«Nessun riconoscimento legale alle unioni gay»
di Massimo Martinucci
Dieci anni fa la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato «Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali», un documento che reca la data formale del 3 giugno ma è stato pubblicato il 31 luglio 2003 a firma del Prefetto Card. Joseph Ratzinger e del Segretario Mons. Angelo Amato. Controfirmato dal Beato Giovanni Paolo II, è a tutti gli effetti un atto di Magistero pontificio. Pur non contenendo novità dottrinali, esso richiama i punti essenziali del problema che oggi sta emergendo con drammatica attualità, fornisce ai vescovi alcune argomentazioni di carattere razionale e illumina gli uomini politici cattolici, ai quali indica le linee di condotta in proposito, coerenti con la coscienza cristiana. È dunque quanto mai opportuno ricordare il suo decimo anniversario.
Le argomentazioni sono proposte non soltanto ai credenti, ma a tutti coloro che sono impegnati nella promozione e nella difesa del bene comune della società: «l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla complementarità dei sessi ripropone una verità evidenziata dalla retta ragione e riconosciuta come tale da tutte le grandi culture del mondo. [...] Nessuna ideologia può cancellare dallo spirito umano la certezza secondo la quale esiste matrimonio soltanto tra due persone di sesso diverso, che per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, tendono alla comunione delle loro persone. In tal modo si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite».
Il documento evidenzia tre dati fondamentali della verità naturale sul matrimonio, confermata dalla Rivelazione: innanzitutto il fatto che «l’uomo e la donna sono uguali in quanto persone e complementari in quanto maschio e femmina. La sessualità da un lato fa parte della sfera biologica e, dall’altro, viene elevata nella creatura umana ad un nuovo livello, quello personale, dove corpo e spirito si uniscono».
In secondo luogo «è istituito dal Creatore come forma di vita in cui si realizza quella comunione di persone che impegna l’esercizio della facoltà sessuale». E «infine, Dio ha voluto donare all’unione dell’uomo e della donna una partecipazione speciale alla sua opera creatrice. Perciò Egli ha benedetto l’uomo e la donna con le parole: "Siate fecondi e moltiplicatevi" (Gn. 1, 28). Nel disegno del Creatore complementarità dei sessi e fecondità appartengono quindi alla natura stessa dell’istituzione del matrimonio. Inoltre, l’unione matrimoniale tra l’uomo e la donna è stata elevata da Cristo alla dignità di sacramento».
Se questo è il matrimonio, «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale. Gli atti omosessuali, infatti, "precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun modo possono essere approvati"».
Il documento, ribadendo quanto la Chiesa ha sempre insegnato, distingue tra l’inclinazione omosessuale — e qui riafferma la grande carità che deve sempre essere messa in atto nei confronti delle persone —, inclinazione oggettivamente disordinata ma che di suo non costituisce peccato, e le pratiche omosessuali, che invece sono peccati gravemente contrari alla castità. È poi necessario distinguere accuratamente tra il comportamento privato e la sua eventuale legittimazione pubblica, contraria alla ragione e nociva al bene comune. Questa legittimazione «finirebbe per comportare modificazioni dell’intera organizzazione sociale che risulterebbero contrarie al bene comune». Le leggi infatti «svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una mentalità e un costume», per cui «in presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell’equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest’ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all’obiezione di coscienza».
Una prima conclusione è quindi che «le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali sono contrarie alla retta ragione perché conferiscono garanzie giuridiche, analoghe a quelle dell’istituzione matrimoniale, all’unione tra due persone dello stesso sesso».
Ma vi sono anche altri motivi di ordine biologico e antropologico, in quanto le unioni omosessuali non sono in condizione di assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana, in esse è del tutto assente la dimensione coniugale che rappresenta la forma umana ed ordinata delle relazioni sessuali, e inoltre creano ostacoli allo sviluppo normale dei bambini eventualmente inseriti all’interno di queste unioni. «Inserire dei bambini nelle unioni omosessuali per mezzo dell’adozione significa di fatto fare violenza a questi bambini, nel senso che ci si approfitta del loro stato di debolezza per introdurli in ambienti che non favoriscono il loro pieno sviluppo umano. Certamente una tale pratica sarebbe gravemente immorale e si porrebbe in aperta contraddizione con il principio, riconosciuto anche dalla Convenzione internazionale dell’ONU sui diritti dei bambini, secondo il quale l’interesse superiore da tutelare in ogni caso è quello del bambino, la parte più debole e indifesa».
Ci sono poi argomentazioni di ordine sociale: il riconoscimento legale delle unioni omosessuali porterebbe alla ridefinizione del matrimonio, che perderebbe l’essenziale riferimento ai fattori collegati alla eterosessualità, come ad esempio il compito procreativo ed educativo. «Mettendo l’unione omosessuale su un piano giuridico analogo a quello del matrimonio o della famiglia, lo Stato agisce arbitrariamente ed entra in contraddizione con i propri doveri».
Dal punto di vista giuridico infine occorre osservare che, mentre le famiglie propriamente dette sono le cellule del tessuto sociale e il loro semplice esistere ridonda a favore della società, le unioni omosessuali «non esigono una specifica attenzione da parte dell’ordinamento giuridico, perché non rivestono il suddetto ruolo per il bene comune».
Il riconoscimento legale delle unioni omosessuali non è affatto necessario per la tutela dei diritti comuni che essi hanno in quanto persone e in quanto cittadini. «In realtà, essi possono sempre ricorrere — come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata — al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse. Costituisce invece una grave ingiustizia sacrificare il bene comune e il retto diritto di famiglia allo scopo di ottenere dei beni che possono e debbono essere garantiti per vie non nocive per la generalità del corpo sociale».
Il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede si conclude con un forte appello ai politici cattolici, ai quali vengono date delle precise indicazioni. Ognuno di essi innanzitutto ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge che sia favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali oppure, nel caso esistesse già una tale legge nel proprio Paese, deve opporsi in tutti i modi possibili rendendo «chiara e a tutti nota» la sua «personale assoluta opposizione».
In conclusione – insegna il documento di cui ricorre il decennale –, «la Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali. Il bene comune esige che le leggi riconoscano, favoriscano e proteggano l’unione matrimoniale come base della famiglia, cellula primaria della società. Riconoscere legalmente le unioni omosessuali, o peggio ancora equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità. La Chiesa non può non difendere tali valori, per il bene degli uomini e di tutta la società».
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