di Andrea Galli (Avvenire 12/08/2012)
Per i suoi sessant’anni, a monsignor Wilhelm Imkamp è stato appena dedicato un volume che raccoglie i contributi di personalità come monsignor Georg Gaenswein, Martin Mosebach, il cardinale Walter Brandmüller, l’arcivescovo Luis Ladaria e il principe Albert von Thurn und Taxis. Storico della Chiesa, consultore della Congregazione per le cause dei santi e di quella per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, rettore del santuario bavarese di Maria Vesperbild, Imkamp è un osservatore autorevole e schietto del cattolicesimo tedesco.
Di quale tra i possibili frutti dell’imminente Anno della fede la Chiesa tedesca ha più bisogno?
È necessaria una vera recezione del Catechismo della Chiesa cattolica, che deve diventare un fondamento vincolante per la trasmissione dei contenuti della fede. Questo vale per la preparazione ai sacramenti, per il piano di formazione e per i programmi didattici degli insegnanti di religione, ovviamente fino alla preparazione dei sacerdoti.
Lei è il rettore di un santuario molto famoso, segno di un amore secolare del cattolicesimo tedesco per la Madonna. Questo amore c’è ancora o l’importanza di Maria deve essere riscoperta?
Anche solo il titolo di «Mater Ecclesiae» mostra l’importanza che la Vergine Maria ha per questo Anno della fede. Lei è la «Porta della fede» e perciò anche «Porta del Cielo». Nel santuario di Maria Vesperbild fiorisce e arde l’amore per la Madre di Dio. E la pietà popolare avrà un significato speciale nell’Anno della fede.
Un atteggiamento di contestazione del magistero e un certo spirito anti-romano sopravvivono nelle Chiese di lingua tedesca, nonostante si siano rivelati sterili e, nel post-Concilio, abbiano desertificato tante comunità cristiane. Perché resistono ancora?
Riguardo al sentimento anti-romano Hans Urs von Balthasar ha già detto tutto ciò che c’era da dire. Purtroppo questo è un continuum nella storia della Chiesa tedesca. Per dirla in modo un po’ forte, Febronio (1701-1790 – canonista tedesco che negava al Papa il diritto di pronunciarsi sulla condotta delle Chiese nazionali, ndr) vive ancora, e molti teologi tedeschi non sono mai andati oltre il Concilio di Pistoia (1786 – condannato da Papa Pio VI: vi fu proposta una riforma della Chiesa in senso giansenista, ndr). Il sentimento anti-romano è in fondo un relitto del Settecento.
Perché la Chiesa e la stessa fede a molti giovani risultano così poco convincenti?
L’apparato ecclesiale, con il suo complicato sistema di commissioni e di consigli, non viene percepito nella sua grandezza spirituale ma come un semplice ente di diritto pubblico che si sforza in tutti i modi di avere rilevanza sociale. Ma gli effetti sul lungo termine, per esempio delle Giornate mondiali della gioventù o dei nuovi movimenti ecclesiali, potrebbero cambiare le cose.
È tipico oggi che a sacerdoti e personalità della Chiesa venga chiesto di pronunciarsi su qualsiasi tema che tocca la vita sociale: ecologia, lavoro, diritti umani… C’è chi sostiene che sarebbe meglio concentrarsi sui contenuti della fede lasciando perdere il resto. Lei cosa ne pensa?
Sono pienamente d’accordo. Senza l’assimilazione del Catechismo, di cui dicevo prima, la fede evapora, svanisce. Anche qui c’è tuttavia la speranza di una correzione, per esempio con progetti come YouCat (il Catechismo dei giovani diffuso alla Gmg di Madrid, ndr).
La fede si esprime anche attraverso segni: quali andrebbero riscoperti?
È necessaria una speciale introduzione ai sacramentali. La pietà popolare ne conosce bene il profondo significato, sono un tesoro da riscoprire e da offrire nuovamente. Una pastorale che pensi a come riuscirci mi pare urgente.
da Libertà e Persona
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