Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana (Kazakistan) |
Il Motu proprio e la lettera di accompagnamento commettono un'ingiustizia nei confronti di tutti i cattolici che aderiscono alla forma liturgica tradizionale, accusandoli, generalizzando, di seminare discordia. L'argomento del Motu proprio e della lettera di accompagnamento secondo cui la forma liturgica tradizionale crea divisione e minaccia l'unità della Chiesa è smentito dai fatti. Inoltre, il tono dispregiativo di questi documenti nei confronti della forma liturgica tradizionale porterebbe qualsiasi osservatore imparziale a concludere che tali argomenti sono solo un pretesto e uno stratagemma e che c'è dell'altro.
Che cosa raccomanda ai sacerdoti che celebrano la Messa tradizionale, ai fedeli che vi partecipano e alle comunità religiose che celebrano questa liturgia?
La Messa tradizionale è un tesoro che appartiene a tutta la Chiesa, perché da almeno mille anni è celebrata e profondamente apprezzata e amata da Papi, fedeli e Santi. In effetti, la forma tradizionale della Messa è rimasta pressoché identica per secoli prima della pubblicazione del Messale di Papa Pio V nel 1570. Un tesoro liturgico valido e stimato da quasi mille anni non è proprietà privata di un papa, di cui egli possa disporre liberamente. Pertanto, i fedeli, seminaristi e sacerdoti devono chiedere il diritto di utilizzare questo comune tesoro della Chiesa e, se questo diritto viene loro negato, possono comunque esercitarlo, magari anche celebrando clandestinamente. Non sarebbe un atto di disobbedienza, ma piuttosto di obbedienza alla Beata Madre Chiesa, che ci ha donato questo tesoro liturgico.
Papa Francesco, nel suo motu proprio sulla Messa, manifesta sia la continuità tra il Concilio Vaticano II e la Messa di Paolo VI sia la sottostante opposizione tra i due riti. Ciò non evidenzia l'impasse teologica dell'ermeneutica della continuità?
Papa Francesco traccia un netto contrasto tra il rito tradizionale e il Novus Ordo, affermando che il Novus Ordo è l'unica espressione della legge della fede della Chiesa romana. Infatti, non c'è più posto per la cosiddetta ermeneutica della continuità, che è sempre stata mantenuta da Paolo VI a Benedetto XVI, tra il rito tradizionale e il Novus Ordo. Se tale continuità esistesse, la coesistenza dei due riti non disturberebbe mai particolarmente nessuno. Tuttavia, la crescente diffusione delle celebrazioni della Messa tradizionale rivela a tutti che esiste - dopo un esame onesto e più approfondito - una vera rottura tra i due riti, sia ritualmente che dottrinalmente. Il rito tradizionale è, per così dire, un rimprovero costante alle autorità della Santa Sede che per loro significa: “Avete rivoluzionato la liturgia. Tornate ad una vera continuità tra le due forme liturgiche”. La riforma liturgica che i Padri conciliari avevano in mente è quella che Paolo VI approvò nel 1965 e che i Padri conciliari celebrarono nell'ultima sessione. Lo stesso Arcivescovo Lefebvre celebrò la Messa secondo la forma del 1965, così come il seminario di Ecône nei primi anni. L'evidente discontinuità tra la Messa tradizionale e quella del 1965 da un lato, e la Messa di Paolo VI dall'altro, mira a incoraggiare tutti a riflettere più profondamente, e anche ad esaminare con onestà possibili elementi di discontinuità dottrinale di alcune dichiarazioni del Concilio Vaticano II, un Concilio di carattere pastorale, col Magistero dottrinale precedente e costante della Chiesa.
Di fronte alla situazione angosciosa in cui si trovano ridotti gli Istituti Ecclesia Dei Adflicta, non possiamo infine chiederci se il comportamento di Mons. Lefebvre di fronte a Roma non sia stato quello giusto?
Dobbiamo allargare l'orizzonte sulla crisi straordinaria che ha colpito la Chiesa per quasi 60 anni e che ha raggiunto proporzioni davvero terrificanti sotto il pontificato di papa Francesco. Questa crescente crisi ha le sue radici anche in alcune dichiarazioni ambigue del Concilio e specialmente nella Nuova Messa di Paolo VI, che rappresenta per qualsiasi osservatore oggettivo una sorta di rivoluzione liturgica. Alla luce dell'evidenza di questa crisi della Chiesa, che meglio si può paragonare alla crisi ariana del IV secolo, l'opera e la testimonianza di monsignor Lefebvre appaiono profetiche ed eroiche, perché guidate solo dal suo fedele attaccamento a ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e al modo in cui ha celebrato la Santa Messa nel corso dei millenni. Monsignor Lefebvre non ha introdotto particolarità o novità, ma solo ciò che lui stesso aveva ricevuto dalla Chiesa nella sua infanzia, nella sua giovinezza, nella sua formazione in seminario e nella sua ordinazione episcopale. Penso che dopo questa crisi la Chiesa lo ringrazierà.
Ci sono oltre 5.000 vescovi nel mondo. Pensa che alcuni di loro si uniranno alla battaglia che sta combattendo?
Penso che senz'altro ci siano ancora, nella chiesa, vescovi che vivono con convinzione l'integrità della fede e della liturgia e la amano. Tuttavia, non sono molti i vescovi che si impegnano pubblicamente a farlo. A volte è per debolezza umana e per paura di essere scoperti, o attaccati; in certi casi è la paura di non riuscire a fare carriera o addirittura di essere sollevati dall'incarico. Ciò è comprensibile perché è umano che i sottoposti possano trovare difficile combattere senza il supporto del loro generale. Mentre si sforzano di mantenere e trasmettere la purezza della fede, della morale e della liturgia, i vescovi devono ricordare che il loro vero generale è Gesù Cristo, l'Eterno Sommo Sacerdote e il Re dei re. Ogni Papa, che è solo il suo Vicario, deve anche mostrare il più grande esempio di obbedienza alla tradizione immutabile della fede e del culto divini. Cristo oltrepasserà questa crisi senza precedenti della Chiesa, che è in gran parte anche una crisi dei vescovi. Christus vincit!
( Fonte: Paix Liturguique - Lettre 825bis, 26 settembre 2021)
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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