mercoledì 29 agosto 2012

La Dichiarazione sulla libertà religiosa del «Concilio Vaticano II»

 

 

 


di Michele Federico Sciacca

[Da Gli arieti contro la verticale, Marzorati, Milano 1969, pp.169-172]

Il testo della Dichiarazione sulla libertà religiosa è stato ampiamente e appassionatamente discusso in tre Congregazioni generali, come richiesto dalla delicatezza e importanza del tema. Esso costituisce una Dichiarazione distinta, la prima, annessa allo schema « De Oecumenismo », essendo Dichiarazione seconda quella sugli ebrei e i non cristiani.

Il concetto di libertà religiosa, molto complesso, include almeno tre problemi fondamentali: 1) libertà nei rapporti con Dio, tema di cui il Concilio nel testo in esame e dati i suoi fini esplicitamente dichiarati, di proposito, non si occupa; 2) libertà dell’atto di fede, che viene formalmente e decisamente ribadita sulla base della dottrina tradizionale e in conformità con il testo « De Fide » numero 2 del « Concilio Vaticano I », dove si legge che « è anatema » il dire che l’assenso alla fede non è libero, ma il prodotto necessario di argomenti dell’umana ragione; 3) libertà religiosa nei rapporti tra uomini, considerati o come persone singole, o come costituiti in comunità religiose. L’affermazione della libertà dell’atto di fede include dunque il diritto corrispondente di professare, ciascun uomo o comunità, una determinata religione; questo il concetto che i numeri da 25 a 31 della Dichiarazione s’impegnano ad approfondire, precisare e chiarire, non occupandosi essi dell’altro aspetto della libertà dell’atto di fede, cioè quello della liceità d’interpretare la Rivelazione.

Di qui la necessità di precisare la « natura della libertà religiosa », il cui fondamento, « radice dei diritti alla liberta religiosa », deriva dall’obbligo di rispettare la persona umana e la sua dignità e dal dovere di ciascun uomo di seguire la legge di Dio secondo il dettame della coscienza sinceramente formata, essendo la libertà di seguire la propria coscienza religiosa il maggior bene di ogni persona e perciò un autentico diritto personale, inalienabile e inviolabile. Tale diritto personale va esercitato nella convivenza sociale, fermo restando che non deriva dalla società o dallo Stato o da altra autorità mondana; anzi, il fine della società è creare condizioni di vita sociale, che non solo ne garantiscano l’esercizio, ma ne aiutino l’attuazione affinché ciascun uomo, come singolo e come socio, sia favorito per il pieno raggiungimento dl esso, dato che il fine supremo dell’uomo stesso e la perfezione in vista della sua destinazione soprannaturale, nella quale, come dice il Rosmini, è riposta l’altissima dignità della persona e, con essa, la finalità della creazione e della storia.

Di qui il compito della Chiesa, secondo il mandato di Cristo, e il suo diritto intrinseco e assoluto, di propagare la parola di Dio, di pregare per la salvezza di tutti, anche dei non cristiani e degli atei, esortando i suoi figli a diffondere la luce del Vangelo, perché solo Cristo è « la via, la verità e la vita », con la predicazione,che è autentica solo se è insieme dottrina fattasi esempio di vita, testimonianza alla verità fino al martirio, pur con il convincimento che « gli uomini ameranno più le tenebre che la luce », ma sempre con la fede e la speranza che « le porte dell’inferno non prevarranno »; e il tutto con il massimo spirito di carità.

Quest’ultimo, ben diverso dalla cosiddetta tolleranza che può essere suggerita dal relativismo e dall’indifferenza, proprio perché si fonda sulla verità oggettiva della legge naturale e della legge divina rivelata, per la quale è appunto disposto a testimoniare fino al martirio, proprio esso, dico lo spirito di carità, impone il principio che nessuno può essere costretto direttamente o indirettamente ad abbracciare la fede; infatti, qualsiasi forma di costrizione, contraddirebbe la stessa natura dell’atto della fede, secondo cui l’adesione alla fede stessa dev’essere pienamente libera. Consegue che la verità va « annunziata » essendo la Chiesa « apostolica » per mandato divino, 1′umana intelligenza illuminata e l’errore rigettato senza il minimo cedimento circa l’essenziale, ma il tutto, secondo la divina pedagogia di Cristo, con amore e pazienza, con fede e speranza, nell’astensione da qualsiasi coazione. Anzi, più il nostro simile è lontano da noi e più nega la verità del nostro Credo, più è bisognoso del nostro amore e della nostra pazienza sorretti dalla fede che muove le montagne e dalla speranza che sa sperare anche nelle situazioni più disperate; ma tanto amore da parte del credente è possibile proprio perché egli non concede niente all’errore e crede fermissimamente nelle verità rivelate; infatti, per amore di chi le nega e per non usargli alcuna costrizione, è disposto a testimoniarne fino al martirio, prova suprema di carità verso il suo prossimo, e di amore verso Dio, di fedeltà alla fede, di rispetto della sua dignità.

Ma proprio perché l’adesione alla fede deve essere pienamente libera e la coscienza religiosa inviolabile, la persona singola e ogni comunità religiosa hanno diritto nell’umana società alla libertà religiosa, fermo restando, val la pena ripeterlo: 1) che tale diritto è personale e non di derivazione sociale, è supersociale, indipendente da ogni legge positiva e autorità che hanno solo il dovere di riconoscerlo e di favorirlo; infatti lo stesso freno degli eventuali abusi si giustifica solo come uno dei mezzi che servono a confermarlo e a garantirlo e va mantenuto nei termini in cui sa limitare quanto è in contrasto con il fine della società, consistente nel complesso di quelle condizioni di vita sociale, con le quali gli uomini possono meglio conseguire il proprio perfezionamento; a) che il diritto di ciascun uomo di agire secondo il giudizio della sua coscienza anche se giunge ad un’interpretazione errata della legge divina, non è accettazione dell’errore e meno ancora riconoscimento che anche la sua è verità, anche se diversa od opposta alla nostra, soggettivismo che, se lo si accettasse, distruggerebbe la verità oggettiva e con ciò stesso renderebbe vano ogni discorso sulla fede e sulla stessa libertà religiosa. Perciò, dice espressamente la Dichiarazione, « è illecito alle autorità statali di fare discriminazioni di qualsiasi genere a motivo della religione » ed è « invece loro dovere di proteggere e fomentare la libertà religiosa », com’è diritto dei gruppi religiosi la propagazione sincera e onesta della loro religione, purché si astengano da un proselitismo che adoperi mezzi disonesti. «Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio »; perciò le autorità civili non hanno alcuna competenza diretta a regolare i rapporti (lei loro cittadini con Dio e a sottomettere le comunità religiose ai fini temporali dello Stato, in quanto il rapporto con Dio è di competenza dell’autorità religiosa ed ha un fine soprannaturale. Ma proprio perché tale è il fine, anche i cattolici, e i credenti in generale, in ogni loro atto di vita quale che sia, anche nel più impegnato nel mondo, pensino e operino secondo la volontà di Dio e non secondo il mondo o per compiacere al mondo. Altrimenti mondanizzano loro la fede, la sottomettono a fini temporali e, con il suo fine soprannaturale, negano la dignità dell’uomo.

 

 

http://continuitas.wordpress.com/2012/08/26/la-dichiarazione-sulla-liberta-religiosa-del-concilio-vaticano-ii/


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