mercoledì 8 gennaio 2025

La “guerra cognitiva” che combattiamo






di Roberto de Mattei, 8 Gennaio 2025 

Il padre gesuita Valentin Eymieu (1861-1933), in un’importante opera dedicata a Il governo di sé stesso (tr. it. Edizioni Radio Spada, Cermenate 2021) stabilisce alcune grandi leggi psicologiche che regolano i rapporti tra le idee, i sentimenti e gli atti dell’uomo. Dalle facoltà primarie dell’anima, l’intelligenza e la volontà, dipendono gli atti umani. Sono dunque le idee e le passioni che, nella loro interdipendenza, muovono la storia.

Queste leggi sono conosciute dai grandi manipolatori dell’opinione pubblica come Edward Louis Bernays (1891-1995), un ebreo viennese, nipote di Freud, vissuto in America. Secondo Bernays, chi è in grado di padroneggiare il “dispositivo sociale”, è in grado di dirigere una nazione, attraverso la sua influenza occulta sulle menti (Propaganda. Della manipolazione dell’opinione pubblica in democrazia, tr. it. Fausto Lupetti Editore, Bologna 2008).

Joseph Goebbels (1897-1945), il ministro della Propaganda del Terzo Reich, fu un ammiratore di Bernays e ne mise in pratica le tecniche di comunicazione. Ma già dal 1923, Arthur Artuzov (1891-1937), capo del dipartimento di controspionaggio del GPU, la polizia di Stato dell’Unione Sovietica, aveva istituito un ufficio di dezinformatsija per manipolare e controllare l’opinione pubblica. Oggi su questa scia si muovono tutti i grandi Stati, impegnati in una guerra di informazione che, a differenza del passato, non mira ad esercitare il “controllo sociale” nel proprio paese, ma ha il suo obiettivo nella destabilizzazione dell’opinione pubblica di altre nazioni.

Lo storico francese David Colon, in un recente studio dedicato a La guerra dell’informazione. Gli stati alla conquista delle nostre menti (Einaudi, Torino 2024), analizza come, negli ultimi trent’anni, l’informazione sia diventata una leva fondamentale nelle relazioni internazionali. La globalizzazione dei media, resa possibile dalle nuove tecnologie come la televisione satellitare e il web, ha sconvolto l’ordine geopolitico mondiale, conferendo all’informazione una dimensione strategica. L’“infosfera” sta diventando sia uno nuovo spazio di guerra che una nuova modalità di conflitto senza esclusione di colpi, con le nostre menti e i nostri sentimenti come posta in gioco.

L’amministrazione statunitense, giovandosi del suo vantaggio tecnologico, ha da tempo un apparato detto “comunicazioni strategiche” con lo scopo di “dominare il campo di battaglia dell’informazione”. Tuttavia, fin dagli anni Duemila il “soft power” americano è stato sfidato dalla Russia, dalla Cina e da nuovi attori non governativi, come il sito WikiLeaks di Julian Assange che, con il pretesto di porre fine allo squilibrio dell’informazione, ha provocato una vera e propria guerra asimmetrica contro il potere informativo americano. Infatti, come scriveva nel 2013 il capo di Stato maggiore delle Forze Armate russe, Valerij Gerasimov, «lo spazio dell’informazione offre ampie possibilità asimmetriche atte a ridurre la capacità di combattimento del nemico» (La guerra dell’informazione, p. 190). La tecnologia digitale ha permesso alla Russia di estendere la guerra dell’informazione con mezzi cibernetici, accompagnati dall’azione di agenti sul territorio e dall’uso scientifico dei social media.

Igor Panarin, un ex ufficiale del KGB divenuto il principale esperto russo della guerra dell’informazione, è convinto che una guerra mondiale nel settore della comunicazione vedrà contrapporsi il “mondo atlantico” guidato dagli Stati Uniti” e il “mondo eurasiatico” con a capo la Russia. Panarin condivide la visione eurasiatica di Aleksandr Dugin. La Russia, a suo avviso, dovrebbe sganciarsi dal dollaro e siglare un’intesa con la Cina per la spartizione dell’Eurasia. La “guerra in rete” sarebbe lo strumento decisivo per provocare il crollo degli Stati Uniti e la crisi dell’Occidente.

Fin dal 2008 Vladimir Putin ha assegnato al canale satellitare Russia Today (RT) l’obiettivo di intaccare il monopolio dei media anglosassoni nel flusso globale di informazioni, screditando sistematicamente l’Occidente. Secondo Colon, «dal 2012 la strategia del caos messa in opera dalla Russia è stata applicata su larga scala per logorare l’Europa, minandone sia l’unità che il soft power politico e culturale» (pp. 145-146). Si devono al Cremlino, ad esempio, campagne di disinformazione sanitaria, come quella sulla pandemia da Covid-19. Mentre Vladimir Putin incoraggiava la popolazione russa a vaccinarsi, il canale RT, finanziato direttamente dal Cremlino, sosteneva la tesi di una pandemia immaginaria, ideata da Bill Gates per estendere il suo potere (p. 204).

La ricorrente minaccia di attacchi nucleari della Russia ad Occidente, secondo Colon, fa parte della guerra psicologica di Mosca, per dissuadere i Paesi occidentali dall’intervenire militarmente, non solo in Ucraina, ma in qualsiasi teatro di guerra in cui siano in gioco “interessi nazionali” russi. Tuttavia, il più grande risultato dell’Ucraina all’inizio della guerra è stato di proporre la propria contro-informazione strategica: quella di una nazione coraggiosa, unita contro l’avversario e determinata a non cedere.

Il 31 marzo 2023 la Russia ha adottato una nuova dottrina di politica estera nota come “guerra ibrida”, che fa riferimento all’Occidente come a una «minaccia esistenziale», che Mosca deve contrastare. Questa nuova dottrina mette in primo piano le relazioni con l’Asia, il Medio-Oriente e l’Africa in chiave anti-occidentale. Sotto questo aspetto, il futuro della guerra cognitiva non può trascurare il ruolo della Cina, alla quale è dedicato l’ultimo capitolo del libro di Colon. La piattaforma Tik Tok, conosciuta anche come Douyin, è stata fondata in Cina nel 2016, ed è divenuta la più popolare nel mondo tra giovani ed adolescenti per i video brevi da dispositivi mobili. A soli cinque anni dal lancio, l’app contava 1,7 miliardi di utenti attivi mensili, di cui 100 milioni negli Stati Uniti. Attraverso questo social network, vietato in Cina, il Partito comunista cinese tenta di sovvertire i valori occidentali, diffondendo contenuti violenti, pornografici o che incitano all’uso di droghe. Inoltre, Tik Tok raccoglie un’enorme quantità di informazioni, anche biometriche, facciali e vocali, a beneficio della Cina comunista. La creazione della piattaforma fa parte integrante di una strategia globale di Cina e Russia, che intendono sostituire il loro duopolio al monopolio dei media occidentali sull’informazione globale. Tik Tok, secondo Colon, «per molti aspetti è l’arma informativa più formidabile mai concepita», attraverso cui «la Cina può agilmente raggiungere il centro nevralgico in cui, nel mondo, si combatte la guerra dell’informazione: il cervello di ognuno di noi» (p. 336).

A differenza della guerra convenzionale, la guerra cognitiva si concentra direttamente sulla mente umana come campo di battaglia. Essa non si limita al terreno delle informazioni, ma mira a modificare il modo di pensare e di agire, gli atti e i sentimenti dell’uomo.

La consapevolezza di questa aggressione cognitiva deve spingerci a impegnarci sempre di più e sempre meglio nella battaglia culturale e morale in difesa della Civiltà cristiana. La storia è sempre stata fatta da uomini che combattono per le proprie idee. «In guerra – osservava già lo storico militare sir Basil H. Liddell Hart (1895-1970) – il vero bersaglio è rappresentato dai cervelli del comando e del governo nemico, non già dai corpi dei soldati, e lo spostamento dell’ago della bilancia tra i due estremi della “vittoria” e della “sconfitta” dipende da impressioni mentali, e solo indirettamente da colpi materiali. In altre parole, in guerra, come dissero Napoleone e Foch, “è l’uomo che conta, non gli uomini”» (La Prima guerra mondiale 1914-1918, Bur, Milano 2013, p. 603).

Questa importante osservazione deve infondere fiducia. Quando una minoranza di uomini, con la loro intelligenza, la loro volontà, la loro capacità di lottare per un grande ideale, ordina la sua mente e il suo cuore a Dio, è capace, con il Suo aiuto, di vincere ogni battaglia, anche nella “guerra cognitiva”.






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