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by Aldo Maria Valli
di Vincenzo Rizza
Caro Aldo Maria,
a partire dal 1° gennaio 2025 troverà applicazione a Milano il secondo step del Regolamento per la qualità dell’aria e il divieto di fumo in città sarà esteso a tutte le aree pubbliche o ad uso pubblico all’aperto, incluse vie e strade. Il fumo sarà permesso solo in quelle aree isolate in cui sia possibile rispettare la distanza di almeno dieci metri da altre persone.
Le motivazioni sono le solite: la salute pubblica e la necessità di educare la popolazione a comportamenti etici e virtuosi. Obiettivi, questi, tipici dello Stato etico, che pretende di accudire l’individuo dalla culla (quando gli viene data la possibilità di nascere) alla bara e che vieta non solo comportamenti che possono ledere diritti altrui, ma anche pretesi comportamenti autolesionistici che possono ledere l’individuo stesso.
Ormai non facciamo più caso a quanto lo Stato interferisca nelle nostre scelte e l’asticella va sempre più su. Dall’obbligo di indossare il casco e la cintura di sicurezza alla guida al divieto di fumare, si moltiplicano i provvedimenti di uno Stato che ci dice quando e come possiamo accendere i riscaldamenti (vedi le regole imposte dai Comuni ai condomini), quali auto dobbiamo comprare (vedi le norme sulle emissioni e quelle che pongono il prossimo divieto di produzione di auto con motore endotermico), cosa dobbiamo mangiare (vedi la legislazione che disciplina la commercializzazione degli insetti ad uso alimentare e gli standard minimi di qualità delle banane o che pone limiti alla produzione di latte) e perfino come dobbiamo cucinarlo (vedi i divieti in certi giorni di utilizzare i barbecue).
La mia libertà e i miei diritti dovrebbero fermarsi laddove iniziano la libertà e i diritti del mio vicino, e invece si fermano molto prima, quando il leviatano di turno stabilisce che un mio comportamento semplicemente non gli aggrada anche solo perché non ritenuto sufficientemente virtuoso o perché lontano dai suoi obiettivi.
Uno Stato etico, allora, che impone regole e divieti deresponsabilizzando l’individuo, ritenuto incapace di autoregolamentarsi e di sapere ciò che è meglio per lui.
Il fumo fa male, ci dicono, e quindi, anche a tutela del sistema sanitario nazionale e dei costi che gravano sul pubblico, va limitato quanto più possibile. Non si tratta, allora, di limitare il fumo passivo (che può ledere gli altri) ma di impedire alle persone di fumare tout court. Non ci accorgiamo, allora, che il nostro corpo, di fatto, non ci appartiene più ma è divenuto proprietà di uno Stato che in nome di un presunto interesse alla nostra salute e alla sostenibilità della sanità pubblica ci vuole salvare da noi stessi.
Oggi i nemici sono i fumatori, domani saranno gli obesi, dopodomani chissà.
Gli unici (pseudo)diritti che molti Stati tengono a tutelare e promuovere rimangono, invece, quelli all’aborto e all’eutanasia. Il primo, che non tiene in alcun conto dei diritti del nascituro; il secondo, che non considera l’indisponibilità del bene della vita. Paradossi di uno Stato patetico prima ancora che etico.
by Aldo Maria Valli
di Vincenzo Rizza
Caro Aldo Maria,
a partire dal 1° gennaio 2025 troverà applicazione a Milano il secondo step del Regolamento per la qualità dell’aria e il divieto di fumo in città sarà esteso a tutte le aree pubbliche o ad uso pubblico all’aperto, incluse vie e strade. Il fumo sarà permesso solo in quelle aree isolate in cui sia possibile rispettare la distanza di almeno dieci metri da altre persone.
Le motivazioni sono le solite: la salute pubblica e la necessità di educare la popolazione a comportamenti etici e virtuosi. Obiettivi, questi, tipici dello Stato etico, che pretende di accudire l’individuo dalla culla (quando gli viene data la possibilità di nascere) alla bara e che vieta non solo comportamenti che possono ledere diritti altrui, ma anche pretesi comportamenti autolesionistici che possono ledere l’individuo stesso.
Ormai non facciamo più caso a quanto lo Stato interferisca nelle nostre scelte e l’asticella va sempre più su. Dall’obbligo di indossare il casco e la cintura di sicurezza alla guida al divieto di fumare, si moltiplicano i provvedimenti di uno Stato che ci dice quando e come possiamo accendere i riscaldamenti (vedi le regole imposte dai Comuni ai condomini), quali auto dobbiamo comprare (vedi le norme sulle emissioni e quelle che pongono il prossimo divieto di produzione di auto con motore endotermico), cosa dobbiamo mangiare (vedi la legislazione che disciplina la commercializzazione degli insetti ad uso alimentare e gli standard minimi di qualità delle banane o che pone limiti alla produzione di latte) e perfino come dobbiamo cucinarlo (vedi i divieti in certi giorni di utilizzare i barbecue).
La mia libertà e i miei diritti dovrebbero fermarsi laddove iniziano la libertà e i diritti del mio vicino, e invece si fermano molto prima, quando il leviatano di turno stabilisce che un mio comportamento semplicemente non gli aggrada anche solo perché non ritenuto sufficientemente virtuoso o perché lontano dai suoi obiettivi.
Uno Stato etico, allora, che impone regole e divieti deresponsabilizzando l’individuo, ritenuto incapace di autoregolamentarsi e di sapere ciò che è meglio per lui.
Il fumo fa male, ci dicono, e quindi, anche a tutela del sistema sanitario nazionale e dei costi che gravano sul pubblico, va limitato quanto più possibile. Non si tratta, allora, di limitare il fumo passivo (che può ledere gli altri) ma di impedire alle persone di fumare tout court. Non ci accorgiamo, allora, che il nostro corpo, di fatto, non ci appartiene più ma è divenuto proprietà di uno Stato che in nome di un presunto interesse alla nostra salute e alla sostenibilità della sanità pubblica ci vuole salvare da noi stessi.
Oggi i nemici sono i fumatori, domani saranno gli obesi, dopodomani chissà.
Gli unici (pseudo)diritti che molti Stati tengono a tutelare e promuovere rimangono, invece, quelli all’aborto e all’eutanasia. Il primo, che non tiene in alcun conto dei diritti del nascituro; il secondo, che non considera l’indisponibilità del bene della vita. Paradossi di uno Stato patetico prima ancora che etico.
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