giovedì 30 marzo 2023

La Francia verso l’Eutanasia. Ma si sceglie comunque sempre la vita






Di Bruno Couillaud, 30 MAR 2023

In Francia Stiamo andando ancora una volta verso una sconfitta legislativa, sociale e morale? I passi avanti verso la legalizzazione dell’eutanasia sembrano provarlo. Tuttavia, è pur sempre possibile convincere i nostri concittadini del vicolo cieco che rappresenta la morte apparentemente “scelta”. Poggiandosi sia sull’antica saggezza che sulle cure palliative e, soprattutto, sulla certezza della Resurrezione, i cattolici hanno più che mai una missione essenziale da compiere.

Nel mio pensiero non c’è né disfattismo, né la volontà di scoraggiare tutti coloro che tengono il punto, ma pare proprio che – salvo miracoli – sia molto poco probabile una vittoria in Parlamento per impedire una legge che autorizza l’eutanasia e il suicidio assistito. L’Assemblea dei cittadini sul ‘fine vita’[1] è uno stratagemma che mira a rendere questa legge ineluttabile e, nel contempo, a ufficializzare l’opinione dominante dandole una falsa legittimità democratica. Ci si chiede, quale legittimità si può riconoscere a dei cittadini estratti a sorte?

Siccome in cinque occasioni[2] abbiamo già denunciato i sofismi messi in opera da decenni per ingannare l’opinione pubblica e ne abbiamo analizzato le forme logiche, oggi tentiamo di ampliare la questione andando questa volta al fondo: la natura del problema è la vita e la sua fine visibile, la morte. Se non si può convincere l’opinione pubblica con la sola battaglia di idee, non si potrebbe farlo in un altro modo?

Diciamo anzitutto che la logica implicita dei sostenitori dell’eutanasia è quella del controllo sulla propria morte in nome della libertà. E qui siamo di fronte a una falsa finestra disegnata sull’orizzonte della nostra esistenza: la scelta della morte sarebbe un’opzione equivalente a quella della scelta di vivere. Quando il bene clamorosamente indiscutibile che rappresenta il dono della vita non può essere messo a confronto con il male oscuro che rappresenta la morte.

In sovrappiù, ciò che si sceglie è di conservare la propria vita, eventualmente difenderla, condurla a un lieto fine, ma la vita stessa è un dono gratuito che va al di là di noi stessi, che si riceve senza sceglierlo. La morte fisica, del corpo, quella che si sperimenta negli altri e che si teme per se stessi è, a suo modo, anche una necessità ineluttabile. Da questo punto di vista, pur se si fanno scelte nella vita, se si accetta di morire, né la vita né la morte sono oggetto di scelta, questo è un primo punto.

Si presumerà allora che si può scegliere la “propria” morte? Sarebbe appannaggio dell’uomo di affermarsi così nella propria dignità: a ciò mira la pretesa scelta del suicidio. Qui ci sono due contraddizioni. In che modo l’affermazione di sé potrebbe optare per la propria sparizione? Assurdità, questa, che rinvia la scelta del suicidio al rango d’illusione, a meno di non essere nichilisti. C’è di più: una contraddizione con l’intuizione naturale più comune, evidente per tutti, di ciò che è un uomo: un essere esistente; ora, tutto ciò che esiste continua ad esistere finché la sua natura glielo permette. Infatti, tutte le culture hanno riconosciuto quest’obbligo primario attribuito all’uomo di conservare la propria esistenza, ciò che più tardi è stato chiamato il primo precetto della legge naturale. Non si può ignorarlo senza quindi perdere la propria natura di essere morale.

È evidente, scegliere la morte in nome della libertà porta a vicoli ciechi.

Pur tuttavia, la morte è un enigma della condizione umana. È il contrario del desiderio più profondo di vivere e «tormenta l’uomo (…) col timore di una distruzione definitiva»[3]. La filosofia ha cercato delle risposte. Per gli Antichi, l’acquisizione della saggezza consisteva nell’imparare a morire (Platone), nell’acquisire il coraggio di far fronte alla morte (Aristotele) o nell’imparare a non temerla (gli stoici). Ma di fronte a questo enigma, la ragione non è sola. Davanti al mistero, prevale la fede perché l’uomo è, per sua natura, un essere religioso. Fa l’esperienza della propria esistenza e della propria natura in quanto mortali, ma anela a un al di là della morte, in migliaia di forme diverse. La morte non è la fine. «La morte non esiste, neanche un istante; ci sono solo due vite», diceva l’abate Huvelin, confessore di San Charles de Foucauld. Bisogna assolutizzare a tal punto la vita terrena e le soddisfazioni di una felicità solo percepibile, per scegliere la morte? Essa diventa in questo caso un atto disperato, quando la felicità, dal punto di vista del semplice edonismo, non appare più possibile. D’altra parte, con «…l’”occultamento della morte”, le società, organizzate sul criterio della ricerca del benessere materiale, sentono la morte come un non senso e, nell’intento di cancellarne l’interrogativo, ne propongono a volte l’anticipazione indolore»[4].

La religione cristiana, in modo molto originale, sostiene la speranza dell’uomo di fronte alla morte, attraverso il suo insegnamento e la sua pratica. È in questo senso che la Chiesa è un passo avanti sulla questione dell’eutanasia, se così si può dire. Deve pure prendere alla lettera Emmanuel Macron e rispondere all’augurio che ha formulato nei suoi confronti in un discorso presso il Collège des Bernardins[5]; la Francia «si aspetta molto precisamente, se permettete, che le facciate tre doni: il dono della vostra saggezza, il dono del vostro impegno e il dono della vostra libertà».

Il dono della saggezza della nostra fede ci insegna che «… a partire da Abramo … la benedizione divina penetra la storia degli uomini, che andava verso la morte, per farla ritornare alla vita…»[6]… che Dio aveva destinato l’uomo a non morire… che la morte era contraria al suo disegno creatore… che l’uomo sarebbe stato preservato dalla morte fisica se non avesse peccato… e, soprattutto, ciò che è al centro del messaggio della salvezza, che Cristo, morendo, ha distrutto la nostra morte e che, resuscitando, ha ristabilito la vita. Cioè, passando dalla morte, Cristo, il nuovo Adamo, ne ha distrutto il regno sul mondo. In altre parole, la prima risposta all’eutanasia consiste nell’annunciare il mistero cristiano e viverlo a fondo. Come dice San Paolo: «Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini»[7].

Il dono del nostro impegno, ecco la risposta all’eutanasia: promuovere le cure dette “palliative”, integrarle nei servizi ospedalieri, formarne i giovani medici, associarvi volontari e associazioni; rafforzare la ricerca: analgesici, fasi terminali, terapie di supporto; favorire l’accompagnamento ospedaliero dei malati da parte dei medici, del personale, delle famiglie, dei conoscenti, affinché diminuiscano le “richieste” di eutanasia, ecc.[8].

Il dono della nostra libertà, per parlare ed agire, a tempo e contrattempo. «…non basta contrastare nell’opinione pubblica e nei Parlamenti questa tendenza di morte, ma bisogna anche impegnare la società e le strutture stesse della Chiesa in una degna assistenza al morente.»[9], ha ribadito Giovanni Paolo II.

Tre doni. Senza esitare. Che ognuno «accenda una lampada (invece di) maledire l’oscurità»[10].

Bruno Couillaud

[traduzione di Orietta Tunesi dell’articolo pubblica su L’HOMME NOUVEAU – 11 marzo 2023].


[1]Finora il 75% dei 183 cittadini di questa assemblea si è pronunciato per l’apertura alla possibilità legale di “aiuto attivo a morire”, quindi chiaramente per la legalizzazione del suicidio assistito e dell’eutanasia.

[2] Dal 2018, vedasi l’HN nn. 1670 (suicidio assistito), 1690 (alimentazione-cura), 1735 (“aiuto attivo a morire”), 1745 (morire “degnamente”), 1755 (scegliere la propria morte).

[3] Gaudium et Spes, n. 18.

[4] Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti all’assemblea generale della pontificia Accademia per la vita, 27 febbraio 1999.

[5] 9 aprile 2018.

[6] Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1080.

[7] I Co 15, 19.

[8] Elenco dettagliato di tutte queste azioni concrete nel mio libro Manières de penser, pagg. 61-62.

[9] Giovanni Paolo II, ibid.

[10] Titolo di un libro di Marie-Hélène Mathieu, fondatrice dell’OCH (Office chrétien des Personnes handicapées).






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