
by Aldo Maria Valli, 06 dic 2025
Finestra di Overton, piede nella porta, rana bollita. Chiamatela come volete, ma la strategia è sempre la stessa: aprire un varco per rendere possibile, e a un certo punto doveroso, ciò che prima era impossibile e impensabile.
Mi riferisco alla al documento di sintesi della Commissione di studio sul diaconato femminile, testo nel quale è applicato il solito trucco modernista. Contraddire apertamente tradizione e disciplina è troppo sfacciato? E allora facciamo così: studiamo la questione. Mettiamo in piedi commissioni. Diciamo che il problema è complesso e i tempi non sono maturi. Intanto instilliamo il dubbio e lasciamo intendere che il cambiamento potrà esserci. Non oggi, non domani mattina, ma forse la prossima settimana sì. Invochiamo il ricorso al discernimento – vera parola magica nel vocabolario modernista – e contiamo sul fattore tempo: i fedeli a poco a poco dimenticheranno le parole chiare di una volta.
I papi l’hanno detto e ridetto: la Chiesa non ha l’autorità di inventare l’ordinazione femminile. Non ce l’ha perché Cristo non gliel’ha data. Il canone 1024 del Codice di diritto canonico non ha bisogno di dilungarsi: “Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile”. Vale sia per il presbiterato sia per il diaconato. Ma allora perché istituire una commissione per esaminare la questione e dire che si sta studiando?
Nel 2016 Francesco ci provò con la prima commissione diaconale. Non ci fu un consenso e allora via con ulteriori “approfondimenti”. Fu nominata una seconda commissione e ora ecco il documento. Di fronte al quale i conservatori esultano: “Avete visto? Porta chiusa”. Non hanno capito. Forse non vogliono capire.
Il documento ricorda che storicamente non c’è alcuna prova di analogie sacramentali tra diaconi maschi e diaconesse, ma poi ecco il pertugio: la storia da sola non dà certezze definitive. La decisione, si spiega, va presa a livello dottrinale. Quindi il giudizio non è definitivo. Quindi ci si può lavorare. Al momento la risposta è no, e probabilmente lo sarà anche domani mattina. Ma non è detto che sarà così anche la prossima settimana.
Il gruppo di studio si è diviso. Il no non è stato unanime. Allora bisogna fare ulteriori indagini. Come scrive Chris Jackson, con buona pace dei conservatori, questo non è esattamente un chiudere la porta a chiave. È un po’ come chiudere la porta e lasciare la chiave sotto lo zerbino, accompagnata da un cartello che dice: “Tornate più tardi, quando cultura e sensibilità si saranno evolute”.
I titoli dei giornali, al solito, sono fuorvianti. ““Il Vaticano dice no alle donne diaconesse”. Poi, all’interno dell’articolo, ecco la vera notizia: “La commissione ha chiesto ulteriori approfondimenti”. Più grave è che anche i media cattolici, o presunti tali, abbiano fatto lo stesso.
I conservatori che esaltano Leone si rivolgono ai tradizionalisti con aria trionfante: “Vedete? Questo papa è dalla nostra parte. Chiusa l’orribile parentesi bergogliana, l’aria è cambiata”. Non vedono, o non vogliono vedere, che è solo maquillage. Non è vero che la commissione ha detto no. La verità è che tutta la faccenda delle commissioni è stata messa in piedi per aprire un pertugio. E verrà il giorno in cui qualcuno solleverà lo zerbino, prenderà la chiave e aprirà quella porta.
Non importa che la tradizione parli chiaro. Non importa che esista un solo sacramento dell’ordine e che il suo soggetto sia un maschio. Non importa che Oriente e Occidente sul punto concordino da duemila anni. Ciò che conta è avviare studi e approfondire, perché la questione, come ogni altra nella chiesa fluida, è aperta, soggetta a evoluzione. Intanto ricorriamo al discernimento, qualunque cosa voglia dire. Tradizione e legge dicono di no? Conta poco. Facciamo vedere che c’è una pluralità di prospettive teologiche e pastorali. La solita nebbia. Perché per la chiesa sinodale non c’è nulla di stabile e vincolante.
E noi fedeli cattolici dovremmo esultare per un finto “no” che è solo un “vedremo”, un “torneremo a riunirci”, un “ci vuole discernimento”?
Davvero vogliamo lasciarci abbindolare così facilmente?
Finestra di Overton, piede nella porta, rana bollita. Chiamatela come volete, ma la strategia è sempre la stessa: aprire un varco per rendere possibile, e a un certo punto doveroso, ciò che prima era impossibile e impensabile.
Mi riferisco alla al documento di sintesi della Commissione di studio sul diaconato femminile, testo nel quale è applicato il solito trucco modernista. Contraddire apertamente tradizione e disciplina è troppo sfacciato? E allora facciamo così: studiamo la questione. Mettiamo in piedi commissioni. Diciamo che il problema è complesso e i tempi non sono maturi. Intanto instilliamo il dubbio e lasciamo intendere che il cambiamento potrà esserci. Non oggi, non domani mattina, ma forse la prossima settimana sì. Invochiamo il ricorso al discernimento – vera parola magica nel vocabolario modernista – e contiamo sul fattore tempo: i fedeli a poco a poco dimenticheranno le parole chiare di una volta.
I papi l’hanno detto e ridetto: la Chiesa non ha l’autorità di inventare l’ordinazione femminile. Non ce l’ha perché Cristo non gliel’ha data. Il canone 1024 del Codice di diritto canonico non ha bisogno di dilungarsi: “Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile”. Vale sia per il presbiterato sia per il diaconato. Ma allora perché istituire una commissione per esaminare la questione e dire che si sta studiando?
Nel 2016 Francesco ci provò con la prima commissione diaconale. Non ci fu un consenso e allora via con ulteriori “approfondimenti”. Fu nominata una seconda commissione e ora ecco il documento. Di fronte al quale i conservatori esultano: “Avete visto? Porta chiusa”. Non hanno capito. Forse non vogliono capire.
Il documento ricorda che storicamente non c’è alcuna prova di analogie sacramentali tra diaconi maschi e diaconesse, ma poi ecco il pertugio: la storia da sola non dà certezze definitive. La decisione, si spiega, va presa a livello dottrinale. Quindi il giudizio non è definitivo. Quindi ci si può lavorare. Al momento la risposta è no, e probabilmente lo sarà anche domani mattina. Ma non è detto che sarà così anche la prossima settimana.
Il gruppo di studio si è diviso. Il no non è stato unanime. Allora bisogna fare ulteriori indagini. Come scrive Chris Jackson, con buona pace dei conservatori, questo non è esattamente un chiudere la porta a chiave. È un po’ come chiudere la porta e lasciare la chiave sotto lo zerbino, accompagnata da un cartello che dice: “Tornate più tardi, quando cultura e sensibilità si saranno evolute”.
I titoli dei giornali, al solito, sono fuorvianti. ““Il Vaticano dice no alle donne diaconesse”. Poi, all’interno dell’articolo, ecco la vera notizia: “La commissione ha chiesto ulteriori approfondimenti”. Più grave è che anche i media cattolici, o presunti tali, abbiano fatto lo stesso.
I conservatori che esaltano Leone si rivolgono ai tradizionalisti con aria trionfante: “Vedete? Questo papa è dalla nostra parte. Chiusa l’orribile parentesi bergogliana, l’aria è cambiata”. Non vedono, o non vogliono vedere, che è solo maquillage. Non è vero che la commissione ha detto no. La verità è che tutta la faccenda delle commissioni è stata messa in piedi per aprire un pertugio. E verrà il giorno in cui qualcuno solleverà lo zerbino, prenderà la chiave e aprirà quella porta.
Non importa che la tradizione parli chiaro. Non importa che esista un solo sacramento dell’ordine e che il suo soggetto sia un maschio. Non importa che Oriente e Occidente sul punto concordino da duemila anni. Ciò che conta è avviare studi e approfondire, perché la questione, come ogni altra nella chiesa fluida, è aperta, soggetta a evoluzione. Intanto ricorriamo al discernimento, qualunque cosa voglia dire. Tradizione e legge dicono di no? Conta poco. Facciamo vedere che c’è una pluralità di prospettive teologiche e pastorali. La solita nebbia. Perché per la chiesa sinodale non c’è nulla di stabile e vincolante.
E noi fedeli cattolici dovremmo esultare per un finto “no” che è solo un “vedremo”, un “torneremo a riunirci”, un “ci vuole discernimento”?
Davvero vogliamo lasciarci abbindolare così facilmente?
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