martedì 14 novembre 2023

I novissimi: l’anima umana e l’aldilà




Sintetizzo in un'unica pubblicazione, per comodità di lettura, l'intervento che segue, in tre parti (IX - X - XI), di don Curzio Nitoglia sui Novissimi, un tema di cui i sacerdoti parlano sempre meno, quando non ne parlano affatto. Si tratta delle “cose ultime”: la morte, il giudizio (universale e particolare), l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Concetti che nelle prediche talvolta emergono; ma in maniera incompleta e (almeno in parte) distorta. [a cura di Chiesa e postconcilio]




Don Curzio Nitoglia /  (Parti IX - X - XI)


Parte nona


Il Purgatorio


Capitolo Primo

Il Purgatorio in sé

Il Purgatorio è il luogo e lo stato in cui si trovano le anime morte in grazia di Dio ma con un resto di pena temporanea dovuta ai loro peccati e non ancora espiati.
Queste anime sono sante perché si trovano in grazia di Dio, ma devono attendere di poter entrare in Cielo, perché sono ancora in debito di pena, ed è perciò che attendono in Purgatorio il giorno del loro ingresso in Cielo.
Le anime sante del Purgatorio acquistano il diritto di entrare in Paradiso per la satispassione, cioè sopportando volentieri la pena soddisfattoria loro inflitta.
Questa verità è stata insegnata dalla Chiesa nel II Concilio di Lione (DB, 464), nel Concilio di Trento (DB, 84, 983), in quello di Firenze (DB, 693).
Oltre la pena del danno o l’attesa di poter vedere Dio faccia a faccia, la Chiesa insegna anche l’esistenza della pena del senso nel Purgatorio; infatti, le anime purganti igne cruciantur (DB, 3047, 3050) (1).


L’errore protestante

Già gli Albigesi, i Valdesi, gli Ussiti e, infine, i Protestanti negarono la dottrina del Purgatorio.
Lutero iniziò negando il valore delle indulgenze, che non possono rimettere la pena dovuta alle nostre colpe. Poi affermò che l’esistenza del Purgatorio non si trova nella S. Scrittura e infine che non tutte le anime del Purgatorio sono sicure della loro futura entrata in Cielo.
Il motivo di tutte queste negazioni, secondo Lutero, è la giustificazione per la sola fede e l’inutilità delle buone opere anche per espiare i nostri peccati e, quindi, l’inutilità del Purgatorio. La Chiesa ha condannato solennemente quest’errore nel Concilio di Trento (DB, 807, 840).

La S. Scrittura e il Purgatorio


Nel Vecchio Testamento (II Maccabei, XII, 43-46) si legge che Giuda Maccabeo fece una colletta e la inviò a Gerusalemme per far celebrare un “sacrificio espiatorio per i morti che si erano piamente addormentati affinché fossero liberati dai loro peccati”.
Perciò, già nell’Antico Testamento, si credeva che i giusti, dopo la loro morte, possono essere aiutati dalle preghiere e dai sacrifici offerti su questa terra.
Nel Nuovo Testamento (Mt., XII, 32) si legge che “a colui che avrà peccato contro lo Spirito Santo non gli verrà perdonato né in questo secolo né in quello futuro”, ossia, certi peccati possono essere rimessi dopo la morte, se sono stati perdonati quanto alla colpa ma non ancora espiati quanto alla pena.
Inoltre, San Paolo (I Cor., III, 10-15) ci dice chiaramente che noi possiamo costruire la nostra vita spirituale su di Gesù che è il fondamento di ogni cosa.
Ora, se noi costruiamo sopra di esso non con l’oro e l’argento, ma con il legname, il fieno e la paglia, nel giorno del Signore si vedrà chiaramente la nequizia delle nostre opere, perché il fuoco proverà le opere di ognuno. Perciò, se il nostro lavoro resiste al fuoco, significa che abbiamo costruito con oro e argento e saremo premiati; invece, se le nostre opere saranno consumate dal fuoco saremo castigati; tuttavia, “saremo salvi ma passando attraverso il fuoco”.
In breve, l’Apostolo delle Genti ci dice che il cristiano che ha costruito la sua vita spirituale su Cristo e restando unito a Lui con la grazia santificante ma, ha utilizzato solo materiale scarso, ossia facendo il minimo indispensabile e con molti difetti, si salverà dal fuoco dell’inferno ma, sarà purificato da quello del Purgatorio, poiché la morte lo troverà unito a Cristo, anche se carico di pena da scontare per le sue colpe perdonate.
Molti Padri della Chiesa hanno interpretato in questo modo quest’accenno di San Paolo al fuoco (S. Basilio, S. Cirillo da Gerusalemme, S. Girolamo, S. Ambrogio, S. Agostino, S. Gregorio Magno).
S. Tommaso d’Aquino (Commento alla Prima Epistola ai Corinti, III, 10-15) specifica che l’oro e l’argento sono le opere buone fatte con purezza d’intenzione; il legno e la paglia rappresentano i peccati veniali misti alle buone opere; il giorno del Signore è il giudizio particolare e poi universale; il fuoco purificatore è la tribolazione che ci affina su questa terra, quello del Purgatorio che ci purifica dopo la morte e, infine, quello della fine del mondo.


La Tradizione apostolica e il Purgatorio


Sino al quarto secolo i Padri parlano chi più chi meno del Purgatorio e quasi soltanto implicitamente. Con S. Agostino (V-VIII secolo) si passa all’affermazione esplicita dell’esistenza del Purgatorio.
Prima epoca (sino al quarto secolo) parlando della pratica universale nella Chiesa delle preghiere e della Messa offerta per i defunti, si ammette implicitamente l’esistenza del Purgatorio (Tertulliano, S. Efrem, S. Cirillo d’Alessandria, S. Epifanio, S. Crisostomo; ROUET DE JOURNEL, Enchidirion Patristicum, n. 382, 741, 852, 1109, 1206).
Inoltre alcuni di essi (Tertulliano, S. Efrem, S. Cirillo di Gerusalemme, S. Basilio e S. Gregorio Nisseno) parlano anche esplicitamente delle pene del Purgatorio.
Nel secondo periodo dal V secolo all’VIII, partendo da S. Agostino († 430) sino a S. Gregorio Magno († 640), si comincia a trattare la teologia del Purgatorio esplicitamente e sistematicamente e non solo en passant.
In questo periodo si affermano quattro grandi verità: 1°) dopo la morte è finito il tempo di meritare; 2°) esiste il Purgatorio in cui le anime giuste ma che hanno ancora un debito di pena da espiare subiscono delle pene temporali, che avranno termine; 3°) i viventi con le loro preghiere, sacrifici e suffragi possono aiutare queste anime; 4°) il Purgatorio finirà il giorno del Giudizio universale (cfr. ROUET DE JOURNEL, cit., n. 584-589).


Il Magistero della Chiesa


Il Magistero ecclesiastico ha definito questa dottrina nel II Concilio di Lione nell’anno 1274, in quello di Firenze nell’anno 1438/39 e di Trento dall’anno 1545 sino al 1563 (cfr. DB, 464, 693, 840, 983).

Le ragioni teologiche dell’esistenza del Purgatorio

Il dogma del Purgatorio può dedursi con un ragionamento che parte dalla Rivelazione di alcune verità più universali che contengono implicitamente la sua definizione specifica.
L’Aquinate ne tratta nel suo Commento alle Sentenze (libro IV, distinzione 21, questione 1 ss.).

Il ragionamento teologico che fa l’Angelico suona così: secondo la giustizia divina è necessario che colui, che muore in grazia di Dio, con la contrizione dei suoi peccati, perdonati quanto alla colpa, ma senza aver ancora scontato la pena temporale, deve scontarla nell’altra vita. Perciò, bisogna che l’anima di questi defunti con una certa pena da pagare, la paghi soffrendo nell’altra vita.
Ci sono alcuni esempi di questa verità già nel Vecchio Testamento. Per esempio, Adamo fu perdonato quanto alla sua colpa ma dovette continuare a lavorare la terra col sudore della sua fronte (Sap., X, 1); inoltre, Mosè in punizione della sua colpa già perdonata di aver battuto due volte il suo bastone contro la roccia, non poté entrare nella terra promessa (Num., XX, 11).

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1 - Cfr. L. BILLOT, De Novissimis, Roma, Gregoriana, 1921; A. PIOLANTI, De Novissimis, Roma/Torino, Marietti, 1950; ID., voce Purgatorio, in Enciclopedia Cattolica; ID., La Comunione dei Santi e la Vita Eterna, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1957.

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Parte X

Capitolo Secondo

La pena del senso


La dottrina cattolica

San Tommaso d’Aquino (S. Th., I-II, q. 87, a. 4) spiega che con il peccato l’uomo s’allontana da Dio e si volge verso la creatura che viene preferita a Dio. Il peccato mortale merita, perciò, una doppia pena: la privazione di Dio (pena del danno) e l’afflizione che proviene dalla creatura (pena del senso).


C’è il fuoco nel Purgatorio?


La pena del senso nel Purgatorio è dottrina certa nella Chiesa cattolica d’Occidente e d’Oriente; tuttavia, i Greci scismatici, pur ammettendo l’esistenza di questa pena del senso, negano l’esistenza del fuoco del Purgatorio, mentre ammettono quello dell’inferno. Occorre ammettere che il Concilio di Firenze, che si è occupato della questione dei Greci scismatici, non ha condannato quest’opinione; però, i teologi latini ammettono, comunemente, l’esistenza del fuoco nel Purgatorio, che secondo loro costituisce l’essenza della pena del senso (DB, 3047, 3050).
San Roberto Bellarmino e Francisco Suarez insegnano che l’esistenza del fuoco nel Purgatorio è meno certa di quella dell’inferno; tuttavia, essa dev’essere ritenuta sentenza probabilissima, quasi certa; mentre l’opinione contraria è fortemente improbabile.
Infatti, v’è il consenso unanime dei teologi scolastici, di alcuni dei maggiori Padri ecclesiastici (1) , della Liturgia, che prega per ottenere per le anime purganti “il refrigerio del calore, dell’arsura”; l’interpretazione comune del verso della Prima Epistola ai Corinti (XIII, 15), in cui si parla di fuoco.
Tutti questi autori affermano che questo fuoco è reale e corporale, proprio come quello dell’inferno.
Tuttavia, come può un fuoco corporale far soffrire un’anima spirituale? (l’obiezione è la stessa che abbiamo studiato nell’articolo sull’inferno). L’Aquinate (S. c. Gentes, lib. IV, cap. 9; S. Th., III, q. 70, a. 3) risponde che il fuoco agisce sull’anima, non per virtù propria, ma come strumento di cui si serve la giustizia di Dio. Tuttavia, questo modo d’agire del fuoco purgante resta misterioso. Si può dire che esso lega l’anima e la rende prigioniera, impedendole d’agire come vorrebbe e l’umilia rendendola schiava d’un elemento corporale.

Accettazione volontaria della sofferenza nel Purgatorio


Quest’accettazione volontaria purifica l’anima da ogni egoismo e amor proprio. Questa sofferenza è paragonata, da padre Reginaldo Garrigou-Lagrange, a quella di una “persona paralizzata, che non può fare i movimenti che lei vorrebbe fare” (L’altra vita e la profondità dell’anima, cit., p. 133).
Inoltre, il grande teologo domenicano, citando San Tommaso d’Aquino (S. contra Gentes, lib. IV, cap. 90; S. Th., Suppl., q. 70, a. 3), sostiene che l’anima purgante vuole liberamente sopportare queste pene, come mezzo imposto dalla giustizia di Dio, per arrivare a cogliere il Fine ultimo: la visione beatifica del Signore.
Quest’accettazione volontaria della sofferenza purifica a fondo la radice dell’anima da ogni egoismo e amor proprio. Le purificazioni passive (notti dei sensi e dello spirito) trovano nel Purgatorio la loro perfezione, poiché l’anima da sola non avrebbe avuto il coraggio d’infliggersi una tale pena.
Le anime purganti (S. Th., Suppl., q. 70, a. 5) soffrono soltanto da parte della giustizia divina; esse non patiscono nulla da parte dei demoni, perché hanno già riportato vittoria sopra di essi, essendo morte in grazia di Dio; anzi, Dio non si serve neppure del ministero degli angeli buoni per questa purificazione dolorosa.
Il luogo in cui è sito il Purgatorio non è determinabile con certezza, perché la Rivelazione non è esplicita su quest’oggetto. È soltanto un’opinione la teoria che il Purgatorio sia sito a fianco dell’Inferno al centro della terra.


La durata del Purgatorio


Inoltre, per quanto riguarda la durata, le sofferenze del Purgatorio da una parte diminuiscono poco a poco, poiché le reliquie del peccato scompaiono progressivamente dall’anima purgante; tuttavia, dall’altra parte, le sofferenze aumentano, perché nell’anima cresce il desiderio di unirsi a Dio in Paradiso.
La durata del Purgatorio non è il nostro tempo continuo, ma gli somiglia poiché c’è una successione di pensieri e sentimenti misurati da un tempo discontinuo, in cui ogni pensiero ha per misura un istante spirituale seguìto da un altro (S. Th., I, q. 10, a. 5, ad 1um). Tuttavia, occorre specificare che un istante spirituale del Purgatorio normalmente dura più giorni del nostro tempo solare su questa terra.
Il Purgatorio durerà sino alla fine del mondo come ha definito la Chiesa (DB, 464, 693, 3035, 3047, 3050), fondandosi sulla S. Scrittura: “Questi andranno al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna” (Mt., XXV, 46).
Tuttavia, per quanto riguarda la sua durata per la singola anima, bisogna dire che la pena sarà tanto più lunga o più intensa quanto l’espiazione della colpa maggiore o minore lo richiederà. Così, qualcuno può restare più a lungo in Purgatorio ma, soffrire meno intensamente di un altro che soffrirà in maniera più intensa (IV Sent., dist. 21, q. 1, a. 3).


Lo stato delle anime nel Purgatorio

L’anima nel Purgatorio è separata dal suo corpo quindi non conserva più le operazioni sensibili; tuttavia, ha ancora l’intelletto e la volontà di cui essa usa e, dunque, può conoscere e provvedere verso le necessità delle persone rimaste sulla terra, che avevano avuto con essa un rapporto speciale.
Inoltre, avendo subìto il giudizio particolare, esse sono sicure della loro salvezza eterna (S. Th., II-II, q. 18, a. 4). Per questo motivo si chiamano anime sante del Purgatorio.


Scomparsa delle conseguenze dei peccati già perdonati


La dottrina comunemente insegnata nella Chiesa è che dopo il peccato, se l’anima si pente con dolore perfetto (amor di Dio) e con il desiderio di confessarsi, essa non è più nello stato di volontario allontanamento da Dio, ossia di dannazione (S. Th., III, q. 86, a. 5); tuttavia, normalmente resta in essa una disposizione difettosa che la porta verso un bene creato in maniera leggermente disordinata, come succede con il peccato veniale; però, questa disposizione è conciliabile con lo stato di grazia santificante.
Queste disposizioni leggermente difettose, in teologia, sono chiamate “resti del peccato”: esse sono indebolite dallo stato di grazia, non dominano più nell’anima del giusto, ma restano in potenza; ossia sono come il fomite del peccato, che spinge l’uomo al male morale senza obbligarvelo.
fuoco (S. Basilio, S. Cirillo da Gerusalemme, S. Girolamo, S. Ambrogio, S. Agostino, S. Gregorio Magno).
Ora, i teologi si chiedono se queste tendenze disordinate, che su questa terra scompaiono dopo un certo periodo di lotta e di mortificazione, all’entrata nel Purgatorio scompaiano immediatamente?
L’opinione di San Tommaso d’Aquino è negativa (IV Sent., d. 21, q. 1, a. 3); infatti, i resti o reliquie del peccato derivano dal radicamento di esso nel soggetto, perciò la pena non li cancella d’un sol tratto, ma li elimina progressivamente. Dunque, la scuola tomista ritiene che, mentre il peccato veniale viene cancellato, immediatamente all’entrata nel Purgatorio, le reliquie del peccato scompaiono soltanto progressivamente.
L’Aquinate (S. Th., Suppl., a. 4-8) insegna che nel Purgatorio le anime accettano volontariamente le pene e ciò ottiene loro la remissione del loro debito di pena dovuto alle loro colpe. Tuttavia, mentre sulla terra la soddisfazione è anche meritoria, nel purgatorio non lo è più.
Inoltre, la soddisfazione è non solo accettata volontariamente dall’anima purgante, ma è anche offerta a Dio tramite un’ardente carità. Infatti, le anime sante del Purgatorio offrono a Dio il loro dolore. Sulla terra queste anime non avrebbero mai avuto tanta generosità da imporsi tali sofferenze, ma in Purgatorio le offrono come espiazione con tutto lo slancio del loro amore verso Dio ed è quest’amore che purifica i resti del peccato.

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1 - S. Agostino (De civ. Dei, LXXI, c. 26); S. Gregorio Magno (Dial., lib. IV, cap. 39, 45); S. Cipriano, S. Basilio e S. Cesario. * * * Parte undecima

Capitolo Terzo

La pena del danno

La mancanza della visione beatifica è la pena principale del Purgatorio, essa è chiamata dai teologi “pena del danno temporanea” per distinguerla da quella dell’Inferno che è perpetua.
Inoltre, i dannati dell’Inferno non hanno più nessuna speranza di vedere Dio faccia a faccia e lo odiano, bestemmiandolo incessantemente. Invece, le anime sante del Purgatorio hanno la certezza d’entrare in Paradiso. Per giunta, quest’ultime hanno la carità che non può essere più persa con il peccato mortale, essendo esse confermate nella grazia santificante. Tuttavia, oltre la pena del senso, di cui abbiamo parlato nella scorsa puntata, esse soffrono enormemente la dilazione della visione beatifica (pena del danno).


La Tradizione patristica e poi anche scolastica ritiene che la più piccola pena del Purgatorio sorpassi la più grande pena che si possa soffrire su questa terra.


Sant’Agostino (ROUET DE JOURNEL, Enchiridion Patristicum, 1467) e sant’Isidoro da Siviglia (De ordine creaturarum, cap. XIV, n. 12) insegnano che la sofferenza delle anime purganti sarà “più penosa di ciò che l’uomo possa soffrire nella vita presente”.


Sulla scia dei Padri, l’Angelico sostiene che “la minima pena del Purgatorio sorpassa la più grande pena che si possa soffrire su questa terra” (IV Sent., d. XXI, q. I, a. 3). S. Bonaventura (IV Sent., d. XXI, q. IV) segue il Dottore Angelico con qualche lieve differenza.


S. Roberto Bellarmino (De Purgatorio, q. XIV, p. 121) insegna che certamente, la privazione di Dio (o pena temporanea del danno) in Purgatorio è molto grande ma è addolcita dalla speranza certa di andare un giorno in Paradiso; da questa speranza ferma e assicurata nasce una gioia grandissima, che cresce mano a mano che ci si avvicina alla fine del Purgatorio.


L’Angelico ci porge la ragione teologica del suo insegnamento. Infatti, si soffre tanto maggiormente della privazione di un bene, quanto più ardentemente lo si desidera. Ora, l’anima santa del Purgatorio, è separata dal suo corpo perciò, ha un desiderio intensissimo di possedere il Bene Sommo, poiché non è più distratta dal peso del corpo e dalle occupazioni della vita terrestre.

Per di più l’anima separata, che è simile a un angelo, tende a Dio con un desiderio vivissimo ma nello stesso tempo non può raggiungerlo a causa delle sue colpe che deve ancora espiare nel Purgatorio. Perciò, soffre anche dolorosissimamente perché vede chiaramente che avrebbe già dovuto possedere Dio, ma ne è impedita per sua colpa, avendo posto un ostacolo alla visione beatifica con i peccati che ha commesso su questa terra (S. TOMMASO D’AQUINO, Summa contra Gentes, Lib. IV, cap. 91, n. 2). In breve, sarebbe giunta l’ora di vedere Dio ma, Egli nega di farsi vedere a causa delle colpe che l’anima purgante deve ancora espiare. L’Aquinate spiega che come la più grande gioia segue l’atto della visione di Dio, così l’assenza di questa visione beatifica, quando sarebbe ora di riceverla, causa il più grande dolore.

Insomma, nel Purgatorio si soffre come un flusso e riflusso, simile all’andar avanti e indietro delle onde del mare sulla battigia. Infatti, da una parte l’anima separata è fortemente attratta da Dio, mentre, dall’altra parte è trattenuta dalle reliquie del peccato che deve ancora scontare; in questo senso l’amore di Dio non diminuisce la loro pena, ma l’aumenta.

La lontananza da Dio è, dunque, il maggior tormento delle anime sante del Purgatorio. Infatti, esse sono oramai separate dal loro corpo e, perciò, sono simili agli angeli; quindi, vivono una vita spirituale più intensa, perché sono libere dal peso del corpo, che aggrava lo spirito. Inoltre, conoscono la preziosità della visione beatifica di Dio, in un modo immensamente maggiore a quello delle anime più sante di questa terra; così esse esercitano tutta la loro concentrazione - non interrotta da distrazioni e occupazioni materiali - su Dio e concepiscono un desiderio fortissimo di vederne l’essenza.

Insomma, esse provano uno slancio impetuoso verso Dio, ma esso è contrastato dalla pena che devono ancora scontare in Purgatorio. Dunque, sentono il vuoto della loro esistenza per l’assenza di Colui, che solo può colmarlo. Esse invocano, piene d’amore, il loro Diletto ma, Egli non risponde a esse. A causa di tale profonda tristezza e per lo slancio che hanno verso il cielo, nell’intimo di queste anime sante del Purgatorio, si forma un circolo misterioso di amore e di dolore. Tuttavia, l’amore intensissimo di vedere Dio genera la sofferenza, poiché ne sono ancora impedite; questa a sua volta feconda l’amore; così, l’anima espia e si perfeziona sempre di più e “di salir al Cielo diventa degna” (DANTE, Purgatorio, I, 6).

Occorre anche specificare che le anime sante del Purgatorio, pur non imponendosi volontariamente (soddisfazione) le sofferenze del Purgatorio, le accettano (satispassione) da Dio; perciò, non si può dire che quest’accettazione passiva e ricevuta da Dio sia totalmente involontaria; infatti, esse sono avvolte da un purissimo ardore di penitenza (S. TOMMASO, S. Th., Suppl., q. 70, a. 4).





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