venerdì 26 maggio 2023

L’iniqua 194 compie 45 anni: ha raggiunto il suo obiettivo?





24 Maggio 2023 ore 10:37



di Fabio Fuiano

La legge n. 194 intitolata “Norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza” è stata varata il 22 maggio del 1978 e abrogò il Titolo X del Codice Penale che sanzionava la pratica abortiva. Lunedì scorso sono dunque ricorsi i 45 anni dalla sua approvazione, dunque, urge ricordare il reale fine di tale norma e condurre un bilancio sulla misura in cui sia stato effettivamente raggiunto.

Nella stesura della 194, contrariamente a quanto si pensi, il legislatore aveva come scopo quello di legalizzare l’aborto volontario nella massima ampiezza possibile. Appare necessario specificare che cosa si intenda per “aborto volontario”, così da non confonderlo col cosiddetto “aborto spontaneo”. Il primo è la diretta ed intenzionale soppressione del concepito nel grembo materno, con relativa espulsione del medesimo (F. Roberti, P. Palazzini, Dizionario di Teologia Morale, Editrice Studium, 1955, pp. 9-10), il secondo è un evento che si verifica naturalmente, senza il concorso della volontà di qualcuno, per cui l’organismo della madre, ordinariamente a causa di una disfunzione patologica, non riesce a portare a termine la gravidanza.

Da un punto di vista morale, nel primo caso l’oggetto (o fine prossimo) dell’atto è la soppressione di un essere umano innocente, nel senso che (a) il concepito e la madre condividono la medesima natura o “sostanza” umana, per cui il fatto che nella madre vi sia una accidentale maggiore quantità di essere non le conferisce un maggior valore rispetto al figlio (R. Amerio, Iota Unum, Lindau, Torino, p. 384-386) e (b) il concepito non si trova nel grembo materno per procurare un danno alla madre: l’aggettivo “innocente” deriva infatti dal latino in-nocere, letteralmente “non nuocere” (M. Palmaro, Aborto & 194, Sugarco, Milano 2008, p. 226).

Nel secondo caso, propriamente, non si può parlare di “atto umano”, perché manca la libera volontà, ma solo di “atto dell’uomo” (similmente al respirare, digerire ecc.) e pertanto «cade al di fuori del dominio della morale» (R. Jolivet, Trattato di Filosofia, Tomo V, Morcelliana, Brescia 1959, p. 13).

Un atto umano, al contrario, viene moralmente identificato dal suo fine prossimo (Trattato di Filosofia, pp. 200-201). Vi possono essere poi dei fini ulteriori (o soggettivi) – dipendenti cioè dal soggetto agente – e delle circostanze in cui il soggetto agisce – che aiutano a definire le condizioni in cui tale atto si effettua, ma che, nel caso dell’aborto, non hanno il potere di cambiare la sua natura intrinsecamente malvagia (Trattato di Filosofia, pp. 204-205). Di fatto, anche se l’aborto venisse compiuto come mezzo per il fine ulteriore di “tutelare la salute della gestante”, il suo oggetto intrinseco, seppur subordinatamente, sarebbe comunque positivamente voluto da chi compie l’atto e ciò non è moralmente lecito.

La 194, sfruttando anche la confusione dei termini, ha legalizzato l’aborto volontario e favorito un contesto culturale in cui l’eliminazione del concepito innocente è considerata perfettamente normale. Perciò, essa è a tutti gli effetti una norma gravemente contraria all’ordine della ragione e alla legge morale naturale. Non avendo ragione di legge, cessa perciò stesso il suo carattere obbligante. San Tommaso d’Aquino direbbe che la 194 è piuttosto una corruzione della legge (Ia-IIae, q. 95, a. 2).

Ad oggi la 194 ha ottenuto tre principali macro-effetti che rientrano pienamente nella sua finalità:

1) ha legittimato la pratica abortiva, definendo una specie di “dogma laico” per cui la donna vanta un diritto di vita e di morte nei confronti del figlio. Ciò, come effetto immediato, ha prodotto circa 6 milioni di aborti, cifra mastodontica, ottenibile sommando gli aborti annuali ufficialmente riportati nelle relazioni del Ministero della Salute sull’applicazione della 194 dal 1978 ad oggi. Praticamente, da sola, è riuscita a spazzare via l’equivalente dell’intera popolazione della Danimarca (secondo i dati del Ministero degli Esteri Danese, 5.9 milioni di abitanti nel 2021).

2) ha legittimato la pratica contraccettiva, strettamente legata al primo punto, giacché aborto e contraccezione nascono da una radice comune: il sovvertimento del fine della sessualità umana, la quale è stata donata da Dio all’uomo non per il piacere creato, ma primariamente per cooperare con Lui all’opera della creazione (da qui il termine pro-creazione). Dom Francesco Pollien (1853-1936) nel suo capolavoro, Cristianesimo Vissuto (Edizioni Fiducia, Roma, p. 52) spiega ad un interlocutore ideale che il piacere creato è come l’olio per le ruote di una macchina: serve a facilitare il meccanismo.

Per tale motivo, esso ha la funzione di facilitare l’atto coniugale, ma non è di per sé un fine del medesimo. Così che, per dirla con Dom Pollien, «colui che si trastulla coi piaceri sensuali, ohimè! Diventa un bruto», fino al punto di uccidere i propri figli per rimuovere la naturale conseguenza di quell’atto.

Con l’avvento della cultura abortista e della 194, è anche aumentata la pratica contraccettiva, in special modo tramite pillole (come quella del giorno dopo – Norlevo – e quella dei cinque giorni dopo – EllaOne) che agiscono secondo meccanismi non solo contraccettivi, ma anche abortivi (R. Puccetti, G. Carbone, V. Baldini, Pillole che uccidono, ESD, Bologna pp. 29ss, 63ss, 115ss). Il risultato è che si verificano una quantità indefinita di aborti nascosti che perciò non possono essere conteggiati dalle relazioni ministeriali, le quali forniscono solo dati circa il numero di scatole vendute (Ministero della Salute, Relazione sulla legge 194/78, dati 2020, pp. 23-25, nel 2020 sono state vendute 283.503 e 266.567 scatole di Norlevo e EllaOne, rispettivamente). I sei milioni di aborti sono in realtà una sottostima.

3) ha legittimato la pratica della fecondazione artificiale, che è l’altra faccia della medaglia rispetto al punto precedente: se prima infatti si è voluto slegare la sessualità dalla procreazione, con questa pratica si slega la seconda dalla prima. La fecondazione artificiale in Italia è disciplinata dalla legge 40 del 2004, a tutti gli effetti figlia della 194, tanto da citare quest’ultima nell’art. 14, commi 1 e 4, quando la si propone come eccezione al divieto di soppressione di embrioni e di riduzione embrionaria di gravidanze plurime.

Negli anni, la Corte Costituzionale ha rimosso i limiti introdotti dalla legge 40, svelandone tutto il potenziale distruttivo (sentenze n. 151 del 2009, n. 162 del 2014, nn. 96 e 229 del 2015). Anche questa legge è intrinsecamente omicida: il tecnico di laboratorio ben sa che le sue azioni libere producono esseri umani quasi certamente destinati alla morte e tali morti sono persino desiderate in un’ottica di prevenzione delle gravidanze plurigemellari (Aborto & 194, pp. 82-90). Non è dato conoscere il numero esatto di tali perdite, ma per un tentativo di stima si veda C. Chiessi, F. Fuiano, F. Scifo, Una difesa della vita senza compromessi, Aracne, Roma, 2020, pp. 228ss. L’aspetto ancor più inquietante della fecondazione artificiale sta nell’immenso numero di embrioni sovrannumerari crioconservati che rimangono imprigionati in quelli che, il grande genetista Jérôme Lejeune (1926-1994), definiva “campi di congelamento” (per un approfondimento sulla crioconservazione si veda G. Brambilla, Riscoprire la Bioetica, Rubbettino, Catanzaro 2020, pp. 269ss).Si può dunque rispondere alla domanda iniziale con le parole del compianto prof. Mario Palmaro (Aborto & 194, p. 47): «Occorre sgomberare il campo da un equivoco piuttosto clamoroso […]. Mi riferisco all’idea in base alla quale la legge 194 sarebbe stata voluta originariamente con ottime intenzioni, e quindi possederebbe in sé un nucleo sostanzialmente “buono”; e che solo nella sua applicazione concreta si sarebbe verificato un equivoco che ne avrebbe capovolto scopi e risultati. Questo giudizio è semplicemente, oggettivamente falso. La lettura della legge 194, la conoscenza degli atti parlamentari che hanno affiancato la sua approvazione, le modalità della sua applicazione, le decisioni della Corte costituzionale e del giudice di merito confermano un dato inconfutabile: la legge 194 voleva legalizzare l’aborto con la massima ampiezza, e questo risultato è stato obiettivamente raggiunto».





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