mercoledì 10 dicembre 2025

Legge sull’eutanasia = tentazione. Eutanasia = peccato gravissimo





Tentazione e peccato. L’ultimo pasto del condannato quale alternativa al banchetto eterno


Di Redazione Blog di Sabino Paciolla, 10 dicembre 2025)


di Alfredo Villa

Il dibattito sull’Eutanasia continua nella sua inutilità tra poli opposti, ognuno sospinto da una propria ideologia sclerotizzata e non potrà mai esserci un punto di incontro, se non con l’approvazione di una legge cerchiobottista che scontenterà comunque tutti.

La Chiesa, nel suo desiderio di apertura, sembra convergere verso quello che è stato definito dalla CEI come il minore dei mali, ovvero tendere verso il sostegno ad una legge dello Stato, che, oltre a non risolvere nulla e senza soddisfare nessuno tra i contendenti, avrà come unico risultato il rafforzarsi delle divisioni all’interno della Chiesa stessa e la continua emorragia di fedeli.

Nella Milano della Vanoni, morta naturalmente, quasi sorprendendo tutti su di un evento che ad oltre novant’anni è per lo meno più che probabile ad ogni istante, si è sempre detto “Ofelè fa el to mesté! e quindi la vera domanda da porsi è perché la Chiesa abbia smesso di fare il suo, soprattutto quando interviene su argomenti, come la sofferenza e la morte, sui quali è più che titolata ad esprimersi.

La mia conclusione, divenuta certezza in occasione dei recenti suicidi assistiti, è che, quando la Chiesa si esprime usa parole che lasciano ampio spazio alle più svariate interpretazioni, perdendosi in un linguaggio e in forme di comunicazione che non le competono o, meglio, sulle quali ha indubbia difficoltà a confrontarsi con il mondo.

Se analizziamo i termini in uso nel dibattito sull’Eutanasia, vediamo di fondo che si parla di vita, dono, libertà, dignità, autodeterminazione, volontà, parole ormai lasciate alla mercè di ogni possibile interpretazione, in quanto divenute prive di significato e senso.

Se vogliamo dare alla Chiesa il beneficio di un’assoluta buona fede nel suo parlare, bisogna riconoscere che i termini di cui sopra, hanno per la Chiesa e per i cristiani un significato chiaro ed inequivocabile e quindi vengono usati con il presupposto che il mondo li comprenda nel loro significato cristiano. Sappiamo benissimo come non sia più così.

Se vogliamo invece vedere un progetto suicida determinato e voluto, in come la Chiesa prende blandamente posizione su questo ed altri temi, e siamo in qualche modo autorizzati a pensare così dallo stesso Cardinal Zuppi che ha decretato recentemente la morte della Cristianità, non possiamo non chiederci perché i rappresentanti della Chiesa utilizzino un linguaggio, che all’ascolto dei più, non ha più alcun significato cristiano, ma anzi rafforzi ed indirettamente confermi, il pensiero mainstream su ciò che significhi, vita, dignità, libertà, volontà ed autodeterminazione.

Ho letto recentemente un intervento di Galimberti sul dono.

In poche parole, affermava, e come gli si può dare torto, che una volta ricevuto un dono, il ricevente ne può disporre liberamente. Quindi quando la Chiesa parla di vita come dono di Dio senza parlare di Croce, Redenzione, Salvezza e Vita eterna, non dice nulla e Galimberti ha ragione.

Quando parla di libertà, senza sottolineare che l’unica, vera, libertà è acconsentire a rinunciarvi in favore della volontà divina, viene automaticamente sottinteso che si tratti di ben altro.

Quando parla di dignità, senza introdurre il concetto della natura divina dell’uomo e della sua chiamata alla santità, dà implicitamente ragione ai vacui paladini di una dignità svilita.

Se la Chiesa, quindi, facesse il suo mestiere, proprio come il pasticcere del proverbio milanese, direbbe cose semplici ed inequivocabili, anche perché la Verità non è mai complessa, in quanto in caso contrario non avrebbe potuto essere rivelata ai piccoli e direbbe che la Verità non può essere né modificata né interpretata, poiché un Si è Sì ed un No è No.

Vi sono due termini che non ho ancora sentito pronunciare dalla Chiesa.

Questi sono Tentazione e Peccato.

Queste due semplici parole non solo definiscono con una precisione assoluta cosa sia una legge sull’eutanasia e cosa sia l’eutanasia stessa, ma hanno il pregio di essere comprese da tutti con facilità.

Per quanto si sia perso il senso del peccato, questo non implica che, quando se ne parla, non si capisca di cosa si stia parlando.

Lo stesso dicasi per la tentazione.

Il fatto che ci si lasci tentare e si cada in quest’ultima con grande facilità non implica che non si sappia cosa sia la tentazione e quando a questa cediamo.

Inoltre, tutti sanno che dare a chiunque la possibilità di guidare una macchina veloce, tenti ogni guidatore ad eccedere in velocità e come aver assecondato a tale tentazione, porti ad un comportamento sanzionabile e che avrà delle conseguenze.

Quello di tentazione e peccato è quindi un concetto trasversale e comprensibile da ognuno anche grazie ad esempi semplicissimi come quello che precede.

Quindi, se sull’argomento della legge sul fine vita e sull’eutanasia la Chiesa dicesse che la prima è una tentazione e la seconda è un peccato, per lo meno sarebbe finalmente comprensibile e compresa, potrebbe convincere gli incerti sulla verità di ciò che dice, soddisfare le aspettative dei fedeli e soprattutto nessuno potrebbe ribattere su concetti, quale tentazione e peccato, sui quali la Chiesa può esprimersi con l’autorità che le compete.

Perché una legge sull’eutanasia sarebbe una “tentazione”.

La storia dell’uomo, che è essenzialmente storia di Salvezza, è sempre stata caratterizzata dalla presenza dalla tentazione quasi che quest’ultima sia una condizione necessaria affinché l’uomo impari a scegliere consapevolmente tra il bene ed il male, tra la Grazia ed il peccato.

Se esiste la tentazione, ovviamente vi è un tentatore, che, in prima persona o molto più spesso attraverso inconsapevoli collaboratori, ha come fine il promuovere continuamente ogni tentazione immaginabile.

Lo scopo della tentazione, che del resto è lo scopo del Tentatore, è indurre l’uomo a peccare per separarlo da Dio e, di riflesso, implicitamente portarlo a sé.

È eccezionalmente raro, per fortuna, che l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, voglia coscientemente separarsi da Lui e quindi affinché questo avvenga, il tentatore deve forzatamente ricorrere alla menzogna.

La modalità classica della tentazione è provare a far apparire buono, razionale, vantaggioso e quando serve, legale, ciò che in realtà non lo è.

Il nutrimento primo della tentazione è quindi la mistificazione della verità, affinché l’uomo allontanandosi da quest’ultima, si allontani, di fatto, anche da Dio.

Nessuno ed in nessuna circostanza è esente dalle tentazioni.

Né l’uomo nel Paradiso Terrestre, né Gesù nel deserto, nel Getsemani e sulla Croce.

La tentazione più grande è, tra tutte, la mistificazione di cosa realmente sia la libertà donata dell’uomo e quindi le tentazioni che chiamano in causa le libertà personali, sono forzatamente le più pericolose e le più difficili da contrastare, perché prendono il dono più grande di Dio, dopo la vita, ovvero la libertà, per dare a quest’ultima una nuova, perversa, interpretazione.

L’eutanasia, quindi rappresenta la peggiore delle tentazioni possibili, perché contemporaneamente, mistifica e stravolge due verità che sono i doni più preziosi di Dio all’uomo, ovvero la vita e la libertà.

Se, sull’eutanasia, i cristiani e la Chiesa si limitassero a dire questo, ovvero che è una tentazione ed un peccato, avrebbero ampiamente adempiuto al loro compito di collaboratori della Verità.

Basterebbe quindi dire con chiarezza che, qualsiasi legge, anche la migliore, che consenta la morte assistita e medicalizzata, è essenzialmente una pericolosissima tentazione e che, per la sua stessa natura, tenderà a favorire il compiersi di numerosi peccati di estrema gravità.

Questo implica che tale legge deve essere considerata e definita dai cristiani, per ciò che è, ovvero una tentazione grandissima e pericolosa che viene proposta all’uomo, soprattutto ad un uomo sofferente e fragile, atta ad indurlo, per disperazione, a cedere, anche comprensibilmente, a tale tentazione ed a desiderare ed a darsi la morte.

È compito dei cristiani e della Chiesa semplicemente rendere attento chi soffre, sia sulla natura specifica e perversa di tale tentazione, che sulle conseguenze gravissime, che il cedere a tale tentazione comporta.

Se questo fosse chiaro ad ogni cristiano e la Chiesa presentasse tale tematica in questi semplici termini, ovvero chiamando le cose con il loro nome, ovvero legge sull’eutanasia= tentazione ed eutanasia= peccato, con poche frasi avrebbe esaurito in modo definitivo ed esaustivo l’argomento, senza lasciare spazio a quel, “di più” così pericoloso.

Il fatto che uno Stato stabilisca delle norme su ogni possibile argomento, tra cui il fine vita dei cittadini, non deve sorprendere.

Il fatto che spesso tali norme non siano di per sé sbagliate e riducano disagi, sofferenze, abusi e quant’altro è possibile.

Il fatto che l’uomo ritenga di disporre di alcune libertà personali per quanto riguarda sé stesso ed il suo corpo mi pare comprensibile.

Lo Stato, inoltre, non è chiamato ad analizzare gli aspetti trascendenti, misteriosi ed eterni che le sue leggi hanno sulle anime degli uomini.

A tale compito escatologico, Cristo ha chiamato la Chiesa ed i cristiani.

La Chiesa non è chiamata a dialogare, esprimersi, prendere posizione e negoziare il maggior bene ed il minor male possibile; è chiamata a cambiare il cuore dell’uomo e, come promesso, il resto verrà di conseguenza ed in abbondanza.

Il mandato divino, che è il proclamare la Verità Rivelata affinché il cuore di ogni uomo si converta a Cristo, è sufficiente per rendere possibile una gioia piena, già qui ed ora e che tale gioia consolatoria è sufficiente per compensare e rendere sopportabile qualsiasi sofferenza, sofferenza che, se vissuta per Cristo, con Cristo ed in Cristo, non porterà a richiederne la sua abbreviazione.

La vittoria di Cristo sulla sofferenza e la morte, può essere quindi attualizzata e resa reale per l’uomo solo attraverso la conversione del cuore ed è solo un cuore convertito che può, vincendo le tentazioni, combattere il peccato e le sue conseguenze.

Senza l’offrire la proposta di conversione all’Amore e senza l’impegno personale di ogni cristiano affinché questa sia resa possibile, venga offerta ed avvenga nel fratello che soffre, l’opporsi all’eutanasia è una richiesta troppo onerosa ed oltretutto sembra che la si faccia cadere dall’alto su chi vive una sofferenza tale da desiderare la propria morte. (Mt 23,4).

Nel mondo, da sempre, lo scacciare i mercanti nel tempio ha solo un effetto provvisorio, mentre, invece, la conversione del cuore di un uomo ha sempre un effetto eterno.

Quindi prima di parlare e negoziare la Chiesa ritorni ad essere accanto a chi muore, magari favorendo la creazione di Hospice cristiani.

Il presentare il suicidio assistito come una tentazione da vincere insieme, il malato e chi lo ama, per poi condividere la gioia del non peccare e la dolcezza della Grazia, avrebbe, a mio avviso, effetti straordinari su chi soffre e soprattutto, avrebbe effetti eterni.

Oltretutto, nel caso di una ferma opposizione di principio, la Chiesa non verrebbe ascoltata e poco potrebbe contro tale norma, se non il poter dire d’aver preso posizione, mentre nel secondo, nello stare accanto ai morenti, i cuori si aprirebbero alle parole di Vita Eterna, che solo Cristo, attraverso la Sua Chiesa può e sa dare.

In questo caso una legge sull’eutanasia e la tentazione che ne deriva sarebbe inutile e se promulgata non verrebbe utilizzata.

Offrire la possibilità legale di interrompere il soffrire, cosa del resto già offerta dalle cure palliative che verranno comunque depotenziate da una legge sul fine vita, al contrario di quanto asserito dal Vescovo Savino, senza, allo stesso tempo, offrire all’uomo la possibilità di comprendere come questa possibilità di porvi fine sia la più terribile delle tentazioni, porterà molti a cedere inconsapevolmente a quest’ultima tentazione ed a credere, così facendo, di esercitare una libertà, che tale non è.

Perché l’eutanasia è un peccato gravissimo

La morte delle sorelle Kessler ha reso al mio spirito plasticamente evidente come e dove, risieda il peccato mortale nel ricorrere al suicidio assistito.

Anche in questo caso, la Chiesa, in maggioranza silente, ha contrastato con parole vuote l’apologia romantica di quella che è stata definita una scelta d’amore.

Leggendo i vari resoconti di un atto che non può non far sentire il nostro animo “triste fino alla morte”, mi ha particolarmente colpito il fatto che l’azione in sé è stata “pianificata con precisione teutonica”.

Ed è nel termine “pianificare” che risiede la natura stessa del peccato mortale che l’eutanasia porta con sé.

E questo a due livelli.

Uno più vicino alla legge dell’uomo, ovvero il concetto di intenzione e premeditazione.

L’intenzionalità e la premeditazione, sono aggravanti non solo agli occhi di Dio, ma anche nei tribunali terreni.

Mentre spesso il suicidio è frutto di disperazione momentanea e di un gesto d’impeto e non è reato, mentre lo è l’istigazione al suicidio, né è sempre considerato peccato mortale dalla Chiesa, questo non si può dire dell’eutanasia, che non è suicidio assistito, ma uccisione premeditata e quindi peccato grave in quanto intenzionale e premeditato.

A quanto precede si deve aggiungere l’aggravante, in termini cristiani, dello “scandalo”, che oltretutto oggi è amplificato dai media, che comporta l’esporre i “piccoli” ad un esempio negativo atto a traviare la loro innata purezza.

È ad esempio, un triste dato di fatto, che una persona straordinaria che accompagno da anni, malata di Sclerosi Multipla ed inchiodata al letto senza la possibilità di muovere neppure un dito, che mai e poi mai aveva accennato al ricorrere al suicidio, anche a causa di una straordinaria santità, dopo le recenti uccisioni di malati con la sua stessa patologia ed inoltre in condizioni fisiche oggettivamente migliori, ne stia parlando con una frequenza allarmante.

Il secondo aspetto che qualifica l’eutanasia come peccato grave è strettamente correlato alla legge divina e credo che si possa parlare di “Peccato contro lo Spirito”.

Il problema non è quello di accettare o no il dono divino della vita, perché già riconoscere che si tratta di un dono di Dio e che a tale dono si rinuncia per mille motivi anche umanamente comprensibili, è un’implicita affermazione dell’esistenza stessa di Dio.

Il male risiede, a mio avviso nell’eleggere se stessi ad unico Dio, quindi in netta opposizione al Suo stesso essere e Volontà, e, proprio per l’intenzione e la premeditazione di cui sopra, porre sé stessi come unica persona a cui rendere conto.

Questo atteggiamento mette in gioco un aspetto essenziale della natura stessa di Dio e quindi, porta alla Sua stessa negazione ed ancor più, se Dio esiste, ad un rifiuto espresso e volontario.

Il corollario di quanto precede è la negazione dell’essenzialità della relazione.

A partire dalla stessa Trinità, il Dio cristiano è pura relazione d’amore.

Tutto l’insegnamento di Gesù poggia sul sottolineare come solo attraverso atti di relazione amorosa, eradicando egoismo, superbia ed indipendenza, si può partecipare, come condizione necessaria ed in costante ed eterna comunione, al Suo Regno.

La metafora del banchetto rende splendidamente comprensibile questo concetto di comunione e condivisione.

D’altro canto, l’eutanasia è il livello più alto di ribellione alla relazione, in quanto, in qualche modo spinge chi la pratica a deificare sé stesso in una autonomia solitaria e ribelle.

L’inferno viene spesso definito come assenza eterna di Dio e solitudine assoluta, dove proprio l’assenza d’amore, che per essere tale richiede un amato ed un amante in un costante ed eterno scambio di ruoli, è la natura stessa della pena.

Che il mondo abbia già svuotato la morte, che è evento comunitario e che non riguarda solo il morente, da ogni significato relazionale, è un triste dato di fatto.

Ma da un livello sociologico, con la promozione dell’eutanasia, si passa a tutt’altro piano, ad un livello spirituale e trascendente, che è quello del peccato grave e mortale, che è tale, proprio perché recide in modo definitivo ogni relazione con Dio e gli uomini.

Dare inoltre a tale peccato un’aura di libertà, scelta e dignità individuale è la perfetta rappresentazione del sepolcro imbiancato, il cui mefitico contenuto, viene inutilmente abbellito da una narrativa, di cui molti saranno chiamati a rispondere.

Quindi dal banchetto condiviso, instaurato su relazioni d’amore, banchetto che è comunione di gioia, banchetto che dovrebbe essere promosso ed offerto da ed attraverso la Chiesa, chiamata ad invitare ogni persona da ogni crocicchio, mentre la preserva dalle tentazioni e rende attenta alla pericolosità dei peccati, si è passati all’allestimento dell’ultimo pasto del condannato a morte, che oltretutto a tale morte di autocondanna e che prova, mentendo a se stesso, ad addolcire un dramma estremo ed assoluto attraverso i “piatti deliziosi “ degli empi.







Nessun commento:

Posta un commento