Nel 1529 Papa Clemente VII incaricò il cardinale Francesco Quignonez di riformare il breviario romano. Di per sé nulla di particolare. Il breviario, così come la liturgia, si è sempre sviluppato nella Chiesa. Il problema, di allora come di oggi, è su come venga interpretato questo sviluppo. Se in maniera organica, naturale, che dobbiamo curare e custodire, o in maniera arbitraria e che possiamo fare della liturgia ciò che vogliamo, distruggendo anche parti e inventandone altre.
Come riporta il prezioso saggio di Alcuin Reid Lo sviluppo organico della liturgia (Cantagalli, 2013), secondo il cardinal Quignonez tale riforma doveva “sistemare le ore canoniche in modo da riportarle per quanto possibile alla forma antica, espungere dall’ufficio prolissità e particolari difficili; doveva essere fedele alle istituzioni degli antichi Padri e togliere al clero ogni motivo di ribellarsi contro l’obbligo di recitare le preghiere canoniche”. Papa Paolo III, nel 1536, ne permise la pubblicazione, specificando tuttavia come questo breviario fosse destinato alla sola recita privata. Breviario, però, che subì notevoli critiche, sia per come fu riformato, sia per i principi che mossero quella riforma. Tanto che, successivamente, papa Paolo IV nel 1558 e san Pio V nel 1568, lo ripudiarono e ne impedirono l’uso.
Come nota Alcuin Reid, ed è quello che qui ci interessa perché sono le stesse questioni che dilaniano la Chiesa oggi:
“È significativo che il breviario di Quignonez, elaborato su richiesta della Sede Apostolica e da essa debitamente promulgato, fosse nondimeno considerato come passibile di critica. Il ripudio di questo breviario per rescritto da parte di Paolo IV nel 1558, e la successiva prescrizione a opera di san Pio V nel 1568, sono la testimonianza più importante nella storia liturgica della priorità attribuita allo sviluppo organico della liturgia rispetto all’approvazione dell’autorità competente.”
Il sacerdote Pierre Batiffol nota come “Paolo IV capiva meglio di Clemente VII o di Paolo III le condizioni per una buona riforma del breviario […] cioè, che tale riforma fosse un ritorno non a un’antichità ideale come quella sognata da Quignonez, ma alla tradizione antica rappresentata dalla liturgia attuale”. Il centro della questione, come riassume Alcuin, è: “Il vescovo di Roma ha certo autorità di autorizzare e confermare le riforme liturgiche, dobbiamo chiederci: egli ha il ruolo di confermare la tradizione liturgica autentica e gli sviluppi conformi a essa, o è la sua conferma che di per sé conferisce autenticità, senza riguardo alla tradizione liturgica?” Questo è il nocciolo della questione. Oggi come allora assistiamo, seppur a distanza di cinquant’anni, ad una liturgia che sembra (mi astengo, per ora, da un personale giudizio) non corrisponda ad uno sviluppo organico della liturgia, bensì ad un’innovazione esasperata e, soprattutto, arbitraria. I novatori in questo si scoprono molto papalini e, siccome il papa ha debitamente approvato, non se ne può nemmeno discutere.
La storia, come visto, dimostra il contrario. Così come dimostra il contrario la storia recente, visto che gli stessi finti papalini di cui sopra, sono gli stessi che ignorano la volontà, l’autorità e il magistero di Papa Benedetto XVI che ha stabilito determinate cose in maniera liturgica. Aldilà delle volute miopi analisi dei commentatori di cose vaticane, proni più al potere che alla verità, che non sono in grado di notare le anomalie e le differenze, oggi nella Chiesa un problema liturgico c’è. Per alcuni è un problema che, a furia di proibizioni, commissariamenti e becero disprezzo, con il tempo si risolverà. Per altri il problema non sussiste. Per altri ancora il problema c’è e la soluzione sta nella Tradizione della Chiesa.
La storia, così come la teologia e il buon senso, dimostrano che si può e si deve intervenire. Con il presupposto fondamentale che sia chiaro a tutti che “Il papa non è un monarca assoluto la cui volontà è legge, ma piuttosto il custode dell’autentica Tradizione e perciò il primo garante dell’obbedienza“ [J. Ratzinger] e “L'autorità del papa non è illimitata; essa sta al servizio della santa tradizione”. [J. Ratzinger]
Il Papa è custode, padre e pastore. E come tale deve difendere ciò che anch’egli ha ricevuto. La liturgia, come la storia della Chiesa, è una. Che cresce nel tempo e si sviluppa certo, ma in maniera organica. Un seme di grano non può diventare un albero di mele. Un sacrificio non può diventare una cena. La storia della Chiesa conosce un solo sviluppo, non può esserne ignorata una parte che non piace, mettendola tra parentesi. C’è chi sostiene, e coerentemente inventa liturgie ad hoc di questi suoi eretici convincimenti, che la storia della Chiesa e della liturgia si sia interrotta nel 313 e sia ricominciata nel 1962. E da questi presupposti rimproverare una presunta corruzione della Chiesa e della sua liturgia.
Che poi, con quell’onestà intellettuale che latita da troppo tempo, qualcuno dovrebbe spiegare come mai chi sostiene che la storia della Chiesa si sia interrotta fino al 1962 sia in (apparente, ma non sostanziale) comunione con Roma e chi sostiene che dal 1962 si sia interrotta, no. Lo comprova l'immagine sottostante, tratta da una catechesi del Cammino neocatecumenale, senza neppure sfiorare la vexata questio del loro sincretistico rito.
Daniele Di Geronimo
http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2013/09/come-si-sviluppa-la-liturgia.html?m=1
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