giovedì 6 marzo 2025

Quando il Papa vuole una liturgia senza “sfarzo e protagonismo”, intende anche senza pacchianeria e volgarità?


Messa Tridentina





Cosa il Papa potrebbe imparare dai poveri su “sfarzo e visibilità”?


Di John Grondelski, 6 Marzo 2025

Papa Francesco ha inviato un messaggio il 28 febbraio ai partecipanti a un corso per maestri di cerimonia dei vescovi presso l’Anselmianum di Roma. Si tratta di uno dei soliti messaggi inviati per un evento di cui la Santa Sede vuole in qualche modo prendere nota, o perché le piace l’idea o perché qualcuno coinvolto aveva un amico in Curia.

Secondo il messaggio, la ragione formale del corso è rispondere all’“invito di Francesco formulato nella Lettera apostolica Desiderio desideravi, continuando a studiare la liturgia, non solo da un punto di vista teologico, ma anche nell’ambito della prassi celebrativa”.

“Prassi celebrativa” nel pontificato di Francesco sembra significare principalmente non celebrare la liturgia in modi che questo Papa disapprova, ad esempio in latino, specialmente nell’usus antiquior. Oltre a ciò, il termine è abbastanza elastico da comprendere la giustificazione di regole contro ciò che determinate persone immaginano essere un arretramento sulla presunta “visione” del Vaticano II, ad esempio il fatto di volersi inginocchiare per ricevere la Comunione e/o di farlo alla balaustra dell’altare.

Il messaggio di Francesco, con la sua attenzione alla “prassi celebrativa”, solleva due questioni: lo scopo e lo stile di tale “prassi”. Il messaggio è ambiguo su entrambe le questioni. Passerò rapidamente sullo “scopo”, non perché non sia importante, ma perché è troppo importante per non trattarlo in modo più esauriente in questa sede.

Basti dire che quando il Papa dice “…il culto è opera di tutta l’assemblea, l’incontro tra la dottrina e la pastorale …deve essere sempre incarnato, inculturato, esprimendo la fede della Chiesa. Di conseguenza, le gioie e le sofferenze, i sogni e le preoccupazioni del popolo di Dio possiedono un valore ermeneutico che non possiamo ignorare”. Che cosa sia questo “valore ermeneutico”, come debba essere interpretato e come venga “inculturato” nella liturgia sono questioni che hanno generato molta confusione dal Concilio Vaticano II e che probabilmente ne produrrebbero ancora di più con l’approccio permissivo di Francesco.

In questo momento, concentriamoci sullo stile della liturgia, in particolare su due punti: la liturgia del vescovo come modello per la diocesi e uno “stile che esprima la sequela di Gesù, evitando inutili sfarzi o protagonismi”.

Il Papa pensa che il modo in cui un vescovo celebra la liturgia nella propria cattedrale dovrebbe essere “un modello celebrativo da imitare”. In un certo senso, questo è vero, poiché l’Eucaristia è sempre offerta in unione con il vescovo locale che dovrebbe, quindi, custodire la corretta celebrazione del culto divino nella sua diocesi. Quindi, sì, il vescovo dovrebbe stabilire lo standard per una corretta attuazione liturgica nella sua diocesi. Se questo sia sempre stato il caso, in particolare senza due pesi e due misure in termini di particolari ideologie liturgiche, è un’altra questione.

La mia preoccupazione maggiore, tuttavia, è l’ambiguità di uno “stile liturgico che esprime la sequela di Gesù, evitando inutili sfarzi o protagonismi”. Come facciamo noi/il vescovo a sapere che lo “stile” liturgico è coerente con la “sequela di Gesù”? Esiste un solo stile? Se dobbiamo evitare “lo sfarzo non necessario”, significa che c’è uno sfarzo “necessario” e, di nuovo, come facciamo noi/il vescovo a saperlo?

Non sto cercando di essere spiritoso. Sto cercando di evitare le insidie che derivano da belle parole il cui contenuto lascia ampio spazio alla definizione.

Prendiamo un esempio dalla Sacrosanctum Concilium, la Costituzione sulla Sacra Liturgia. Essa prescrive che i “…riti si distinguano per una nobile semplicità; siano brevi, chiari e non appesantiti da inutili ripetizioni…” (n. 34).

Ebbene, nei 60 anni trascorsi dall’emanazione di quel documento, la “nobile semplicità”, non meglio definita, è stata assunta per significare: un uso quasi obbligatorio del vernacolo, al punto che la tradizione latina del rito cattolico romano si è praticamente estinta;

un uso vernacolare che confondeva la “nobile semplicità” linguistica con lo stile e l’“equivalenza dinamica” di un semianalfabeta di quarta elementare;

una perdita di venerabili strutture del Rito Romano, compreso uno sforzo concertato tra gli anni ’60 e ’80 per mettere da parte la Prima Preghiera Eucaristica (Canone Romano) con le sue “inutili ripetizioni” e la sostituzione del secolare Canto Gregoriano con brani pop e folk di seconda mano con testi teologicamente discutibili; 

uno stile architettonico ed estetico che ha sminuito il trascendente, ha rinunciato a dedicare il “meglio” al contesto del culto divino e ha imposto un piatto utilitarismo che ha temporizzato il senso del sacro rendendo gli “spazi di culto” multifunzionali.

Nessuno dei quattro punti precedenti rappresenta ciò che i Padri conciliari che hanno votato la Sancrosanctum Concilium si aspettavano o hanno imposto, ma è stato imposto in loro nome. Alcuni dei nostri patrimoni liturgici sono riusciti a sopravvivere agli sforzi di soppressione, ad esempio i liturgisti degli anni Sessanta erano certi che il Canone Romano oggi sarebbe rimasto lettera morta, eppure oggi è sempre più l’opzione di scelta domenicale in molte parrocchie. E mentre il Papa si esprime sulla necessità di non ignorare ciò che accade nelle parrocchie, non sento – almeno in alcuni ambienti – un’onesta domanda se forse i cattolici che vogliono riprendere a ricevere la Comunione in ginocchio abbiano un “valore ermeneutico” da non “ignorare”.

Così, quando il Papa mette in guardia da “sfarzo e protagonismo”, vorrei sapere come intende proteggere anche da pacchianeria e volgarità, perché quest’ultima è stata spesso il risultato pratico di scelte liturgiche fatte apparentemente in nome di una “Chiesa povera dei poveri”, di solito dai pianificatori della liturgia e del “culto” che si trovano in una posizione comoda e non povera.

I veri poveri, come la Maddalena, non si risentono della generosità per le cose di Dio. La più sommaria familiarità con il cattolicesimo etnico negli Stati Uniti conosce l’elevata nobiltà dello stile di costruzione delle chiese “cattedrali polacche”, i cui esempi abbondavano (prima del “rinnovamento” episcopale della chiesa locale) in luoghi come Chicago, Detroit, Milwaukee, Filadelfia e altrove. Gli immigrati poveri che contribuivano con monetine e spiccioli alla costruzione di questi edifici lo facevano perché volevano che quello stile ricco segnasse sacramentalmente i luoghi di culto.

Anche quando il vero e proprio “stile cattedrale” era al di là delle possibilità di un povero immigrato, la maggior parte delle loro chiese combinava alcuni elementi dello stile gotico o romanico ed elementi nobili (marmo, cristallo) con quelli più pratici (chiesa al piano principale, spazi scolastici al di sotto e al di sopra) per garantire che ciò che era reso a Dio fosse dovuto a Dio a un livello adeguato al santo.

Quindi, prima che la prossima generazione di liturgisti usi gli avvertimenti contro lo “sfarzo e la prominenza” come scusa per il vandalismo ecclesiastico, chiediamo di definire in anticipo cosa significa.





Chiusa la commissione d’inchiesta sui bambini morti nelle scuole cattoliche in Canada. Ora qualcuno si scuserà per questa enorme bufala?




06 Mar 2025

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by Aldo Maria Valli


Non un solo corpo è stato trovato. Il governo canadese costretto ad ammetterlo.

Si conferma la grande menzogna che ha macchiato il buon nome della Chiesa cattolica e in particolare dei religiosi che si occupavano dei bambini indigeni nei collegi canadesi [Duc in altum se n’è occupato qui e qui].

Il governo canadese ha infatti chiuso le indagini: nonostante gli ingenti investimenti, non sono state trovate fosse comuni nei collegi gestiti dalla Chiesa. Anzi, non è stato trovato un solo corpo.

Tuttavia, non è prevista alcuna richiesta di scuse né da parte del governo né da quei membri della gerarchia ecclesiastica, a partire da papa Francesco, che facendo propria un’accusa rivelatasi infondata hanno attentato all’onore dell’istituzione e a quanti lavoravano in quei centri.


*




Dopo tre anni di indagini, e un investimento di 216,5 milioni di dollari, il governo del Canada ha deciso di porre fine alla Commissione consultiva nazionale sulle scuole residenziali, i bambini scomparsi e le sepolture senza nome. Dopo le segnalazioni di fosse comuni presso ex collegi gestiti da chiese cristiane, non è stato trovato un solo corpo.

L’indagine, avviata dopo le accuse di abusi e omicidi di centinaia di bambini indigeni in questi centri, ha scatenato un’ondata di indignazione nazionale, atti di vandalismo e la distruzione di circa centoventi chiese in tutto il Paese. Anche Papa Francesco ha pubblicamente deplorato quella descritta come “la sconvolgente scoperta dei resti di 215 bambini” nel collegio di Kamloops, tanto che il suo viaggio in Canada venne presentato come di natura penitenziale, per chiedere perdono dei crimini. Il papa ha perfino tenuto incontri con i leader delle comunità indigene per qualcosa che ora si è rivelata una menzogna.

Le ricerche condotte utilizzando il georadar non hanno prodotto alcuna prova fisica a sostegno delle accuse. Tuttavia, fino all’anno scorso il primo ministro Justin Trudeau continuava a insistere sul fatto che nei centri, attivi dalla fine del XIX secolo fino agli anni Novanta, erano stati commessi dei crimini, sotto una gestione delle chiese cattolica e anglicana.

Alcuni bambini effettivamente morirono nei collegi, ma i documenti storici indicano che la causa delle morti furono alcune malattie, diffuse all’epoca, come la tubercolosi.

Il dibattito comunque è ancora vivo e molte voci in Canada continuano a sostenere la teoria delle fosse comuni. Crystal Gail Fraser, membro della commissione d’inchiesta, ha definito la decisione del governo un “tradimento” e si è rammaricata che siano andati perduti “i valori della verità e della riconciliazione”.

Nel frattempo, la polemica continua a colpire il mondo accademico: l’annullamento di una lezione dello storico britannico e religioso anglicano Lord Biggar al Regent College di Vancouver, dopo che era stato accusato di aver negato l’esistenza delle fosse comuni, ha riacceso il dibattito sulla libertà di espressione attorno a questo tema.

Lord Biggar ha denunciato l’esistenza di una “cultura aggressiva e repressiva” che distorce il lavoro delle missioni cristiane e giustifica così l’incendio delle chiese.


Fonte: infocatolica

mercoledì 5 marzo 2025

Le regole per il digiuno e l’astinenza da osservare durante la Quaresima



4 Marzo 2025


Offriamo uno specchietto sulle regole da osservare durante la Quaresima

Durante la Quaresima sono di precetto:

Mercoledì delle Ceneri e Venerdì Santo: digiuno e astinenza

Tutti i venerdì: astinenza

Questi precetti obbligano gravemente, ovvero: se volontariamente si omettono, causano peccato mortale

Come C3S consigliamo di osservare, laddove fosse possibile, la tradizione del digiuno tutti i venerdì della Quaresima e dell’astinenza tutti i venerdì dell’anno.

In cosa consiste il digiuno ecclesiastico?

Nel fare un solo pasto senza carne, a cui è permesso di aggiungere la colazione del mattino e della sera o della metà del giorno (a seconda delle proprie abitudini).

In generale, la colazione del mattino consiste in una bevanda e un po’ di pane, e quella della sera o della metà del giorno in circa ¼ di un pasto normale.

Secondo la legge della Chiesa sono tenute

al digiuno: le persone dai 18 anni ai 60 iniziati.

all’astinenza: le persone dai 14 anni compiuti.

(E’ vivamente consigliato abituare i bambini fin da piccoli al rispetto dell’astinenza e ad un minimo di digiuno adatto alla loro età).

In cosa consiste l’astinenza?

Nel non mangiare carne, sughi e estratti di carne, né alimenti conditi con la carne.

Sono esentati dal digiuno e dall’astinenza:

i malati, le donne incinte e gli addetti a lavori pesanti

i viaggiatori (lunghi viaggi)

per altri casi, conviene consultare un sacerdote



martedì 4 marzo 2025

Il Volto Santo, luce che squarcia le tenebre del mondo



Riceviamo e pubblichiamo la meditazione di un monaco benedettino, scritta in occasione della festa del Volto Santo di Gesù, che cade oggi, Martedì di Quinquagesima.


La festa
Ecclesia 


04-03-2025

Nel Vangelo della Domenica di Quinquagesima (Luca 18,31-43), letto nell'usus antiquior due giorni prima della festa del Santo Volto di Gesù, san Luca ci presenta un cieco seduto lungo la strada, un mendicante. Questo cieco è figura di tutta l'umanità. È figura di coloro che, pur non vedendo nulla, sentono i passi di una moltitudine, di coloro che si chiedono il senso di ciò che accade oggi nella Chiesa e nel mondo. È figura di coloro che aspettano che qualcuno gli dica che Gesù di Nazareth sta passando; e inoltre di coloro che, mossi da una misteriosa infusione di speranza, gridano dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me» (Lc 18,38).

Oggi, non meno di quel giorno, c'è chi vorrebbe far tacere il grido che scaturisce dalla speranza. «E quelli che lo precedevano lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava molto di più: Figlio di Davide, abbi pietà di me» (Lc 18,39).

Gesù si presenta. Si presenta davanti agli occhi non vedenti del mendicante. In questo istante, si compiono le parole del Salmista: «Il Signore ha ascoltato il desiderio dei poveri: Il tuo orecchio ha ascoltato la preparazione del loro cuore» (Sal 10,17. Desiderium pauperum exaudivit Dominus; præparationem cordis eorum audivit auris tua). La cecità del mendicante è stata la preparazione del suo cuore. «“Che vuoi che io faccia per te?”. Egli rispose: “Signore, che io riabbia la vista”. E Gesù gli disse: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato”» (Lc 18,41-42). In quel momento, gli occhi del mendicante si aprirono per vedere nientemeno che «la luce della conoscenza della gloria di Dio, nel volto di Cristo Gesù» (2 Cor 4,6).

Non c'è cecità, non c'è malattia, non c'è oscurità, non c'è vuoto che non possa, nella misteriosa Provvidenza di Dio, servire a preparare il cuore alla contemplazione del Volto Santo di Gesù. I semi della vera devozione al Volto Santo sono piantati in profondità nella terra dell'umanità, in un humus reso fecondo dall'accumulo di tutto ciò che l'uomo perde, di tutto ciò che marcisce e persino dei peccati che lo costringono a gridare pietà.

Vent'anni fa, l’1 aprile 2005, il giorno prima della morte di san Giovanni Paolo II, l’allora cardinale Joseph Ratzinger, a Subiaco, disse:

«Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri».

Nell'oscurità dell'ora presente, la festa del Volto Santo di Gesù è un invito pressante rivolto a tutti, ma prima di tutto ai pastori del gregge di Dio (Cfr. 1 Pietro 5,2: Pascite qui in vobis est gregem Dei. «Siate pastori del gregge che Dio vi ha dato»). La moltitudine di coloro che sono vissuti e morti con gli occhi fissi sul Volto di Cristo, i santi di ogni epoca, dicono all’unisono: Accedete ad eum, et illuminamini; et facies vestræ non confundentur. «Accostatevi a lui e sarete illuminati, e i vostri volti non arrossiranno» (Sal 33,6). Questo era il messaggio del futuro papa Benedetto XVI in quella giornata di primavera di vent'anni fa, a Subiaco:

«Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini. Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce».

Non c'è ascesa a «Dio che abita una luce inaccessibile, che nessuno ha visto né può vedere» (1 Tm 6,16) che non sia un'aspirazione al Volto di Cristo. Al di fuori della luce che risplende dal Volto di Cristo, tutto è tenebra. La devozione al Volto Santo di Gesù è, in effetti, la traduzione in pratica dell'insegnamento presentato nella Dichiarazione Dominus Iesus, elaborata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede sotto la direzione del cardinale Joseph Ratzinger:

Occorre ribadire anzitutto il carattere definitivo e completo della rivelazione di Gesù Cristo. Deve essere, infatti, fermamente creduta l'affermazione che nel mistero di Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato, il quale è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), si dà la rivelazione della pienezza della verità divina: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27); «Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18); «È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità e voi avete in lui parte alla sua pienezza» (Col 2,9-10).

Celebrando le prime canonizzazioni del suo pontificato, il 23 ottobre 2005, Benedetto XVI ha nuovamente indirizzato lo sguardo della Chiesa verso il Volto di Cristo, citando l'esempio di san Gaetano Catanoso, «amante e apostolo del Santo Volto di Gesù». Il teologo e Sommo Pontefice tedesco non si sottrasse dal citare l'umile sacerdote calabrese: «Se vogliamo adorare il vero Volto di Gesù (...), lo possiamo trovare nella divina Eucaristia, dove con il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, il Volto di Nostro Signore è nascosto sotto il velo bianco dell'Ostia». A coloro che si accostano a Lui nel Sacramento del suo Amore, cercando la luce del suo Volto, Nostro Signore Gesù Cristo ripete ciò che disse al mendicante lungo la strada: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato» (Lc 28,42).

In questo Anno giubilare del 2025, segnato dall'oscurità e dall'incertezza per tanti, la festa del Volto Santo di Gesù offre un'infusione di speranza per le famiglie, le parrocchie, i monasteri, le comunità religiose e le singole persone. È, allo stesso tempo, un invito a ripetere le parole del profeta Daniele in un'intensa supplica per la Chiesa universale: «Fa' splendere il tuo volto, o Dio, sul tuo santuario» (Dn 9,17).







Intelligenza Artificiale, Tecnologia: c’è ancora Posto per Sapienza e Filosofia?





 Pubblicato da Marco Tosatti 3 Marzo 2025
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Cinzia Notaro, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione questa riflessione sulla tecnologia, e il suo ruolo crescente nella nostra esistenza. Buona lettura e meditazione.



NEL MONDO TECNOLOGICO SOPRAVVIVE L’AMORE PER LA FILOSOFIA OVVERO L’AMORE PER LA SAPIENZA ?



di Cinzia Notaro

L’ intelligenza artificiale per la sorveglianza, la digitalizzazione, il blockchain, le biotecnologie ed altro ancora hanno dato il via ad una trasformazione planetaria concependo l’uomo tecnologico da monitorare con la biotecnologia, la medicina personalizzata (Utilizzo di smart dust e trattamenti personalizzati) e proponendo tecnologie avanzate, 5G (internet delle cose, auto autonome, neurotecnologie).

Si tratta di una vera e propria rivoluzione contro l’Ordine Naturale creato da Dio, in cui l’uomo rischia di annullare se stesso, perdendo la propria identità ed unicità.

La tecnologia ha i suoi vantaggi , ma se si oltrepassano certi limiti diventa pericolosa soprattutto in determinati contesti.

In questo Nuovo Ordine Tecnologico siamo ancora capaci di pensare per acquisire la Sapienza trovando uno spazio libero, o siamo completamente immersi tutto il tempo nelle molteplici occupazioni quotidiane che la società c’impone e/o ci propone?

Il tutto viene accettato passivamente e come un progresso finalizzato al bene, senza spirito critico. Alquanto attuale risulta essere il pensiero di Sant’Agostino d’Ippona : “ Finché un uomo riuscirà a porsi domande su sé stesso e sulla propria vita, non avrà perso il senso della propria limitatezza. Al contrario, qualora l’uomo sfuggisse a queste domande, avrebbe perso tutta la sua grandezza”.

Sembra che l’uomo tecnologico non sia più interessato a dare un significato alla propria esistenza ed abbia perso la capacità di riflettere: “ La ricerca della verità è più preziosa del suo possesso” (A. Einstein).

L’abilità di Socrate, ammettendo la propria ignoranza, consisteva nello stimolare la ricerca della verità suscitando il dubbio anche se non sapeva dare risposte sicure,alfine di trovare nella discussione possibili soluzioni.

Heidegger sosteneva che “la sensazione di angoscia provata quando l’uomo si riconosce come creatura limitata nel trovare risposte a determinate domande rappresentasse la vera chiamata alla responsabilità rivolta a sé stesso”.

“La scienza (essenza dell’ Umanesimo) di cui la Tecnica è l’anima -secondo Galimberti- è nata dalla tendenza innata di prevedere e progettare il futuro, per cui l’uomo divenne, come specificò Cartesio,”Dominator et possessor mundi”… tuttavia oggi – prosegue il filosofo – il soggetto della storia non è più l’uomo, ma la tecnica sfuggita dalle sue mani , divenendo da essa dipendente in quanto servendosene vince i propri limiti”.

Furono gli scienziati umanisti a sostenere il primato dell’uomo sulla natura, mentre con l’ “Illuminismo” si ebbe il trionfo della tecnica profetizzato da Hegel: “La ricchezza si sarebbe spostata negli anni dal possesso dei beni al possesso degli strumenti”.

Anche ieri si progettavano città tecnologiche come la “Nuova Atlantide” di Bacone, la “Città di utopia” di Tommaso Moro, la “Città del sole” di Tommaso Campanella, in cui gli uomini sarebbero stati più felici.

Mentre oggi si fantastica su Smart Cities ovvero città con sensori e Intelligenza Artificiale per la sorveglianza, veicoli (anche volanti e droni autonomi; gabbie digitali, robotica, Spyware, geopolitica digitale, cyberuomo….

La tecnica non viene più considerata un mezzo, ma un fine da raggiungere e ciò è pericoloso perchè si rischia di essere governati dalla stessa a danno della libertà dei singoli, da cui si pretenderà sempre più competenze tecniche.

Bisogna non sottovalutare le conseguenze dell’uso improprio degli strumenti tecnologici come lo Smartphone a cui viene spesso attribuita una funzione pedagogica… in futuro la vedremo assegnata invece all’ I.A. o ad un robot…?

Ricordiamo anche come soprattutto i più giovani vengono colpiti dalla sindrome di hikikomori un fenomeno psico-sociologico, che spinge all’isolamento e al rifiuto di relazionarsi col mondo esterno. La scuola ed in particolare la famiglia dovrebbero aiutare ad avere più spirito critico nei confronti della transizione digitale ( Wi-Fi, tablet ecc…).

Nella corrente era dei Cyborg l’uomo del terzo millennio è chiamato con tutte le sue forze a difendersi per non assistere alla propria fine.

Sin da Adamo ed Eva l’antico serpente vuole distruggere la creazione e lo stesso uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

Egli odia tutto cio’ che il Signore ha fatto e col peccato originale ha fatto entrare nel mondo per invidia la morte.

Oggi induce l’uomo a farsi dio, a sovvertire l’ordine naturale, a fargli decidere quando una persona deve nascere, se deve nascere, quando farla morire e tanto altro ancora.

Chiudiamo con queste riflessioni di Maurizio Martucci, giornalista d’inchiesta a proposito di spiritualità liquida, religione digitale: “La messa con l’omelia? recitata dai robot – l’Intelligenza artificiale? aiuta I FEDELI a pregare con Dio e poi c’è il Dalai Lama che sponsorizza progetti transumanisti nel superamento della vita con gli avatar, ma pure il Vaticano che umanizza la transizione digitale così c’è già il dialogo sul Cyber-Buddha, in mezzo pure guru della mistica indiana e una curandera dell’Amazzonia sfoggiati come trofei di guerra al Forum Economico Mondiale, mentre come funghi spuntano le antenne 5G pure nelle chiese rupestri e sui campanili cattolici”.






lunedì 3 marzo 2025

Messa delle Ceneri in rito antico a Pistoia

 




Chiesa di San Vitale 
via della Madonna, 2 - Pistoia 


5 Febbraio 2025

Mercoledì delle Ceneri 

SANTA MESSA 
in rito antico - con imposizione delle ceneri

ore 18:00


preceduta dal Rosario

e Confessioni 







La mistica del XX secolo Wanda Boniszewska portò le stimmate per i sacerdoti


Wanda Boniszewska, suora polacca che ricevette le stimmate
 e visioni che la chiamavano a soffrire per la santificazione dei sacerdoti. 
La sua causa di beatificazione è ora aperta.




di John M. Grondelski, 3 marzo 2025

Wanda Boniszewska era una suora polacca, membro della Congregazione delle Suore dei Santi Angeli, morta il 2 marzo 2003. Il processo per la sua beatificazione è stato avviato dall’arcidiocesi di Varsavia nel 2020.

Era nata nel 1907 a Nowa Kamionka, un villaggio allora in Polonia, oggi in Bielorussia, vicino alla città di Navahrudak (Nowogródek). Nel 1925 è entrata nella Congregazione degli Angeli a Vilnius (Wilno), ora in Lituania e poi in Polonia.

Cosa la contraddistingue? Due cose.

Si dice che suor Wanda avesse visioni mistiche, che scriveva. Si dice anche che per un certo periodo della sua vita (almeno negli anni Trenta) abbia portato le stigmate, ovvero ferite alle mani, ai piedi e al costato e segni di flagellazione. Si manifestavano in modo irregolare, ma di solito il giovedì e il venerdì, in particolare durante la Quaresima.

Nelle sue visioni, suor Wanda comprendeva che la sua sofferenza e le sue ferite erano per la purificazione e la salvezza dei sacerdoti. Gli scritti parlano della necessità di una sofferenza espiatoria per i sacerdoti che hanno trattato il loro lavoro di salvare gli altri con troppa superficialità o che erano disperati. Scriveva regolarmente del desiderio di Nostro Signore che i sacerdoti realizzassero la loro sublime vocazione di alter Christus.

La seconda fase delle sofferenze di suor Wanda iniziò negli anni Quaranta. L’area in cui era nata fu confiscata alla Polonia dall’Unione Sovietica nell’ambito del Patto Ribbentrop-Molotov, quando la Russia era alleata della Germania nazista. L’anno successivo anche la Lituania (compresa Vilnius, che fino alla Seconda guerra mondiale faceva parte della Polonia) fu occupata dall’URSS secondo i termini del Patto.
Come suora e come polacca, suor Wanda fu considerata sospetta dalle autorità sovietiche e sottoposta a continue indagini. Nel 1950, fu arrestata e accusata di essere un’agente del Vaticano, condannata a 10 anni in un campo di lavoro negli Urali. Lasciò anche un resoconto scritto delle sue esperienze spirituali come prigioniera del Gulag russo.

La morte di Stalin nel 1956 produsse un limitato disgelo nella repressione sovietica e, dopo sei anni nel campo, suor Wanda fu rilasciata nelle vicinanze di Mosca. Essendo polacca, fu poi rimpatriata dai sovietici nel loro Stato satellite polacco. Ha vissuto il resto dei suoi anni in varie case della sua congregazione fino alla morte, avvenuta nel 2003 a Konstancin-Jeziorna, appena fuori Varsavia, dove è sepolta.

Il mio interesse a far conoscere suor Wanda al mondo intero deriva da una serie di esperienze.
Innanzitutto, ho l’impressione che il luogo in cui è nata, vicino all’odierna Navahrudak in Bielorussia, abbia prodotto una buona dose di santi del XX secolo. L’ho visitato nel 2003 e ho pregato sulla tomba delle “martiri di Nowogródek, 10 sorelle sepolte nella chiesa di San Michele. Al culmine dell’occupazione tedesca, mentre le persone venivano rastrellate e uccise, le suore si offrirono in preghiera per sostituire questi uomini. Poco dopo, un sabato sera di fine luglio 1943, vennero radunate dalla Gestapo locale per essere interrogate, poi portate la mattina dopo nella foresta, fucilate e sepolte in una fossa comune.

Due cose: Dopo la loro esecuzione, il ritmo della persecuzione si allentò. E una delle suore, suor Józefa Chrobot, potrebbe aver visto realizzata la sua promessa mistica. Ha rotto il suo fidanzamento e si è recata nell’odierna Bielorussia, dove si è unita a un ordine religioso perché ha sentito Dio dirle: “Il tuo amato ti aspetta lì e ti darà un vestito rosso come regalo di nozze”. Quando i corpi delle suore furono riesumati, fu chiaro che suor Józefa era caduta nella tomba in modo tale che il sangue di tutte le suore si era riversato su di lei. Il banchetto di nozze dell’Agnello è inaspettato.

In secondo luogo, ho conosciuto la storia di suor Wanda per puro caso. Una domenica dopo la sua morte, in una parrocchia che frequentavo raramente, ho preso un libro che raccontava la sua storia. Sono stata colpito dalla consapevolezza che una stigmatizzata moderna viveva a circa 10 miglia da me. Mi ha colpito anche vedere il nome dell’autore del libro, padre Jan Pryszmont.

Conoscevo padre Pryszmont intellettualmente, come teologo morale che avevo studiato. Da quello che avevo letto, sapevo che era un teologo serio e non sospettavo che fosse incline a voli di fantasia. Detto questo, non avevo mai conosciuto questo lato di lui, né sapevo che vivesse a circa cinque miglia da me. Sono andato a trovarlo. Parlammo e mi mostrò i dattiloscritti originali dei diari di suor Wanda, circa 600 pagine di manoscritti.

Alla fine mi sono reso conto – e ne sono tuttora convinto – della tempestività della vocazione di suor Wanda. La sua storia è arrivata alla mia attenzione non molto tempo dopo che la prima ondata di abusi sessuali da parte di sacerdoti – la crisi di Boston – ha colpito l’opinione pubblica americana. Da allora, la seconda ondata – lo scandalo McCarrick e il successivo stillicidio di predazione clericale e insabbiamento episcopale – sembra aver superato la sporcizia della prima. Mi convince che il tipo di sofferenza sacrificale ed espiatoria che suor Wanda (e, da quello che ho sentito, altre anime) ha sopportato per la santità clericale non possa essere stata una loro fissazione psicologica, ma provenga da un luogo ben diverso: come risposta del cielo all’attacco dell’inferno.

Così, mentre si avvia il processo di indagine su suor Wanda, suggerisco il valore di invocare la sua intercessione per aiutare a purificare la nostra Chiesa, per renderla nei suoi sacerdoti “una chiesa radiosa, senza macchia né ruga o altro difetto, ma santa e irreprensibile” (Efesini 5:27).



(L’articolo che il prof. John M. Grondelski ha inviato dagli Stati Uniti al blog è apparso in precedenza su National Catholic Register. La traduzione è a cura di Sabino Paciolla)