domenica 23 giugno 2013

La coscienza della colpa

 

 

di Padre Giovanni Cavalcoli

 

Dio, autore e legislatore sapientissimo dell’ordine morale, bontà infinita, Dio fedele, evidentemente non deve misurarsi con una legge morale da Lui indipendente, per cui non rischia di compiere atti ad essa contrari dei quali poi pentirsi e nel confronti dei quali sentirsi in colpa, anche se la Bibbia a volte, ma solo metaforicamente, parla di un Dio “che si pente” del male cha aveva minacciato.

Invece per noi uomini, peccatori come siamo, le cose stanno ben diversamente. Dato infatti che la nostra condotta morale è regolata da una legge di natura che non abbiamo istituito noi, ma è stata voluta da Dio nostro creatore, noi, soprattutto in considerazione della nostra inclinazione al peccato conseguente al peccato originale, ci troviamo spesso nella situazione di contravvenire più o meno alla legge divina e quindi di trovarci in quel caratteristico stato d’animo che chiamiamo per adesso approssimativamente “senso di colpa”, ossia quella sensazione di disagio interiore che consegua ad un atto che riteniamo peccato.

Molti però oggi sembrano non provare nessun senso di colpa e vengono in confessionale dichiarando candidamente di non aver nessuna colpa (“non ho fatto niente di male”) e facendo anzi un’apologia del proprio operato, perché stiamo vivendo in un clima psicologico nel quale ognuno, quasi fosse Dio, è convinto di essere l’arbitro supremo della morale, assoluta regola del proprio agire, innocente, e quindi di non aver nessuna colpa, abilissimo però, come si dice, nel “tagliare i panni addosso agli altri” e nell’accusarli di ogni malefatta sentendosi vittime innocenti della loro malvagità.

Può esser vero quanto essi riferiscono. Ma è sempre così in ogni caso? Non sarà che qualche volta le reazioni scontrose ce le attiriamo perché siamo stati noi per primi dei provocatori? Pochi si riconoscono questo fatto.

Ma che cosa è la colpa? Come si riconosce? Qual è il criterio per stabilirla? Come distinguerla dallo stato d’innocenza? Qual è la relazione della colpa col peccato? Come si toglie? Chi la toglie? Vediamo di rispondere brevemente a queste domande.

L’esperienza della colpa è una delle esperienze fondamentali della vita morale, comune a tutti i popoli. Cambiano solo i criteri in base ai quali si stabilisce la colpa. Per quanto si tratti di un’esperienza dolorosa e imbarazzante, è uno dei contrassegni della dignità della coscienza morale. Chi non si sente mai in colpa non è degno di essere chiamato uomo, ma è un demonio o è una bestia. L’ottundimento della coscienza – il “cuore indurito”, come lo chiama la Bibbia – è la cosa peggiore che possa capitare ad un essere umano.

Il negare la propria colpa è tipico dell’orgoglioso e del superbo, il quale, messo alle strette o convinto di colpa, reagisce in modo violento e spavaldo, fingendo in tono di sfida una serenità o addirittura un’allegria privi di qualunque fondamento oggettivo.

Ciò non fa che provocare in lui un profondo conflitto interiore, che vanamente egli cerca di coprire con artifici dialettici (la sintesi “gioia-dolore”) o vorrebbe nascondere ostinandosi nella sua condotta peccaminosa, coccolando coloro che lo adulano o gli ingenui che sono vittima delle sue imposture, e odiando colui o coloro che lo hanno scoperto in fallo, contro i quali egli scaglia i suoi seguaci.

Lo stato del colpevole è ben descritto dalla Sacra Scrittura: “Nel cuore dell’empio parla il peccato; davanti ai suoi occhi non c’è timor di Dio, poiché egli si illude con se stesso nel ricercare la sua colpa e detestarla”(Sal 36,2).

Interessante anzitutto è il collegamento della colpevolezza con l’empietà: cade nella colpa chi chiude volontariamente gli occhi alla legge divina, quindi chi ignora o disprezza Dio o ne nega l’esistenza, con la pretesa di essere lui legge a se stesso. Il colpevole, quindi, l’empio, ascolta il peccato, che qui viene in qualche modo personalizzato: si potrebbe pensare alla parola suadente ed ingannatrice del demonio. In tal modo il colpevole inganna se stesso circa la questione della ricerca e della detestazione della colpa.

Ogni uomo degno di questo nome, dal più primitivo al più evoluto, fa l’esperienza della colpa. Sa quando è in colpa e quando no. Il non sentirsi mai in colpa è una finzione o una forzatura ed è il segno di una profonda perversione morale, oggi purtroppo diffusa e giustificata da false filosofie che predicano una libertà sfrenata ed anarchica o fanno l’apologia della superbia, o da una religiosità ipocrita, come per esempio l’idea sbagliata che Dio, essendo misericordioso, ignora o copre sempre i nostri peccati, ammesso che ne compiamo volontariamente.

Vediamo adesso di rispondere alle domande che ci siamo posti. Che cosa è la colpa? La colpa è uno stato d’animo interiore di disagio, di rimorso, di inquietudine, di turbamento, di tristezza o di confusione, a volte di tormento o di angoscia, nel quale sentiamo il rimprovero della coscienza per aver commesso un peccato.

Abbiamo la sensazione di una ferita nell’anima, un dolore spirituale, così come proviamo dolore nel corpo. L’anima sembra come oppressa e schiacciata. Sentiamo nell’intimo come un peso che ci intralcia e non ci rende disinvolti e sinceri nella nostra condotta verso gli altri.

Ci sentiamo schiavi e non liberi. Ci sentiamo bloccati, come legati, paralizzati. Ci sentiamo interiormente in una posizione scomoda, non ci sentiamo a posto, a nostro agio, sereni e tranquilli, un po’ come uno che fosse seduto non su di una comoda poltrona, ma su di un sedile stretto, duro e disagevole.

Sentiamo che nell’intimo c’è un disordine, un male. Questo male ci fa soffrire, ma la volontà le è rimasta in qualche modo attaccata, sicchè, se da una parte essa vuol liberarsi, per cui cominciamo a pentirci (ecco il cuore “contrito”), dall’altra la stessa volontà non vuole, perchè sentiamo ancora il piacere del peccato compiuto.

E questa contraddizione provoca, soprattutto nelle colpe gravi, una terribile ed insopportabile lacerazione interiore, dalla quale tuttavia finchè siamo nella colpa, ancora non riusciamo o non vogliamo liberarci, uno stato orribile che può farci rischiare la pazzia o gettarci nella disperazione. Lutero ha patito qualcosa del genere, ma purtroppo propone, come vedremo, una soluzione sbagliata.

L’anima religiosa avverte che Dio la rimprovera e, come dice la Bibbia, è “adirato”. Lutero sentiva su di sé quest’ira, ma, siccome non capiva o non voleva capire che essa sarebbe scomparsa solo che egli umilmente si fosse pentito del proprio peccato, siccome aveva sfiducia nel fatto che potesse liberarsi dalla colpa perché sentiva l’attrattiva del peccato e vedeva che sempre ricadeva, si sentiva portato a bestemmiare e ad odiare Dio, da lui considerato cattivo, per cui alla fine, credendo di aver fatto nella lettura di S.Paolo chissaquale scoperta liberatoria, si mise in testa ostinatamente, presuntuosamente ed irragionevolmente, che questo Dio adirato in realtà non esisteva e che il vero Dio era un Dio “buono” che lo lasciava peccare senza adirarsi, quello che egli chiamò Dio “misericordioso”, che sarebbe meglio chiamare un Dio ad usum delphini, un Dio per i nostri comodi, complice dei nostri peccati, impotente a toglierli.

E’ chiaro, diciamo noi, che Dio è misericordioso e più di quanto noi pensiamo e speriamo, ma la sua misericordia consiste appunto nel renderci coscienti delle nostre colpe, nel causare in noi il pentimento e la volontà di ravvederci e di riparare con la fiducia che con la perseveranza e il soccorso della grazia perdonante, purificante ed elevante, un po’ per volta noi ci libereremo dai nostri peccati, che sempre accompagnano tutti gli uomini su questa terra, anche i più santi.

E’ importante a questo punto approfondire il discorso ed essere più precisi nelle distinzioni. Finora ho parlato alla buona di “senso o sensazione di colpa”, il che è sostanzialmente uno stato emotivo, un sentimento, un disagio psichico. Ma qui, per trattare opportunamente il nostro tema, dobbiamo distinguere bene senso di colpa da coscienza della colpa.

Il senso di colpa è una sensazione che ci fa pensare ad un a colpa, la quale però ad un attento esame di coscienza, non esiste. Infatti il senso morale che è innato in tutti noi è qualcosa di istintivo, certo importante, ma che va distinto dalla coscienza morale, soprattutto se educata dall’esperienza e scienza morale illuminata dalla fede.

Ognuno di noi, per esempio in campo sessuale, approva certi atti e prova vergogna o rimorso per altri. Nessuno di noi, anche in una società così permissiva come la nostra, è talmente rilassato da non provar vergogna per certi comportamenti sessuali. Il problema è qual è la regola oggettiva, qual è la norma certa alla quale far capo per distinguere il peccato dall’azione lecita. Non ha senso infatti vergognarsi per un’azione onesta e compiere tranquillante un peccato.

Ma oggi nell’enorme confusione che c’è in questa materia, è difficile orientarsi e sapere con certezza quali sono le norme dell’etica sessuale. Da qui la difficoltà di discernere tra senso di colpa e coscienza della colpa.

Alcuni riducono la questione della colpa al semplice senso di colpa. Ma il senso di colpa non è una guida sufficiente per accorgersi di quando siamo veramente in colpa, perché il senso di colpa è un semplice stato emotivo nel quale la colpa non è colta con un atto riflessivo ovvero con un giudizio della ragione, ma è soltanto immaginata, per cui non è detto che essa abbia un fondamento oggettivo e quindi sia una vera colpa, conseguente a un peccato reale.

Può trattarsi, invece, di un semplice scrupolo infondato, un puro disagio psichico, del quale ci si libera non col pentimento o col sacramento della confessione, ma cacciandolo con energia sulla base della coscienza della propria innocenza e che si tratta di un vano fantasma.

La vera coscienza di colpa, come del resto quella della propria innocenza, dev’essere invece fondata su di un giudizio lucido, oggettivo e razionale d’aver commesso o non commesso un peccato alla luce della legge morale o della volontà di Dio.

Infatti la colpa è uno stato della coscienza conseguente al peccato, così come uno stato morboso consegue al fatto che siamo stati colpiti da un virus. Cessato l’atto del peccato, resta lo stato di colpa, così come una volta entrato il virus nell’organismo, resta lo stato morboso. E come possiamo evitare di farci ancora infettare dal virus, così possiamo evitare di ripetere il peccato.

Per quanto invece riguarda lo stato morboso, abbiamo bisogno del medico. Qualcosa di simile accade nello stato di colpa: qui abbiamo bisogno, per la guarigione, del medico celeste, ossia della divina misericordia che ci ridoni la grazia perduta. Da qui l’importanza del sacramento della confessione.

Volendo restare nell’esempio del peccato sessuale, molto comprensibile da tutti, possiamo osservare che tutti noi, come del resto in ogni campo dell’agire morale, siamo in grado di distinguere, in linea di principio, il bene dal male. Il problema è quello di possedere il criterio giusto, che si fonda soltanto sulla legge morale confermata dalla fede e dalla dottrina della Chiesa.

Tutti noi sentiamo spontaneamente ripugnanza per certi atti e giudichiamo buoni e leciti altri. Quello che invece capita, soprattutto in giovane età, è di seguire solo delle reazioni o degli impulsi istintivi dipendenti o dal nostro temperamento o da influssi ricevuti da altre persone. Il dar retta solo a tali moventi non è garanzia di saper discernere ciò che è veramente peccato e il conseguente stato di colpa.

Fidandoci infatti solo di tali sentimenti istintivi, può capitare che proviamo un disgusto per atti in sé leciti, così come non avvertiamo colpa per atti che invece sono peccato. Per questo è importante una sana educazione sessuale, per la quale possiamo essere in grado di dare una valutazione in base a criteri sicuri ed oggettivi.

Occorre imparare ad acquisire una vera coscienza della colpa eliminando falsi sensi di colpa, oppure, al contrario, è necessario acquistare una giusta coscienza della colpa, laddove il semplice istinto ci suggerirebbe che non compiamo alcun male. Spesso occorre una notevole forza di volontà per correggere i nostri giudizi, una volta che ne abbiamo assodato l’infondatezza.

Infatti l’istintualità sessuale affonda le radici nelle profondità originarie della nostra psiche e soprattutto, se abbiamo acquistato abitudini di giudizio distorte, non è facile ed occorre un lungo esercizio, correggere le nostre valutazioni. Se siamo stati educati in un ambiente rigorista vittima degli scrupoli, dovremo imparare ad avere una giusta stima del sesso; se invece siamo stati educati in un ambiente lassista, dovremo acquisire una giusta coscienza della colpa.

La coscienza della colpa genera una volontà lacerata ed in conflitto con se stessa: una parte di essa, buona, rappresenta la voce della coscienza, che rimprovera ed esorta alla correzione e al bene, ma non ha la forza di vincere la parte cattiva, che si accanisce su quella buona tentando invano di soffocare la voce della coscienza, che sempre risorge, benchè debole.

Però anche la parte cattiva non ha la forza di estinguere la parte buona, sicchè la volontà in conflitto con se stessa, si trova in una situazione tormentosa. A volte un certo senso di colpa appare come voce della coscienza, ma alla luce della ragione, si mostra come infondato.

Il falso senso di colpa può essere radicato, per cui può essere difficile vincerlo. A volte invece è il fascino del peccato che sembra invincibile. La volontà conserva sempre la forza di far cessare questa lotta facendo vincere una parte sull’altra. Normalmente però la volontà si corregge col soccorso della grazia. Se fa vincere la parte buona, il soggetto si libera e trova la pace. Se invece fa vincere quella cattiva, resta il tormento vanamente celato da una falsa pace data dal cedimento al peccato.

Abbiamo in genere la possibilità di chiarire quali sono le nostre colpe, salvo casi dubbi circa i quali occorre fare ricerche, ma bisogna restar tranquilli se non si trova la verità. La coscienza può sbagliare, ma bisogna sempre seguire la coscienza.

La colpa non va giudicata col senno del poi, ossia in base ad uno stadio più maturo della coscienza, ma facendo riferimento a quel livello di coscienza che avevamo quando abbiamo commesso il peccato. Se oggi sappiamo che era peccato quello che abbiamo fatto, mentre allora non lo sapevamo, siamo scusati.

Così per esempio non dobbiamo giudicare la condotta degli inquisitori medioevali con la coscienza più avanzata che abbiamo oggi, ma dobbiamo scusarli facendo riferimento al livello comune di coscienza in quei tempi. Essi erano convinti di far bene e dobbiamo rispettare questa loro coscienza, mentre oggi ovviamente non sarebbe ammissibile usare quella severità che a loro sembrava giusta.

Abbiamo anche la possibilità e a volte il dovere, benchè sia più difficile, di accertare le colpe altrui. Mentre infatti è facile sapere se un peccato lo abbiamo commesso volontariamente o involontariamente, più difficile è stabilire questo negli altri, per la difficoltà di conoscere i condizionamenti interiori ai quali essi sono soggetti.

Questo accertamento è soprattutto dovere dell’educatore o dell’autorità giudiziaria, dove è un crimine incolpare e condannare l’innocente ed assolvere il colpevole. Indubbiamente la responsabilità dell’imputato diminuisce o è annullata, quando si dà in lui incapacità di intendere o di volere o ignoranza giustificata della legge.

E’ possibile compiere un peccato senza saperlo. In tal caso non c’è colpa e il peccatore non è tenuto ad accusare il peccato in confessione, in quanto materia della confessione sono solo i peccati compiuti con avvertenza e deliberato consenso.

Il senso di colpa, una volta che se ne è accertata con obbiettività l’inanità, in mezzo a suggestioni, vani timori o soggettive emozioni, va soppresso con la massima decisione ed energia, alimentando nei suoi confronti una volontaria repulsione e un vero e proprio odio, da coltivarsi con tenacia e perseveranza, finchè la sensazione di colpa non è scomparsa.

Qui si rivela tutta la funzione benefica dell’odio, che nasce dal vero amore di se stessi, del prossimo e di Dio. Giustamente la dichiarazione di questo odio è contenuta in una formula dell’“Atto di dolore” usata nella confessione. L’odio del peccato è salutare, l’odio verso le persone conduce alla dannazione.

 

    http://www.libertaepersona.org/wordpress/2013/06/la-coscienza-della-colpa/#more-122102

     

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