martedì 28 marzo 2023

Il pericolo di una Chiesa sinodale. Prefazione al libro di Bux e Vignelli







Di Stefano Fontana, 28 MAR 2023

Pubblichiamo per gentile concessione dell’Editore la Prefazione di Stefano Fontana al libro di Nicola Bux e Guido Vignelli “La Chiesa sinodale. Malintesi e pericoli di un grande reset ecclesiastico”, uscito in questi giorni per le Edizioni Fede & Cultura [QUI].

Le profonde inquietudini che attraversano la Chiesa cattolica trovano un punto di coagulo nel nuovo concetto di “sinodalità” e nel (nei) percorso sinodale (percorsi sinodali) in corso. Gli Autori di questo libro mettono a fuoco non uno dei tanti motivi di apprensione e incertezza della Chiesa di oggi, ma uno dei principali, se non il principale, perché in grado di lasciare lunghi strascichi nel futuro e incidere su aspetti sostanziali e non solo accidentali della realtà e della vita della Chiesa cattolica. Il sinodo in corso – è stato detto da autorevoli fonti vaticane – non è un evento ma un processo, e si sa che i processi possono compiere danni maggiori dei semplici eventi. Questo libro non è un Instant book, non intende collegarsi ad un evento di cronaca che domani potrebbe essere superato, intende, invece, andare a fondo, mettere seriamente in guardia e fornire spunti per una corretta visione cattolica dei tanti problemi collegati a questa preoccupante fase sinodale.

Quando si parla di sinodalità oggi viene prima di tutto alla mente il Sinodale Weg della Chiesa di Germania, così dirompente nelle sue conclusioni da meritare, senza incertezze, la valutazione di apostasia, più che di scisma, come invece si tende a dire. Lo scisma riguarda la posizione di chi, pur continuando a dirsi cattolico, si svincola dalla sottomissione al papa. In questo caso, però, la posizione del papa non è espressa in modo chiaro e finora non sono arrivate dal supremo magistero né precisazioni né condanne rispetto alle affermazioni del sinodo tedesco. L’apostasia, invece, è il ripudio della fede cattolica, ed è proprio questo che sta avvenendo in Germania. Il libro che qui presentiamo fornisce criteri di grande importanza per valutare gli inquietanti avvenimenti tedeschi, ma non sarebbe corretto limitare il suo significato solo a questo. Il processo sinodale in atto nella Chiesa cattolica, guidato da una nuova visione della sinodalità, è più ampio del Sinodale Weg germanico e i pericoli non vengono solo da Oltralpe bensì anche dal sinodo sulla sinodalità indetto da Francesco e che, dopo la decisione di prolungarlo di un altro anno rispetto alla scansione biennale originariamente prevista, sta quasi diventando un “sinodo permanente”.

Non intendo con ciò dire che il sinodo tedesco abbia un carattere limitato, tutt’altro. Sappiamo bene come in esso si stia sperimentando una iniziativa destinata, fin dalla sua programmazione, ad influire su tutta la Chiesa. Ciò per due motivi: per la ricchezza economica della Chiesa tedesca che le permette di condizionare con i suoi aiuti tante altre Chiese nazionali, e poi per la tradizione teologica progressista che in Germania ha sempre avuto il suo centro principale. Il sinodo tedesco ha una importanza che oltrepassa la Germania anche per un altro motivo: non è chiaro se esso sia nato da una iniziativa autonoma dei vescovi e delle organizzazioni del laicato cattolico di Germania (che, come si sa, sono costituite in grande parte da “impiegati” della Chiesa stessa) o se la sua organizzazione sia stata in qualche modo concordata con Roma. Ci sono buoni motivi per pensare che il sinodo tedesco sia stato concordato come battistrada, come apripista, come esperimento per il sinodo indetto direttamente dal papa.

Quest’ultimo, in ogni caso, è più importante di quello tedesco e se le preoccupazioni sono suscitate soprattutto da quello, l’attenzione principale deve calarsi su questo, dal quale potranno venire innovazioni forse meno dirompenti ma certamente più durature. Questo libro non va quindi letto solo come una risposta alle provocazioni che giungono dalla Germania.

A proposito della sinodalità nella Chiesa c’è da chiedersi se, prima della istituzione da parte di Paolo VI, del Sinodo dei Vescovi, essa non fosse mai stata sinodale. La domanda è importante perché anche a proposito di sinodalità si tende a pensare che il Vaticano II abbia rappresentato una radicale innovazione nel senso di un doveroso aggiornamento. Quando Pio IX scriveva a tutti i vescovi del mondo per chiedere il loro parere in vista della proclamazione del dogma dell’Immacolata concezione di Maria, o quando lo stesso faceva Pio XII per il dogma dell’Assunzione di Maria Santissima al Cielo, non si trattava di esempi vivi di sinodalità? Il laicato cattolico del XIX e della prima metà del XX secolo non era maggiormente in grado di “camminare insieme” che non il laicato cattolico della nostra epoca, diviso in tanti rivoli litigiosi tra loro? La sinodalità è un camminare insieme nella verità. Non si tratta tanto di discutere insieme, di accedere tutti al microfono in modo egualitario senza più distinzione tra Chiesa docente e Chiesa discente, di convenire in grandi assemblee dall’esito precostituito, come è stato nei recenti sinodi, a cominciare da quelli sulla famiglia degli anni 2014-2015, e nemmeno si tratta di decidere insieme indipendentemente da cosa si decide. In un tempo ecclesiale come il nostro, in cui la verità è resa incerta e la fede è intesa come dubbio e domanda, c’è meno sinodalità che non in altre fasi nelle quali la verità era sicura e stabile e la fede era vista come uno “stare”, un “permanere”. Ora, questa carenza di sinodalità, da considerare come la conseguenza dell’emergenza delle varie opinioni teologiche sulle stabili verità della fede nella rivelazione, non può esser colmata da un maggior attivismo esteriore, dal moltiplicarsi degli incontri di discussione, dal chiasso delle dichiarazioni strampalate e forzatamente rivoluzionarie, subito riprese dai media di regime, ecclesiali e non. Il caso, fatte le debite differenze, è simile a quello della activa participatio durante la Santa Messa. Il chiasso conseguente all’attivismo forzato dei fedeli, l’andirivieni sull’altare, la fantasmagoria dei gesti e delle didascalie non hanno compensato la vera partecipazione spirituale tanto viva in precedenza quanto ingiustamente vituperata in seguito.

Il nuovo concetto di sinodalità parte da fondamenti che gli autori di questo libro analizzano in profondità. Il “camminare insieme” sinodale è visto oggi come il fondamento, mentre è invece la conseguenza. La teologia di oggi vuole essere più una teologia del “come” piuttosto che una teologia del “cosa”. Il contenuto della verità di fede viene dopo, o almeno è da considerarsi paritetico, rispetto alla disposizione pastorale di chi la professa. La verità vale per metà per il suo contenuto noetico e metà per come la si dice e la si propone. Quando la proporzione non venga addirittura squilibrata e il come finisca per prevalere nettamente sul cosa. A fare la verità – si ritiene oggi – non è solo la verità, ma anche la sua risonanza nelle coscienze. Non è difficile cogliere elementi protestanti e modernisti in questa visione delle cose. La sinodalità, allora, vale di per sé già come “evento” del con-venire insieme, prima ancora di cosa essa dirà sul piano dottrinale, disciplinare o pastorale. E a questo convenire si conferisce la ricchezza di essere mosso dallo Spirito, semplicemente come fatto ed evento storico. Quando si parla di sinodalità, infatti, si invita ad aprirsi al nuovo, a non opporsi al soffio dello Spirito, a non arroccarsi nella difesa del passato, a non legarsi alla tradizione come se fosse una coperta protetta dalla naftalina, a non irrigidirsi sulla dottrina. Ma la sinodalità sta o cade con la verità che professa e le affermazioni di questa nuova retorica sinodalista denotano facilmente una prospettiva storicistica ed esistenzialistica, che del resto è diventata propria di gran parte della teologia cattolica maggiormente accreditata dall’attuale magistero ecclesiastico ed egemonicamente presente nelle istituzioni accademiche cattoliche. Dopo la “svolta antropologica” quale altra visione di sinodalità poteva essere conseguentemente elaborata? Una sinodalità di parte e poco sinodale.

Questa nuova sinodalità era già presente da decenni nelle menti e negli auspici dei teologi del progressismo cattolico e di molti cardinali e vescovi che della nuova teologia erano stati o i protagonisti o i discepoli. La sinodalità come espressione della Chiesa in uscita c’era già in Padre Chenu, come interpretazione dei segni dei tempi c’era già in Congar, come centro di una ristrutturazione della Chiesa come compito e come chance c’era già nel Rahner dei primi anni Settanta del secolo scorso, come occasione per superare il ritardo della Chiesa rispetto al mondo c’era già nel cardinale Martini e nei propositi della cosiddetta “Mafia di San Gallo”. Durante gli episcopati di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, la nuova sinodalità fu contenuta, tanto è vero che le conclusioni dei Padri sinodali dovevano essere messe nelle mani del papa che pubblicava poi la relativa Esortazione apostolica post-sinodale. Con Francesco il quadro cambia. La corrente teologica di cui sopra ho fatto qualche nome si è congiunta con i vertici ecclesiali e la nuova sinodalità sta diventando la sinodalità della Chiesa in quanto tale. Questo è il pericolo maggiore, più preoccupante anche delle provocazioni, certamente più pirotecniche ma anche meno durature, del Sinodale Weg tedesco. Il sinodo come era stato da Paolo VI a Benedetto XVI non basta più. La nuova sinodalità ha bisogno di un nuovo sinodo. Il sinodo sulla sinodalità va alla ricerca di una sinodalità che trasformi il sinodo stesso. Infatti, in occasione del sinodo sulla famiglia, “madre” di tutti i sinodi di nuova generazione, Francesco non solo ha voluto che anche proposizioni bocciate dai Padri fossero presenti nella dichiarazione finale, ma egli stesso nell’Esortazione Amoris laetitia si è fatto eco dei lavori sinodali, dicendo esplicitamente che non intendeva riformularli ma solo presentarli. La cosa va correttamente letta, perché densa di conseguenze. Quel sinodo, come del resto i successivi, compreso il sinodo sulla sinodalità attualmente in corso, sono stati preconfezionati dal centro e la sua conduzione è stata rigidamente governata, poi però il Pontefice ha rinunciato a riformulare in proprio le conclusioni, finendo per porsi allo stesso livello del sinodo o, se si vuole, evitando di porsi al di sopra del sinodo. Ciò ha fatto dire a qualcuno che di Esortazioni apostoliche postsinodali non ne verranno più scritte. L’idea di un sinodo che si ponga allo stesso livello del papa è antica e la teologia modernista l’ha sempre fatta propria. L’idea rimane quella di un sinodo non solo consultivo ma decisionale che si ponga a fianco dal papa come sinodo permanente per il governo della Chiesa universale. Durante il Vaticano II le consimili spinte conciliariste sono state bloccate. Ora tocca a quelle sinodali. La recente decisione di Francesco di prolungare il sinodo attualmente in corso di un altro anno, intendendolo non come un evento che si apre e si chiude in un certo tempo, ma come un processo, si colloca in questa direzione.

Infine, dato che la linea espressa fin dalla Evangelii gaudium è di conferire alle conferenze episcopali, in contrasto con ciò che queste hanno sempre rappresentato ossia una struttura ecclesiale amministrativa priva di fondamento teologico, un certo potere di definizione dottrinale, si moltiplicheranno anche i sinodi “locali”, oltre al sinodo universale, e questo metterà a durissima prova la struttura della Chiesa così come finora ci è stato donato di conoscerla.

Per la gravità di questo contesto e per tutti questi motivi, sia benvenuto questo libro.

Stefano Fontana





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