franz Schubert, eseguita da formidabili coro e
orchestra locali, ha fatto da imponente cornice alla cerimonia. Le 2.000 persone
convenute non lasciavano posto neanche a uno spillo nei corridoi. La commozione
era palese, mentre file sterminate si avvicinavano a far la Comunione, ricevuta
sempre in ginocchio e in bocca.
Nella vigilia non era stata meno eloquente l’affollatissima Messa di congedo
– sempre celebrata dal cardinale Legato pontificio Angelo Sodano – dalla vecchia
cattedrale che i figli dei tedeschi deportati, dopo pressioni del governo di
Bonn, avevano strappato alle autorità sovietiche nel 1977.
Una chiesa che, per richiesta delle autorità, all’esterno doveva sembrare una
qualsiasi costruzione, ma che all’interno è pervasa da quella pietà propria di
un’architettura sacra che già si discostava da quella di un Occidente modaiolo e
snob.
Si direbbe che questa gloriosa chiesetta è come una ben arredata catacomba,
costruita quando ancora la fine dell’impero bolscevico non s’intravedeva
all’orizzonte di questa gente sofferente.
Solenne e toccante pure il Requiem di Mozart, eseguito con la solita
arte da musicisti del posto, un vero magnifico funerale postumo per coloro che
mai ebbero un funerale. Maestoso un secondo concerto eseguito con l’organo più
grande che si possa trovare in milioni di chilometri quadrati. Tutti questi
eventi hanno visto accorrere moltitudini di persone, anche non cattoliche.
Un valore aggiunto
Finalmente ci si permetta dire qualcosa riguardo un fattore che arricchisce
enormemente di forza soprannaturale tutto quanto rappresenta la nuova
cattedrale. Mons. Schneider, come sopra detto, motore e anima dell’iniziativa,
in amorosa e umile ubbidienza, parte ad aprire nuovi fronti di evangelizzazione,
separandosi fisicamente da questo monumento che tanto gli deve.
Adesso è l’ora che anche i dimentichi occidentali organizzino pellegrinaggi e
visite in questi due posti straordinari: il museo del Gulag a Dolinka e il suo
rovescio, cioè la cattedrale di Nostra Signora di Fatima.
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