martedì 16 gennaio 2024

Il pensiero dell'inferno è forse l'ultima chiamata della grazia



In un'omelia del 1919 il beato Rupert Mayer espone la tremenda verità della dannazione eterna: una realtà che fa paura, ma è un timore salutare, che può spingere alla conversione e quindi alla salvezza.




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Beato Rupert Mayer, 16-01-2024

Riportiamo di seguito alcuni stralci della predica sull'inferno (Die Höllenpredigt) che il beato Rupert Mayer tenne a Monaco nel 1919, nel quadro delle missioni popolari. Il beato nacque il 23 gennaio 1876 a Stoccarda, in Germania. Durante la Prima Guerra Mondiale fu cappellano militare dell’esercito bavarese, e mentre espletava tale servizio fu colpito da una granata e perse una gamba. Nel primo dopoguerra si dedicò all’assistenza dei poveri e alla difesa della fede dagli attacchi dei socialisti, dei comunisti e dall’allora nascente movimento nazionalsocialista. Durante il Terzo Reich fu arrestato e condannato per la sua resistenza al nazismo, nel 1938 trascorse cinque mesi in carcere, quindi fu rinchiuso per dieci mesi nel campo di concentramento di Sachsenhausen-Oranienburg, e successivamente assegnato al confino nel monastero benedettino di Ettal, in Baviera. Dopo la guerra riprese la sua assistenza ai poveri, invitando al perdono e alla riconciliazione all’interno del popolo tedesco. Fu colpito da ictus il 1° novembre 1945 durante l’omelia della solennità di Ognissanti, e morì alcune ore dopo.


Il frutto più amaro del peccato grave è l'inferno. Sia questo l'oggetto della nostra riflessione odierna. Posso assicurarvi che non amo incutere timore negli altri, anche quando si tratta di un timore salutare. (…)

C'è un inferno. Chi ce lo dice? Ce lo dice in primo luogo la ragione, e poi lo stesso Salvatore. Anzitutto un pensiero, giusto per chiarire: la voce della coscienza ci dice che ci sono leggi che sono scritte nei cuori degli uomini. Queste leggi possono avere origine solamente dall'Eterno Legislato­re, da Dio. (…) Sarebbe un ben mi­sero legislatore quello che fa le leggi e che poi è indiffe­rente se queste leggi vengano rispettate o trasgredite. Pro­prio per questo, se Domine Iddio ha dato delle leggi, deve anche fissare premio e punizione per chi le osserva o le trasgredisce. (…)

So bene che ci sono sempre persone che rigirano queste parole, sottilizzano su di esse e dicono: «Queste parole non sono da prendere alla lettera. Questa parolina "eterno" sta a significare una punizione lunga, ma non una punizione eter­na. Questa parolina va intesa in senso figurato». Miei cari ascoltatori, tutto parla contro una tale interpretazio­ne. Il Salvatore divino emette un giudizio. Ora noi sappiamo che una delle prime condizioni necessarie per formulare un giudizio è che questo sia espresso con chiarezza, certezza e precisione. (…)

In secondo luogo, e questo è ancor più illuminante, il divino Redentore dice (...): «E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 5,46). Non è ancora venuto in mente ad alcun uomo assennato di dubitare che, parlando di vita eterna, sia da intendere la felicità eterna nel senso proprio della parola. Ma se in que­sto caso interpreto questa parolina in questo modo, chi mi dà allora il diritto, quando si parla della punizione eterna, di dire: «Questa volta deve essere intesa in senso figurato?». Ciò va contro la lealtà. Non si può sostenere questo in buona coscienza. (…)

Ora, miei cari amici, voglio dirvi questo: se Cristo, la Verità eterna, dice: «L'inferno esiste», a cosa giova se un professore qualunque dalla cattedra e nei suoi scritti cerca in tutti i modi di dimo­strare a se stesso e agli altri che non c'è una pena eterna nell'inferno? A cosa ti giova tutto questo, se Cristo, la Ve­rità eterna, dice: «L'inferno esiste!». (…)

A questo punto si dice: «Dio è giusto, e non può punire un peccato, un errore, un fallo di un momento con una pena eterna. La pena deve essere commisurata con l'errore e la colpa cui si riferisce». Ebbene sì, questo lo diciamo anche noi. La pena deve essere commisurata con la colpa, ma non con la durata temporale della colpa. Altrimenti bisognerebbe chiudere in prigione solamente per alcuni istanti un crimina­le che con premeditazione ha ucciso una persona con una fucilata. (…) Quindi la pena deve essere proporzionale non alla durata temporale del delitto, bensì alla cattiveria interiore del crimine. Ora vi do­mando: «Quale cattiveria sta nel peccato?». Il peccatore in­callito trasgredisce con chiara nozione una manifesta Legge di Dio. Il peccatore, quindi, calpesta un diritto di Dio infi­nitamente sacro. Si ribella all'infinita maestà di Dio. Que­sto è un delitto infinito, quindi in esso sta una cattiveria infinita, e meritevole di una tale pena.

Vengono altri che dicono: «Però Dio è misericordioso. Come è possibile che Dio renda un'anima infelice per l'eter­nità?». Sì, Dio è misericordioso. Vi posso dire ciò che ho detto assai spesso: siano rese lodi e ringraziamenti a Dio perché è misericordioso! Se oggi venissi chiamato al capezzale di un malato grave e se risultasse che questo pover'uomo ha alli­neato nella sua vita un peccato dopo l'altro, se mi fosse chiaro che l'intera sua vita è stata un continuo di gravi peccati, e se vedessi che a quest'uomo dispiace di avere vissuto una vita così sbagliata, e se vedessi che quest'uo­mo ne fosse scoraggiato ed avvilito, allora gli direi: «Mio caro amico! Abbia fiducia! Adesso la cosa Le sembra grave, ma Lei ha sinceramente buona volontà. Quindi abbia fede! Dio è misericordioso! Dio è infinitamente misericordioso!».

Ora viene il caso opposto: se un uomo non vuole, se un uomo con la sua grande, grave colpa allontana da sé la mano di Dio che voleva salvarlo, se un uomo a causa della sua grave colpa è divenuto oggetto di un giudizio di dannazione da parte di Dio… Bene, quest'uomo non può più lamentarsi se per lui viene applicata la spaventosità del Giudizio di Dio nel suo intero rigore. Dio è misericordioso. Ma è anche infinitamente giusto. «Giusto sei Tu, o Dio, e giusti sono i Tuoi giudizi» (cfr. Dn 3,27).

Per noi che rimaniamo sul terreno della santa religione, ri­mane una cosa sola da fare, cioè un atto di fede in questa verità basilare del cristianesimo. E anche se la verità è terribile e spaven­tosa, ricordarla rappresenta una buona azione nei confronti degli uomini, poiché senza questa prospettiva non farebbero nulla contro la legge­rezza e la superficialità. Vi è qualcosa di salutare in que­sto pensiero terribilmente serio. Grazie a Dio, l'uomo ha questa barriera, che egli non può ragionevolmente mai supera­re. (…)

O eternità! O eternità, disperata eternità! Dover disperare senza neppure poter sperare nella morte. Questo non è neppure da concepire. Inutile! Troppo tardi! Troppo tardi! Pensate: dopo aver vissuto questo spavento, uno potrebbe anche conver­tirsi. Quale gioia e quale zelo da portare nel mondo! Ma è trop­po tardi! (…)

Amico mio, non è anco­ra troppo tardi. Per noi c'è ancora tempo. Quanto tempo lo sa solo il buon Dio. Ma vi prego, per la salvezza della vostra anima immortale, non lasciate passare il tempo della grazia senza ravvedervi seriamente e mettervi a posto con il no­stro Signore Iddio!
Per qualcuno di voi, questa è forse l'ultima chiamata della grazia! Amico mio, ti prego, per amor del cielo, non far finta di non aver sentito! No! È per il tuo bene! Cosa vogliamo esattamente da te? Vorremmo solamente che tu iniziassi il cammino per salvare la tua anima immortale; vogliamo che tu ti riconcilii con il tuo Signore, il tuo Dio, il tuo Creatore, affinché tu non sprofondi, ma, invece, affinché torni ad appartenere a co­loro che lodano e glorificano la misericordia di Dio.






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