martedì 8 novembre 2022

Razzismo, fascismo, omofobia, novaxismo e "political correctness"







di Michele Gaslini

Già negli anni '50, si osservava come, da parte degli apparati statuali, si fosse dato sempre più luogo ad attività propagandistiche, intese a «… creare l’opinione pubblica…», ovvero, per altro verso, «…mediante la propaganda, e attraverso i mezzi che la scienza mette a […] disposizione, a togliere all’individuo la possibilità di un proprio pensiero…» (CAPOGRASSI, L’ambiguità del diritto contemporaneo, in A.A. V.V., La crisi del diritto, Padova, 1953, pp. 23 alla nota 7 e 30 s. ); il che, in termini obiettivi, stava ugualmente a significare una manipolazione dell' "opinione pubblica" medesima, condotta a seconda di uno schema dialettico conseguente all'utilizzo di «…una argomentazione formulata senza rispetto della verità, usando menzogne o esagerazioni, o nascondendo parte della verità, e appellandosi a quelle emozioni che da un punto di vista umanistico sono le meno lodevoli: cupidigia del potere, odio, paura, gelosia, viltà…» (ROSS, Diritto e giustizia, trad. it., Torino, 1965, p. 299).

In ogni caso, ecco che, su questa maggiore premessa data dalla suddetta martellante azione propagandistica (contrastante o, quanto meno, del tutto estranea, rispetto a qualsivoglia "spirito di Verità"), si era altresì considerato come lo Stato, in luogo di limitarsi, come per l’innanzi, a richiedere ai proprî consociati la condivisione di un comune minimo etico, pretendesse finalmente di « … considerare vero e completo cittadino solo l’aderente alle opinioni di maggioranza … » (JEMOLO, La crisi dello Stato moderno, ne L’ambiguità del diritto cit., pp. 100 e 104 ): in altri termini, poteva essere considerato "cittadino optimo jure" soltanto chi avesse aderito a quelle opinioni "di maggioranza" che, attraverso la sua attività propagandistica, lo Stato fosse riuscito a far divenire tali, oppure (assai più realisticamente) a quelle opinioni che l'entità statuale medesima volesse ufficialmente fingere di potere così far considerare.

È proprio di talché che è venuta a prendere praticamente luogo, per usare un’efficace espressione schmittiana, una materiale «…estromissione dalla comunità di pace…» di chi non aderisca alla tale opinione di maggioranza, pur senza generalmente apporsi, a solenne suggello di ciò, un esplicito atto di formale sanzione afflittiva, poiché «…ad un sistema sociale […] "civilisé" non mancano certo “indicazioni sociali” per liberarsi di minacce indesiderate o di uno sviluppo non voluto…», ovvero, per rendere il «…“disturbatore” […] non pericoloso in modo “pacifico non violento”: detto in termini concreti, per farlo morir di fame, se egli non si rassegna spontaneamente…» (SCHMITT, Le categorie del ‘politico’, trad. it., Bologna, 1972, pp. 130 e 132 s.).

Ciò posto, i termini di "fascista", ieri, come di "razzista" o di "omofobo" o di "no vaxista", oggi, stanno soltanto a significare la tendenziale esclusione sociale del soggetto che non si sia piegato all'attività della propaganda esercitata dallo Stato, il quale, appunto, anche mediante i mezzi mediatici che in pratica monopolizza, attraverso tali epiteti qualificativi, addita lo specifico individuo alla pubblica esecrazione, come persona "moralmente deviante"; in quanto tale, da assolutamente emarginarsi dal contesto dei rapporti civili ed umani.

Ma, a questo punto, ATTENZIONE! A voler ciò pretende di non essere lui, lo Stato, ed il superiore interesse tutelato si deve fingere che non sia quello, assolutamente solo ideologico, che si rivela come esclusivamente proprio a quelle forze politiche che egemonizzano l'istituzione statuale! Ma il tutto viene ad essere strumentalmente addebitato a delle superiori esigenze etiche, che direttamente si estrinsecherebbero nella "political correctness" ed esiste qualcuno, purtroppo, che addirittura riesce a realmente convincersene... 









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