di Inos Biffi
La fede come dono, la fede come luce: sono tra i motivi ricorrenti nell'enciclica Lumen fidei ai quali dedichiamo qui alcune riflessioni.
Anzitutto: la fede come dono. Noi -- dichiara l'enciclica -- la «riceviamo da Dio come dono soprannaturale» (n. 4); essa è «virtù soprannaturale da lui infusa» (n. 7), «dono gratuito di Dio» (n. 14). È quanto afferma la lettera agli Efesini: «Per grazia siete stati salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio» (Efesini, 2, 8), e che Tommaso d'Aquino commenta scrivendo: «La fede viene immediatamente da Dio» (Summa theologiae, i, 111, 1); essa «ci viene dal suo amore» (Super Evangelium Iohannis reportatio, cap. 16, lect. 7). Sarebbe però errato concludere che, siccome la fede è un dono, alcuni sono destinati a riceverlo, mentre ad altri, per insondabile arbitrio divino, esso è semplicemente rifiutato. Certo, Dio fa grazia a chi vuole e non deve rendere conto a nessuno delle sue decisioni, che in ogni caso non potranno mai essere in contrasto con la sua giustizia e con il suo amore.
Di fatto, tuttavia, nessun uomo è lasciato senza questo dono. Solo che, per capirlo, occorre collocare e comprendere tale dono all'interno del disegno salvifico cristocentrico.
Secondo questo disegno l'uomo è stato, fin dall'eternità e per pura grazia, progettato su Cristo e a causa di Cristo. Veramente, tutto il mondo, quello visibile e quello invisibile, è stato creato per mezzo di lui, in lui e in vista di lui, e trova in lui il suo fondamento (cfr. Colossesi, 1, 16), così che su tutto fosse «il Primeggiante» (Colossesi, 1, 18).
Quanto all'uomo: è stato scelto da Dio «nel Figlio», prima della costituzione del mondo (Efesini, 1, 4), ed è stato predestinato a essere «conforme all'immagine del Figlio», così da risultare «il Primogenito di molti fratelli». Ma, se è così, vuol dire che il dono della fede è destinato a ogni uomo, dal momento che quel dono coincide esattamente con la comunione con Cristo, con l'essere concepiti e voluti da Dio nel Redentore crocifisso e risorto.
La relazione con Cristo non è, infatti, qualche cosa che si aggiunga alla fede, ma è l'oggetto compiuto della stessa fede. In nessun momento della storia della salvezza, o in nessun momento della storia dell'umanità, c'è stata una fede salvifica che non avesse come suo contenuto Gesù Cristo. Lo asserisce magnificamente l'enciclica: «“Abramo […] esultò nella speranza di vedere il mio giorno, lo vide e fu pieno di gioia” (Giovanni, 8, 56). Secondo queste parole di Gesù, la fede di Abramo era orientata verso di Lui, era, in un certo senso, visione anticipata del suo mistero. Così lo intende sant'Agostino, quando afferma che i Patriarchi si salvarono per la fede, non fede in Cristo già venuto, ma fede in Cristo che stava per venire, fede tesa verso l'evento futuro di Gesù. La fede cristiana è centrata in Cristo, è confessione che Gesù è il Signore e che Dio lo ha risuscitato dai morti (cfr. Romani, 10, 9). Tutte le linee dell'Antico Testamento si raccolgono in Cristo» (n. 15). Ora, l'essere predestinati in Cristo, che equivale all'avere il dono della fede, riguarda l'umanità appartenente all'attuale progetto di Dio e quindi ogni uomo concretamente esistente. Non ci sono due categorie di umanità, l'una puramente “naturale”, estranea alla grazia di Cristo e lasciata in una specie di indifferenza o di disinteresse da parte di Dio, e l'altra, invece, che Dio trova nel Figlio, e cioè l'una, a cui è riservato il dono della fede, l'altra che ne è lasciata priva, anche se dobbiamo riconoscere che non ci è dato di sapere come ogni uomo incontri Gesù Cristo, o meglio sotto quale forma e in quale modo Gesù Cristo, senza del quale semplicemente non c'è salvezza, si faccia incontrare.
Noi ignoriamo le vie del suo amore onnipotente, ma ci è difficile pensare che Dio chiami alla luce un essere umano per lasciarlo senza la possibilità di un tale incontro, da cui dipende la sua riuscita. Possiamo, anzi, giungere a dire che, poiché l'uomo è creato in Gesù Cristo, è creato perché abbia la fede e che la ragione umana, a sua volta, è stata ideata dal principio non in una condizione di “neutralità”, ma con l'inclinazione alla stessa fede, cioè perché sia una ragione credente. Chi della ragione abbia una concezione razionalistica certamente vedrebbe in tutto questo un attentato all'identità e alla purezza della ragione, mentre a operarne la riduzione è proprio la sua “distrazione” da Gesù Cristo, la sua separazione da lui.
D'altra parte, se a ogni uomo è donata la grazia della fede, che lo salva in Cristo, una tale grazia non gli è imposta. Egli ha la libertà di respingerla. L'uomo che non si salverà non sarà quello a cui incolpevolmente non sia stato elargito il dono della fede, ma quello che si sarà chiuso al dono, che ha disdegnato di essere graziato. Scrive sant'Ambrogio, con la genialità che gli è consueta: «La luce vera risplende a tutti. Ma se uno ha chiuso le finestre, si priverà da se stesso della luce eterna. Se tu chiudi la porta della tua mente, chiudi fuori anche Cristo. Benché possa entrare, egli nondimeno non vuole introdursi da importuno, non vuole costringere chi non vuole. Beato colui alla cui porta bussa Cristo. La nostra porta è la fede. È questa la porta per la quale entra Cristo» (Expositio Psalmi cXVIII, 12, 13-14).
(©L'Osservatore Romano 17 agosto 2013)
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