lunedì 19 febbraio 2024

Cosa vuol dire che Dio mi ama “così come sono”







Di Marco Nardone, 19 FEB 2024

È stato di recente pubblicato un articolo che mi ha spinto, forse anche per via del periodo quaresimale, ad una piccola riflessione personale. Si tratta dell’articolo, veramente ammirevole, “Veritas supplicans. Lettera al papa”, apparso il 13 febbraio 2024 su un sito di omosessuali cattolici[1] e poi ripreso sul sito http://www.sabinopaciolla.com[2].

Dello scritto, che consiglio di leggere integralmente, mi hanno colpito in particolare queste parole: “Abbiamo tutti una chiamata speciale da parte del Signore Gesù: assomigliare a Lui, amare come Lui ci ama. Noi vogliamo prendere la nostra Croce e seguirLo perché il Suo giogo è soave e leggero, mentre il giogo del mondo è duro e porta alla disperazione. Noi lo abbiamo sperimentato, Santità, perché abbiamo percorso quei sentieri tortuosi e ne portiamo ancora le ferite. (…). Santo Padre, noi aspiriamo alle cose più alte, aspiriamo al Cielo, non ci serve un’amichevole pacca sulle spalle pietosa e degradante come Fiducia supplicans. Anche noi abbiamo diritto di percorrere il cammino di conversione e, finalmente, che Cristo Gesù renda Gloriosa la nostra Croce (…). Abbiamo bisogno di pascolo buono, papa Francesco, abbiamo bisogno di parole di Verità”.

Sono innanzitutto, appunto, parole di verità, che mi hanno coinvolto sia intellettualmente che emotivamente. Mi hanno richiamato alla mente espressioni oggi molto usate nella Chiesa, e spesso fraintese, che l’articolo ha il merito di riportare, esplicitamente e implicitamente, al loro senso autentico. Si tratta di espressioni quali “l’amore di Dio ci precede sempre”, “Dio ci ama così come siamo”, “Dio è misericordia”.

Cominciamo dalla prima. “L’amore di Dio ci precede sempre” perché, come dice S. Paolo, “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”[3]. Ma non solo. Ci precede anche, e innanzitutto, per il semplice fatto che il Suo amore non è un amore inerte, ma costituisce il nostro stesso essere. È l’amore di Dio infatti, dice S. Tommaso, che crea l’essere, e creandolo infonde in esso la bontà che lo rende amabile da noi[4]. Così anche noi, dice San Giovanni, possiamo amare Dio, perché Egli ci ha amati per primo[5].

La seconda espressione, “Dio ci ama così come siamo”, vuol dire, allora, innanzitutto che Dio ci ama per il fatto stesso che siamo, perché la nostra stessa esistenza è voluta e sostenuta dal Suo amore. Un amore assolutamente gratuito, il che non vuol dire, banalmente, “disinteressato”. Perché amarci per il fatto stesso che siamo vuol dire anche che ci ama non in qualsiasi modo, ma come Lui ha voluto che siamo. E Lui ci ha voluti a Sua immagine[6], capaci a nostra volta di bene e specialmente di quel bene nel quale consiste la nostra felicità: quello di amarLo a nostra volta e di partecipare, in Cristo, alla Sua stessa natura. Come dice il Catechismo, “l’uomo è chiamato a condividere, nella conoscenza e nell’amore, la vita di Dio. A questo fine è stato creato ed è questa la ragione fondamentale della sua dignità”[7]. Proprio come dicono gli autori dell’articolo: “noi aspiriamo alle cose più alte, aspiriamo al Cielo”.

Si capisce meglio, così, la terza espressione, in cosa consiste la misericordia di Dio: nel Suo amarci anche nelle nostre miserie, incluso il peccato. Anzi, proprio nel peccato, che consiste nel rifiuto di rendere a Dio amore per amore, Egli ci ama ancora di più. Ma è un amarci sul serio ed efficacemente, cioè opponendosi radicalmente al male che impedisce il bene della creatura da Lui amata e voluta. Così l’amore di Dio, rispondendo a quanto Gli chiediamo nell’ultima domanda del “Padre nostro”, produce in noi – a condizione che davvero cerchiamo la Sua misericordia – gli effetti idonei ad allontanare il male[8]. Si noti: l’opposizione al male che nuoce alla Sua creatura è in Dio una sola cosa – al contrario di quanto spesso succede a noi – con la volontà di alleviarne l’infelicità. E questa opposizione “costa” la Croce, in ragione dalla radicalità del peccato che ci affligge e che è la matrice di ogni altra sofferenza[9].

A Dio è costata la Croce del Figlio, quale dono gratuito e totale di sé. A noi sta condividere la Sua vita, accogliendo, come ricordano gli autori dell’articolo, il Suo appello: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”[10]. Il che vuol dire accettare che, grazie al Suo “giogo leggero”, la verità e l’amore pervadano la nostra vita, rendendoci simili a Lui[11]. O, come aggiungono sempre gli autori dell’articolo, rispondere alla Sua “chiamata speciale (…): assomigliare a Lui, amare come Lui ci ama”: una chiamata che “abbiamo tutti”.

Una chiamata che abbiamo tutti, che ci riguarda tutti. Parole verissime. A me, infatti, hanno ricordato i tempi della mia conversione alla fede. Ebbi allora (corrente il pontificato di S. Giovanni Paolo II) la grazia di ricevere la benedizione di Dio ancora prima di confessare i miei peccati. Il sacerdote mi conosceva e quando mi vide mi corse letteralmente incontro per abbracciarmi, indovinando la mia intenzione ancor prima che la manifestassi. Mi abbracciò, e poi mi confessò. Ne conservo un vivo e commosso ricordo. Alla luce di quella esperienza, mi ritrovo pienamente e con gratitudine nella considerazione che la misericordia di Dio ci attende e ci precede sempre.

Al tempo stesso, devo aggiungere che quell’amore antecedente di Dio io non lo vissi, allora, come un amore “disinteressato”, che mi accettava semplicemente “così come sono”. O, come talvolta ambiguamente si dice, “senza chiedere nulla” in cambio (nemmeno la rinuncia al peccato?)[12]. Un amore così, che praticamente mi abbandonava a me stesso, neanche lo cercavo. Non ero nella disposizione di essere ingannato. Percepivo che un simile amore non sarebbe stato un vero amore, ma un amore inerte, un amore di indifferenza. E un amore di indifferenza non sarebbe stato veramente l’amore di Dio. Anzi, semplicemente, non sarebbe stato l’amore di un altro. Sarebbe stato un semplice duplicato di quell’ autocompiacimento di sé che era proprio quello che mi lasciava insoddisfatto e di cui mi volevo liberare. Io invece ho vissuto quell’amore come l’abbraccio proprio di un Altro, come perdono e come chiamata. Perché aveva dentro sia la passione sconfinata di Dio per il mio essere nella sua unicità, sia la volontà di liberarmi dal male, sia l’offerta inaudita, in risposta alla mia domanda di felicità, di elevare questo mio essere al livello della vita, della santità di Dio. Un livello che, mi era chiarissimo, non era né quello nel quale vivevo io, né alla portata delle mie forze, eppure era adeguato definitivamente al mio desiderio. E in questo abbraccio pieno di promessa di bene totale, percepivo l’amore come tale, l’amore, ripeto, realmente di un Altro, e non semplicemente l’amore narcisistico col quale avevo spesso ritenuto di sostituire l’amore di Dio per rimanere “così come sono”. E così iniziai un cammino, un cammino, beninteso, tradito tante volte, ma altrettante volte ripreso, grazie sempre di nuovo proprio a quell’Amore “Altro”, niente affatto “disinteressato”.

È un’esperienza comune, che nella fede hanno fatto, o sono chiamati a fare, molti di noi. L’amore di Dio è effettivamente un amore che chiede, proprio come dicono gli autori dell’articolo, di uscire da se stessi, per “assomigliare a Lui, amare come Lui ci ama”, e così entrare nel vero “se stesso”. È esattamente quanto insegnano il Magistero e la più alta teologia. Benedetto XVI ricorda che l’amore rende simili, perciò chi accoglie l’amore di Dio è condotto a volere e a pensare come Lui pensa e vuole; e in questo apparente perdersi in Lui ciascuno, in realtà, trova se stesso[13]. Tutto il problema sta se vogliamo questo Amore, che sempre bussa alla nostra porta, o cerchiamo altro.

Insomma, l’articolo, per quanto mi riguarda, ha il merito di mostrare, a partire da un particolare vissuto, sofferto ed esemplare, come realmente l’amore di Dio raggiunge e accompagna ogni uomo nella propria esistenza faticosa; e ciò mettendo d’accordo la Parola di Dio, la dottrina della Chiesa e la pastorale, ovvero l’esperienza che, nella fede, ha fatto o può fare ciascuno di noi[14].

L’amore di Dio in Cristo mi raggiunge là dove sono, ma non per lasciarmi là dove sono[15]. Soprattutto quando sono in quella miseria che suscita la Sua misericordia. Dio non può certamente approvare nella sua misericordia ciò a cui si oppone per potermi usare misericordia. Perciò Egli ci ama sempre come siamo e là dove siamo, in qualunque situazione, ma non insieme a qualunque situazione. Non insieme alla situazione di miseria da cui Egli ci vuole liberare. E non può fare diversamente, proprio perché è Dio e non un uomo. C’è da chiedersi se, dietro l’offerta di una misericordia che gli autori dell’articolo sentono come “pietosa e degradante”, non ci sia la preoccupazione, “buona” ma solo umana, di alleviare l’infelicità del soggetto, evitando, però, di opporsi al male che nuoce a lui e alla sua comunione con Dio. Per paura non tanto che il soggetto ne “sia” escluso, ma che se ne “senta” escluso. Non sarebbe, questa, la misericordia di Dio, quella che ci restituisce a noi stessi e ci accompagna al Cielo.

Marco Nardone




[1] https://omocattolici.blogspot.com/2024/02/veritas-supplicans-lettera-al-papa.html.

[2]https://http://www.sabinopaciolla.com/santo-padre-non-ci-serve-unamichevole-pacca-sulle-spalle-pietosa-e-degradante-come-fiducia-supplicans-firmato-omosessuali-cattolici/

[3] Rom 5, 8.

[4] “Dio però non ama come noi. La nostra volontà, infatti, non causa il bene, che si trova nelle cose; al contrario è mossa da esso come dal proprio oggetto; e quindi il nostro amore con il quale vogliamo del bene a qualcuno, non è causa della bontà di costui, ché anzi la di lui bontà, vera o supposta, provoca l’amore, che ci spinge a volere che gli sia mantenuto il bene che possiede e acquisti quello che non ha: e ci adoperiamo a tale scopo. L’amore di Dio invece infonde e crea la bontà nelle cose” (S. TOMMASO, Summa Theologiae, I, q. 20, a. 1).

[5] 1 Gv. 4,7-10. Cfr. S. Agostino, Commento al Vangelo di San Giovanni, Om. 102, 5.

[6] Gen. 1,27.

[7] Catechismo della Chiesa cattolica, n. 356.

[8] Cfr. S. Tommaso, Summa Theologiae, I, q. 21, a.3. La condizione perché la misericordia di Dio sia efficace è appunto che essa venga accolta dalla libertà accettando la conversione: “La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo.Un tale indurimento può portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna” (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1864).

[9] Mi è stata utile per le riflessioni di cui sopra la lettura delle dispense del corso di S-Th. Bonino OP dal titolo Amore, giustizia e onnipotenza di Dio secondo San Tommaso d’Aquino, tenuto a Roma presso la facoltà di teologia “Angelicum – Pontificia Università San Tommaso d’Aquino” nell’ a.a. 2019-2020.

[10] Lc 9, 23. Il passo evangelico, com’è noto, continua: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Lc 9, 24).

[11] Cfr. su questo J. Ratzinger, Il cammino pasquale, Ancora, Milano 1985.

[12] Cfr. Fiducia supplicans, n. 27. Spiego il punto di domanda. Per me, per l’educazione ricevuta, quel “non chiedere nulla in cambio” da parte di Dio voleva dire che il Suo amore è gratuito, nel senso che Egli non ne ricava nessuna utilità. Non ero affatto portato a (fra)intenderlo in senso che avrei detto protestante, come se Dio, per salvarmi dalla mia libertà non si attendesse nulla, nemmeno l’assenso a lasciarsi cambiare da Lui. Il testo della Fiducia supplicans, invece, sembra indulgere a questa interpretazione. Esso, infatti, sembra intendere la conversione, anzi la stessa disposizione alla conversione, come un effetto esclusivo della Sua misericordia, e non anche della mia personale risposta alla Sua misericordia.

[13] L’”autentico contenuto dell’amore”, come già sapevano gli antichi, è “Idem velle atque idem nolle — volere la stessa cosa e rifiutare la stessa cosa (…), il diventare l’uno simile all’altro, che conduce alla comunanza del volere e del pensare. La storia d’amore tra Dio e l’uomo consiste appunto nel fatto che (…) il nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più: la volontà di Dio non è più per me una volontà estranea, che i comandamenti mi impongono dall’esterno, ma è la mia stessa volontà, in base all’esperienza che, di fatto, Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso” (BENEDETTO XVI, Enciclica Deus caritas est, 17).

[14] Notevole in proposito, e sulla stessa lunghezza d’onda, anche l’articolo di Linda Gray reperibile qui: https://www.sabinopaciolla.com/sono-grata-che-un-prete-non-abbia-mai-benedetto-il-mio-matrimonio-omosessuale-o-quello-irregolare/

[15] Cristo, dice S. Paolo, è morto per noi quando eravamo ancora nel peccato, senza attendere il nostro pentimento (Cfr. Rom 5, 6-8); ma ciò, egli aggiunge, non ci autorizza affatto a rimanere attaccati al peccato (Cfr. Rom 6, 15-16).






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