sabato 11 novembre 2023

“La libertà ci farà veri”: uno slogan sovversivo che impedisce la riscossa della Chiesa





NOTIZIE



Di Guido Vignelli, 10 NOV 2023

La libertà ci farà veri?


Ormai la Chiesa e la residua civiltà cristiana sembrano incapaci di difendersi dagli attacchi che ricevono dai loro nemici, come se entrambe fossero contaminate da un virus che ne indebolisce le difese immunitarie e le getta nell’indifferenza e nell’apatia. Le cause di questa malattia sono innanzitutto spirituali, prodotte dal relativismo intellettuale e dal permissivismo morale, i quali dispongono troppi ambienti cristiani prima alla viltà, poi al cedimento e infine alla resa incondizionata al nemico.

In particolare, a livello intellettuale, la crisi degli ambienti cristiani è favorita dalla propaganda rivoluzionaria, la quale abilmente diffonde nella opinione pubblica alcune insidiose formule o massime demotivanti e disarmanti. Ne segnalo qui una, particolarmente diffusa, che suona nel seguente modo: “La verità si diffonde in modo efficace e duraturo solo per propria attrattiva, ossia solo se viene proposta, accettata e praticata in piena libertà, senza condizionamenti o costrizioni”.

Ne consegue che la verità possa essere diffusa o difesa solo usando metodi e mezzi persuasivi, evitando di ricorrere a imposizioni o divieti che risulterebbero controproducenti perché susciterebbero solo incomprensioni e ripulse. La parola solo manifesta il carattere assoluto di questo ragionamento che non tollera eccezioni e che quindi subordina la verità alla libertà, tanto da poter sintetizzarsi nel famoso slogan liberale secondo cui “la libertà ci farà veri”.

Finché rimane sul livello teorico, questa formula può sembrare giusta ed equilibrata. Eppure, essa impone una regola di comportamento che, non appena viene applicata alla vita concreta, vi produce molte conseguenze pericolose sia per la Religione che per la civiltà. Facciamone ora qualche esempio significativo.

La libertà ci farà santi?


Se questa formula liberale viene applicata alla verità religiosa, ne risulta che la Fede sia valida solo se ricevuta e vissuta liberamente e sinceramente, non per abitudine od obbedienza o costrizione, altrimenti essa diventerebbe falsa e ingiusta; a farci pii e santi non è tanto la Fede quanto la libertà di religione. Pertanto, la diffusione e la difesa della verità religiosa devono essere subordinate alla tolleranza delle varie opinioni e azioni, ritenuta più favorevole alla Religione delle iniziative che la impongono o la difendono.

In concreto, la Chiesa può esortare in favore della Fede, della moralità, della solidarietà, della famiglia e della vita, ma deve astenersi dal condannare i relativi errori e peccati, non solo quelli teologici come l’eresia o lo scisma, ma anche quelli morali come il divorzio, l’aborto e l’omosessualità. (Stranamente, però, è lecito perorare non solo per la pace ma anche contro la guerra).

Di conseguenza, la cultura vigente condanna non solo l’apostolato missionario, colpevole di essere una forma ipocrita del deprecabile “proselitismo”, ma condanna anche l’apologetica illustrante la razionale credibilità della Fede, colpevole di essere una forma di violenza psicologica che limita la libertà intellettuale e morale dei non credenti. Per tutto risultato, ormai la Gerarchia ecclesiastica rinuncia alla missione apostolica e non insegna né impone né difende più nulla per divina autorità, ma solo per umane esigenze o per mondane convenienze, per cui la salvezza delle anime e della civiltà cristiana diventa molto difficile, se non proprio impossibile.

Questa limitazione della vera libertà religiosa presuppone che la Chiesa rinunci a difendere la propria integrità dottrinale condannando chi la corrompe, e a difendere la propria libertà di apostolato punendo chi la ostacola o la reprime, ma soprattutto presuppone di subordinare i diritti della Fede a quelli dell’uomo (moderno). Ebbene, questa subordinazione è scandalosamente contraria alla gloria di Dio, alla regalità di Cristo, alla Sacra Scrittura e al Magistero costante della Chiesa.

Se poi la citata formula liberale pretende di subordinare la verità alla libertà non solo nelle questioni religiose ma anche in quelle morali, politiche e giuridiche, allora essa produce altre disastrose conseguenze che si oppongono non solo alla Fede ma anche alla ragione, alla virtù, alla giustizia, all’ordine e alla pace.

La libertà ci farà buoni, civili, giusti?


Partiamo dalla verità morale, che è semplicemente il bonum. Se la subordiniamo alla libertà, si pretende che il bene morale possa realizzarsi solo per propria attrattiva, ossia se volontariamente accettato e praticato, per cui si debba ottenerlo solo con l’informazione e la persuasione, ma evitando di ricorrere all’uso della forza. Facciamone qualche esempio nella vita morale della società.

Stando così le cose, i coniugi possono restare fedeli al loro matrimonio solo se lo fanno volentieri, ma se la loro unione perde libertà e sincerità essi hanno diritto di divorziare, anche se ciò danneggia la prole. Parallelamente, i genitori possono educare i loro figli solo proponendogli verità, virtù e consigli, ma non possono ricorrere a imposizioni, rimproveri, minacce, privazioni e punizioni, anche se ciò rende la prole ribelle. Parallelamente, i docenti scolastici possono insegnare il sapere solo a coloro che lo accettano liberamente e solo usando la persuasione, ma non possono costringerli a imparare né a reprimere i loro istinti, anche se ciò rende gli alunni selvaggi. Pertanto, le autorità paterna, genitoriale e scolastica devono subordinarsi alla libertà dei coniugi, dei figli e degli alunni. Per tutto risultato, ormai quell’autorità ha perso prima l’efficacia, poi anche il prestigio.

Veniamo alla verità politica, che è semplicemente il bonum commune della società. Se la subordiniamo alla libertà, si pretende che il bene politico possa realizzarsi solo per propria attrattiva, ossia se liberamente accettato e praticato, per cui debba essere ottenuto solo con la persuasione e il consenso, ma evitando di ricorrere all’uso della forza. Di conseguenza, un Governo può favorire la vita, la pace, l’ordine e la prosperità solo convincendo i cittadini mediante informazioni, esortazioni e interventi preventivi o al massimo dissuasivi, ma non può punire i ribelli togliendogli le libertà politiche. Pertanto, l’autorità politica deve subordinarsi alla libertà dei cittadini. Per tutto risultato, ormai un Governo riesce a mantenere l’ordine e reprimere le ribellioni sono se ciò avvantaggia i potenti, sicché i cittadini onesti restano in balìa dei disonesti.

Concludiamo con la verità giuridica, che è semplicemente lo justum. Se la subordiniamo alla libertà, si pretende che la giustizia possa realizzarsi solo per propria attrattiva, ossia se liberamente accettata e praticata, per cui debba essere ottenuta solo con la persuasione ed evitando di ricorrere all’uso della forza. Di conseguenza, una Magistratura può far rispettare le leggi solo convincendo i trasgressori mediante esortazioni, allettamenti e prevenzioni, ma non può punirli togliendogli le libertà civili. Pertanto, l’autorità giudiziaria deve subordinarsi alla libertà dei cittadini. Per tutto risultato, ormai la Magistratura sta sostituendo le pene repressive con quelle riabilitative e inclusive, abolendo ieri la pena di morte, oggi l’ergastolo e domani la carcerazione, sicché gl’innocenti finiranno in balìa dei colpevoli.

Non “autenticità” ma verità


Come si vede, la citata formula che astrattamente subordina la verità alla libertà, quando viene concretamente applicata nella vita civile, si rivela non solo ingiusta ma anche molto pericolosa sia per la Religione che per la civiltà. Ciò è dovuto al fatto che quella formula ignora, se non nega, il Peccato Originale con le sue attuali rovinose conseguenze, nella pretesa che l’uomo sia, o possa ridiventare, perfetto, ossia infallibile e impeccabile, come se gli errori e i vizi fossero prodotti solo dalla mancanza di libertà e d’istruzione o dalla oppressione sociale.

Inoltre, quella formula presuppone una falsa concezione della libertà, ridotta al suo aspetto privativo, ossia alla mera assenza di condizionamenti, limitazioni e divieti, sia intellettuali che morali e sociali, abolendo i quali gli uomini diventerebbero spontaneamente buoni, giusti e santi. Questa illusione si sintetizza nel citato falso slogan liberale, secondo il quale sarebbe la libertà a farci veri (nel fasullo e misero senso di “autentici”, ossia sinceri e coerenti con le proprie idee).

Al rovescio, i Vangeli c’insegnano che solo la Verità può farci liberi (Gv 8,32), nel senso che può liberarci dal male morale, permettendoci così di diventare davvero buoni, giusti e santi, ovviamente a condizione che la verità sia non solo predicata e ascoltata, ma anche accettata e vissuta, ossia “facendo la verità nella carità” (Ef 4,15). Insomma, la libertà non è il fine assoluto, un idolo che tutto giustifica e santifica, ma è solo il modo ordinario in cui l’uomo può realizzare la verità, innanzitutto quella religiosa e morale ma, di conseguenza, anche quella politica e giuridica.

Quindi, la pericolosa pretesa della “verità nella libertà” dev’essere corretta con la feconda promozione della “verità nella carità”. Ne derivano importanti conseguenze non solo nell’etica ma anche nella filosofia politica, nella scienza giuridica e particolarmente nella dottrina sociale della Chiesa, a livello sia teorico che pratico. La più importante conseguenza consiste nel riaffermare la primazia di Cristo e della sua Chiesa sulla libertà umana e, di conseguenza, nel riaffermare la superiorità del bene comune sulla vita individuale.

Guido Vignelli





Nessun commento:

Posta un commento