venerdì 30 giugno 2023

Attualità dell’attimo presente e vecchiume della modernità







Di Silvio Brachetta, 30 GIU 2023

Giovanni Zenone, direttore editoriale di Fede & Cultura, ha centrato bene la questione dell’«attualità»:

«Io sono dell’idea che non si debba sempre inseguire la novità, che non si debba sempre inseguire l’aggiornamento, i fatti del giorno, l’ultimo fatto del momento, le notizie dell’ultimo secondo, perché quella non è la vera attualità. Uno pensa di essere aggiornato e di conoscere l’attualità perché legge i giornali. Innanzi tutto i giornali, quanto meno, sono vecchi del giorno precedente.

E poi, soprattutto, i giornali di che cosa parlano? Parlano delle amanti dell’attore tal dei tali, delle sciocchezzuole politiche che passano. Tutti si riempiono le bocche di parole altisonanti, soprattutto nel campo della politica o dello spettacolo: il nulla assoluto, il vuoto pneumatico.

Io sono arrivato alla conclusione che, per conoscere l’attualità, si debba leggere roba che abbia almeno duemila o più anni. Che so? Leggendo Platone io scopro veramente l’attualità. Cosa vuol dire attualità? Ciò che è in atto, che non passa. Che continua ad esserci.

Quello che leggiamo sui giornali non è attualità: è vecchiume, è ciarpame, è il nulla. Quello che guardiamo in TV è la stessa cosa. Per questo, il rischio in un mondo che vive di cose effimere è anche quello nella Chiesa d’inseguire l’attualità, nel senso deleterio del termine. […]».

L’«atto» dell’attualità è, secondo Aristotele, entelécheia – dal greco en télei echein, «essere compiuto, essere in atto». Quello che è compiuto non passa, ma rimane. Essere attuali significa, pertanto, cogliere l’eterno nel nuovo e nel vecchio, cioè cogliere una verità stabile al di là di ogni storicità e a fondamento delle cose che passano.

La nostra vocazione è di vivere sulla «capocchia di spillo» dell’attimo presente, come diceva Santa Caterina da Siena. La presunzione dei moderni, al contrario, è di fuggire l’attimo presente, poiché sgradevole, e cercare invano l’attimo futuro: invano, perché è un attimo in potenza, non in atto. L’attimo futuro è inattuale, l’attimo passato è consumato – e perciò già vissuto ma, in quanto compiuto, può essere attuale se vi è del vero e del buono.

Il discrimine è il vero e il falso, il buono e il cattivo. Il vecchiume si trova laddove non c’è una verità stabile e un bene. Il vecchiume è spesso nella cronaca. La cronaca, tanto cara alla quasi totalità del giornalismo, è la ricerca fanatica di news, di novità, che decadono immediatamente, per l’assenza di un fondamento, di un logos. La cronaca è divenuta un’appendice del kronos, del tempo in fuga, del transeunte. La cronaca è comunque necessaria, se a monte vi è una lettura della storia extratemporale, cioè nell’orizzonte dell’eternità, di Dio, del kairos. Ma oggi è quasi sempre dannosa, perché l’attualità, come fa intendere Zenone, è stata rimpiazzata dalla corsa maniacale alla novità.

La novità differisce dall’attualità per l’assenza di una prospettiva metastorica: la novità, essendo ritenuta figlia del tempo, diventa immediatamente vecchiume, non appena l’attimo passa. Eppure, quasi per statuto, è diffusa la convinzione di possedere l’attualità per mezzo della rincorsa al nuovo, al cambiamento ininterrotto e inconcludente. Ma nelle mani resta sempre l’inattuale. È imprudente scavalcare l’attimo presente, o rincorrendo quello futuro, o esiliandolo nel passato.

Il giorno successivo all’intervento di Zenone, anche Ernesto Galli della Loggia ha detto qualcosa circa l’attualità, sul Corriere della Sera. Della Loggia non sa bene cosa sia l’attualità, ma sa bene cosa non sia. L’attualità non è quella degli strilloni, che invocano «L’attualità! L’attualità!» nelle scuole. L’attualità non è la guerra in Ucraina: quella è cronaca da gazzetta. Ma è «forse addentrarsi nella bibliografia sui rapporti tra la Russia di Kiyv e la Moscovia».

L’attualità non è l’intelligenza artificiale, ma è forse «esaminare il funzionamento dei complessissimi algoritmi con cui funziona l’AI». Nemmeno l’utero in affitto è attualità. Sarebbe invece forse attuale familiarizzare «con l’azione degli ormoni necessari a facilitare l’annidamento di un feto in un utero o con i problemi giuridici implicati nella gravidanza per altri».

Per l’attualità serve insomma qualcosa di più profondo di un gazzettino (per il quale, peraltro, Della Loggia lavora). Ma i ragazzi che ne sanno degli approfondimenti? – si chiede il professore. Appunto. Introdurre «a scuola l’attualità – scrive – alla fine significa una sola cosa: più o meno ripetere nelle aule scolastiche quello che scrivono i giornali, scimmiottare i dibattiti dei talk televisivi».

I fanatici dell’attualità, nell’incoerenza estrema, non abbandonano le tracce di matura relative a Dante, a Marx o alla rivoluzione francese – che secondo loro sono «inattuali». Perché? Ma perché – scrive Della Loggia – «la scuola si fonda sull’idea che nel complesso la loro conoscenza serva più di ogni altra cosa anche a questo: a capire l’attualità, a orientarsi in essa a farsene un’opinione propria. Si chiama cultura, casomai lo avessimo dimenticato».

Silvio Brachetta







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