di Ester M. Ledda
Due importanti esponenti della sinistra massimalista milanese sono un prete e una suora: don Virginio Colmegna e suor Claudia Biondi della Congregazione delle Suore Ausiliatrici delle Anime del Purgatorio. Nel 2011 parteciparono attivamente alla compagna elettorale del comunista Giuliano Pisapia, attuale sindaco di Milano, le cui politiche sociali vanno contro la vita, la famiglia e la libertà di educazione, i famosi «principi non negoziabili». Ovviamente per loro i principi non negoziabili sono altri (immigrazionismo, solidarismo, etc…), ma vorrei soffermarmi sul loro strano concetto di “misericordia”, al di fuori dell’ortodossia cattolica.
In un’intervista rilasciata al settimanale Donna Moderna, nell’ottobre 2008, suor Claudia Biondi affermò che «l’inferno, se c’è, è vuoto». Don Virginio Colmegna è dello stesso parere, in quanto Gesù – dice il nostro -, dopo la morte, discese agli inferi per salvare le anime dalla punizione eterna. Naturalmente questi due non sono i soli ad essere “più buoni di Dio”, quasi tutti i cattocomunisti sono conviti che anche coloro che deliberatamente rifiutano Dio potranno goderlo ugualmente. Anche il sedicente monaco Enzo Bianchi, fondatore della “casa di tolleranza religiosa” di Bose, sostiene che “la salvezza di Gesù arriva fino all’inferno”. Hanno ragione? Assolutamente no. L’inferno non è vuoto: ci sono quelle anime – e ci resteranno per sempre – che hanno rifiutato, per loro libera scelta, la redenzione di Cristo. Non lo dice la Strega, lo dice la Chiesa cattolica.
È vero che Gesù, dopo la morte e prima della resurrezione nel suo vero Corpo, discese agli inferi – come dice il Credo – ma non andò all’inferno. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, quello del 1992, spiega infatti che per “inferi” s’intende “il soggiorno dei morti”, un limbo in cui risiedevano le anime dei giusti morti prima della Croce – da Adamo ed Eva fino a San Giuseppe e San Giovanni Battista – che non potevano entrare in paradiso a causa del peccato originale (cfr. CCC n. 633). Cristo, dunque, liberò i giusti e non gli empi. L’inferno è uno stato di separazione definitiva e irrevocabile dalla Santissima Trinità (cfr. CCC n. 1033). Gesù stesso, nella parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, spiega che la sorte dei morti non è la stessa (cfr. Lc 16,19-31). Ciò che dice la Chiesa sull’inferno non è opinabile: chi non lo accetta è in errore, cioè in eresia.
Del resto, nel corso dei secoli, molti mistici hanno avuto visioni dell’inferno. Riporto alcune testimonianze di quei mistici ai quali la Chiesa ha dato i titoli di beati o di santi.
È vero che Gesù, dopo la morte e prima della resurrezione nel suo vero Corpo, discese agli inferi – come dice il Credo – ma non andò all’inferno. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, quello del 1992, spiega infatti che per “inferi” s’intende “il soggiorno dei morti”, un limbo in cui risiedevano le anime dei giusti morti prima della Croce – da Adamo ed Eva fino a San Giuseppe e San Giovanni Battista – che non potevano entrare in paradiso a causa del peccato originale (cfr. CCC n. 633). Cristo, dunque, liberò i giusti e non gli empi. L’inferno è uno stato di separazione definitiva e irrevocabile dalla Santissima Trinità (cfr. CCC n. 1033). Gesù stesso, nella parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, spiega che la sorte dei morti non è la stessa (cfr. Lc 16,19-31). Ciò che dice la Chiesa sull’inferno non è opinabile: chi non lo accetta è in errore, cioè in eresia.
Del resto, nel corso dei secoli, molti mistici hanno avuto visioni dell’inferno. Riporto alcune testimonianze di quei mistici ai quali la Chiesa ha dato i titoli di beati o di santi.
Don Giovanni Bosco, fondatore delle congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, 1815-1888.
La visione dell’inferno di San Giovanni Bosco
«Mi trovai con la mia guida (l’Angelo Custode, nda), in fondo ad un precipizio che finiva in una valle oscura. Ed ecco comparire un edificio immenso, avente una porta altissima, serrata. Toccammo il fondo del precipizio; un caldo soffocante mi opprimeva, un fumo grasso, quasi verde, s’innalzava sui muraglioni dell’edificio e guizze di fiamme sanguigne. Domandai: “Dove ci troviamo”? “Leggi – mi rispose la guida – l’iscrizione che è sulla porta”! C’era scritto: “Ubi non est redemptio”!, cioè: “Dove non c’è redenzione”. Intanto vidi precipitare dentro quel baratro [...] prima un giovane, poi un altro, ed in seguito altri ancora; tutti avevano scritto in fronte il proprio peccato. Esclamò la guida: “Ecco la causa precipua di queste dannazioni: i compagni, i libri cattivi e le perverse abitudini”.
Gli infelici erano giovani da me conosciuti. Domandai: “Ma dunque è inutile che si lavori tra i giovani, se tanti fanno questa fine? Come impedire tanta rovina”? “Coloro che hai visto, sono ancora in vita; questo però è il loro stato attuale e se morissero, verrebbero senz’altro qui”! Dopo entrammo nell’edificio; si correva con la rapidità del baleno. Lessi questa iscrizione: “Ibunt impii in ignem æternum”!, vale a dire “Gli empi andranno nel fuoco eterno”! “Vieni con me”!, soggiunse la guida. Mi prese per una mano e mi condusse davanti ad uno sportello, che aperse. Mi si presentò allo sguardo una specie d’immensa caverna, piena di fuoco. Certamente quel fuoco sorpassava mille e mille gradi di calore. Io questa spelonca non ve la posso descrivere in tutta la sua spaventosa realtà. Intanto, all’improvviso, vedevo cadere dei giovani nella caverna ardente.
La guida disse: “La trasgressione del sesto comandamento è la causa della rovina eterna di tanti giovani”. “Ma se hanno peccato, si sono però confessati”. “Si sono confessati, ma le colpe contro la virtù della purezza le hanno confessate male o taciute affatto”. Ad esempio, uno aveva commesso quattro o cinque di questi peccati, ma ne disse solo due o tre. Vi sono di quelli, che ne hanno commesso uno nella fanciullezza ed ebbero sempre vergogna di confessarlo, oppure l’hanno confessato male e non hanno detto tutto. Altri non ebbero il dolore e il proponimento; anzi, taluni, invece di fare l’esame di coscienza, studiavano il modo di ingannare il confessore. E chi muore con tale risoluzione, risolve di essere nel numero dei reprobi e così sarà per tutta l’eternità [...].
“E ora vuoi vedere perché la misericordia di Dio qui ti ha condotto”? La guida sollevò un velo e vidi un gruppo di giovani di questo Oratorio, che io tutti conoscevo, condannati per questa colpa. Fra essi vi erano di quelli che in apparenza tengono buona condotta. Continuò la guida: “Predica dappertutto contro l’immodestia”! Poi parlammo per circa mezz’ora sulle condizioni necessarie per fare una buona confessione e si concluse: “Mutare vita! [...] Mutare vita”! “Ora – soggiunse l’amico – che hai visto i tormenti dei dannati, bisogna che provi anche tu un poco di inferno”! Usciti dall’orribile edificio, la guida afferrò la mia mano e toccò l’ultimo muro esterno; io emisi un grido [...]. Cessata la visione, osservai che la mia mano era realmente gonfia e per una settimana portai la fasciatura».
Suor Teresa di Gesù, riformatrice del Carmelo, 1515-1582.
La visione dell’inferno di Santa Teresa d’Avila
«Un giorno mentre ero in orazione; mi trovai tutt’a un tratto trasportata intera nell’inferno. Compresi che Dio mi voleva far vedere il luogo che i demoni mi avevano preparato, e che io mi ero meritato con i miei peccati. Fu una visione che durò pochissimo, ma vivessi anche molti anni, mi sembra di non poterla più dimenticare.
L’ingresso mi pareva un cunicolo molto lungo e stretto, simile a un forno assai basso, buio e angusto; il suolo tutto una melma puzzolente piena di rettili schifosi. In fondo, nel muro, c’era una cavità scavata a modo di nicchia, e in essa mi sentii rinchiudere strettamente. E quello che allora soffrii supera ogni umana immaginazione, né mi sembra possibile darne solo un’idea perché cose che non si sanno descrivere. Basti sapere che quanto ho detto, di fronte alla realtà sembra cosa piacevole.
Sentivo nell’anima un fuoco che non so descrivere, mentre dolori intollerabili mi straziavano orrendamente il corpo. Nella mia vita ne ho sofferto moltissimi, dei più gravi che secondo i medici si possano subire sulla Terra, perché i miei nervi si erano rattrappiti sino a rendermi storpia, senza dire dei molti altri di diverso genere, causatimi in parte dal demonio. Tuttavia, non sono nemmeno da paragonarsi con quanto allora ho sofferto, specialmente al pensiero che quel tormento doveva essere senza fine e senza alcuna mitigazione.
Ma anche questo era un nulla innanzi all’agonia dell’anima. Era un’oppressione, un’angoscia, una tristezza così profonda, un così vivo e disperato dolore che non so come esprimermi. Dire che si soffrano continue agonie di morte è poco, perché almeno in morte pare che la vita ci venga strappata da altri, mentre qui è la stessa anima che si fa in brani da sé. Fatto sta che non so trovare espressioni né per dire di quel fuoco interiore né per far capire la disperazione che metteva il colmo a così orribili tormenti. Non vedevo chi me li faceva soffrire, ma mi sentivo ardere e dilacerare, benché il supplizio peggiore fosse il fuoco e la disperazione interiore.
Era un luogo pestilenziale, nel quale non vi era più speranza di conforto, né spazio per sedersi o distendersi, rinserrata com’ero in quel buco praticato nella muraglia. Orribili a vedersi, le pareti mi gravavano addosso, e mi pareva di soffocare. Non v’era luce, ma tenebre fittissime; eppure quanto poteva dar pena alla vista si vedeva ugualmente nonostante l’assenza della luce: cosa che non riuscivo a comprendere. Per allora Dio non volle mostrarmi di più, ma in un’altra visione vidi supplizi spaventosissimi, fra cui i castighi di alcuni vizi in particolare. A vederli parevano assai più terribili, ma non mi facevano tanta paura perché non li sperimentavo, mentre nella visione di cui parlo il Signore volle farmi sentire in ispirito quelle pene ed afflizioni, come se le soffrissi nel corpo [...].
Sentir parlare dell’inferno è niente. Vero è che io l’ho meditato poche volte perché la via del timore non è fatta per me, ma è certo che quanto si medita sui tormenti dell’inferno, su quello che i demoni fanno patire, o che si legge nei libri, non ha nulla a che fare con la realtà, perché totalmente diversa, come un ritratto messo a confronto con l’oggetto ritrattato. Quasi neppure il nostro fuoco si può paragonare con quello di laggiù. Rimasi spaventatissima e lo sono tuttora mentre scrivo, benché siano già passati quasi sei anni, tanto da sentirmi agghiacciare dal terrore qui stesso dove sono.
Mi accade intanto che quando sono afflitta da qualche contraddizione o infermità, basta che mi ricordi di quella visione perché mi sembrino subito da nulla persuadendomi che ce ne lamentiamo senza motivo. Questa fu una delle più grandi grazie che il Signore m’abbia fatto, perché mi ha giovato moltissimo non meno per non temere le contraddizioni e le pene della vita che per incoraggiarmi a sopportarle, ringraziando il Signore d’avermi liberata da mali così terribili ed eterni, come mi pare di dover credere».
Suor Veronica Giuliani, clarissa, 1660-1727.
Le visioni dell’inferno di Santa Veronica Giuliani
«Parvemi che il Signore mi facesse vedere un luogo oscurissimo; ma dava incendio come fosse stata una gran fornace. Erano fiamme e fuoco, ma non si vedeva luce; sentivo stridi e rumori, ma non si vedeva niente; usciva un fetore e fumo orrendo, ma non vi è, in questa vita, cosa da poter paragonare.
In questo punto, Iddio mi dà una comunicazione sopra l’ingratitudine delle creature, e quanto gli dispiaccia questo peccato. E qui mi si dimostrò tutto appassionato, flagellato, coronato di spine, con viva, pesante croce in spalla. Così mi disse: “Mira e guarda bene questo luogo che non avrà mai fine. Vi sta, per tormento, la mia giustizia ed il rigoroso mio sdegno”. In questo mentre, mi parve di sentire un gran rumore. Comparvero tanti demoni: tutti, con catene, tenevano bestie legate di diverse specie. Le dette bestie, in un subito, divennero creature (uomini), ma tanto spaventevoli e brutte, che mi davano più terrore che non erano gli stessi demoni. Io stavo tutta tremante, e mi volevo accostare dove stava il Signore. Ma, con tutto ché vi fosse poco spazio, non potei mai avvicinarmi più. Il Signore grondava sangue, e sotto quel grave peso stava. O Dio! Io avrei voluto raccogliere il Sangue, e pigliare quella Croce, e con grand’ansia desideravo il significato di tutto.
In un istante, quelle creature divennero, di nuovo, in figura di bestie, e poi, tutte furono precipitate in quel luogo oscurissimo, e maledicevano Iddio e i Santi. Qui mi si aggiunge un rapimento, e mi parve che il Signore mi facesse capire, che quel luogo era l’inferno, e quelle anime erano morte, e, per il peccato, erano divenute come bestie, e che, fra esse, vi erano anche dei religiosi [...]. Mi pareva di essere trasportata in un luogo deserto, oscuro e solitario, ove non sentivo altro che urli, stridi, fischi di serpenti, rumori di catene, di ruote, di ferri, botti così grandi, che, ad ogni colpo, pensavo sprofondasse tutto il mondo. E io non avevo sussidi ove rivolgermi; non potevo parlare; non potevo invitare il Signore. Mi pareva che fosse luogo di castigo e di sdegno di Dio verso di me, per le tante offese fatte a Sua Divina Maestà. E avevo davanti di me tutti i miei peccati [...]. Sentivo un incendio di fuoco, ma non vedevo fiamme; altro che colpi sopra di me; ma non vedevo nessuno. In un subito, sentivo come una fiamma di fuoco che si avvicinava a me, e sentivo percuotermi; ma niente vedevo. Oh! Che pena! Che tormento! Descriverlo non posso; e anche il sol ricordarmi di ciò, mi fa tremare. Alla fine, fra tante tenebre, mi parve di vedere un piccolo lume come per aria. A poco a poco, si dilatò tanto. Mi sembrava che mi sollevasse da tali pene; ma non vedevo altro».
«In un batter d’occhio mi ritrovai in una regione bassa, nera e fetida, piena di muggiti di tori, di urli di leoni, di fischi di serpenti [...]. Una grande montagna si alzava a picco davanti a me ed era tutta coperta di aspidi e basilischi legati assieme [...]. La montagna viva era un clamore di maledizioni orribili. Essa era l’inferno superiore, cioè l’inferno benigno. Infatti, la montagna si spalancò e nei suoi fianchi aperti vidi una moltitudine di anime e demoni intrecciati con catene di fuoco. I demoni, estremamente furiosi, molestavano le anime le quali urlavano disperate. A questa montagna seguivano altre montagne più orride, le cui viscere erano teatro di atroci e indescrivibili supplizi. Nel fondo dell’abisso vidi un trono mostruoso, fatto di demoni terrificanti.
«In un batter d’occhio mi ritrovai in una regione bassa, nera e fetida, piena di muggiti di tori, di urli di leoni, di fischi di serpenti [...]. Una grande montagna si alzava a picco davanti a me ed era tutta coperta di aspidi e basilischi legati assieme [...]. La montagna viva era un clamore di maledizioni orribili. Essa era l’inferno superiore, cioè l’inferno benigno. Infatti, la montagna si spalancò e nei suoi fianchi aperti vidi una moltitudine di anime e demoni intrecciati con catene di fuoco. I demoni, estremamente furiosi, molestavano le anime le quali urlavano disperate. A questa montagna seguivano altre montagne più orride, le cui viscere erano teatro di atroci e indescrivibili supplizi. Nel fondo dell’abisso vidi un trono mostruoso, fatto di demoni terrificanti.
Al centro una sedia formata dai capi dell’abisso. Satana ci sedeva sopra nel suo indescrivibile orrore e da lì osservava tutti i dannati. Gli angeli mi spiegarono che la visione di Satana forma il tormento dell’inferno, come la visione di Dio forma la delizia del Paradiso. Nel frattempo, notai che il muto cuscino della sedia erano Giuda ed altre anime disperate come lui. Chiesi agli angeli di chi fossero quelle anime ed ebbi questa terribile risposta: “Essi furono dignitari della Chiesa e prelati religiosi».
«[...] Lucifero ha d’intorno le anime più graziate dal cielo, che nulla fecero per Iddio, per la sua gloria; e tiene sotto i piedi, a guisa di cuscino, e pesta continuamente le anime di quelli che mancarono ai loro voti. [...] O giustizia di Dio, quanto sei potente!».
«[...] Lucifero ha d’intorno le anime più graziate dal cielo, che nulla fecero per Iddio, per la sua gloria; e tiene sotto i piedi, a guisa di cuscino, e pesta continuamente le anime di quelli che mancarono ai loro voti. [...] O giustizia di Dio, quanto sei potente!».
Suor Anna Katharina Emmerick, agostiniana, 1774-1824.
La visione dell’inferno della Beata Anna Katharina Emmerick
«L’inferno mi apparve come un immenso antro tenebroso, illuminato appena da una scialba luce quasi metallica. Sulla sua entrata risaltavano enormi porte nere, con serrature e catenacci incandescenti. Urla di orrore si elevavano senza posa da quella voragine paurosa di cui, a un tratto, si sprofondarono le porte. Così potei vedere un orrido mondo di desolazione e di tenebre. L’inferno è un carcere di eterna ira, dove si dibattono esseri discordi e disperati. Mentre nel cielo si gode la gioia e si adora l’Altissimo dentro giardini ricchi di bellissimi fiori e di frutta squisite che comunicano la vita, all’inferno invece si sprofondano cavernose prigioni, si estendono orrendi deserti e si scorgono smisurati laghi rigurgitanti di mostri paurosi, orribili.
Là dentro ferve l’eterna e terribile discordia dei dannati. Nel cielo invece regna l’unione dei Santi eternamente beati. L’inferno, al contrario, rinserra quanto il mondo produce di corruzione e di errore; là imperversa il dolore e si soffrono quindi supplizi in una indefinita varietà di manifestazioni e di pene.
Ogni dannato ha sempre presente questo pensiero: che i tormenti, che egli soffre, sono il frutto naturale e giusto dei suoi misfatti. Quanto si sente e si vede di orribile all’inferno è l’essenza, la forma interiore del peccato scoperto. Di quel serpe velenoso, che divora quanti lo fomentarono in seno durante la prova mortale. Tutto questo si può comprendere quando si vede, ma riesce inesprimibile a parole. Quando gli Angeli, che scortavano Gesù, avevano abbattuto le porte infernali, si era sollevato come un subbisso d’imprecazioni, d’ingiurie, di urla e di lamenti. Alcuni Angeli avevano cacciato altrove sterminate torme di demoni, i quali avevano poi dovuto riconoscere e adorare il Redentore. Questo era stato il loro maggior supplizio. Molti di essi venivano quindi imprigionati dentro una sfera, che risultava di tanti settori concentrici. Al centro dell’inferno si sprofondava un abisso tenebroso, dov’era precipitato Lucifero in catene, il quale stava immerso tra cupi vapori. Tutto ciò era avvenuto secondo determinati arcani divini. [...]».
Suor Faustina Kowalska, propagatrice della devozione della Divina Misericordia, 1905-1938.
La visione dell’inferno di Santa Faustina Kowalska
«Assisto spesso anime di agonizzanti ed ottengo loro la fiducia nella divina Misericordia ed imploro da Dio la magnanimità della grazia divina che vince sempre. La Misericordia di Dio talvolta raggiunge il peccatore all’ultimo momento, in modo singolare e misterioso. All’esterno a noi sembra che tutto sia perduto, ma non è così; l’anima illuminata dal raggio di una vigorosa ultima grazia divina, si rivolge a Dio all’ultimo momento con un tale impeto d’amore che, in un attimo, ottiene da Dio il perdono delle colpe e delle pene. All’esterno però non ci dà alcun segno né di pentimento né di contrizione, poiché essi non reagiscono più alle cose esterne. Oh, quanto imperscrutabile è la divina Misericordia!
Ma, orrore! Ci sono anche delle anime che respingono volontariamente e consapevolmente tale grazia e la disprezzano. Sia pure durante l’agonia, Iddio misericordioso dà all’anima un lucido momento interiore, in cui, se l’anima vuole, ha la possibilità di tornare a Dio. Però talvolta nelle anime c’è un’ostinazione così grande, che scelgono consapevolmente l’inferno, rendendo vane tutte le preghiere che altre anime innalzano per loro a Dio e gli stessi sforzi di Dio… [...]
Sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell’inferno. È un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho visto: la prima pena, quella che costituisce l’inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi di coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l’anima, ma non l’annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale acceso dall’ira di Dio; la quinta pena è l’oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri e il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di Satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l’odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie. Queste sono pene che tutti i dannati soffrono insieme, ma questa non è la fine dei tormenti.
Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda e indescrivibile. Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall’altro. Sarei morta alla vista di quelle orribili torture, se non mi avesse sostenuta l’onnipotenza di Dio. Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l’eternità. [...] Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun’anima si giustifichi dicendo che l’inferno non c’è, oppure che nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina Kowalska, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell’inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l’inferno c’è. Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l’inferno».
Cova da Iria, 13 luglio 1917. I volti terrorizzati dei tre pastorelli durante la visione dell’inferno.
La visione dell’inferno dei tre veggenti di Fatima
Durante l’apparizione del 13 luglio 1917, la Madonna mostrò ai tre piccoli veggenti, Lucia do Santos e Francisco e Giacinta Marto, l’inferno. Racconta Lucia: «[...] La Signora aprì di nuovo le mani, come nei due mesi precedenti. Sembrò che il riflesso penetrasse la terra e vedemmo come un mare di fuoco. Immersi in quel fuoco i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere, o bronzee, in forma umana, che fluttuavano nell’incendio, trasportate dalle fiamme che uscivano da loro stesse, insieme a nuvole di fumo che cadevano da ogni parte uguali al cadere delle scintille nei grandi incendi, senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e disperazione che suscitavano orrore e facevano tremare di paura. I demoni si distinguevano per le forme orribili e schifose di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti come neri carboni roventi”. Eravamo spaventati e come per chiedere aiuto, alzammo gli occhi alla Madonna, che ci disse con bontà e tristezza: “Avete visto l’inferno, dove vanno a finire le anime dei poveri peccatori… Quando recitate il rosario, dopo ogni mistero dite: O Gesù mio, perdonateci, liberateci dall’inferno, portate in cielo tutte le anime, soprattutto quelle più bisognose”. [...]».
All’apparizione successiva, il 13 agosto, la Madonna aggiunse: «Pregate, pregate molto e fate sacrifici per i peccatori. Badate che molte, molte anime vanno all’inferno, perché non vi è chi si sacrifichi e preghi per loro».
Vorrei che coloro che sostengono che l’inferno è vuoto riflettessero su due frasi: la prima è di Santa Faustina, la seconda di Nostra Signora di Fatima.
1) «Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l’inferno». Come dice il proverbio: “Uomo avvisato, mezzo salvato”.
2) «Badate che molte, molte anime vanno all’inferno, perché non vi è chi si sacrifichi e preghi per loro». Quindi, cari sacerdoti e religiosi, se sperate in un inferno vuoto o, almeno, poco affollato, anziché occuparvi di campagne elettorali, andate a flagellarvi per i peccatori.
http://www.papalepapale.com/strega/?p=1183 27 aprile 2013
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