martedì 17 ottobre 2023

Se la pastorale cozza con la dottrina, peggio per la dottrina




Il primato dell'ortoprassi, anzi dell'eteroprassi figlia dell'eterodossia è il leit-motiv del Sinodo sulla sinodalità: non cambiare nulla (apparentemente) perché cambi tutto.


BABELE SOLA ANDATA

ECCLESIA 



I lavori del Sinodo procedono. Tra le tematiche trattate, come ha spiegato nella conferenza stampa dell’11 ottobre scorso il dottor Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione e capo della commissione d’informazione del Sinodo, c’è quella della “identità sessuale”. A tal proposito l’Instrumentum Laboris si pone queste domande: «Come possiamo creare spazi in cui coloro che si sentono feriti dalla Chiesa e sgraditi dalla comunità possano sentirsi riconosciuti, accolti, non giudicati e liberi di fare domande? Alla luce dell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris laetitia, quali passi concreti sono necessari per andare incontro alle persone che si sentono escluse dalla Chiesa in ragione della loro affettività e sessualità (ad esempio divorziati risposati, persone in matrimonio poligamico, persone LGBTQ+, ecc.)?» (qui una nostra riflessione su queste domande).

Ruffini si è premurato subito di tranquillizzare tutti e, buttando acqua sul fuoco, ha dichiarato che questo tema sarà «affrontato con responsabilità e comprensione rimanendo fedeli al Vangelo e agli insegnamenti della Chiesa». Faccia ben attenzione il lettore a questo espediente retorico che verrà utilizzato per tutti gli anni che durerà il Sinodo: si continuerà a dire che la dottrina non verrà cambiata, ma la prassi sì. E ciò che importa a buona parte dei sinodali è cambiare la prassi, ossia la pastorale. Cambiando i costumi, prima o poi si costringerà la dottrina a mutare anch’essa.

Ma torniamo al dott. Ruffini: il tema specifico di cui si stanno occupando alcuni membri del Sinodo è «come incarnare la pastorale nel caso dell’amore tra coppie gay e coppie divorziate, rimanendo fedeli agli insegnamenti della Chiesa». Ecco che già esprimendosi così non si è fedeli all’insegnamento della Chiesa perché non si può parlare di amore omosessuale sia perché la relazione omosessuale è infeconda sia perché manca di complementarietà. Così il Catechismo della Chiesa Cattolica: gli atti omosessuali «precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati» (2357). Usare il termine “amore” invece fa passare l’idea che l’affetto omosessuale sia una naturale variante dell’amore umano che però alcuni cattolici fanno fatica ad accettare. Love is love, per dirla in breve.

Ruffini così prosegue: «Riguardo a questo tema alcuni hanno chiesto un maggiore discernimento per l’insegnamento della Chiesa in materia di sessualità, mentre altri hanno detto che non c’è bisogno di questo ulteriore discernimento». La segretezza che circonda i lavori del Sinodo non ci permette di sapere se vinceranno i filo-discernimento o gli anti-discernimento. Ma siamo facili profeti nel prevedere che i primi avranno la meglio. Secondo appunto. Ecco una parola talismano del Sinodo: discernimento. Ossia indicare un principio morale o di fede diverso da quello indicato dalla dottrina. La coscienza non è più la voce di Dio che guida nel contingente e che declina i principi generali di morale e fede nel caso particolare – la verità particolare – ma è voce dell’arbitrarismo che eleva a principio morale le voglie del soggetto particolare.

Michael Haynes di Life Site News ha chiesto poi al cardinale Gérald Lacroix, membro della segreteria generale del Sinodo che era presente alla conferenza stampa, se i membri del Sinodo dovessero promettere di aderire all’insegnamento cattolico nel corso delle loro discussioni. Il cardinale ha così risposto: «oggetto del Sinodo, come sapete, non è affrontare aspetti dottrinali ma guardare ai nostri atteggiamenti e al nostro modo di discernere, imparare a viaggiare insieme e una volta tornati a casa potremo affrontare tutte queste problematiche».

A qualcuno pare che abbia eluso la domanda, ma in realtà non è così. Lacroix infatti ha risposto che oggetto del sinodo sono aspetti pastorali, soluzioni pratiche individuate tramite discernimento per risolvere alcuni problemi. Quindi – è il sottinteso – perché chiedere un giuramento di fedeltà alla dottrina se il Sinodo non si occupa di questioni dottrinali? Perché, così ci permettiamo di rispondere, o la pastorale è declinazione pratica degli insegnamenti della Chiesa, è la dottrina in azione ed è dunque fedele nelle soluzioni trovate ai principi di fede e morale del Magistero perenne, oppure se ne discosta e quindi sfocia non nell’ortoprassi, ma nell’eteroprassi, figlia dell’eterodossia. Dato che l’orientamento del Sinodo è quello di agire in difformità alla dottrina, è chiaro che si è evitato di far giurare fedeltà al Magistero ai membri del Sinodo.

L’intento di scardinare la dottrina è poi provato dal fatto che la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva già indicato quali sono le linee guida da seguire nella pastorale per le persone omosessuali. Dunque bastava attenersi ad esse. Stiamo parlando del documento del 1986 dal titolo Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali. In esso vi sono molti passaggi significativi che risolverebbero già gli interrogativi posti dall’Instrumentum Laboris e molti altri che sorgeranno nei lavori sinodali. Ad esempio, spigolando qua e là: «Un atteggiamento veramente pastorale comprenderà la necessità di evitare alle persone omosessuali le occasioni prossime di peccato» (15). Ergo, tu non puoi frequentare il tuo compagno omosessuale. Altro che accettare l’ “amore” omosessuale come ventilato da Ruffini.

Altro passaggio il cui contenuto è così di ampio spettro e così definitivo da costringere tutti i padri sinodali e laici compresi a buttare nel cestino qualsiasi elucubrazione gay friendly: «occorre chiarire bene che ogni allontanamento dall'insegnamento della Chiesa, o il silenzio su di esso, nella preoccupazione di offrire una cura pastorale, non è forma né di autentica attenzione né di valida pastorale. Solo ciò che è vero può ultimamente essere anche pastorale. Quando non si tiene presente la posizione della Chiesa si impedisce che uomini e donne omosessuali ricevano quella cura, di cui hanno bisogno e diritto» (ibidem).

E se il concetto non fosse ancora sufficientemente chiaro il documento così precisa: «Pertanto coloro che si trovano in questa condizione dovrebbero essere oggetto di una particolare sollecitudine pastorale perché non siano portati a credere che l'attuazione di tale tendenza nelle relazioni omosessuali sia un'opzione moralmente accettabile» (3).

Non è dunque autentica pastorale quella che conferma nella condizione omosessuale le persone omosessuali, ma quella che indica soluzioni per uscirne.




Nessun commento:

Posta un commento