mercoledì 21 febbraio 2024

Ciò di cui abbiamo bisogno ora è di lavorare e pregare per rimettere Gesù al centro



Un lettore di questo blog, che si firma con lo pseudonimo “Occhi aperti!”, mi ha inviato la traduzione dell’articolo che segue, scritto dall’arcivescovo Mons. Samuel J. Aquila, e pubblicato su What we need to know.



Mons. Samuel J. Aquila

“Ogni cosa crolla; il centro non può reggere.” Queste parole dalla poesia di W. B. Yeats intitolata “La seconda venuta” furono pubblicate per la prima volta cento anni fa, in un tempo non così tanto differente dal nostro. L’epidemia di influenza del 1918-1919 aveva devastato gran parte dell’Europa, colpendo duramente le comunità e le famiglie senza discriminazioni (Yeats per poco non perse la moglie e il nascituro a causa dell’influenza). Il fetore della Prima Guerra mondiale aleggiava ancora sulle trincee e nuovi conflitti si stavano preparando. Le persone erano incerte riguardo al futuro, mentre i leader politici erano alle prese con un mondo che cambiava. Eppure, nonostante tutte queste prove, la fede rimase al centro e tenne insieme il mondo occidentale, anche se a volte debolmente.

Oggi, però, c’è una differenza significativa rispetto a prima. Noi non abbiamo da affrontare le miserie della Prima Guerra mondiale o le tempeste che hanno portato alla Seconda Guerra mondiale; piuttosto, il cambiamento spirituale nel suo asse portante ha permesso a ciò che una volta erano basi solide per la nostra vita comune, di sgretolarsi. Secondo l’agenzia di sondaggi Gallup solo l’81% degli americani crede in Dio – la percentuale più bassa registrata da quando è stata posta la domanda nel 1944 – mentre solo il 56% crede in Dio come descritto nella Bibbia. E questi numeri in calo sembrano mostrare quanto il tenore della nostra cultura sia cambiato.

Le manifestazioni che oggi osserviamo contro vere e proprie ingiustizie, in alcuni luoghi sono state cooptate da quell’agenda che mira a distruggere il centro della cultura occidentale. Anziché protestare pacificamente contro la discriminazione razziale, alcuni hanno incanalato la loro energia al fine di distruggere chiese o simboli del Cristianesimo. Altri stanno ridefinendo il concetto di natura con l’obiettivo di introdurvi certa “licenza morale” o la libera espressione dell’“identità” scelta, senza restrizioni. Altri ancora usano il potere esecutivo, legislature o tribunali per emarginare le persone di fede e le opere di servizio cristiano. Un caos organizzato ha spezzato la nostra comune identità e minaccia di disfarsi del patrimonio che abbiamo la responsabilità di trasmettere ai nostri figli.

La causa di tutto ciò è l’aver rimosso Dio dal centro. È Dio – e per i Cristiani, Gesù – a tenere insieme il mondo decaduto e fragile. Dio, tuttavia, non è più il centro del nostro ordine sociale. Senza dubbio la pandemia di COVID-19 ha messo a nudo la nostra fragilità, ma la pandemia non è la causa della disfunzione, che era già lì.

La pandemia ha messo in luce una diffusa paura della morte e grande inconsistenza nell’anima, il che può venire solo dall’aver preso le distanze da Dio. Rimuovendo Dio dal centro, la nostra cultura è arrivata fino alla dissoluzione sociale. L’assolutizzazione del nostro benessere fisico (per quanto importante) rispetto al nostro benessere spirituale tradisce un’attenzione miope, preferendo ciò che è temporale all’eterno, ciò che è orizzontale al verticale.

Una cultura che non ha fede in Dio e nella Sua creazione è una cultura che non reggerà. Forse questo momento che affrontiamo come nazione è solo un altro momento della storia che svanirà, o forse questo è un momento di cambiamento epocale che ci trasformerà per sempre, modificando il nostro modo di comprenderci. La risposta a questo interrogativo ruota attorno alla questione su Dio. Come popolo che condivide lingua e terra, abbiamo anche un fondamento in comune per quanto riguarda il nostro posto davanti al Creatore, o abbiamo abbandonato la nostra eredità e fatto dell’individuo la misura di tutte le cose?

Più di 1.500 anni fa sant’Agostino cristallizzò quelle che sono le due scelte di ogni cittadino: “Due amori hanno fatto le due città. L’amore di sè fino al disprezzo di Dio, ha fatto la città terrena; e l’amore di Dio fino al disprezzo di sé, ha fatto la città celeste”. In tempi più recenti, Christopher Dawson spesso scrisse riguardo al luogo di “culto” in una società debitamente ordinata. La cultura di un popolo è definita principalmente da chi o da ciò che le persone adorano o pongono al centro – ciò che identificano come lo scopo della loro esistenza. 

Fin dalla fondazione del nostro paese c’era la percezione che Dio fosse essenziale per la nostra vita comune. George Washington capì che religione e valori erano necessari per tenere insieme una popolazione altrimenti diversificata. Nel suo discorso di addio Washington avvertì: “Ed è con circospezione che assecondiamo la congettura secondo cui la moralità possa essere salvaguardata senza la religione… Ragion per cui la logica e l’esperienza impediscono di attenderci che un’etica a livello nazionale possa davvero regnare una volta escluso il principio religioso”. Il “centro” culturale teneva, perché avevamo un fondamento morale comune radicato nelle credenze giudaico-cristiane, ad eccezione della schiavitù, che perseguita la nostra coscienza nazionale fino ai giorni nostri. Anche i padri fondatori che professavano l’Unitarianismo (che rifiuta la divinità di Cristo), come John Adams e Thomas Jefferson, capivano l’importanza del Cristianesimo in questo paese, spesso parlando liberamente attraverso immagini bibliche e facendo riferimento alla Scrittura.

Nel secolo scorso siamo diventati sempre più un paese slegato da una fondamentale verità e cioè che un Padre amorevole ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, l’unico modo per essere felici in quella prossima. La nostra felicità, temporale ed eterna, dipende dal guardare al di fuori di noi per trovare un vaccino che ci difenda da quel virus spirituale che provoca molti più danni di qualsiasi cosa possa infliggere il COVID-19. Ma sembra proprio che ce lo stiamo dimenticando. La nostra salute fisica è davvero una grande benedizione che dovremmo proteggere, ma è la nostra salute spirituale che determina la nostra destinazione eterna. Lasciare che il piano fisico eclissi quello spirituale equivale ad arrendersi al diavolo e alle sue vuote promesse.

Dobbiamo rivolgerci a una persona: Cristo. La Chiesa ha un ruolo unico da svolgere per mantenere saldo il centro. Essa è il richiamo visibile che sta a ricordarci che Cristo vive e continua ad agire in mezzo a noi. Non sorprende, quindi, che le statue di santi siano state deturpate, le chiese incendiate e contro i fedeli si sia perseguito anche un male fisico in nome del progresso. Allo stesso modo, questa nuova “moralità woke” ha ridefinito il concetto di separazione tra Chiesa e Stato, che originariamente era intesa a garantire la libertà della pratica religiosa (e quindi proteggeva la Chiesa dallo Stato). Oggi questa nozione viene invertita, e molti credono che la fede dovrebbe essere completamente bandita dalla pubblica piazza e, peggio ancora, che lo Stato dovrebbe imporsi sulla Chiesa in tutte quelle questioni di maggior conflitto (ad esempio, richiedendo alle agenzie di adozione cattoliche di permettere ai bambini di essere adottati da coppie dello stesso sesso o obbligando le Piccole Sorelle dei Poveri a pagare la contraccezione). Forse coloro che mirano a far prevalere questa nuova “moralità woke” non sono pienamente consapevoli di ciò che fanno, ma il diavolo lo è, ed è fuor di discussione che stia usando il momento attuale per fare ciò che gli riesce meglio.

La Chiesa – vescovi, sacerdoti, religiosi e tutti i fedeli – deve impegnarsi in questo momento di incertezza per testimoniare con forza e coraggio la fede. Solo così possiamo resistere all’opera nefasta di quella forte creatura spirituale che i cristiani conoscono come l’Avversario. I fedeli – e qui sto parlando specificamente a me e ai miei fratelli nell’episcopato – hanno il dovere di essere voce della ragione in questi tempi irragionevoli. Nella nostra ordinazione episcopale, abbiamo assunto pienamente il triplice ufficio di Cristo, in veste di sacerdote, profeta e re. Come sacerdoti siamo chiamati a offrire il sacrificio, il sacrificio della Messa ma anche il sacrificio della nostra vita. Questo tempo, che vede crollare il “centro”, offre nuovi modi per ognuno di noi di offrire i nostri sacrifici quotidiani per la santificazione del mondo. Oggi non c’è penuria nella scelta dei modi in cui tutti possiamo offrire sacrifici, non ultimo quello di offrire le preghiere, le azioni, le gioie e le sofferenze di ogni giorno, come ci insegna l’Offerta Mattutina.

Dobbiamo anche assicurarci che la Messa rimanga la sorgente e il culmine della nostra vita cristiana. L’unico, vero sacrificio di Cristo è il sacrificio in cui tutti gli altri sacrifici dovrebbero innestarsi. Non c’è dubbio che le autorità civili abbiano il diritto e il dovere di proteggere la popolazione, ma la Messa non può diventare un lusso meno importante di altre pubbliche convocazioni. Se si verificasse un altro divieto, la Chiesa dovrebbe essere pronta a difendere i propri luoghi di culto. La Messa è essenziale per il benessere spirituale di ogni cristiano. Certamente, la Chiesa deve sì rispettare l’autorità civile e accettare quelle limitazioni che definiscono un prudenziale raduno di fedeli, ma l’autorità civile dovrebbe anche rispettare i luoghi di una comunità religiosa, almeno quanto tollera (o promuove) gli altri incontri pubblici. La fede, specialmente la partecipazione sicura ai sacramenti, è essenziale.

L’ufficio profetico esige che la Chiesa insegni la verità in ogni occasione opportuna e non opportuna. Mentre le panche e gli inginocchiatoi possono essere meno occupati in un mondo post-pandemico, il nostro bisogno di insegnare il potere salvifico di Cristo non è meno urgente. Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli dovrebbero trovare in modo creativo la maniera di sostenersi reciprocamente nella fede, in una cultura che può essere ostile; e diffondere il Vangelo in quella stessa cultura, la quale – nel migliore dei casi – considera irrilevante la religione. La tecnologia è uno strumento utilissimo a questo scopo, ma il contatto personale è di cruciale importanza. L’evangelizzazione e la catechesi devono essere fatte in modi innovativi per portare Gesù nelle nostre comunità, evangelizzando la cultura una testa alla volta. Ahimè, questo ufficio profetico ci impone anche di proclamare la verità al crescente numero di voci dentro la stessa Chiesa che cercano di cambiare la dottrina perenne.

L’ufficio regale, o ufficio di governo, dovrebbe essere esercitato per condurre le persone a Cristo. Non è un ufficio di autorità sui fedeli, ma un’autorità data alla Chiesa, operando attraverso i vescovi, per condurre gli uomini a Cristo. Mentre navighiamo in questi tempi difficili, è necessario prendere ardue decisioni, decisioni coraggiose, tenendo presente tutta una serie di considerazioni pratiche. Decisioni prese alla luce della missione data alla Chiesa, cioè di attirare tutti gli uomini a Cristo! Se Gesù è la misura con cui vengono prese le decisioni, lo Spirito Santo caverà il bene dal male. Dobbiamo pregare che la chiusura di parrocchie o scuole, per quanto pesante sia per l’intera comunità, possa misteriosamente trasformarsi in bene se Cristo – e non considerazioni finanziarie o legali – è al centro. Io e i miei confratelli vescovi possiamo condurre davvero solo se ci poniamo davanti a Cristo, ogni giorno, nella preghiera e se riceviamo le preghiere dei fedeli. Se la Chiesa non prega, allora lo Spirito Santo non è sollecitato ad agire. La natura non permette alcun vuoto; quando rimuoviamo Cristo lo spazio si riempie di qualcosa o di qualcun altro – qualcosa che non è mai buono per noi e, il più delle volte, qualcosa che è il male stesso.

Senza un tempo specifico dedicato esclusivamente a Dio nella preghiera e nell’adorazione, inevitabilmente il nostro tempo sarà pieno di cose che distraggono o addirittura che ci ostacolano nel rapporto con il nostro amorevole Creatore. Ma quando troviamo il tempo ogni giorno per metterci davanti a Dio, per adorarLo e supplicarLo, allora siamo in grado di ascoltare la Sua voce. È allora che possiamo dirci convertiti e che irradiamo al mondo l’amore che il Padre ha per ciascuno di noi, un amore di cui c’è tanto bisogno oggi. In quell’amore, possiamo scoprire la nostra identità come Suoi figli prediletti. In quell’amore, possiamo salvaguardare e conservare tutto ciò che è vero e buono del nostro patrimonio mentre dobbiamo riformare ciò che non lo è. In quell’amore, il “centro” ritorna ad esser saldo ancora una volta.

Le parole di Yeats ci suonano veritiere oggi come oggi, ma dobbiamo fare in modo che non lo siano più. Ciò di cui abbiamo bisogno ora è di lavorare e pregare per rimettere Gesù al centro, in modo che Egli possa reggere questo mondo decaduto e portare ciascuno di noi alla casa celeste.





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*Il reverendo Samuel J. Aquila è l’arcivescovo di Denver. Il suo motto episcopale è: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2,5). Questo saggio è rivisto e adattato dall’autore e proviene da precedenti riflessioni (2020) pubblicate da First Things.





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