mercoledì 11 giugno 2025

Il dovere verso Dio prescinde dal consenso popolare democratico






Il Concilio di Nicea e la “Chiesa costantiniana”: osservazioni storico-politiche di attualità



Di Guido Vignelli, 11 Giu 2025

Quest’anno celebriamo il XVII centenario del primo Concilio Ecumenico della storia, tenutosi a Nicea nel 325, una ricorrenza che rischia di essere svalutata perché vista come un evento troppo lontano nel tempo. Eppure, quel Concilio costituisce un prezioso esempio di come la neonata e debole Chiesa di allora riuscì a superare una duplice crisi che avrebbe potuto distruggerla. Questo esempio ci permette di fare alcune considerazioni di attualità.

I pronunciamenti ecclesiastici e i provvedimenti imperiali


I fatti storici sono noti. All’inizio del IV secolo, Costantino il Grande, divenuto unico signore del riunificato Impero Romano, era convinto che la ritrovata pace politica avesse bisogno della parallela pace religiosa. Anche per questo fine, egli aveva elevato il Cristianesimo dalla condizione di turpis superstitio a quella di religio licita, dando così alla Chiesa non solo libertà di culto ma anche protezione, riconoscimento e privilegi statali. Eppure, la fine delle persecuzioni politiche aveva occasionato polemiche dottrinali interne alla Chiesa, soprattutto quella concernente l’identità stessa del suo divino Fondatore, disputata tra la fazione ortodossa e quella ariana.

Al fine di riportare la concordia religiosa, d’accordo con Papa Silvestro, l’imperatore convocò una rappresentanza dell’episcopato che si riunì nella primavera del 325 nella città di Nicea (oggi Iznik), situata in Bitinia, nell’attuale Turchia nord-occidentale. Costantino seguì personalmente le sessioni conciliari ma lasciò piena libertà ai vescovi, riservandosi il diritto di far applicare le loro decisioni e sentenze usando i mezzi e la forza del potere imperiale.

Nel concludersi, il Concilio proclamò solennemente il Simbolo della Fede, ossia il celebre Credo niceno, che costituì la prima confessione dogmatica ufficiale della Fede cristiana contenente la dottrina trinitaria ortodossa. Il Concilio condannò l’ideologia di Ario come “eretica e blasfema” e dispose che i suoi scritti fossero vietati e bruciati. Inoltre, l’autorità conciliare scomunicò, depose ed esiliò Ario e due vescovi che non si erano sottomessi alle decisioni dell’assemblea. Tramite i suoi due rappresentanti presenti a Nicea, papa Silvestro approvò e ratificò queste decisioni [1].

Nell’autunno di quello stesso anno, Costantino mantenne il proprio impegno di promotore della Fede cattolica: sancì il Credo niceno come sola vera Fede cattolica, fece proprie le direttive conciliari e diede all’episcopato i poteri e i mezzi per imporne l’obbedienza al clero rimasto dissidente e oppositore.

Dalla crisi dell’ortodossia al suo trionfo


Tuttavia, poco dopo, rinnegando la promessa di ortodossia e di obbedienza fatta alla fine del Concilio, la fazione semi-ariana ricorse all’Imperatore per ottenere una rivincita. Essa accusò l’episcopato ortodosso di suscitare discordie religiose e civili sotto pretesti religiosi. Non essendo santo né dotto e preoccupandosi soprattutto di riportare la pace, Costantino cedette alle pressioni degli eretizzanti e permise ch’essi perseguitassero, deponessero ed esiliassero prestigiosi difensori del dogma niceno.

Il risultato fu la guerra di tutti contro tutti. Proprio per aver tentato un compromesso pratico che sacrificava l’esigenze della Fede a quelle della pace, Costantino e alcuni suoi successori non riuscirono a ristabilire l’unità religiosa e anzi persero anche quella politica. Solo la rottura di quel compromesso e l’autorevole riaffermazione del dogma violato, attuate da un Papa e da un Imperatore ortodossi e alleati, potevano risolvere la grave crisi e riportare unità e pace.

Difatti, la soluzione giunse nel 380 per opera dell’intervento congiunto di due energici spagnoli. Nel Concilio Ecumenico di Costantinopoli (380), Papa san Damaso condannò come eretico il semi-arianesimo; con i decreti regi di Tessalonica, l’Imperatore bizantino Teodosio il Grande ne vietò il pubblico culto, ne sciolse i Sinodi, ne depose i capi e impose a loro restituire alla Chiesa gli edifici sottratti [2]. Inoltre, Teodosio sostituisce il semi-ariano Demofilo con il niceno san Gregorio di Nazianzo come patriarca di Costantinopoli.

Successivamente, prima il provvisorio Codice Teodosiano delle Leggi, poi quello definitivo di Giustiniano, proclamarono quella cristiana cattolica come unica religione dell’Impero Romano e vietarono i culti pagani.

La prodigiosa vicenda accaduta nel IV secolo dimostra che la concordia religiosa e la pace politica si possono ottenere o mantenere o ricuperare solo facendo valere nel campo civile la vera dottrina e la retta disciplina della Chiesa. In questo modo si formò la Christianitas, intesa come famiglia di popoli cattolici sotto la guida religiosa del Romano Pontefice e la tutela politica dell’Imperatore.

Una religione minoritaria tollerata diventa dominante


La tormentata storia vissuta dalla Chiesa nel IV secolo ci permette di fare alcune osservazioni, di grande attualità per la nostra epoca tormentata, riguardanti la sempre necessaria collaborazione tra autorità religiosa e potere politico.

Contrariamente a quanto una produzione letteraria e filmica ci raccontano da tempo, la comunità cristiana dei primi secoli era composta non solo da gente ignorante, povera, ed emarginata, ma anche da gente di grande rilievo culturale, morale e politico, capace d’influenzare la vita dell’Impero pagano. Ciò permetteva alla Chiesa di tentare una impresa allora ritenuta impossibile, se non per divino prodigio: quella di costituire una società spirituale capace di animare dall’interno quella politica [3].

Tuttavia, nel IV secolo, essedo stata decimata dalle persecuzioni, questa comunità cristiana non arrivava al 10% della popolazione censita, per cui ne costituiva una netta minoranza. Il resto del popolo era ancora “pagano”, non tanto nelle città quanto nei numerosi villaggi (pagi) diffusi nelle vaste campagne. Pertanto, la promozione del Cristianesimo avviata da Costantino «fu forse l’atto più audace mai compiuto da un autocrate in spregio alla grande maggioranza dei suoi sudditi» [4]. Si può dire che questo atto violò platealmente princìpi e regole democratici basati sulla “sovranità popolare a rappresentanza maggioritaria”.

Infatti, secondo la moderna mentalità democratica, il potere politico dell’epoca aveva certamente diritto di liberalizzare il Cristianesimo come minoranza religiosa da tollerare e proteggere al pari delle altre; ma non aveva alcun diritto di preferirla alle altre, come fece Costantino, tantomeno d’imporla col potere imperiale, come fece Teodosio. Inoltre, sempre secondo la mentalità democratica, l’episcopato dell’epoca non aveva alcun diritto di approfittarsi del sostegno politico per ottenere una legislazione tanto favorevole alla Chiesa da impedire la libertà delle altre religioni.

Eppure, nel IV secolo, la sovranità del Cristo, i diritti della Chiesa, i doveri dell’Impero verso il bene comune e l’esigenze della civiltà prevalsero sull’astrattezza della “sovranità popolare” e sulla formalità della “rappresentanza maggioritaria”. L’Imperatore aveva capito che non bastava tollerare la nuova fede minoritaria, ma bisognava anche favorirla come religione privilegiata, anche per difenderla dalle prevedibili opposizioni maggioritarie, soprattutto pagane ma anche ereticali. «Senza la scelta autoritaria di Costantino, il Cristianesimo non sarebbe mai potuto diventare la religione consuetudinaria di una intera popolazione. (…) Finché il regime imperiale non fosse stato ufficialmente cristianizzato, la nuova religione era condannata a rimanere una setta» [5], ossia a soccombere, come oggi rischia di accadere alla Chiesa.

Come poi commenterà sant’Agostino d’Ippona, «per merito del sovrano, alla Chiesa fu assicurata la pace, benché temporanea, e quella tranquillità politica necessaria per edificare spiritualmente le case e piantare spiritualmente gli orti e le vigne del Signore» [6].

La collaborazione tra autorità spirituale e potere temporale


A partire da Costantino, il potere politico svolse spesso un ruolo decisivo in favore della Chiesa cattolica, sebbene agendo a fasi alterne e talvolta confondendo l’ortodossia con l’eresia, la protezione con l’invadenza e l’unione con l’assorbimento. Quindi, le vicende del IV secolo furono il primo esempio di una fruttuosa collaborazione tra autorità spirituale e potere temporale a beneficio della civiltà.

La storia insegna che una religione dapprima si diffonde in forza della testimonianza, della predicazione e dell’insegnamento dei propri santi; poi si stabilizza quando suscita un ambiente sociale favorevole; infine s’impone quando ottiene la protezione di capi politici dai pericoli esterni e interni. Come la conversione del capo-famiglia spesso favorisce quella della intera comunità domestica, così la conversione del capo politico spesso favorisce quella della intera comunità civile.

Di norma, questo processo sociale naturale vale anche per la vita della religione soprannaturale. Infatti, la dottrina insegna che la Fede cristiana viene fruttuosamente vissuta solo se sinceramente accettata dalla libera volontà, senza bisogno d’interventi coercitivi del potere politico.

Tuttavia, la storia insegna che il delicato fiore della Fede resiste all’inquinamento, provocato da errori e vizî interni, se si è radicato nel giardino della società cristiana; a sua volta, questo giardino resiste al maltempo, suscitato da infiltrazioni e persecuzioni esterne, se è protetto da un recinto politico che lo difenda dai pericoli [7]. La vita religiosa sopravvive e si diffonde se è protetta da recinti, mura e bastioni sia spirituali che temporali; le eccezioni storiche a questa regola sono tanto rare da essere considerate come veri e propri miracoli.

Inoltre, il fine ultimo del potere politico consiste nell’ordinare la vita terrena in modo da favorire che i propri cittadini vivano virtuosamente nella prospettiva di ottenere la vita eterna; pertanto, esso ha il dovere di produrre leggi e istituzioni che favoriscano la Chiesa o almeno ne ostacolino i nemici, ossia quelle forze che diffondono errori, vizî e ribellione al bene comune [8]. Questo dovere verso Dio prescinde dal consenso popolare politicamente espresso da una rappresentanza democratica.

Ecco perché Costantino e Teodosio, per cristianizzare il popolo romano, non attesero di averne il consenso ufficiale ma lo prevenirono usando tutti gli strumenti giuridici che avevano a disposizione. Secondo sant’Agostino, se l’autorità religiosa e il potere politico collaborano non solo nel mantenere la pace, ma anche nel difendere la Fede e nel reprimere l’eresia, obbligando così il popolo a rispettare l’ortodossia o almeno a temerne la violazione, le successive generazioni potranno crescere in un ambiente religiosamente sano e socialmente ordinato, per cui finiranno col credere sinceramente alle verità religiose prima ammesse solo per finta dai loro avi [9].

Pertanto, sebbene falsi sapienti come Petrarca, Lutero, Voltaire, Hegel e Mazzini condannarono Costantino come primo corruttore della “Chiesa delle origini”, noi preferiamo affermare ch’egli fu il maggior fautore delle missioni ecclesiastiche, come mons. Frutaz diceva provocatoriamente ai seminaristi che formava un secolo fa.

La calunnia della “Chiesa costantiniana”


Stando così le cose, è storicamente e dottrinalmente inaccettabile la tesi secondo cui Chiesa e Stato devono essere non solo distinti ma anche separati tra loro. Ad esempio, è scandaloso che il Dicastero per la Promozione dell’Unità tra i Cristiani – in un testo ufficiale datato 27 ottobre 2022, scritto proprio per preparare le celebrazioni del Concilio niceno – affermi che «il valore del primo Concilio ecumenico» dimostrerebbe, per contrasto, «l’importanza di mantenere lo Stato separato dalla Chiesa».

Questa tesi è un vecchio errore diffuso da noti teologi progressisti e oggi ripreso da interi episcopati. Secondo loro, fin dal IV secolo, il governo ecclesiastico, al fine di ottenere vantaggi politici, avrebbe commesso l’enorme colpa storica di sottomettersi alla interessata protezione imperiale degradando così la immacolata “Chiesa apostolica” nella corrotta “Chiesa costantiniana”, di tipo cesaro-papista, che poi avrebbe compromesso la vera evangelizzazione dei popoli. Di conseguenza, l’attuale politica secolarizzata avrebbe il merito di realizzare una “autonomia delle realtà terrene” che contribuisce alla “purificazione della Chiesa”.

Questa tesi calunniosa, che fu sempre condannata dal Magistero ecclesiastico come laicismo, risulta essere una bestemmia che nega il governo della divina Provvidenza nelle umane vicende. Infatti, essa presuppone che il Padre Creatore si disinteressi della natura sociale dell’uomo, che il Figlio Redentore abbia fondato una Chiesa limitata alla conversione degl’individui, e che lo Spirito Santificatore non abbia saputo guidarla adeguatamente dal IV secolo fino alla vigilia del Concilio Vaticano II.

A questo punto, però, ci poniamo una domanda: se nel passato le autorità della “Chiesa costantiniana” sbagliarono così gravemente per tanti secoli, per cui i dissidenti fecero bene a disobbedirle, come mai nel presente le autorità della “Chiesa conciliare” pretendono di non sbagliare più, per cui gli attuali dissidenti fanno male a disobbedirle?





(Foto: Concilio di Nicea, Icona di Sconosciuto (cropped), da Wikipedia, Dominio pubblico)

[1] Cfr. E. Horst, Costantino il Grande, Rusconi, Milano 1984, cap. XXXI.

[2] Cfr. S. Williams e G. Friell, Teodosio: l’ultima sfida, ECIG, Genova 1999, pp. 83-98.

[3] G. Filoramo, La Croce e il potere, Laterza, Bari-Roma 2011, p. 87.

[4] J. B. Bury, A history of the later Roman Empire, Dover Books, New York 1958, vol. I, p. 360.

[5] P. Veyne, Quando l’Europa è diventata cristiana (213-394), Garzanti, Milano 2010, p. 53.

[6] S. Agostino d’Ippona, De catechizandis rudibus, XXI, 37.

[7] Cfr. card. J. Daniélou, L’oraison, problème politique, Editions du Cerf, Paris 2012.

[8] Cfr. R. Gorostiaga, Cristianismo o revoluciòn, Iction, Buenos Aires 1977, sez. IV, cap. IX.

[9] S. Agostino d’Ippona, Epistola n. CLXXXV, 6, 21.





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