lunedì 17 giugno 2024

Tarquinio bifronte esordisce arrampicandosi sugli specchi



Tarquinio il bicefalo, milita in un partito a favore dell’aborto, ma vuole mostrarsi a favore dell’aborto e poi pro-life, sostiene la libertà di abortire ma senza che diventi un diritto: una contraddizione vivente che non avrà vita lunga nel Pd e che, invece, ne godrà di lunghissima in casa cattolica.


ABORTO
EDITORIALI 




Una volta erano molto diffuse le scuole di formazione politica in seno ai partiti politici. Oggi assai meno. Una di esse però tenacemente resiste e la si può trovare non formalmente all’interno di una compagine politica, bensì in casa cattolica. Parliamo di Avvenire. Grazie al giornale dei vescovi, Marco Tarquinio, come suo direttore per 14 anni, ha potuto impratichirsi nei fondamenti del pensiero progressista e scriverne per diffonderne il verbo.

Ma ogni scuola è tale perché vuole avviare i discenti al mondo del lavoro. E così anche per Tarquinio è arrivato il momento di trovare un posto di lavoro in politica: europarlamentare eletto nelle liste del Pd. Il salto compiuto ha comportato una nuova professione di fede nei valori del Partito Democratico, un messaggio di fedeltà verso i capi. Un messaggio recapitato a mezzo stampa.

È di sabato scorso infatti un’intervista a La Stampa in cui l’ex direttore di Avvenire parte all’attacco del governo Meloni perché nella Dichiarazione finale del G7 la parola aborto è assente, parola che invece era presente nella Dichiarazione dell’anno precedente e siglata ad Hiroshima (clicca qui per un approfondimento). Ed infatti nella Dichiarazione attuale possiamo leggere: «Ci impegniamo a promuovere ulteriormente ed in modo integrale la salute e i diritti sessuali e riproduttivi (SRHR) per tutti» (p. 32). Detto ciò, anche i sassi ormai sanno che l’espressione “salute e diritti sessuali e riproduttivi” sta indicare l’aborto, la contraccezione e la sterilizzazione, espressione che gli organismi internazionali preferiscono proprio perché omnicomprensiva.

Ma il punto non è questo, il punto sono le parole dell’europarlamentare Pd: «Parlo da cattolico. E da cattolico dico che la dizione proposta prevedeva nient’altro che il pieno impegno per un aborto sicuro». Se il dott. Tarquinio si dice cattolico e a favore dell’aborto sicuro, sicuro qualcosa non torna. È come dirsi ecologista ed essere a favore della CO2. Ex pluribus citiamo Giovanni Paolo II: «Pertanto, con l'autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l'uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale» (Evangelium vitae, n. 57. Corsivo nel testo).

Il dott. Tarquinio è tanto a favore dell’aborto che si lamenta con la Meloni che quella parola non è stata inserita nel testo finale del G7. Naturalmente il Nostro è a favore solo dell’aborto sicuro, quello promesso, egli tiene a ricordare, dalla 194. Dunque, applicando la proprietà transitiva, il piddino Tarquinio è anche a favore della 194. Ed aggiunge: «Chi è contro l’aborto sicuro vuole tornare alla mammane». A parte il fatto che l’espressione adottata nella Dichiarazione finale ricomprende e non esclude l’aborto sicuro, il vero problema sta nel fatto che il dott. Tarquinio sposa il principio che il male vada fatto in sicurezza. E no: chi vuole fare il male si deve assumere il rischio di compierlo anche a danno della propria persona. Altrimenti dovremmo togliere le cancellate per non rischiare che i ladri si infilzino mentre cercano di scavalcare le recinzioni a tutela della nostra proprietà. Dovremmo altresì disarmare le forze dell’ordine, altrimenti rapinatori, violentatori e consimili potrebbero anche ferirsi. E via dicendo. Lo Stato non deve permettere di compiere gli illeciti in modo sicuro sia perché un illecito morale mai può essere considerato un diritto da garantire libero da pericoli sia perchè l’eventuale danno a carico di chi delinque rappresenta un valido deterrente. E sul piano naturale, i rischi per la salute della donna generati dall’aborto potrebbero essere intesi come una forma di legittima difesa predisposta da Madre Natura a tutela del bambino.

Ma proseguiamo nell’intervista. La giornalista de La Stampa insidia il neo-eletto ricordandogli che per lui l’aborto non è un diritto. Occorre trovare la quadratura del cerchio e Tarquinio ci riesce benissimo: «Nei vari Paesi dell’UE esiste un lessico diverso sull’aborto. C’è chi ne parla in termini di diritto e chi ne parla come libertà della donna». Poi il Nostro afferma che lui è nato perché sua madre non ha scelto di abortire (clandestinamente, dato che la 194 non era stata ancora varata) e conclude: «Sono nato da questa libertà. E la difendo», aggiungendo che questa libertà è stata inserita di recente in Costituzione dalla Francia. Un vero saggio di free climbing sugli specchi. La differenza tra libertà e diritti sta solo nel fatto che le libertà quando vengono riconosciute dall’ordinamento giuridico diventano diritti. Ora, dato che Tarquinio è favore della libertà di abortire non può che essere a favore del diritto di abortire che tutela questa libertà. Ed infatti è lui stesso ad esplicitarlo quando difende la 194 e quando incensa la scelta dei francesi di elevare la libertà di abortire a livello costituzionale. Insomma l’ex direttore gioca con le parole per tentare di non mostrarsi completamente abortista e un tantino pro-life.

Ma queste alla fine sono sottigliezze di fronte alla seguente affermazione: «Io difendo la vita ed ho rispetto della scelta delle donne». Il principio di non contraddizione si mette a piangere perché è in lutto. Se uno difende la vita non può e non deve rispettare la scelta di quelle donne che vogliono sopprimere la vita nel loro grembo. Se uno difende la vita come potrebbe essere a favore della scelta di compiere un omicidio? È questione di logica, prima di essere questione morale. Stesso ossimoro lo troviamo qualche riga più avanti: «Non ci possono essere diritti sulle vite degli altri e quello che si voleva inserire nel documento finale del G7 è il minimo sindacale sull’aborto». Ma se mai e poi mai ci possono essere diritti sulle vite degli altri, come si fa a giustificare un minimo sindacale di aborto che è il diritto di morte sul figlio? Vuol dire che l’assassinio non è un assoluto morale, ma prevede delle eccezioni. Un minimo sindacale di omicidi. Un accordo a ribasso tra abortisti e non abortisti, una quota minima di tributo di sangue da versare al dio progressista e liberista sull’altare della 194. Noi invece vorremmo un minimo sindacale di buon senso, un minimo sindacale di raziocinio.

Infine il piddino Tarquinio critica il premier Meloni perché userebbe i principi non negoziabili «per acchiappare consensi. […] È un modo bellicistico di affrontare questioni che, da uomo di pace, ritengo che invece vadano demilitarizzate perché riguardano le vite delle persone». Anche qui la mente vacilla: il Nostro si dichiara per la pace e poi è a favore dell’aborto (sicuro) che è la prima e la più estesa forma di guerra al mondo. All’anno, nel mondo, vengono sterminati 75 milioni di “nemici” non nati, secondo l’Unfpa.

Conclusioni. Tarquinio il bicefalo, che – lo vogliamo ricordare – milita in un partito a favore dell’aborto, dell’eutanasia, del divorzio, delle unioni civili, dell’utero in affitto, del “cambiamento” di sesso, della fecondazione artificiale, della sperimentazione sugli embrioni – vuole mostrarsi a favore dell’aborto e poi pro-life, sostiene la libertà di abortire ma senza che diventi un diritto, si mostra indulgente verso una percentuale tollerabile di morti di nascituri ma difende la vita, progressista ma non troppo, cattolico ma con riserva, eccependo l’immunità diplomatica data dall’essere un cattolico adulto. Vuole essere l’uomo dell’et-et, ma sui principi non negoziabili si può essere solo aut-aut.

Il bifrontismo di Tarquinio è una contraddizione vivente che non avrà vita lunga nel Pd e che invece, per paradosso, ne godrà di lunghissima in casa cattolica.





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