domenica 16 gennaio 2022

L’oratorio, il luogo dove ho (quasi) perso la fede





Riprendiamo da Messa in latino del 16 GENNAIO 2022


Trovato in rete in un interessante Blog.
Bellissimo.
Riflessioni che dovrebbero leggere i nostri sacerdoti new wave che parlano di raccolta differenziata, di Greta e di campi rom e che hanno "l'odore delle pecore" solo nelle sale convegni.
Il cuore della crisi è questo:
«Basare la pastorale sui “valori” (l’amicizia, la fratellanza, la solidarietà, la bontà, etc.), usando “il divino” (la vita in Cristo, i sacramenti, la grazia, la preghiera, etc.) come un soprammobile».
Diceva Ildefonso Schuster (1880-1954), monaco e cardinale italiano:
"Il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi, ha paura invece della nostra santità".
Luigi



Salesalato, autunno 2021

Prima che qualcuno si allarmi (*) vorrei fare una precisazione: questa pagina non parla degli oratorî in generale…
(*) (o prima che qualche animatore ACR/salesiano/COR/quello-che-ve-pare mi prenda in antipatia e mi tolga il saluto)

…quello che vorrei fare, in punta di piedi, è spendere due parole sulla mia personalissima esperienza in oratorio.


1 • La fede è un pessimo “prodotto” da vendere (?)



Partiamo dall’inizio. Nell’oratorio in cui ho passato tutta l’infanzia e l’adolescenza, l’idea alla base della pastorale rivolta ai ragazzi era più o meno questa:
La fede cristiana è un pessimo prodotto da vendere nel terzo millennio.
Però in qualche modo la parrocchia dobbiamo riempirla, sennò che figura ci facciamo?
Cerchiamo quindi un modo per accalappiare i gggiovani, facendo però attenzione a tenere «certe parole di Gesù» o «certi insegnamenti della Chiesa» in un angolo, nella penombra, che sennò poi le persone si turbano e si allontanano…




Insomma, ho sempre avuto l’impressione che la proposta di fede che mi veniva rivolta da ragazzo fosse:
tiepida, sbiadita, all’acqua di rose: man mano che crescevo, mi rendevo conto che avevo sete di radicalità e di cose grandi… e il mio oratorio era l’ultimo luogo al mondo dove le avrei trovate!
Puerile, bambinesca, cringe: mi ha colpito molto ciò che ha detto don Andrea Lonardo quando era responsabile dell’ufficio catechistico qui a Roma: una bambina di quarta elementare a cui faceva catechismo aveva già letto tutta la saga di Harry Potter (cioè più di 3600 pagine)… mentre noi continuiamo a proporre ai bambini attività infantili: «prepariamo un cartellone», «coloriamo Gesù», «facciamo le coreografie», etc.


Vuota, insipida, petalosa: gli animatori si riempivano la bocca di parole come «amicizia», «condivisione», «fratellanza»… ma non dicevano nulla di diverso da quello che oggi un adolescente potrebbe sentire su Youtube, Netflix o TikTok (*).


(*) (O nulla di diverso da quello che io all’epoca sentivo in televisione su Solletico, Bim bum bam o la Melevisione)


Qualche anno fa, Marko Ivan Rupnik constatava amaramente che:
"Una volta la fede in Europa ha ispirato tutta la cultura, come un lievito.
E, ancora più indietro, all’inizio del cristianesimo, una comunità cristiana piccola, perseguitata ed estremamente varia, assortita, senza nessuna identità storica e senza appartenere a nessuna cultura, ha scardinato il potente sistema educativo classico, che aveva vinto e assoggettato tutte le altre tradizioni culturali…
Oggi, invece, stiamo scimmiottando il mondo quasi in tutto […]."
(MARKO IVAN RUPNIK, L’arte della vita : il quotidiano nella bellezza, Lipa, Roma 2011, p.17)


2 • Gesù: un soprammobile tutto sommato superfluo (?)


Nella mia parrocchia, la linea educativa che veniva seguita in oratorio era più o meno questa:
«Innanzitutto parliamo ai ragazzi dei valori: l’amicizia, la fratellanza, la giustizia, la solidarietà, l’inclusività, il pericolo della droga, il problema del bullismo, il dramma della raccolta differenziata, la catastrofe della mattanza dei delfini alle isole Fær Øer, etc.»
«Poi (ma solo se avanza tempo) possiamo parlare (se non diamo fastidio a qualcuno) della vita in Cristo, della grazia, dello Spirito Santo, dei sacramenti… ma così, en passant, a mo’ di soprammobile…»
«Se però non riusciamo a passare dal punto 1 al punto 2, poco importa: l’essenziale è che ci sia il primo. Quello basta e avanza per essere brave persone»


Mi sembra proprio di sentire l’eco delle parole del sacerdote responsabile dell’oratorio:




Ora la sparo grossa.
Pistola alla tempia, se mi dovessero chiedere qual è il nocciolo della crisi della fede, il problema che la pastorale sta vivendo da mezzo secolo a questa parte, il motivo per cui i seminarî sono sempre più vuoti (*), il mondo sempre più secolarizzato, i preti sempre più insipidi, etc…


(*) (parafrasando un pensiero di padre Tomáš Špidlík: «Dio è un Padre buono! E volendo bene ai suoi figli, cerca di salvarli… non di mandarli allo sbaraglio in seminario!»)


…direi (timidamente e in punta di piedi) che il cuore della crisi è questo:
«Basare la pastorale sui “valori” (l’amicizia, la fratellanza, la solidarietà, la bontà, etc.), usando “il divino” (la vita in Cristo, i sacramenti, la grazia, la preghiera, etc.) come un soprammobile».


Per la cronaca – questo pensiero non è farina del mio sacco (ché io sono un povero somaro che disegna fumetti nel tempo libero), ma una amara constatazione di padre Marko Ivan Rupnik:
Negli ultimi secoli anche noi abbiamo fatto nostro una specie di umanesimo radicale […].
Con questo bagaglio e operando nello stesso modo in cui opera il mondo, vogliamo tuttavia mettere sempre un timbro religioso sopra alle nostre cose.
Il risultato non può essere che il provocare una sorta di allergia al religioso, perché attraverso questo modo di fare l’umano non coglie il divino come liberante, come redentore dell’umano, ma come un formalismo soffocante, come un moralismo culturale, e alla fin fine come un soprammobile, dunque qualcosa di non indispensabile, di cui ci si può sbarazzare senza problemi.
Perseguire un’idea di evangelizzazione come una macchina potente che si muove attraverso una serie di opere istituzionali della stessa natura delle strutture del mondo, ma con una leggera verniciatura religiosa, non favorisce la pretesa di coscienza di questa situazione dell’umanità bisognosa di salvezza, che invoca un incontro libero d’amore con il divino.
[…]
Insistendo testardamente su questa via, invece di aiutare l’uomo a leggere sé stesso e la propria situazione, lo disturbiamo provocando continuamente delle reazioni di difesa per dimostrare che quelle stesse opere che noi proponiamo le riesce a fare anche lui, ma senza il giogo cristiano addosso.

(MARKO IVAN RUPNIK, L’arte della vita : il quotidiano nella bellezza, Lipa, Roma 2011, p.44-45)



4 • Il «menù» della parrocchia… senza l’Ingrediente Principale


Vladimir Solov’ëv (1853-1900), filosofo e teologo russo (*), un paio di secoli fa scriveva queste righe:
(*) (Uno dei più grandi teologi del ‘900, Hans Urs von Balthasar, una volta disse che Vladimir Solov’ëv, insieme a Tommaso d’Aquino, è «il più grande artefice di ordine e di organizzazione nella storia del pensiero»)
"La religione attuale è una cosa molto misera, anzi non esiste affatto come principio dominante, come centro di gravità spirituale, e al suo posto abbiamo la religiosità come umore personale e gusto personale che alcuni hanno e altri non hanno, come ad alcuni piace la musica e ad altri no.
Perché ci manca un centro assoluto, si moltiplicano i centri relativi e temporanei della nostra vita e coscienza, i bisogni e gli interessi vari, i gusti e le mode, le opinioni e le concezioni".

(VLADIMIR SOLOV’ËV, Lezioni sulla divinoumanità, Lezione I, tr. it. (or. russo 1877-1881) in Id., Sulla Divinoumanità e altri scritti, Milano 1971, p.61-62)


Spesso le parrocchie sono diventate luoghi di aggregazione sociale, dove si organizzano le attività più disparate:
il cineforum
il corso di teatro
la grigliatona in cortile
il seminario per imparare a fare la pizza
la visita etologica al campo ROM
la gara di rutti


Tutto questo viene fatto per «stare insieme», per «fare gruppo», per «non occupare spazî ma avviare processi» (*) e per mille altri motivi (uno più legittimo dell’altro, eh!)… peccato che nell’“offerta formativa parrocchiale” spesso manchi proprio l’Ingrediente principale (come lo chiamano i miei amici Giuseppe e Anita): una relazione radicale con Dio, una vita di preghiera intensa, un incontro reale con Cristo, l’esperienza concreta del suo amore che passa attraverso i Sacramenti, etc.




Diceva Rupnik:
"Siamo molto, molto testardi.
Facciamo tutto come il mondo e secondo il mondo, e sopra mettiamo un cappello religioso.
Così rendiamo ridicola la fede e, invece di manifestare il suo ruolo centrale, un ruolo simile a quello del cuore, la riduciamo ad una realtà di gesti e di umori individuali, di stati psichici, o a un insieme di valori declamati, cioè all’esercizio di un influsso culturale.
Infatti, ci siamo ormai abituati a pensare alla religione come ad un fattore sociale, coesivo, utile per promuovere i valori.
Allo stesso modo, talvolta la identifichiamo con una sorta di igiene interiore, che va di pari passo con la psicologia, con la psicoterapia, con la dieta, con il benessere generale, facendo così coincidere la religione con un trattamento degli stati d’animo dell’individuo".

(MARKO IVAN RUPNIK, L’arte della vita : il quotidiano nella bellezza, Lipa, Roma 2011, p.46)


Che poi, oh, sarò strano io, ma a me quando ero ragazzino tutto quell’entusiasmo e quei sorrisoni a 32 denti in oratorio mi facevano salire un brivido di inquietudine lungo la schiena…


Un disagio difficile da spiegare…




Conclusione


Disclaimer:
No, non ce l’ho con gli oratorî
No, non c’è nulla di male se i bambini in oratorio colorano cartelloni
No, non c’è nulla di male se i ragazzi in oratorio giocano a «ruba bandiera» o a «schiaccia sette»
No, non c’è nulla di male se si organizza il «cineforum» in oratorio
Sì, il problema è se Cristo c’è o non c’è nelle cose che si fanno all’oratorio
Sì, il problema è se gli animatori dell’oratorio portano Cristo o no
Sì, il problema è se gli educatori dell’oratorio non vivono una vita in Cristo radicale
Sì, il problema è se chi accompagna i più piccoli alla fede non ha mai incontrato Cristo


Giovanni Bosco faceva giocare i bambini… ma aveva una relazione viscerale col Carpentiere Galileo.


Filippo Neri (che – mi dispiace – non c’entra un tubo con quello interpretato da Gigi Proietti… se avete tempo, leggetevi un libro serio su di lui) era un uomo che aveva preso sul serio il combattimento spirituale… e infatti profumava di Cristo.


Se gli animatori/educatori/responsabili degli oratorî non vivono una vita in Cristo, si vede.


Se non pregano, non ricevono la grazia dai sacramenti, non si ritagliano del tempo per stare con Lui, si vede.
Se non hanno il Suo odore, si sente.
Se hanno l’odore del mondo, si sente.
~
Diceva Ildefonso Schuster (1880-1954), monaco e cardinale italiano:
Il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi, ha paura invece della nostra santità.








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