sabato 25 febbraio 2023

Considerazioni storiche sul Patriarcato di Mosca (2° parte)





CHIESA CATTOLICA | CR 1783 22 Febbraio 2023 

di Roberto de Mattei

Nella Chiesa cattolica l’origine dei Patriarcati risale al Concilio di Nicea (325), che riconobbe una speciale supremazia ai vescovi di Alessandria d’Egitto e di Antiochia, sottomessi a quello di Roma. Nel Concilio di Costantinopoli (381) fu aggiunto al numero dei patriarchi il vescovo di Costantinopoli e nel Concilio di Calcedonia (451) il vescovo di Gerusalemme. La decisione sulla legittimità del titolo di Patriarca fu sempre riconosciuta al Sommo Pontefice e, ancor oggi, il Codice delle Chiese orientali, riserva alla suprema autorità della Chiesa di Roma l’istituzione, il ripristino e il mutamento di Chiese patriarcali (canoni 55-62).

Il patriarcato di Costantinopoli, che già nell’867, con Fozio, aveva scomunicato il Papa, per l’inserzione nel Credo della formula «filioque», nel 1054, con Michele Cerulario, ruppe definitivamente l’unità con la Chiesa di Roma. Lo scisma fu ricomposto nel 1439 quando, al Concilio di Firenze, il patriarca di Costantinopoli Giuseppe II ritornò, con la chiesa di Bisanzio, alla fede romana. I suoi successori Metrofane II e Gregorio III Mammas rimasero fedeli all’unione con Roma. Poche notizie si hanno sopra Atanasio II, ultimo patriarca, prima della caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi nel 1453, ma sappiamo che Maometto II, in odio alla Chiesa cattolica, ripristinò nel 1454 il Patriarcato scismatico, imponendo Gennadio II come capo dei cristiani bizantini nell’Impero ottomano.

Anche in Russia, i princìpi di Mosca, da Basilio II a Ivan IV, che nel 1547 assunse il titolo di Zar, imposero la religione greco-scismatica. Dopo la morte di Ivan IV, nel 1584, e l’ascesa dello zar Fëdor I, il consigliere di quest’ultimo, Boris Godunov, si propose di consolidare il prestigio del regno, costituendo un Patriarcato di Mosca. L’occasione si verificò quando giunse a Mosca il patriarca di Costantinopoli Ieremias II, per chiedere aiuto contro gli oppressori turchi. Il patriarca fu messo agli arresti domiciliari e gli fu detto che non sarebbe stato liberato se non avesse riconosciuto canonicamente la nuova sede patriarcale. Nel gennaio 1589, in un Concilio locale convocato al Cremlino alla presenza dello Zar e della Duma dei Bojari, Ieremias fu costretto ad elevare il metropolita Iov (Giobbe) a primo patriarca di Mosca e di tutta la Russia. Padre Stefano Caprio osserva che con questo atto venne formalmente istituita la prima forma di autocefalia all’interno dell’Ortodossia, cambiandonela natura ecclesiologica, da ecumenica a etnica. «Considerando che le altre Chiese ortodosse si trovavano in condizioni di sottomissione ai turchi ottomani, si capisce perché Mosca si sia da allora considerata non semplicemente uno dei tanti patriarchi nazionali, ma la chiesa più rappresentativa di tutto il mondo ortodosso»(Russia: fede e cultura, Roma 2010, p. 97).

L’istituzione del Patriarcato di Mosca fu un atto eminentemente politico, nella prospettiva ideologica di una “Terza Roma”, che raccoglieva l’eredità del cesaropapismo bizantino, contro Roma e contro i Turchi. Ma se il Patriarcato di Costantinopoli era stato subordinato allo Stato, a Mosca fu creato dallo Stato stesso.

La risposta della Chiesa cattolica non tardò ad arrivare. Nel 1569 aveva visto la luce, con l’Unione di Lublino, un vasto Stato, che univa il Regno di Polonia e il Granducato di Lituania. La Confederazione polacco-lituana accoglieva al suo interno anche esponenti dell’episcopato ortodosso che, sotto la spinta missionaria della Contro-Riforma, avevano iniziato a guardare a Roma, come punto di riferimento religioso. Essi erano chiamati ruteni (da Rus’), perché provenienti dalle regioni della Russia Bianca e della Piccola Russia, corrispondenti alle attuali nazioni della Bielorussia e Ucraina.

Il patriarca greco Ieremias, dopo essere stato obbligato a riconoscere Iov come patriarca di Mosca, tornato a Costantinopoli, lo disconobbe e nell’agosto del 1589 consacrò come metropolita di Kyiv, Galizia e tutta la Russia l’arcivescovo Michal Rahoza. Nel 1590 Rahoza sottoscrisse, con i vescovi ruteni, un documento in cui auspicava l’unione con la Chiesa cattolica, con la condizione che il rito bizantino, e le norme canoniche per i chierici fossero state preservate.

Le trattative con la Santa Sede andarono felicemente in porto. Il 23 dicembre 1595, papa Clemente VIII radunò nella Sala di Costantino del Palazzo Apostolico i cardinali presenti a Roma, la corte intera ed il corpo diplomatico per una solenne cerimonia. I due vescovi nationis Russorum seu Ruthenorum, Ipazio Potij e Cirillo Terletskyi, che rappresentavano il metropolita Rahoza e gli altri vescovi ruteni, dopo aver abiurato lo scisma, fecero una pubblica professione di fede cattolica secondo una formula che comprendeva quelle dei Concili di Nicea, di Firenze e di Trento. Negli occhi del Papa scrive lo storico Ludwig von Pastor brillavano lacrime di gioia. «La letizia ricolma oggi il Nostro cuore, che per il vostro ritorno alla Chiesa, disse egli, non si può esprimere con parole. Noi rendiamo grazie speciali a Dio immortale, il quale per mezzo dello Spirito Santo ha guidato la vostra mente così da farvi cercare il vostro rifugio nella Santa Chiesa romana, madre vostra e di tutti i credenti, la quali vi accoglie di nuovo con amore tra i suoi figli» (Storia dei Papi, vol. XI, Desclée, Roma 1942, p. 418). Una medaglia commemorativa eternò l’importante avvenimento per il quale, un secolo e mezzo dopo l’unione di Firenze, veniva di nuovo riallacciato il vincolo dell’unità tra la Chiesa russa e la Chiesa romana.

Clemente VIII, con la Costituzione apostolica Magnus Dominus et laudabilis nimis, ne diede l’annuncio alla Chiesa intera e con la Lettera apostolica Benedictus sit Pastor del 7 febbraio 1596, dichiarò che si potevano conservare inviolati gli usi e i legittimi riti della chiesa rutena, già permessi dal Concilio di Firenze. L’unione venne ufficialmente proclamata a Brest sul fiume Bug il 16 ottobre 1596 (cfr. Oscar Halecki, From Florence to Brest (1439-1596), Fordham University Press, New York1958, per un’ampia esposizione delle vicende storiche).

Con l’Unione di Brest, l’episcopato ucraino e bielorusso volle rompere il rapporto di soggezione al Patriarcato di Costantinopoli e invece di imboccare la strada dell’autocefalia, come aveva fatto il Patriarcato di Mosca, si sottomise all’autorità del Romano Pontefice. Giovanni Codevilla ricorda giustamente che la Chiesa di Kyiv non si era mai staccata formalmente da Roma e che l’aspirazione alla riunione delle Chiese non era mai venuta meno (Chiesa e Impero in Russia, Jaca Book, Milano 2011, p. 66). L’accordo siglato tra la Chiesa rutena e la Santa Sede diede inizio alla Chiesa cattolica di rito orientale, di cui oggi fanno parte la Chiesa greco-cattolica ucraina e la Chiesa greco-cattolica bielorussa. Il ristabilimento della piena comunione con la Sede di Roma fu ricordato da molti pontefici, tra i quali Pio XII, nell’enciclica Orientales omnes del 23 dicembre 1945, e Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica del 12 novembre 1995 per il IV centenario dell’Unione di Brest.

Non molti anni dopo, il ritorno a Roma fu consacrato dal sangue di un martire. Il 12 novembre 1623, Giosafat Kuncevyc, arcivescovo di Polotsk e di Vitebsk, fu colpito da frecce e con una grossa scure fu ucciso dagli scismatici. Il 29 giugno 1867 nella basilica Vaticana in presenza di circa 500 vescovi, arcivescovi, metropoliti e patriarchi dei diversi riti radunati da ogni parte del mondo, Pio IX lo proclamò santo, affermando: «Dio voglia che quel tuo sangue, o San Giosafat, che tu versasti per la Chiesa di Cristo, sia pegno di quell’unione con questa Santa Sede Apostolica, a cui tu sempre anelasti, e che giorno e notte implorasti con fervida preghiera da Dio, somma Bontà e Potenza. E perché tanto si avveri alfine, vivamente desideriamo di averti intercessore assiduo presso Dio stesso e la Corte del Cielo». Il corpo di san Giosafat, come quello dell’altro campione della fede Isidoro di Kyiv, attende la risurrezione dei morti nella basilica di San Pietro, dove riposa nell’altare di san Basilio Magno. (continua)





Nessun commento:

Posta un commento