di Padre Giovanni Cavalcoli
Dalle narrazioni della Sacra Scrittura, dalla storia dell’umanità, delle nazioni, degli imperi e delle religioni, nonché dalla storia della santità e della perversione umana, considerando le azioni collettive più crudeli e disumane suscitate da ideologie aberranti, immorali, empie, antireligiose o sconsiderate, quelle che la Bibbia chiama “dottrine diaboliche”, lo scatenarsi irrazionale dell’odio di massa contro innocenti indifesi e calunniati, non è difficile indovinare, riconoscere o dedurre l’influsso non solo sugli individui ma anche su governi, capi religiosi o militari, movimenti politici, culturali o forze armate, di quel misterioso, potente e malvagio agente spirituale, a sua volta collettivo, che la tradizione cristiana, in base all’insegnamento biblico ed evangelico, chiama “diavolo”, “demonio” o “Satana”, il “maligno” per eccellenza.
Da notare è che, secondo la Bibbia, questo personaggio non è, come alcuni credono, un simbolo mitico del “male”, né tanto meno è il “male” inteso come sostanza - già S.Agostino, liberandosi dal dualismo manicheo, aveva ben compreso che il male non è una sostanza, ma un accidente contingente e precisamente un difetto o carenza o privazione di bene.
Invece, sempre secondo la Scrittura, il demonio è una vera e propria persona, simile a noi, con la differenza che è puro spirito, mentre la nostra natura comporta un’unione sostanziale di spirito e corpo.
Questo agente spirituale incorporeo, come è confermato dal Concilio Lateranense IV del 1215, è una creatura di Dio in sè stessa più nobile dell’uomo, ma in quanto irrevocabilmente ribelle a Dio per propria colpa, è animata da un odio implacabile sia nei confronti di Dio che dell’uomo.
Per questo Dio permette che per tutto il corso della storia[1] di questo mondo, questa personalità invisibile in sè stessa ma visibile negli effetti sensibili che lascia, soprattutto nell’uomo, dotata di una raffinata astuzia e capacità di inganno, tanto da essere chiamata da Cristo, “padre della menzogna”, insista caparbiamente, con parziale successo, ma con la prospettiva finale della sconfitta, nell’incitare singole persone ed intere collettività o formazioni umane al peccato, alla violenza, all’odio reciproco, ad ogni sorta di ingiustizia, discordia e sopraffazione, tanto da essere chiamata da Cristo anche “omicida sin da principio”.
Questa creatura, in seguito al peccato originale, sempre secondo la rivelazione biblica, ha acquistato per permissione divina come castigo di Adamo per il suo peccato, un forte potere in questo mondo, un potere oppressivo o di seduzione, per il quale l’uomo, anche il più santo, soffre per la presenza di questo essere malvagio, tentatore, fascinoso e corruttore. Il fatto che la coppia originaria si sia fidata del serpente diffidando di Dio, ha lasciato come traccia nel genere umano una maledetta tendenza a preferire a volte, sotto vari pretesti, Satana a Dio, a lasciarsi ingannare dal diavolo.
Per questo Cristo lo chiama anche “principe di questo mondo” e S.Paolo “spirito del mondo”, espressione curiosamente ripresa (inconsapevolmente?) da Hegel (Welgeist), ma in un senso che, secondo Hegel, dovrebbe essere positivo, benchè nella concezione hegeliana, come ho fatto notare in un mio recente articolo su questo sito (“L’apologia della morte in Hegel”), il riferimento sia proprio al demonio, che Hegel considera il simbolo mitico di quella “negatività”, che per il filosofo tedesco è la leva di quella “dialettica” che assicura il divenire storico e con ciò stesso il divenire di Dio identificato con la Storia.
Il modo di influire di Satana sugli uomini e sui popoli è molteplice e molto diversificato. L’immaginazione popolare, soprattutto iconografica, quando pensa al demonio o ai posseduti dal demonio, li vede come esseri orrendi e ripugnanti, brutti quanto si può, carichi di odio, con gli occhi strabuzzati o iniettati di sangue, agitati da una furia scatenata, in preda alla più crudele violenza, assetati di sangue, vomitanti le più orribili bestemmie ed urla infuocate.
Ora, tutto questo non è sbagliato, ma è ben lontano dal rappresentare compiutamente la condotta del demonio e dei “figli delle tenebre”, ossia dei popoli invasati, sedotti o comunque influenzati dal demonio, quella che Agostino chiama la “Città di Satana”. La possessione diabolica costituisce un fenomeno assai raro e di non facile diagnosi, certamente pauroso, curabile con l’esorcismo.
Questi fatti non recano danno se non al malcapitato, ma non vanno più in là; anzi a volte formano un argomento apologetico per renderci consapevoli dell’esistenza di Satana e quindi per correre ai ripari. Per questo Satana sa che non è con questo metodo che egli conquista le masse, ma ne ha ben altri, che vedremo sotto.
Questo aspetto dunque non è l’elemento più pericoloso ed insidioso dell’azione di Satana. Esso colpisce di più la fantasia popolare, che vede nel demonio più uno che spaventa o danneggia fisicamente che non il sottile e affascinante tentatore all’incredulità, all’odio ed all’eresia.
Invece, come avverte la Scrittura, spesso e volentieri, per indurci al peccato, soprattutto di empietà e di superbia, egli sa anche abilissimamente “mascherarsi da angelo della luce” e suggerire quindi idee e condotte apparentemente moderate, beneducate, gentili, controllate, politically correct, come si dice oggi, ma che nascondono l’odio, il tradimento, la diffidenza, la disobbedienza, l’invidia e la malvagità: “veleno d’aspide sotto le labbra”, come dice il Salmo.
Per questo Cristo chiama i servi del demonio col nome di “serpenti” e “razza di vipere”, per il loro insinuarsi ipocritamente nascosto, contorto, dolce ed apparentemente innocuo, ma in realtà pronto ad aggredire improvvisamente e proditoriamente per colpire senza pietà.
Già l’Antico Testamento vede negli dèi dei popoli pagani dei demòni ed Agostino riprende insistentemente questa idea. Forse essa non sarebbe molto gradita a certi dialoganti di oggi e soprattutto ai buonisti. Eppure essa mantiene la sua verità, anche se naturalmente oggi, dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa ci chiede un’attenzione ai valori delle altre religioni e delle culture non cattoliche, che un tempo non esisteva. Ma con questo il Concilio non ci autorizza assolutamente ad abbassare la guardia e ci obbliga ad avere quel saggio discernimento che sa distinguere gli spiriti, cogliere il buono e rifiutare il cattivo.
L’Antico Testamento vede nelle guerre condotte dai popoli pagani contro Israele una figura profetica della guerra ricorrente dei “figli di questo mondo” contro i “figli della luce”, ossia contro la Chiesa, della quale guerra parlerà il Vangelo ed un linguaggio simile si trova anche nella letteratura di Qumran, ed in altre correnti apocalittiche. Infatti nella stessa Apocalisse biblica, come è noto, è annunciato lo scontro finale tra le forze di Cristo capo della Chiesa dei santi e le forze del male capeggiate da Satana e dai suoi accoliti.
Tuttavia il nemico può essere anche all’interno della Chiesa, così come la Chiesa visibile può avere amici, aiuti e collaboratori nei “buoni samaritani”, ossia non-cattolici, apparentemente increduli, laicisti o atei, che si trovano al di fuori dei suoi confini visibili, ma che, per la loro buona fede, ignoranza invincibile, buona volontà ed onestà naturale possono benissimo appartenere inconsciamente alla Chiesa ed esser più santi di molti che vi appartengono visibilmente, ma come pesi morti, ossia non col cuore, ma solo col corpo.
Anzi oggi più che mai assistiamo a questo fenomeno a causa di un fraintendimento della pastorale missionaria del Concilio Vaticano II, per il quale, per la prima volta nella storia dei Concili, la Chiesa non si rivolge più soltanto ai cattolici o al massimo ai cristiani non-cattolici, ma a tutti gli uomini di buona volontà, ossia agli uomini in quanto tali, per cui non fonda quello che dice solo sulla base della dottrina cattolica, ma delle comuni convinzioni della ragione e della coscienza naturali, per proporre a tutti il Vangelo.
Con questo atteggiamento la Chiesa ha voluto rimediare a un certo difetto del periodo preconciliare, nel quale c’era sì la giusta preoccupazione di aver ben chiari i confini dell’ortodossia e ci si curava di custodirli con zelo, precisione e coraggio, ma poi era scarsa l’attenzione e la comprensione degli aspetti validi delle altre religioni e delle culture diverse da quella della tradizione greco-romana.
La Chiesa, attaccata radicalmente da questi nemici esterni ed aperti, si difendeva vigorosamente e validamente, colpo su colpo, con saggi avvertimenti, centrate condanne e sottili confutazioni. Ma, nel fervore della polemica, tendeva a non vedere o a minimizzare valori comuni di carattere umano, che potevano costituire una base di dialogo col quale ammodernare, ampliare ed arricchire l’edificio della cultura cattolica, avere più contatti con gli uomini del proprio tempo aiutandoli a risolvere i propri problemi, e proponendo a tutti, nelle loro lingue e culture, il messaggio di Cristo.
Il Vaticano II ha ovviato a questi difetti, ma purtroppo la sua apertura al mondo moderno ed agli uomini in quanto esseri razionali sono stati da molti fraintesi, come se la nuova Chiesa da costruire non avesse più quei confini dottrinali che erano stati fissati dalla tradizione e dal dogma, ma fosse diventata una specie di pappa molle, raccolta sincretistica ed incoerente di tutte le possibili opinioni del mondo moderno, accettate semplicemente per il fatto di essere moderne e condivise da personaggi in vista o famosi, eretici riabilitati, o comunque graditi alla grande massa della gente.
Ci si è dimenticati che la Chiesa è un organismo vivente, il quale, come tale, per vivere decentemente e in buona salute, deve fare due cose: conservare la propria identità e intrattenere relazioni con l’ambiente assumendo il buono e rifiutando il nocivo. Il criterio della distinzione proviene nel vivente dalla sua stessa vitalità interiore, essenziale e strutturale, supposta sana, la quale evidentemente vaconservata, se no non si ha rinnovamento ma corruzione.
Qualcosa del genere si sarebbe dovuto fare per applicare veramente le direttive conciliari: conservare l’essenza o identità immutabile della Chiesa, ed in base a questa autocoscienza fare un’opera di discernimento nei confronti della modernità proponendo il positivo e confutando il negativo.
E’ stato ed è un atto di grande stoltezza quello dei modernisti di deridere e disprezzare l’atteggiamento conservatore o tradizionalista, quasi che esso sia di per sé sbagliato. Esistono invece nella Chiesa come in ogni circostanza della vita, anche la più banale, cose da conservare e cose da gettar via o da mutare.
Anche qui è importante il discernimento da farsi, nel nostro caso, sulla base degli elementi essenziali della Chiesa, che la Chiesa stessa si è sempre premurata di definire, compreso il Vaticano II. Il vero rinnovamento o il vero progresso non sono una rivoluzione che cancella tutto per tutto rifare come farebbe un cuoco che ha bruciato una vivanda. Ragionare in questo modo vuol dire dar prova di un’enorme, colpevole superficialità o immaturità intellettuale. Vero rinnovamento e vero progresso invece sono rinnovare e far progredire ciò che va conservato.Progresso e tradizione, riforma e fedeltà sono valori inscindibili nella vita della Chiesa come in ogni altra forma di vita umana.
Invece oggi la Chiesa si presenta, bene che vada, come una specie di caotico e confusionario mercato delle pulci, dove troviamo tutto e il contrario di tutto, sicchè non c’è da sorprendersi se il mondo non si converte perchè gli presentiamo un volto della Chiesa che, come disse drammaticamente Paolo VI, demolisce sè stessa, con un doppio magistero, quello dei vescovi e quello dei teologi in contrasto e in competizione tra di loro, quando dovrebbero essere i vescovi a guidare e a correggere i teologi, sicchè il comune onesto uomo della strada o una persona che ha la testa sul collo o ha un po’ di buon senso è portato a dirci: mettetevi d’accordo su cosa siete e prenderemo in esame la proposta cristiana. Oppure viceversa tende a diffondersi un’immagine modernista della Chiesa che non corrisponde a quella veramente voluta da Cristo.
Occorre ritrovare o meglio raggiungere l’equilibrio. Senza sconfessare le conquiste del Vaticano II e proprio per dare ad esse un fondamento ed una credibilità, è necessario ritrovare i criteri immutabili, dogmatici del volto della Chiesa, già ben noti nella tradizione e sulla loro base aggiungere gli sviluppi e le esplicitazioni del Vaticano II, superando l’apparenza di “rottura” che questi possono dare nei confronti del passato. Solo così la Chiesa mostrerà di essere un vero organismo vivente, il Corpo di Cristo così come Cristo lo ha voluto per la salvezza del mondo.
[1] Come è ricordato dallo stesso Concilio Vaticano II.
Nessun commento:
Posta un commento