lunedì 13 novembre 2023

“Un vescovo è un vescovo e non un dipendente a cui il padrone può dare il benservito in qualsiasi momento, semplicemente perché non gli piace”


Il vescovo Joseph Strickland di Tyler, Texas, USA

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto dal prof. Leonardo Lugaresi e pubblicato sul suo blog. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste.



Di Redazione Blog di Sabino Paciolla, 13 Novembre 2023


Leonardo Lugaresi

«Come Cristo, nostra vita inseparabile, è il pensiero del Padre, così anche i vescovi, stabiliti fino ai confini della terra, sono nel pensiero di Gesù Cristo (ἐν Ἰησοῦ Χριστοῦ γνώμῃ εἰσίν). […] è in effetti evidente che dobbiamo guardare al vescovo quasi fosse proprio il Signore (Τὸν οὖν ἐπίσκοπον δῆλον ὅτι ὡς αὐτὸν τὸν κύριον δεῖ προσβλέπειν)» (Ad Eph. 3,2; 6,1).

«Vi esorto ad adoperarvi al fine di far tutto nella concordia di Dio, sotto la presidenza del vescovo, che è a immagine di Dio (εἰς τύπον θεοῦ) [oppure, secondo un’altra lezione, «che è al posto (εἰς τόπον) di Dio», ma cambia poco]» (Ad Magn. 6,1).

«[…] tutti portino rispetto al vescovo, che è figura del Padre (τύπον τοῦ πατρός) […] Senza di loro [sc. il vescovo e i preti] non si può parlare di chiesa (ἐκκλησία οὐ καλεῖται)» (Ad Trall. 3,1).

«Seguite tutti il vescovo, come Gesù Cristo il Padre, e il presbiterio quasi fossero gli apostoli; portate rispetto ai diaconi come a un comandamento di Dio. Nessuno faccia senza la partecipazione del vescovo alcuna delle cose che riguardano la chiesa. […] Dove si vede il vescovo, là ci sia la comunità, come dove c’è Cristo Gesù, là c’è la chiesa cattolica» (Ad Smirn. 8, 1-2).

A parlare è sant’Ignazio (di Antiochia, non di Loyola), il santo vescovo martirizzato a Roma agli inizi del II secolo. Uno che sapeva bene chi è Gesù Cristo (e per giunta era a diretto contatto con la prima generazione cristiana, quella di coloro che Gesù l’avevano visto di persona e l’avevano sentito parlare). Quelli citati sono solo pochi brani dalle sue lettere (dove batte di continuo su questo tasto) per ricordare che cosa sarebbe un vescovo, nella millenaria tradizione della chiesa.

Poi c’è papa Francesco, che ogni tanto i vescovi li licenzia, come ha fatto l’altro giorno con mons. Joseph Strickland, vescovo di Tyler, nel Texas, e non si sa bene perché, dato che non ha ritenuto di spiegarlo neanche ai fedeli di quella piccola diocesi, i quali avrebbero il sacrosanto diritto di sapere perché il loro pastore viene improvvisamente cacciato via. Certo, il vescovo di Roma, che «presiede alla carità» (come dice sempre Ignazio di Antiochia) nel servizio alla chiesa universale, ha sì il diritto-dovere, come extrema ratio, di rimuovere dalla sua sede un vescovo indegno e pernicioso per il suo gregge, ma ci devono essere dei motivi gravissimi. Perché un vescovo è un vescovo – cioè quella cosa che tanto esaltava sant’Ignazio – e non un dipendente a cui il padrone può dare il benservito in qualsiasi momento, semplicemente perché non gli piace come fa le cose, o perché “ha parlato male di lui”.

Perché questo, allo stato attuale delle nostre conoscenze, sembra essere il solo “delitto” di mons. Strickland: avere criticato il papa. Intendiamoci: ci possono essere altri motivi che noi non conosciamo, egli potrebbe aver fatto delle cose talmente orribili da rendere impossibile la sua permanenza alla guida della diocesi. Ma il punto è che, se così fosse, andrebbe detto con chiarezza. Non è più tollerabile il silenzio, in casi come questi. Perché un vescovo è un vescovo, e non lo si liquida solo perché “non piace ai superiori”, ma neanche perché ha semplicemente commesso degli errori nella gestione degli affari della sua diocesi. Il vescovo Strickland ha subito, nei mesi scorsi, una visita apostolica: mettiamo pure che da essa siano emersi rilievi critici sul suo operato. Delle due l’una: o erano talmente gravi da esigere la sua rimozione, e allora ricadiamo nella necessità di trasparenza di cui sopra; oppure erano le “normali” lamentele e, perché no, magagne che qualunque visitatore apostolico troverebbe, se le cerca, in qualsiasi visita apostolica a qualsiasi diocesi del mondo. (Trovatemi un vescvo, uno solo al mondo, che non abbia qualche prete che si lamenta di lui!). Perché nessuno è perfetto e tutti siamo peccatori, compresi i vescovi. E allora si tratta di un pretesto.

O dobbiamo pensare che la millenaria dottrina della chiesa sull’episcopato, di cui Sant’Ignazio è forse il primo cantore, è una balla?





Leonardo Lugaresi ha conseguito il Dottorato di ricerca in “Studi Religiosi: Scienze sociali e studi storici delle religioni” presso l’Università di Bologna e presso l’École Pratique des Hautes Études – Section des Sciences Religieuses. Fa parte del “Gruppo Italiano di Ricerca su Origene e la Tradizione Alessandrina” e della “Association Internationale d’Études Patristiques”. Già docente a contratto di Letteratura cristiana antica presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna, sede di Ravenna; nell’a.a. 2007-2008 è stato docente a contratto di Storia del Cristianesimo presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Chieti.




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