Il fedele è seduto – forse un po’ sonnacchioso – sul suo banco, in attesa dell’inizio della Santa Messa. Cerca di recitare qualche breve giaculatoria per preparare l’animo alla celebrazione. Poi, ecco, suona la campanella. Vede i ministranti, la croce, il turibolo, il diacono e poi lui, il celebrante. Nel frattempo, la corale ha iniziato a cantare…Quante volte abbiamo assistito a questa scena? Tantissime. Qui vorremmo concentrarci molto brevemente su un aspetto un po’ negletto, in quei momenti, e cioè: la corale, il coro, l’assemblea, cosa sta cantando? Tante possono essere le risposte: vorremmo dire, qualche bel canto gregoriano, l’introito… ma temiamo siano casi un po’ rari. Più spesso si tratta di un canto, più o meno conosciuto, magari un po’ attinente al tempo liturgico che si sta vivendo. E quanti canti ci sono a disposizione! I libretti e i compositori da qualche decennio si sono sbizzarriti nel fornire tantissimo materiale ai fedeli, in buona fede (non lo mettiamo in dubbio). Ma senz’altro si possono contestare due aspetti.
Il primo, che i prodotti canori forniti ai fedeli siano di vera qualità. Certo, non tutte le assemblee possono giungere ai livelli di certe corali. Però ricordiamoci che semplicità non fa rima con sciatteria o con volgarizzazione o con insulsa modernizzazione. La vera semplicità è ben altro, è riuscire con poco a penetrare nell’intelligenza del mistero che si sta celebrando.
Secondo – e questo è l’argomento precipuo di questo post – dobbiamo constatare come sia oramai inveterata, nel nostro paese, l’abitudine di cantare durante la Messa e non la Messa.
Per spiegarci meglio, riportiamo un testo apparso in Notitiae n. 5 (1969), p. 406. Il bollettino è l’organo della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Le parole che riportiamo non appartengono ad un vero e proprio decreto, ma sono comunque importanti. Eccole:
Da più parti è stato chiesto se è ancora valida la formula dellaInstruzione sulla Musica sacra e la Sacra Liturgia, del 3 sett. 1958, al n. 33: « In Missis lectis cantus populares religiosi a fidelibus cantari possunt, servata tamen hac lege ut singulis Missae partibus plane congruant ».
La formula è superata.
È la Messa, Ordinario e Proprio, che si deve cantare, e non « qualcosa », anche se plane congruit, che si sovrappone alla Messa. Perché l’azione è unica, ha un solo volto, un solo accento, una sola voce: la voce della Chiesa. Continuare a cantare mottetti, sia pure devoti e pii (come il Lauda Sion all’offertorio nella festa di un santo), ma estranei alla Messa, in luogo dei testi della Messa che si celebra, significa continuare un’ambiguità inammissibile: dare crusca invece di buon frumento, vinello annacquato invece di vino generoso.
Perché non solo la melodia ci interessa nel canto liturgico, ma le parole, il testo, il pensiero, i sentimenti rivestiti di poesi e di melodia. Ora, questi testi devono essere quelli della Messa, non altri. Cantare laMessa, dunque, e non solo cantare durante la Messa.
Sono parole molto chiare, ma approfondiamole un momento.
Nella Santa Messa, noi abbiamo dei testi prestabiliti per il canto, alcuni dei quali sono fissi nel testo ogni domenica (l’Ordinario: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei), mentre altri variano (i canti del Proprio, come l’antifona di ingresso o quella di comunione).
Nella forma extra-ordinaria del rito romano, la questione del canto veniva risolta alla radice dividendo tutte le Messe in due grandi categorie: le Messe lette e quellein canto. Nelle prime tutto il testo liturgico (compresi Ordinario e Proprio) venivano letti dal sacerdote, senza cantarli (veniva però lasciata la possibilità di aggiungere – attenzione, non sostituire: aggiungere – alcuni canti popolari in momenti stabiliti). Nelle seconde, quasi tutta la Messa veniva cantata dal celebrante, dalla schola e dall’assemblea. E veniva cantata sempre e solo coi testi fissati dalla Chiesa, che non potevano essere sostituiti.
Nelle Messe in forma ordinaria, invece, la gran parte delle Messe ha assunto forma ibrida: un po’ lette, un po’ in canto. Questo non è di per se sbagliato. Però è fuor di discussione che, mentre i canti dell’ordinario sono tutto sommato rimasti (anche se purtroppo le melodie tradizionali sono poco utilizzate), quelli del Proprio sono praticamente scomparsi. Prendiamo per esempio ieri, XIII domenica del tempo ordinario (o, con un’espressione più felice, per annum). L’antifona d’introito era:Popoli tutti, battete le mani, acclamate a Dio con voci di gioia. E quella di Comunione, invece, era: Anima mia, benedici il Signore:
Cantare Ordinario e Proprio, quindi, cantare i testi liturgici stessi, non canzonette moderne che, passata la moda, passano anch’esse – e con questo non vogliamo sminuire le belle opere che sono state composte: solo, ci sembra che di fronte alla Scrittura e ad una prassi così tradizionale e consona come quella di cantare Ordinario e Proprio debbano passare in secondo piano.
Speriamo il Signore si degni di suscitare nella Sua Santa Chiesa dei bravi e volenterosi uomini e donne di musica, che si dedichino a questo compito con arte e competenza!
http://continuitas.wordpress.com/2013/07/01/cantare-la-messa-non-durante-la-messa/
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