A volte il significato dei termini è molto istruttivo e aiuta a capire la mentalità soggiacente a determinati argomenti. Prendiamo, ad esempio, il termine greco ἱερεύς (ierefs). Nell'uso bizantino, questo termine significa "sacerdote". Il termine richiama quello di "sacro" al punto che per dire "il santo e sacro vangelo" in greco si dice τὸ ἄγιον καὶ ἰερόν Εὐαγγέλιον (to àghion ke ieròn evanghèlion). Il termine ἰερόν si collega direttamente con ἱερεύς.
Nella lingua italiana il termine "ieratico" discende direttamente dal greco com'è facilmente intuibile. Nel dizionario (Sabbatini-Coletti) si riscontrano due significati:
1) Lett. Sacerdotale, spec. riferito ai sacerdoti antichi:
2) estens., fig. Solenne, grave, composto.
Il termine dal culto pagano ha finito molto rapidamente per essere applicato a quello cristiano che si presenta come un culto ieratico, ossia sacro ma allo stesso tempo solenne, grave, composto.
Questo significato lo notiamo pure nell'iconografia. Ho posto come esempio quella del Tempietto longobardo di Cividale ma si potrebbe pensare pure agli oranti rappresentati nelle catacombe. Da queste testimonianze storiche e letterarie comprendiamo come, al sacro, non si possa assolutamente associare la spensieratezza, la scompostezza, la sciatteria in voga oggidì nei templi cristiani. Per queste testimonianze storiche, lo spontaneismo mondano odierno non sarebbe assolutamente segno di qualcosa di sacro ma frutto di cuori incolti e di spiriti che odiano un certo metodo ordinato*.
La capacità di essere assorti e presi dal mistero che si celebra era una caratteristica compresente anche nel mondo pagano ma, a fortiori, divenne parte del mondo cristiano. La pratica ascetica cristiana non è altro che un metodo per impedire al cuore umano di disperdersi nella molteplicità del mondano e unirsi all'Uno. Questa pratica, laddove si attua, ha immediato riscontro nella liturgia.
Intuizioni di questo genere erano presenti già nell'antichità al punto da coinvolgere le stesse arti figurative. Ad esempio, si dice che la civiltà dell'antico Egitto fosse in grado di conoscere la rappresentazione pittorica tridimensionale. Ciononostante preferì nelle sue pitture sacre la bidimensione e ritrasse le figure in modo molto composto, ieratico appunto.
Il romanico e il bizantino espressero lo stesso concetto poiché la dimensione sacrale ha bisogno di una modalità tutta sua per essere rappresentata. Il Rinascimento espresse in Occidente un'arte di rottura ma, per quanto riguarda i soggetti sacri, li ritrasse in modo composto: la tradizione ieratica era troppo forte per poterne prescindere e, inoltre, la liturgia nella sua forma classica continuava a veicolare quella modalità espressiva la cui prima e sana radice, come sopra accennavo, affonda nell'ascetismo cristiano.
Con la rottura della trasmissione della liturgia classica in Occidente, si è rotta pure la tradizione ieratica. Non mi riferisco ad un modo artefatto di condurre il corpo ma a quel modo naturale e composto, tipico di chi sa muoversi negli spazi sacri. Questa rottura è avvenuta da cinquant'anni, oramai.
Nel momento in cui si rompe questa tradizione, o meglio consuetudine, ognuno fa come crede o ha capito. Ecco la genesi dei preti danzanti e canterini nelle messe cattoliche odierne [.........] o il fare da presentatori televisivi di molti sacerdoti. Essi sembrano come foglie secche che girano a mulinello, sospinte dal freddo vento autunnale. Fanno come la moda o il gusto mondano suggeriscono! L'importante non sembra essere ma far credere di essere. L'apparenza in queste modalità teatrali diventa la norma fondamentale...
Come si vede, sembrano dettagli ma coinvolgono tutto un modo di sentire e di vedere, un modo di rapportarsi a Dio. Senza compostezza (ieraticità) non si può dare spazio a Dio (ma solo a se stessi, alla propria passione). Dio è ovunque ma è pure trascendente e, nell'immanenza, l'uomo se non ha una giusto metodo non è in grado d'intuirne la presenza ossia quella "sacralità" di cui parliamo. Se non s'intuisce questa presenza non si può trasmettere questa sacralità (non a parole ma nell'atmosfera stessa), non si può celebrare convenientemente. E se non si celebra convenientemente si finisce per non celebrare affatto. Si crea, in questo modo, un diaframma tra la realtà divina omnipresente e il cuore dell'uomo oramai preso a considerare solo se stesso scambiando per religioso e autenticamente divino i propri opinabilissimi gusti. La luce è ovunque ma sul volto è stata calata una maschera che chiude lo sguardo.
Alla fine ecco l'uomo solo, ecco l'ateo.
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* Per questo mi pare quanto meno ardito credere che nelle prime comunità cristiane il culto fosse prodotto dal puro spontaneismo, come succede in certe chiese cattoliche e in certe aule protestanti. Ben presto si formarono dei formulari e delle indicazioni precise per regolare il culto che non era, così, alla mercé dell'arbitrio personale. Le eresie cristiane, presenti quasi da subito, contribuirono a codificare nel culto cristiano dei testi fissi e delle modalità prestabilite.
tratto da "Traditio Liturgica"
http://traditioliturgica.blogspot.it/2013/07/ieraticita.html
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