di Matteo Matzuzzi
Il pop e lo spirito, le due anime di Francesco che convivono (felici) a Rio
Cori gospel, luci stroboscopiche, palchi che sembrano navicelle spaziali per quello che gli organizzatori avevano pensato come “un grande show del futuro”. E’ questo il lato pop della prima Giornata mondiale della gioventù di Francesco, il Papa argentino che dopo una rapida occhiata al programma abbozzato per Joseph Ratzinger ha deciso di intensificare gli appuntamenti pubblici, per stare un po’ di più in mezzo a quel gregge che deve essere sempre il primo riferimento per il pastore, il vescovo (di Roma o della più sperduta e piccola diocesi sulla Terra). C’era curiosità e attesa per vedere il Papa – che lo scorso maggio, durante la veglia per i movimenti ecclesiali redarguiva la piazza che scandiva il suo nome “anziché quello di Gesù” – alle prese con un evento che rischiava di spostarsi più sul lato mondano che su quello spirituale. Niente latino, niente canti gregoriani, paramenti un po’ così, fatti con materiale di recupero. E la spianata di Guaratiba dove si celebreranno la veglia e la messa conclusiva: con quelle strane forme appuntite e i mezzi corni a circondare la grande croce, sembrava tutto tranne che un altare. Su tutto, poi, il fatto che a Bergoglio l’aspetto liturgico interessi marginalmente. Musica sacra, candelieri e arredi vari non sono in cima ai suoi pensieri, lo ammisero qualche mese fa perfino dal Vaticano.
L’esordio della Giornata mondiale dava credito alle perplessità e ai timori di chi vede nello stile di Francesco l’archiviazione del paziente recupero avviato da Ratzinger di elementi liturgici caduti in disuso o abbandonati dopo il Concilio. E anche ad Aparecida, mercoledì, quella sfilata di bandiere all’offertorio ha ricordato a più d’uno le coreografie wojtyliane. D’altronde, il confronto con Madrid 2011 parla chiaro: per dirne una, dal “Tu es Petrus” di Bartolucci si è passati al “Francisco, Papa Francisco” che della sacralità aveva ben poco. Sono tutti aspetti cui Bergoglio non dedica la minima importanza. L’accento vuole metterlo sull’elemento spirituale, e non a caso ai momenti pop e agli show si stanno affiancando la visita all’ospedale per abbracciare i tossicodipendenti, la mattinata spesa nella favela in mezzo agli ultimi, i lunghi minuti di silenzio e preghiera davanti all’Immagine della Vergine, ad Aparecida. E Bergoglio, in tutti e tre i casi, si è commosso. Volto tirato, sguardo fisso all’icona, alla croce, grande o piccola che fosse. Momenti che, come ricordava su questo giornale il professor Roberto de Mattei, sono e valgono più di un discorso. Francesco vuole mischiarsi alla gente, vivere con il popolo la sua missione. Incontrando i giovani argentini giunti a Rio, ha detto di sentirsi “in gabbia”, di voler essere loro “più vicino” ma che “per motivi di sicurezza non è possibile”. E’ questo che conta per il vescovo che si dispera per non poter uscire dal Vaticano e andare a confessare nelle chiese di Roma. E’ ben più importante dello show rutilante, dei momenti discotecari e dei cori gospel a Copacabana.
Ma c’è il rischio che dei due piani su cui si muove Francesco, alla fine a prevalere sia quello esteriore, delle chitarre, del Papa che va in giro a bordo di una jeep scoperta oppure su una vecchia utilitaria grigia. Il messaggio pop e giovanilistico esasperato, usato quasi come strumento per recuperare proprio in Brasile il terreno perduto nei confronti degli evangelici, forti, ricchi e affascinanti, le cui file vedono ogni giorno arrivare sempre più cattolici insoddisfatti, tristi e annoiati. E’ questo il cuore della missione di Bergoglio: far capire che “un cristiano non può essere triste, non ha la faccia di chi sembra trovarsi in un lutto perpetuo”. Lo ha ripetuto anche l’altro giorno ad Aparecida, nelle pieghe di un’omelia che aveva il concetto della gioia tra i suoi tre cardini fondamentali.
il Foglio 25 luglio 2013
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