venerdì 11 agosto 2023

La cecità intellettuale in Occidente


Quanto potrà durare ancora l'Italia come nazione? per quanto tempo ancora si potrà parlare di un popolo italiano, di una cultura italiana, di una tradizione italiana, con tutto quello che segue? Probabilmente, se non cambia decisamente l'andamento che hanno preso le cose, per pochi decenni. Immigrazione con conseguente multiculturalismo; perdita della religione cattolica; inverno demografico e sostituzione etnica, cancelleranno gradualmente i caratteri che contraddistinguono l'Italia come nazione, e si potrà forse riesumare l'espressione del Metternich: l'Italia è un'espressione geografica. Infatti non si ama più la nostra storia, anzi, ce ne sentiamo in colpa; non si ama più la nostra cultura, con le sue manifestazioni letterarie, artistiche: basta vedere come si comincia a dimenticarla nei programmi scolastici; non si ama più la tradizione, per aprirsi al multiculturalismo, per non offendere chi una tradizione non ce l'ha; non si fanno più figli, ma si adottano animali e immigrati. Inoltre si va verso un impoverimento generale, in nome della transizione ecologica; verso un disamoramento nei confronti della vita, della bellezza, delle ricchezze che pure possediamo, ma che ci sembra colpevole coltivare. L'italiano come persona è un essere svuotato, scoraggiato, disamorato. Così, se va bene, potremo forse durare alla meglio per qualche decennio. 

Per ricostituire il tessuto umano e culturale, bisognerebbe ricominciare a studiare seriamente la nostra storia, la letteratura, la storia dell'arte. Bisognerebbe leggere la Bibbia, e suggerirei almeno di ricominciare a leggere la Divina Commedia e i Promessi Sposi (ma anche Tasso, Ariosto, Machiavelli, Pascoli, ecc.), fin dalle Medie, e, come si faceva prima, anche l'Eneide, l'Iliade e l'Odissea. 

(Franco Biagioni)




di Ettore Gotti Tedeschi (da "La verità" del  25 luglio 2023)

Vorrei essere provocatorio e slegato dal pensiero politicamente corretto. Sono arrivato a convincermi che in “casa nostra” uno dei peggiori mali è la “cecità intellettuale”. Un proverbio latino lo spiega così: “Deterior surdus eo nullus qui renuit audire “. (Non c’è peggior sordo di chi non vuole ascoltare). Parliamo di natalità e denatalità, ambientalismo, benessere…

Venerdì 14 luglio su La Verità è apparsa una intrigante intervista al “data scientist” Stephen Shaw che ha appena realizzato un documentario il cui titolo conferma il senso della cecità intellettuale evocata:  “Birth Gap” (Childless world), sconfessando così le illusioni (le chiamo così per non suonare offensivo) dei neomalthusiani sopravvissuti che ancora oggi insistono a spiegare che più che la quantità conta la qualità della popolazione ed al resto pensa la produttività tecnologica. (detto fra noi, ciò lo me lo ha affermato in faccia un Monsignore, intellettuale, secondo questi tempi…).

Quando sento trattare l’argomento natalità e popolazione, al meglio ascolto dati statistici e proiezioni. Molto raramente percepisco il tentativo di spiegare le cause e non solo gli effetti. Si tratta di un “bias”, una distorsione cognitiva e informativa? Chi lo capisce?

Oggi le grandi preoccupazioni (confuse) che affliggono le persone dotate di senso di responsabilità sono (oltre al crollo del senso morale e spirituale): le continue crisi economico finanziarie mai risolte, ma solo resettate; l’inflazione e la sua attuale cura incomprensibile; la disoccupazione e scarsità di lavoro coesistente con l’esaltazione della IA e con la richiesta di immigrazione per sopperire alla domanda di lavoro; le confuse e contraddittorie spiegazioni delle cause del problema ambientale, ecc. ecc.

Provocatoriamente affermo che  tutti questi problemi hanno una prima causa comune: la denatalità, solo in Occidente. Ricordo solo che 50 anni fa al mondo c’erano (arrotondo per semplificare) 4 Miliardi di persone di cui 1 Miliardo in Occidente. Oggi ci sono 8 Miliardi di persone e sempre solo 1 Miliardo in Occidente. Ma 50 anni fa l’Occidente controllava più del 90% del PIL mondiale, oggi (non) si contenta di meno della metà …

E ciò spiega le ansie oggi dell’Occidente di non perdere la leadership, ma non spiega la razionalità delle decisioni prese per risolvere il problema, dimostrando di non aver capito cosa è successo da quando ha deciso di interrompere la natalità. Quando 50 anni fa l’Occidente decide di avviare il processo di “inverno demografico”, capisce solo troppo tardi che anche il tasso di crescita del PIL si sarebbe “congelato” con il freddo, così crede di poterlo compensare con la progressiva crescita del consumi individuali (facendo esplodere il fenomeno del “consumismo”), utilizzando anche il risparmio ovviamente (che 50 anni fa rappresentava il 25% dei redditi, oggi intorno al 5%) che, non fate finta di non saperlo, rappresenta la materia prima per l’intermediazione bancaria e, riducendosi, influenza la disponibilità di credito concesso e il suo costo (tassi).

Ma per alimentare il ciclo con la scelta di consumismo si deve accrescere il potere di acquisto riducendo i prezzi dei prodotti di consumo. E così nasce la scelta di delocalizzare in Asia a basso costo il più possibile delle produzioni (e reimportarle e venderle a prezzi più bassi).

Così facendo abbiamo de-industrializzato l’Occidente e industrializzato l’Oriente. Spiegatelo a chi non trova facilmente lavoro adeguatamente remunerato (e pertanto non può formare famiglia se non lavorando in due, con meno tempo per pensare alla famiglia…).

Non ci crederete, ma tutt’un tratto l’Occidente scopre, con sorpresa, che la popolazione sta invecchiando (forse guardando i bilanci pubblici e vedendo esplodere la voci di Sanità e Pensioni), scoprendo anche che in 50 anni i “pensionati” sul totale popolazione  son triplicati (diciamo dal 10% a oltre il 30%). E naturalmente l’impatto di questi costi è stato assorbito dalla necessaria crescita delle imposte (che da circa un 25% sul reddito di 50 anni fa sono lievitate a quasi un 50%).

E le imposte, questo lo sapete, impattano sul reddito e sulle risorse da destinare agli investimenti… Così il ciclo negativo peggiora.

Ma ora viene la sorpresina più curiosa. Si narra che fare figli danneggia l’ambiente, perché l’uomo è “cancro della natura”.

Forse è vero il contrario? Non facendo figli in Occidente, ricco, colto e con economia matura, la crescita del PIL si riduce progressivamente. Ma non volendo perdere i suoi privilegi di benessere e volendo mantenere uno standard di vita alto, decide di surrogare la crescita economica vera e sostenibile, facendo consumare sempre di più (e sempre più a debito).

Per riuscirci deve far produrre a costi sempre più bassi in Oriente. Iperconsumismo  necessario (dimenticandosi dell’impatto ambientale) e produzioni low cost (che proprio ignorano l’ambiente) han prodotto il cosiddetto problema ambientale di inquinamento Co2.

Ma l’origine è proprio la denatalità, appunto, per compensare la quale son state fatte tutte queste scelte, pragmatiche con visione a breve. Ma ci si rifiuta di riconoscerlo, e questo è grave. Arrivando al punto in cui l’Occidente, preoccupato finalmente della situazione creata, decide di separarsi dall’Oriente diventato troppo potente, facendo però crescere i costi delle Materie Prime e generando inflazione da costo. Così dopo avere unificato il mondo con il mercato ora si ha la tentazione di ri-separarlo, inventando persino una nuova forma di capitalismo inclusivo e sostenibile (cioè digitale e di transizione energetica). Il Covid ha accelerato di (diciamo) 15-20 anni il digitale e la guerra in corso ha accelerato di almeno una decina di anni la trasformazione energetica.

Ma si continua a spiegare che il problema dell’umanità è la sovrappopolazione e la non tutela dell’ambiente. Che devo dire? Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire?



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