mercoledì 14 giugno 2023

Il vescovo Athanasius Schneider sul Santissimo Sacramento



Nella nostra [Chiesa e postconcilio] traduzione da OnePeterFive insegnamenti e conferme da un vero Pastore, da assimilare e vivere con sempre maggiore profondità, per irrobustire la nostra fede in questa temperie oscura. Nella nota (1) troverete una mia chiosa che sottolinea l'Offerta e il Sacrificio che precedono la Santa Comunione con Cristo Signore glorioso e come vi si rapportano. Per il nostro Mons. Schneider son cose scontate; ma, poiché in questo caso si tratta di uno stralcio (che pone l'accento sul Santissimo Sacramento) da un suo testo ben più ampio, ho sentito la necessità di precisare (estraendolo da un mio vecchio lavoro insieme ad altri dettagli non meno importanti e significativi) quanto per la mens odierna non è affatto scontato e sfugge ai più... Il vescovo Athanasius Schneider sul Santissimo Sacramento

Un estratto da Christus Vincit [vedi]: il trionfo di Cristo sulle tenebre del tempo.

14 giugno 2023



Diane Montagna: Eccellenza, lei ha già detto che la via d'uscita dall'attuale crisi della Chiesa è “riscoprire il soprannaturale” e “dare il primato al soprannaturale nella vita della Chiesa” attraverso una rinnovata attenzione alla preghiera e al Santa Eucaristia. Possiamo ora tornare al mistero della Presenza Reale e discuterne l'importanza?

Il vescovo Atanasio Schneider:

Quando parliamo dell'Eucaristia, dobbiamo concentrarci sull'essenza della liturgia, sul mistero dell'Eucaristia, e questo è Cristo, Cristo vivente, il nostro Dio incarnato, che vive davvero con la sua mente, il suo cuore, la sua anima, e la sua divinità nel sacramento della Santissima Eucaristia. Ma in questo mistero Egli è velato, come era velata la sua divinità quando camminava sulla terra con il suo popolo, mentre insegnava e parlava con le folle. Poiché era così semplice e sembrava un uomo comune, sebbene in Lui fosse presente la pienezza della divinità, molte persone non Lo riconobbero e Lo respinsero - i Farisei, gli scribi e altri - a causa del Suo aspetto umile. San Paolo dice di Nostro Signore Gesù Cristo: “Prese la forma di servo, si fece simile agli uomini e, ha assunto la natura umana ed era riconosciuto come uomo” (Fil 2,7).

In modo più profondo e radicale, lo stesso avviene nel mistero dell'Eucaristia, che è un prolungamento dell'Incarnazione. L'Incarnazione continua perché ora non solo la divinità di Cristo è velata dalla sua umanità, ma le specie eucaristiche del pane e del vino velano sia l'umanità che la divinità di Cristo. Cristo è velato, ma continua ad essere lo stesso; Vive qui sulla terra nella stessa realtà della sua Incarnazione, ma in una modalità diversa. Ora è una modalità sacramentale. La sua umanità nell'Eucaristia è già un'umanità glorificata, ma l'umanità glorificata è reale e si può toccare.(1) Quando Gesù è risorto dai morti, poteva essere toccato; Aveva un Corpo vero ma trasfigurato. Lo stesso vale per l'Eucaristia: il suo vero corpo, la vera anima e tutta la pienezza della sua divinità sono velate sotto l'aspetto di un piccolo pezzo di pane.

Questo presenta una sfida continua alla nostra fede, al nostro amore. Siamo sfidati a rinnovare il nostro amore per l'Incarnazione, esercitando continuamente la nostra fede quando vediamo l'Ostia consacrata. Questo è il nostro Dio incarnato: et Verbum caro factum est: et habitavit in nobis, «e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). E ora dimora in mezzo a noi ancora più profondamente, più umilmente e più misteriosamente - davvero, nello stesso modo realistico in cui ha camminato sulla terra, ma in un altro modo. È reale; ecco perché parliamo della Presenza Reale, voglio sottolineare questo punto. Questa è la nostra fede: che sotto il velo delle specie eucaristiche del pane e del vino è presente la pienezza dell'umanità e della divinità di Nostro Signore. Dovrebbe toccare le profondità più profonde della nostra anima e provocare in noi un corrispondente atteggiamento dell'anima e del corpo, perché questa è l'Incarnazione. Non possiamo fare a meno dei segni corporei di riverenza e rispetto, perché Egli è presente fisicamente; il Dio-uomo è veramente presente. Gesti concreti di adorazione, adorazione e stupore sono la logica conseguenza della nostra fede.

DM: E quando facciamo a meno di questi gesti, la fede nel mistero si indebolisce?


AS: Sì. Quando diminuiamo i segni esteriori di soggezione, sacralità e riverenza, col tempo diminuisce quasi inevitabilmente la nostra fede nella Presenza Reale di Nostro Signore e nella Sua Incarnazione. Essi sono collegati. Ogni volta che si attenua il nostro rispetto e la nostra consapevolezza della presenza di Cristo nel sacramento dell'Eucaristia – la Presenza reale, piena, sostanziale e divina – scema nello stesso tempo la nostra fede nell'Incarnazione stessa. La fede nell'Eucaristia e la fede nell'Incarnazione sono inscindibilmente legate. Quindi, si tratta di un continuo atto di fede nell'Incarnazione e nel soprannaturale perché è soprannaturale, perché la divinità è così intimamente vicina a noi. Nel sacramento dell'Eucaristia Nostro Signore si è degnato di velarsi sotto questi elementi esteriori e poveri della materia. Non c'è luogo nel mondo intero, nell'intera storia del mondo, nell'universo intero, dove Dio è così vicino, dove la divinità è così vicina alle sue creature, come nel mistero dell'Eucaristia.

Nell'Eucaristia persistono solo gli elementi esterni della materia, che sono chiamati gli "accidenti", mentre la sostanza degli elementi si trasforma nella sostanza del Corpo e del Sangue della sacra umanità di Cristo e, attraverso l'umanità, è presente anche la divinità di Cristo. Nell'Incarnazione, Dio ha unito inseparabilmente la sua divinità alla nostra natura umana: entrambe le nature sono unite nel Figlio, la Seconda Persona della Santissima Trinità; la chiamiamo unione ipostatica. Nell'Eucaristia, questa unione ipostatica riceve un aspetto nuovo. Gli accidenti del pane e del vino sono associati alla sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo e quindi sono legati alla Sua Divinità in modo misterioso e indicibile. San Tommaso d'Aquino dice che la divinità di Cristo è in questo sacramento per reale concomitanza, “poiché la divinità non ha mai messo da parte il corpo assunto, dovunque è il corpo di Cristo, là, per necessità, deve essere la divinità; e quindi è necessario che la divinità sia in questo sacramento in concomitanza con il suo corpo. Perciò leggiamo nella professione di fede di Efeso (p. 1, cap. 26): 'Noi siamo resi partecipi del corpo e del sangue di Cristo, non come assumendo carne comune, né come già ora un uomo santo è unito al Verbo in dignità, ma della vera carne vivificante del Verbo stesso”» (Summa theologiae III, q. 76, A. 1, a 1). E il Concilio di Trento insegna: “sotto le specie del pane e del vino sta la divinità, per la mirabile unione ipostatica di essa con il suo corpo e la sua anima” (sess. 13, cap. 3).

* Il Vescovo Athanasius (Anton) Schneider è autore di due libri: Dominus Est – È il Signore! e Propter Sanctam Ecclesiam Suam (non ancora disponibile in inglese).
 
È nato da genitori tedeschi il 7 aprile 1961 a Tokmok, Kirghiz SSR in Unione Sovietica, dove la sua famiglia ha ricevuto la cura pastorale di p. Oleksa Zaryckyj, poi beato martire della fede. Lo stesso vescovo Schneider ha ricevuto la sua prima santa comunione in segreto, poiché la pratica della fede era stata bandita sotto il regime comunista. Nel 1973 parte con la famiglia per la Germania.
In seguito entrò a far parte dei Canonici Regolari della Santa Croce di Coimbra, un ordine religioso cattolico, dove gli fu dato il nome religioso Atanasio. È stato ordinato sacerdote il 25 marzo 1990. Nel 1997 ha conseguito il dottorato in Patrologia presso l'Augustinianum di Roma; e nel 1999 è diventato professore di Patristica al Mary, Mother of the Church Seminary di Karaganda.
Nel giugno 2006 è stato consacrato Vescovo all'Altare della Cattedra di San Pietro in Vaticano. Fu poi assegnato alla carica di vescovo ausiliare nell'arcidiocesi di Astana. È Segretario Generale della Conferenza Episcopale del Kazakistan e Vescovo titolare di Celerina, Svizzera.


[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]_____________________

 
Nota di Chiesa e post-concilio
 
1. Prima della Santa Comunione dobbiamo ricordare il Santo Sacrificio. La Mediator Dei distingue il momento in cui il Sacerdote offre la Vittima (momento culminante e unico) da quello in cui, dopo averla deposta sull'altare la presenta a gloria di Dio padre e per il bene di tutte le anime. È a quest’oblazione propriamente detta che i fedeli partecipano nel modo loro consentito. Invece nella Sacrosanctum Concilium, che dice cose prese a sé molto belle e molto vere, la distinzione è stata omessa e la sua mancanza fa perdere l'unicità dell'offerta del Sacerdote (Actio di Cristo) nel momento della Consacrazione... E non è una questione di poco conto. Non distinguere l'Azione del Sacerdote da quella del fedele (che può far sua ogni preghiera tranne che al momento della Consacrazione, appunto), non tiene conto della distinzione netta non solo per grado ma anche per essenza del Sacerdozio ordinato rispetto a quello battesimale dei fedeli... La Mediator Dei afferma e conferma che il Sacrificio di Cristo è uno ed unico ed appartiene a Lui solo. E non è un caso che le parole "mysterium fidei" siano pronunciate al momento della Consacrazione del Calice e quindi del Sangue della Nuova ed eterna Alleanza qui pro vobis et pro multis effundetur (sarà sparso: è un futuro che diventa un eterno presente, la prefigurazione del Calvario nell'imminenza di quanto sarebbe accaduto); il Signore ci comanda di fare haec (questo) in sua memoria fino alla fine dei tempi. Anche le parole "mysterium fidei" appartengono a Cristo, che suggella così la sua Azione espiatrice e redentrice e qui non ci resta che adorare e accogliere. (Non posso far a meno di notare che stranamente nel NO quelle parole vengono messe in bocca all'assemblea e pronunciate ad alta voce in un momento in cui bisognerebbe solo adorare davanti al Sacrificio. E invece si parla addirittura dell'"attesa della tua venuta", inopinatamente richiamando la parusia proprio nel momento in cui il Signore si è fatto Realmente Presente: Presenza che dovrebbe essere accolta vissuta e adorata con maggiore consapevolezza e sacralità...) Solo successivamente: ce lo dice l'Unde et memores..., dopo che il Sacrificio è stato compiuto e dispiega i suoi effetti, possiamo, insieme al sacerdote, offrire noi stessi nell'offerta dell' "Hostia pura santa e immacolata, Pane santo di vita eterna e Calice di perpetua salvezza". Ma l'Agnello immolato è Risorto e ora siede glorioso alla destra del Padre (l'Unde et memores ci ricorda anche questo), e dunque possiamo insieme al sacerdote unire a quella di Cristo la nostra offerta e anche i frutti del Suo Sacrificio. Nella SC questo forse è dato per scontato (?), ma nelle "cose sacre" che riguardano i fondamenti della nostra fede occorre serietà e precisione e anche completezza. Altrimenti, più che dar per scontato, alla fine si oltrepassa e si elide qualcosa di essenziale. Quel che è più grave, non è tanto la diluizione del ministero sacerdotale, che pure avviene, quanto la confusione del Sacrificio di Cristo (uno e unico e non confondibile) col nostro e della Chiesa tutta in Lui! Quello che Mediator Dei e Sacrosanctum Concilium affermano è che i fedeli offrono insieme con il Sacerdote i propri voti e per mezzo del Sacerdote Cristo stesso, ma con la sottile e per nulla ininfluente distinzione con cui inizia il periodo. Non a caso, poi, la Mediator Dei dice: "Ponendo però, sull'altare la vittima divina, il sacerdote la presenta a Dio Padre come oblazione a gloria della Santissima Trinità e per il bene di tutte le anime". Ponendo sull'altare la Vittima (il sacerdote depone l'oblata sul Corporale, chiamato anche sindone) è come se si ripetesse la deposizione dalla Croce e, come già detto, in quel momento si dispiegano gli effetti del Sacrificio già compiuto e quindi subentra anche la funzione della Chiesa con la sua Offerta dell'Hostia pura santa e immacolata, che include non solo il mistero della passione e morte, ma anche quello della Risurrezione e Ascensione, esplicitato nell' Unde et memores, Domine, nos servi tui, set et plebs tua sancta, eiusdem Christi Filii tu, Domini nostri, tam beatae passionis, nec non et ab inferis resurrectionis, sed in caelos gloriosae ascensionis: offerimus praeclare majestati tuae de tuis donis ac datis (non dal frutto della terra e del nostro lavoro)... Mi sembra che l'oltrepassamento e l'oblio di una cosa così fondamentale, cioè del cuore della nostra Fede, sia un dato non trascurabile e tutto da recuperare. E c'è di più... Dopo, nel Supplices te rogamus, il sacerdote chiede : jube haec perferri per manus sancti Angeli tui in sublime altare tuum, in cospectu divine majestatis tuae... ciò che si trova sull'Altare della terra viene portato all'Altare celeste per mezzo dell'Angelo Santo - in origine identificato con l'Arcangelo Michele nella sua funzione presso l'altare degli aromi che in Cristo Signore è unificato con l'altare del sacrificio -, mentre in epoca più recente lo si è identificato nel Signore stesso. E ancor di più, se anche si tratta di un Angelo - come è detto per i Sacrifici antichi e nella De Sacramentis - resta la sublime richiesta che sull'Altare del Cielo vengano portate, dopo la Consacrazione, haec (queste cose), cioè l'Offerta di Cristo e quella dei presenti e di tutta la Chiesa! E - prosegue la preghiera - "affinché quanti per questa partecipazione dell'Altare assumeremo l'infinitamente Santo Corpo e Sangue del Figlio tuo saremo riempiti di ogni grazia e benedizione del Cielo", che scende su di essi dal Trono dell'Altissimo. Ora, che col Novus Ordo si perda tutta questa ricchezza e profondità, non può giungere anche fino a oltrepassare ciò che di più grande e sacro Cristo Signore ci ha consegnato: il Suo Sacrificio, in cui Egli si fa Realmente Presente e operante per la salvezza nostra e del mondo intero, 'passaggio' ineludibile sia per la Risurrezione che per il "Banchetto escatologico" in cui ci nutriamo del suo Corpo e del Suo Sangue Anima e Divinità. All'inizio (nell'immediato dopo-concilio e in parte tuttora) chi viveva/vive la celebrazione con la pre-comprensione cattolica poteva/può anche non farci caso e interiorizzare il dato di Fede genuino e quindi assimilarlo; ma, dopo? Quando si parla di iato generazionale (riconosciuto dallo stesso Benedetto XVI), cosa si intende se non questa a volte diluizione altre volte omissione, che alla fine diventa oblìo, soppressione - come in questo caso - di un elemento fondante della nostra Fede?
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