lunedì 23 settembre 2013

Quella “cultura dello scarto” che il Papa ha denunciato su Civiltà Cattolica





di Carlo Bellieni

Alcuni hanno malinterpretato le parole del Papa espresse nell’intervista a Civiltà Cattolica. Malinterpretando, hanno subito commentato: “Il Papa apre a questo e a quello…!”, “Il Papa non parla più di bioetica!”. Commento sbagliato: le novità non sono nella direzione che pensano loro. Il Papa parla di abbracciare anche chi sbaglia… ma con uno sforzo di ricostruzione di un “io” dell’uomo occidentale distrutto e immiserito, dove sarebbe stravolgente puntare il dito su questo o quell’errore, quando il disastro è dentro.

In questo ci apre il cuore, perché risuonano parole antiche e un’urgenza che avvertivamo e proponevamo da tempo: meno leggi e più cultura che parli al cuore. Bisogna mirare prima a chi fa sbagliare, invece che a chi – per dolore o per solitudine o ignoranza -  sbaglia. Il Papa chiama questa disastrosa cultura che ti porta a sbagliare “cultura dello scarto”, e da buon medico addita la malattia piuttosto che i sintomi; poi richiama anche i sintomi (sfruttamento, abbandono, aborto), ma prima chiama col suo nome la malattia. E’ la cultura dello scarto quello che fa pensare che ci sono persone che devono essere scartate (e non è un’esagerazione: tanti filosofi oggi sostengono che neonati e disabili mentali non sono persone), e se qualcuno poi scarta davvero qualcun altro, è perché – come diceva la Litizzetto in una azzeccatissima satira sulla discriminazione – “il fiammifero in mano glielo abbiamo messo noi”, cioè la società occidentale così come la viviamo e di cui siamo parte.

Il Papa non tace dei temi etici: contestualizza. “Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto”. “Contestualizzare”, dunque dice nell’intervista. Ed è esempio per tutti: mai parlare dell’errore come se fosse un puro fatto di malvagità spuntato come un fungo, ma andare a cercare sempre il perché: un perché da combattere e una persona che sbaglia da abbracciare. Questo è contestualizzare. Altrimenti, continua, si ha una pastorale missionaria “ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza”. Invece nulla deve essere disarticolato, nulla deve essere decontestualizzato, come servisse un mansionario e non una cultura che amando mette in guardia dall’errore, perdona e abbraccia chi capisce di aver sbagliato.

Torneremo sulla cultura dello scarto! Resta qui la soddisfazione di veder premiata una linea: in primo luogo non la legge ma la cultura. Per questo scrivemmo pochi anni or sono il libro “Una gravidanza ecologica” (Ed SEF) in cui con dei chimici ed ecologisti – invece di dare giudizi etici negativi sui soliti temi - puntammo il dito sulla cultura occidentale che genera sterilità per l’ambiente insalubre, per il rimandare obbligatorio dell’età feconda, e per dare come unica soluzione invece della prevenzione della sterilità la sua incompleta soluzione medicalmente assistita. Per questo da anni ho parlato e scritto che il problema è risolvere quella che io chiamavo “la cultura del rifiuto” in cui nessuno ormai è in grado di accettare se stesso e il diverso, e che crea rifiuti urbani, problema ecologico emerso prepotentemente da 50 anni.

E’ la cultura del rifiuto di cui parlavano Zigmunt Bauman e tanti ecologisti, che produce rifiuti umani e rifiuti urbani. Il termine “rifiuto” è pari al termine “scarto”, traduzione entrambi del termine “cultura del volquete” che papa Bergoglio usava quando era a Buenos Aires… e il volquete è il camion della immondizia! Come scrivevo sull’Osservatore Romano il 3 febbraio, “La ’società del rifiuto’ consuma e scarta, finisce per farlo con le stesse persone, diventando autodistruttiva. E nella prima era in cui l’uomo produce rifiuti in maniera irresponsabile, è significativo l’allarme di Zygmunt Bauman: accanto a quelli urbani, la società consumistica produce “rifiuti umani”, entrambi assimilati da una presunta inutilità. Senza rispetto per la vita non si ama l’ambiente e il bene dell’uomo, e senza un amore che comprenda ambiente e scelte sociali a favore di chi ha bisogno, la difesa della vita resta zoppa. Invece scelta per la vita e scelta per l’uomo vanno di pari passo; non a caso laici e credenti si sono incontrati fianco a fianco in alcune lotte contro le manipolazioni genetiche o contro la brevettabilità degli esseri viventi, incontro che potrebbe continuare in tanti altri ambiti dell’alba e del tramonto della vita. Non è un incontro impossibile.”

Dalla condanna della cultura che fa sbagliare nasce anche un abbraccio che arriva a tutte le “periferie”: quelle di chi sbaglia e deve essere redento, quelle di chi è emarginato per la povertà… ma anche quelle di chi è emarginato perché resiste e non accetta di fare lo “scartatore”: la persecuzione è nelle nostre scuole, uffici, ospedali verso chi si oppone con le parole e i gesti ad un mondo che “scarta”.  Prima la cultura, poi le leggi, ci mostra il Papa… perché questo è l’ordine logico, e perché i primi cristiani non si misero a far leggi ma a far comunità, a fare un mondo nuovo; le leggi poi furono la conseguenza ovvia.
Ma non si illuda qualcuno che il Papa guardi di buon occhio quello che sa tuttavia perdonare.




http://carlobellieni.com  21 Settembre 2013

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