martedì 8 giugno 2021

Quell’urlo silenzioso che sconvolse il medico abortista






di Costanza Miriano

Questo è un libro esplosivo e prezioso, con un titolo sbagliatissimo. Già, perché quando mi è arrivato a casa La mano di Dio, di Bernard Nathanson, il famoso medico abortista che cambiò opinione, immaginavo di leggere una riflessione sull’aborto dal punto di vista di un credente, che ritiene che la vita, provenendo da Dio, non è a disposizione delle scelte umane. Niente di più falso, rispetto a questo libro. (E la colpa questa volta non è dei traduttori italiani, che di solito deturpano tutti i titoli, soprattutto dei film: in questo caso anche il titolo originale suona così).



Si tratta invece, come ho scoperto leggendo, di un racconto lucido, dettagliato, appassionante come un giallo, della vita di un ginecologo appartenente alla élite ebrea di New York, ebreo di cultura ma non praticante e per sua ammissione neppure credente, ricchissimo, lanciatissimo nella vita professionale, abile e molto stimato tra colleghi. Un medico che ha avuto diverse mogli e che, nato in povertà, ha raggiunto la ricchezza più abbondante , ed è entrato nella fase più stabile della sua carriera in un’epoca, gli anni ’60, in cui doveva essere una cosa incredibile vivere a New York, la città in cui il boom post guerra che ha toccato tutto l’occidente era al suo massimo grado, la città da cui tutto quello che contava – per il mondo – partiva alla conquista del pianeta, la città che ha colonizzato e plasmato il mondo per i successivi decenni (breve ripasso per esempio con qualche puntata di Mad Men, per avere un’idea). Ecco, nel cuore di quella NY anni ’60 entra nel vivo la storia di questo medico, autore di migliaia e migliaia di aborti, che da insider racconta il tranquillo cinismo suo e dei colleghi, e svela con un candore – che deve essergli costato un grande dolore – le bugie su cui si è fondata l’approvazione della legge sull’aborto. Bugie su bugie (a cominciare dalla falsa storia di stupro), dati ingigantiti a dismisura sulle morti per aborti clandestini (stesso copione in Italia), con l’ordine di scuderia di dare la colpa alla Chiesa cattolica per ogni donna deceduta.

Poi un giorno, un piccolo particolare inceppa il meccanismo. Stanno cominciando a diffondersi tra gli studi medici le ecografie. Il dottor Nathanson comincia a vedere che quello che uccide inserendo nell’utero materno una specie di aspiratore non è materiale informe (quello che poi viene espulso), ma un bambino. Piccolissimo ma un bambino. Non c’entra niente la crisi mistica o la posizione della Chiesa cattolica, a quell’ebreo rigorosamente formatosi con un abito mentale scientifico vedere un bambino nel grembo materno apre gli occhi. Piano piano, gradualmente. Comincia ad avere dubbi su quello che sta facendo. Non sta solo aiutando delle donne a liberarsi di un problema, sta anche uccidendo una vita. Continua a praticare aborti, ma con qualche dubbio, scegliendo per esempio quelli cosiddetti “terapeutici”, dove la terapia del bambino malato è ucciderlo, cosa che però continua a sembrargli almeno in parte accettabile. Ma il tarlo che è partito non si ferma. E qualche anno dopo decide di osservare con un’ecografia cosa avviene in un aborto.

Aspettavo la descrizione, ma il libro non lo dice. Forse è troppo doloroso perfino per lui. Comunque il video si trova, benché di qualità pessima (i pro choice americani hanno fatto di tutto per boicottarlo quando è uscito), e mostra un bambino che tenta di sfuggire all’aspiratore, e viene fatto a pezzi. Tutti coloro che filmarono l’aborto, medici e infermieri, convinti sostenitori del diritto delle donne di scegliere, smisero di praticarli, sconvolti.


La storia prosegue, ed è una miniera di notizie, utile anche a decifrare la storia italiana: sarebbe interessante renderne la lettura obbligatoria a tutti coloro che vogliono togliere persino il diritto all’obiezione di coscienza (vedi la recente campagna pubblicitaria: cioè non solo diritto all’aborto, garantitissimo da sempre: in Italia, dal ’78 a oggi non c’è stata una sola donna che abbia chiesto di abortire e non sia stata accontentata, celermente e gratis, anche in tempo di Covid, quando a migliaia di malati di tumore sono state negate le cure che avrebbero potuto salvare le loro vite).

Cito solo ancora due passaggi interessanti, ma il libro è tutto da leggere: nell’87, quando Nathanson aveva smesso di praticare aborti da una quindicina di anni, ricevette una lettera di una donna che lavorava in una clinica, fermamente convinta del diritto delle donne di scegliere: “ma ciò che voi non sapete è che ora qui si sta trattando con gente d’affari in merito alla vendita di tessuti e di parti. Sono stata ad ascoltare di nascosto le loro trattative la scorsa settimana e so che fanno pagare il tessuto del cervello più delle braccia, delle gambe e di altre parti. Come vi ho detto sono convinta che le donne dovrebbero avere il controllo del loro corpo, ma questo è davvero troppo”.

L’ultimo passaggio che vorrei citare, che apre uno spiraglio davvero estremamente, estremamente inquietante sulla ricerca farmacologica, parla delle tecniche di ricerca medica che richiedono tessuti freschi di feto, la compravendita dei bambini uccisi, e addirittura prospetta la possibilità che donne dei paesi poveri vengano incoraggiate a concepire un bambino e abortirlo tre o quattro volte all’anno per fornire tessuti freschi per la sperimentazione.

Io non sono competente per dire quanto questo si verifichi, dove e per quali ricerche, però questa è roba da non dormirci la notte…



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