"Non solo preghiamo ciò che crediamo, ma crediamo anche ciò che preghiamo"
di Peter Kwasniewski
Docente al Wyoming Catholic College
L'eminente vescovo ortodosso russo (e compositore di musica sacra) Hilarion Alfeyev ha detto a proposito del rapporto tra lex orandi e lex credendi: " Un ulteriore divorzio da segnalare è quello tra teologia e liturgia. Per un teologo ortodosso, i testi liturgici non sono soltanto opere di grandi teologi e poeti, ma anche il frutto di un'esperienza di preghiera di coloro che hanno raggiunto la santità e la divinizzazione. Secondo me, l'autorità teologica dei testi liturgici supera quella delle opere dei Padri della Chiesa, perché non tutto tra i Padri è di uguale valore teologico e non tutto è stato accettato dalla pienezza della Chiesa. I testi liturgici, invece, sono stati accettati dall'intera Chiesa come 'norma di fede' (kanon pisteos), poiché sono letti e cantati nelle chiese ortodosse da molti secoli".
Possiamo considerare su questa stessa linea le penetranti parole di Papa Benedetto XVI che, nell'Udienza Generale del 21 maggio 2008, disse su San Romano il Melode: "Umanità palpitante, ardore di fede, profonda umiltà pervadono i canti di Romano il Melode. Questo grande poeta e compositore ci ricorda tutto il tesoro della cultura cristiana, nata dalla fede, nata dal cuore che si è incontrato con Cristo, con il Figlio di Dio. Da questo contatto del cuore con la Verità che è Amore nasce la cultura, è nata tutta la grande cultura cristiana. E se la fede rimane viva, anche quest'eredità culturale non diventa una cosa morta, ma rimane viva e presente. Le icone parlano anche oggi al cuore dei credenti, non sono cose del passato. Le cattedrali non sono monumenti medievali, ma case di vita, dove ci sentiamo 'a casa': incontriamo Dio e ci incontriamo gli uni con gli altri. Neanche la grande musica - il gregoriano o Bach o Mozart - è cosa del passato, ma vive della vitalità della liturgia e della nostra fede. Se la fede è viva, la cultura cristiana non diventa 'passato', ma rimane viva e presente".
Il Cardinale Marc Ouellet, facendo eco sia all'eminente vescovo che al Papa emerito, ha rilevato che la musica e le arti figurative amplificano l'ascolto e la lettura della Sacra Scrittura, e che tale amplificazione è ben viva nelle Chiese di rito orientale, a confronto con l'impoverimento iconico e musicale riscontrabile in gran parte della Chiesa di rito latino oggi.
La verità fondamentale alla quale ci richiamano questi Pastori della Chiesa è che noi non solo preghiamo ciò che crediamo (nel senso che il nostro culto pubblico è informato dal contenuto della nostra fede), ma che noi crediamo anche ciò che preghiamo. E ciò diventa preoccupante se consideriamo il cambiamento significativo della musica, delle forme artistiche e architetturali, dei testi liturgici, dei rituali e delle celebrazioni, dell'ethos e dell'ambiente liturgico, della complessa amalgama tra parola, segno e silenzio, i quali non possono non avere l'effetto, nel tempo, di cambiare lo stesso contenuto della fede, o almeno della nostra comprensione delle sue parti e il loro equilibrio nell'insieme del Mistero rivelato.
In parole semplici, la liturgia è la forma e l'espressione della nostra teologia. Se la teologia cattolica è sana e profonda, la liturgia sarà sacra e pienamente coerente con la Parola di Dio e, a sua volta, la nostra prassi liturgica confermerà, arricchirà ed eleverà la nostra teologia, la nostra comprensione orante e ci arrenderemo a Dio. Se la nostra teologia è debole, frammentata o compromessa, l'espressione liturgica sarà altrettanto debole ai fini dell'evangelizzazione, frammentata nel messaggio, compromessa nella sua capacità di creare una cultura della vita divina e contrastare la cultura della morte.
Ma soprattutto, ciò che abbiamo bisogno di vedere nelle nostre liturgie è un'immagine dell'eternità. Proprio quanto disse Papa Benedetto XVI ai monaci dell'abbazia di Heiligenkreuz in Austria, il 9 settembre 2007, e che possiamo adattare anche a noi, qualunque sia il nostro stato di vita: "La disposizione interiore di ogni sacerdote, di ogni persona consacrata deve essere quella di 'non anteporre nulla al Divino Officio'. La bellezza di una tale disposizione interiore si esprimerà nella bellezza della liturgia al punto che là dove insieme cantiamo, lodiamo, esaltiamo ed adoriamo Dio, si rende presente sulla terra un pezzetto di cielo. Non è davvero temerario se in una liturgia totalmente centrata su Dio, nei riti e nei canti, si vede un'immagine dell'eternità. Altrimenti, come avrebbero potuto i nostri antenati centinaia di anni fa costruire un edificio sacro così solenne come questo? Già la sola architettura qui attrae in alto i nostri sensi verso 'quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, le cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano' (1 Cor. 2, 9)".
Corpus Christi Watershed, 04/04/2013
www.ccwatershed.org/blog/2013/apr/4/can-theology-and-liturgy-be-divorced/
trad. it. di d. G. Rizzieri
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