giovedì 9 gennaio 2025

La civiltà cristiana è sempre scaturita dal singolo e dal nascondimento



Opzione Benedetto


Di Silvio Brachetta, 9 Gen 2025

In due occasioni[1] ho avuto modo di parlare di Rod Dreher e del suo libro[2]. Ma prima di tornare a Dreher, autore passato dal cattolicesimo alle Chiese ortodosse, è necessario fare un esempio storico di come si potrebbe salvare una civiltà.

Ci si ricorda spesso, a ragione, del beato Marco d’Aviano e del suo intervento decisivo in occasione della vittoria cristiana sui turchi (1683), che assediavano Vienna. Ci si dimentica, però, dell’azione altrettanto decisiva del meno celebre papa di allora – il beato Innocenzo XI – che formò (il verbo, come vedremo, non è per nulla casuale) la coalizione vincitrice: con un’azione diplomatica martellante, mise d’accordo Leopoldo I d’Asburgo (imperatore del Sacro Romano Impero), Carlo V (duca di Lorena), Giovanni III (Jan Sobieski, re di Polonia) ed Eugenio di Savoia (generale sabaudo).

E come Innocenzo XI riuscì nell’impresa? Tramite i viaggi apostolici? Tramite la propaganda? Tramite le grandi adunate? No, non ci pensò nemmeno, ma ci riuscì nel nascondimento. Innocenzo XI visse praticamente da recluso, come un monaco, in una stanza priva di finestre[3]. Senza fare viaggi, senza radunare folle oceaniche e senza l’ausilio della stampa, seppe organizzare una delle coalizioni più determinate della storia[4]. Quel pontefice fu lontanissimo dall’attivismo inconcludente contemporaneo, che vede molti chierici sempre più presenzialisti e sempre meno efficaci.

Rischio di sincretismo


Dreher crede molto nella formazione, cioè in quella schola benedettina descritta nella Regola[5]. Cita quattro o cinque volte, nel libro, il suo amico Marco Sermarini e la sua scuola parentale[6]. Da qui Dreher dipana un’apologia del nascondimento di tipo monacale e propone il suo progetto di un «localismo» moderno, per mezzo del quale la società dovrà risollevarsi a partire dal basso, dall’azione dei laici, analogo al «localismo» dei monaci riuniti nel cenobio.

Dreher riporta le vicende, per lui positive, del samizdat[7], del vivere in clandestinità, del disimpegno politico, dell’attivismo sotterraneo, del «localismo con le mani in pasta», che non persegua «risultati immediati», così come non li perseguivano i dissidenti vessati dai regimi sovietici. Il tutto senza fretta e senza farsi illusioni: sarebbe del tutto opportuno – scrive – il «prepararsi per i lavori forzati». La scuola parentale e la preferenza verso la libera professione e l’impresa familiare (al posto del lavoro dipendente e salariato) sono viste dall’autore come soluzioni.

In fondo, l’Opzione Benedetto richiede – per avere una minima possibilità di riuscita – l’intraprendenza, l’iniziativa personale, la laboriosità. Ora, se il programma di Dreher prevedesse soltanto la rinascita di un cattolicesimo al tramonto, sarebbe coerente il richiamo a san Benedetto da Norcia. Questo è vero in parte: egli vede (e descrive) molti segnali positivi, nel senso della sua Opzione, che provengono anche dalle comunità riformate, da quelle dell’ebraismo o dall’ortodossia. L’autore cerca una strada per poter «vivere nella verità», mediante «“strutture parallele”, in cui la verità si possa vivere comunitariamente».

Dreher propone un’azione in sinergia, in grado d’«insegnare la verità ai nostri figli». E questo fa certamente problema, perché la verità è presente ovunque, ma non si trova ovunque la pienezza della verità, dietro cui c’è il senso della creazione, della storia e il senso di Dio. Se Dreher fosse un relativista, risulterebbe logica una sorta di alleanza mondiale degli uomini amanti della verità, che infatti egli propone nel libro. Ma Dreher non fa alcuna propaganda al relativismo: il suo libro ha molti spunti apologetici. Durante un’intervista, egli ha criticato la deriva occamista e scotiana della filosofia e della teologia e dimostra le sue tesi con argomenti tratti dalla tradizione della Chiesa cattolica[8].

Detto questo, con la sinergia tra religioni diverse, c’è il rischio che, più che un’Opzione Benedetto, si ottenga un’opzione sincretista.

L’eternidea del Nume

La questione, però, è un’altra. Ed è legata proprio al concetto benedettino di schola e di formazione, a cominciare dai fanciulli. Ma schola è un termine latino, derivato dal greco σχολή (scholé), col significato di otium, ovvero di «libero e piacevole uso delle proprie forze, soprattutto spirituali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico»[9]. Così infatti dovrebbe essere la scuola – libera da urgenze pratiche, come la filosofia.

Per quanto possa sembrare strano, le civiltà non nascono dall’attività, dal fare qualcosa, dall’iniziativa plurale (pur preziosa e necessaria) cara a Dreher, ma sorgono mediante un «grido» straordinario (fuori dall’ordinario, nel senso datogli da Spengler), che può essere udito e attualizzato solo da chi sta fermo, in ascolto.

Detto altrimenti: la scuola non ha lo scopo – datogli dalla modernità – di creare eserciti pronti alla fondazione o al salvataggio di nuove civiltà, ma a far emergere un singolo genio, tra un mare di mediocri, che possa udire, intendere e realizzare l’eternidea del Nume. Roma è un’eternidea. Gerusalemme è un’eternidea. Atene è un’eternidea. Il Medioevo è un’eternidea. E, a proposito di Medioevo, la fondazione va attribuita ad un singolo genio (san Benedetto, sant’Agostino), non all’iniziativa di una moltitudine.

È pur vero che è necessaria la moltitudine (monachesimo, ad esempio) per realizzare l’eternidea, ma non è sufficiente: non per fondarla. Per la fondazione è richiesto l’ozio della scuola e di qualcuno in grado di udire il risuonare delle schiere angeliche. Così anche per il tramontare dell’Occidente e del cristianesimo: è sì necessaria l’opera di formazione comunitaria, ma la salvezza della civiltà è assai improbabile che si realizzi a furor di popolo. A questo proposito l’Arivescovo Emerito di Trieste, Giampaolo Crepaldi, era solito dire, durante il suo ministero, che c’era da augurarsi il sorgere di un nuovo san Benedetto.



(Foto: Icona, wikipedia, pubblico Dominio)


[1] L’esempio di san Benedetto: una strategia per vivere la fede cristiana in un mondo ostile, «Vita Nuova», 23/02/2018 – Recensione, «Vita Nuova», 21/09/2018 .

[2] Rod Dreher, L’Opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano, Edizioni San Paolo, 2018.

[3] Cf. G. V. Fantuz – V. Renier, Marco D’Aviano e Innocenzo XI. Custodi dell’Europa cristiana, Libreria Editrice Vaticana, 2012.

[4] Ivi.

[5] «Constituenda est ergo nobis Dominici schola servitii» – «Bisogna dunque istituire una scuola per il servizio del Signore», Benedetto da Norcia, Regola, Prologo, n. 45.

[6] Scuola Libera “G. K. Chesterton” di San Benedetto del Tronto.

[7] Fenomeno della produzione letteraria dei dissidenti, all’interno degli Stati socialisti, costretti a pubblicare e a distribuire la stampa di nascosto.

[8] Vedi nota n. 1. L’esempio di san Benedetto, cit. La deriva occamista e scotiana è riferita all’ambiguità (e all’eterodossia) del pensiero di Guglielmo di Ockham (che introduce il nominalismo e l’essere in senso equivoco) e di Duns Scoto (che propende per l’essere in senso univoco, al posto di quello in senso analogo).

[9] Vocabolario Treccani online.








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