mercoledì 3 luglio 2024

Settimana sociale dei cattolici, il vuoto di chi non parte da Dio



Il vuoto della proposta della Settimana sociale di Trieste non è improvvisato. Alle sue spalle ha la lunga strada della “svolta antropologica” che consiste nel partire non da Dio ma dall’uomo e comporta non solo un cambio di contenuti, ma anche un cambio di linguaggio.


L'EVENTO

EDITORIALI 


Stefano Fontana, 03-07-2024

Di cattolici in politica ce ne sono già. Il problema è vedere se facciano bene o no. Se non facessero bene, sarebbe negativo aumentare la loro presenza. Servirà la Settimana sociale dei cattolici italiani che si apre oggi a Trieste a chiarire questo punto? Partecipare non basta e non si risolvono le cose aumentando la partecipazione, bisogna vedere a cosa mira la partecipazione, quali effetti produce. Se la partecipazione dei cattolici ha come esito il voto a favore della legge Cirinnà come fatto a suo tempo da Lupi e altri, oppure l’ammissione dell’aborto, magari negandolo ma nel contempo accettando la 194 che lo permette, come espresso di recente da Marco Tarquinio, allora è preferibile concludere che sarebbe meglio se i cattolici non partecipassero alla vita democratica e la Chiesa dovrebbe dissuaderli dal farlo.

Se i cattolici dovessero riconoscere i cosiddetti “diritti civili”, se accettassero la “fiaba” dell’emergenza climatica come ieri hanno accettato quella pandemica, se puntassero su una Unione Europea alla Macron, se non avessero nessuna visione critica della cosiddetta società multireligiosa che, nel concreto, in Europa significa rassegnazione all’Islam, se non ritenessero più che i Dieci Comandamenti abbiano una funzione in politica, e, soprattutto e prima di tutto, se fossero dell’idea che la fede cristiana non abbia nulla di proprio, di originario e di vincolante da dire alla politica per renderla veramente buona, ben oltre una laicità che non riesce a non diventare laicismo … beh, allora sarebbe meglio che non partecipassero alla politica.

Preoccupa che nulla di tutto ciò verrà detto alla Settimana sociale di Trieste, nella quale, se verrà confermata la linea della fase preparatoria, si punterà tutto sulla partecipazione senza dire nulla sui fini e i contenuti per i quali si dovrebbe partecipare. La fase preparatoria è stata una grande delusione. Prima di tutto il documento preparatorio che non fa alcun riferimento a una visione cristiana della vita politica. Poi il programma e i relatori che, come è stato evidenziato, sono non solo quasi tutti di una parte ideologica, ma addirittura di una sola parte politica: il Partito Democratico.

La cosa è scandalosa e chi conosce bene il contesto triestino sa che ben altro ci sarebbe da dire sulla penetrazione tentacolare di questo partito nelle strutture diocesane e, di conseguenza, nella organizzazione della Settimana sociale, nonostante che cospicui finanziamenti per la Settimana stessa siano stati ottenuti dalla Regione che politicamente batte altre strade.

Gli eventi preparatori, coordinati in sede nazionale da esponenti PD o da persone a loro vicine, e programmati in sede diocesana dal vescovo mons. Trevisi, sono stati impostati con regole precise: nessun riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa, accettazione della democrazia liberale procedurale camuffata di sinodalità, assunzione delle tematiche della Settimana dalle tendenze politiche attualmente dominanti, accettazione del voto democratico come legittimazione del potere politico in contrasto con l’insegnamento della Chiesa su questo tema, limitazione dei riferimenti magisteriali a Francesco come se Leone XIII, ma anche Giovanni Paolo II, non fossero esistiti.

La proposta della Settimana sociale è costituita da una serie di concetti dal contenuto molto incerto, come quelli enunciati dal vescovo di Trieste in una recente intervista: «Confronto con l’alterità», «sinodalità», «rispetto reciproco», «essere più protagonisti, più attivi, più partecipi». Tutte le alterità sono da integrare? La sinodalità può avere qualsiasi approdo? Essere protagonisti, attivi e partecipi per che cosa? La Settimana è vista dal documento preparatorio come «un crocevia di persone e progetti diversi, un luogo per condividere il presente e immaginare insieme il futuro, ricercando sempre nuove vie per costruire il bene comune». Sebastiano Nerozzi, segretario del comitato organizzatore, ritiene che la Settimana sarà «un evento popolare, aperto davvero a tutti, in cui usare i linguaggi più diversi per aprire uno spazio di ascolto e di confronto che stimola all’impegno e alla riflessione» (qui). Perché mai, ci si chiede, deve essere la Chiesa ad organizzare qualcosa di così vuoto e in cui di essa, della Chiesa, non c’è traccia? (a meno di non essere intesa propri così, come uno spazio di confronto).

Questo vuoto della proposta della Settimana sociale non è improvvisato, né è frutto di infondata invenzione. Alle sue spalle ha la lunga strada della “svolta antropologica”. Questa consiste nel partire non da Dio ma dall’uomo, non dalla Chiesa ma dalla situazione storica che si sta vivendo. Questo comporta non solo un cambio di contenuti – da quelli spirituali e dottrinali a quelli sociali e fattuali – ma anche un cambio di linguaggio: non bisogna più parlare di Dio ma dell’uomo perché è parlando dell’uomo che si parla di Dio il quale, secondo questa “svolta”, si esprimerebbe solo tramite le vicende umane e i fatti storici.

La democrazia farebbe parte della situazione esistenziale di oggi da cui si deve partire, ritenendosi astratto il partire dalla fede apostolica e dalle verità della Dottrina sociale della Chiesa. Così, si pensa che la democrazia appartenga al mondo dell’esistenza che viene prima dell’essere cattolici o no. La democrazia accomunerebbe prioritariamente i cattolici a tutti, tranne quelli, però, che criticano la democrazia. E se a criticare la democrazia sono stati anche tanti Pontefici, peggio per loro.





Ma quale caldo record? L'anomalia della Mecca e di New Delhi è solo mediatica




Caldo record, eccolo di nuovo. I media non fanno che parlare delle ondate di caldo senza precedenti registrate in Arabia Saudita e a New Delhi (India) per dimostrare che sia iniziata la crisi climatica. Uno studio attento dei dati negli ultimi quattro decenni rivela che l'anomalia non c'è: si registrano ondate di caldo peggiore, in passato.

OSSESSIONI VERDI

CREATO 


Luigi Mariani, 03-07-2024

Siamo davvero di fronte a fenomeni che non hanno precedenti?

Nel giugno 2024 i media italiani hanno segnalato una consistente mortalità da caldo nella città di Nuova Delhi e alla Mecca. In quest’ultimo caso a essere colpiti sono stati i devoti musulmani che si recano nella città per il tradizionale pellegrinaggio di maggio, L'Hajj, che tutti i musulmani adulti fisicamente ed economicamente in grado di intraprendere il viaggio sono tenuti a compiere almeno una volta nella vita.

La domanda che con angoscia crescente si pongono i nostri concittadini è se si tratti di fenomeni senza precedenti e sintomo di quella crisi climatica da tanti paventata. A fronte di ciò è compito del ricercatore è fornire dati atti a confermare o smentire una tale ipotesi, cosa che proveremo a fare in questo scritto, in cui per valutare il livello di anomalia delle temperature massime registrate in tali aree nel giugno 2024 utilizzeremo i dati di temperatura massima giornaliera presenti nel dataset di GSOD. Tali dati, aggiornati al 26 giugno 2024, sono attinti dal sito dell’Università del Texas (Texas University - Global data time series), da cui chi fosse interessato a un’informazione corretta e fondata su dati osservativi è invitato ad attingere per analizzare casi analoghi che dovessero verificarsi in futuro.

Circa il dataset meteorologico globale GSOD mi preme ricordare che è tutt’altro che esente da difetti, in particolare per le precipitazioni che sono di qualità scadente. Inoltre nel caso delle temperature, il dataset non è in grado di rendere conto di fenomeni estremi a carattere locale in quanto trattasi di stazioni sinottiche spesso collocate in aeroporti.

Il caso dell’Arabia Saudita

I dati aeroportuali di Al Taif (60 km a Est della Mecca) sono relativi al periodo 1983-2024 e presentano un solo anno mancante (il 1989), per cui in complesso sono disponibili 41 anni. In figura 1 si presentano i 50 giorni più caldi dell’intera serie. Si noti che quanto registrato nel 2024 vanta importanti precedenti e che ai 6 giorni più caldi in assoluto (17 agosto 2001 con 44.0°C seguito dal 3 agosto 1987 con 42,4°C, dal 19 luglio 2012 con 41°C, da 14 settembre 2000 e 16 luglio 2011 con 40.6°C e dal 19 luglio 2010 con 40.5°C) segue una lunga lista di 30 valori di 40,0°C fra cui ricadono l’8 giugno, il 21 giugno e il 22 giugno 2024 (barre rosse).


I dati per il circondario di New Delhi


Fra maggio e giugno, prima dell’arrivo delle piogge estive associate al Monsone, il clima del circondario di New Delhi è esposto a ondate di caldo estreme, fenomeno di cui rende ad esempio conto la descrizione che del clima offre un sito governativo per la città di Ambala, che da Nuova Delhi dista circa 200 km: “Il clima di Ambala per la maggior parte dell'anno è di carattere continentale pronunciato. Fa molto caldo in estate e decisamente freddo in inverno. Maggio e giugno possono essere molto caldi e le temperature che possono superare i 48°C, mentre in inverno possono scendere fino a -1°C".


Per una valutazione dell’evento termico estremo del 2024 sono state prese in esame le serie GSOD dal 1 gennaio 1957 al 26 giugno 2024 registrate negli aeroporti di Ambala (214 km a Nord di New Delhi – lat 30.383 N, lon 76.767 E, 272 m slm) e Hissar (188 km a Nordovest di New Delhi - lat 29.179 N, lon 75.755 E, 213 m slm). Si consideri che mentre nella serie di Hissar mancano solo gli anni 1959-60 e 1963-72 ed in complesso è disponibile il 79,9% dei dati, in quella di Ambala le carenze sono assai più consistenti, mancando all’appello il 65,8% dei dati. In ragione di ciò ci si è limitati a considerare la serie di Hissar (figura 2), per la quale le 4 ondate di caldo più estreme rispetto a quella del 2024 sono ricadute negli anni 1986, 1998, 2007 e 1984.

Mortalità da caldo (e da freddo!) e isola di calore urbano


Dall’analisi condotta emerge che per gli areali oggetto di questo commento le ondate di caldo del 2024 non possono in alcun modo essere considerate come prive di precedenti. Occorre peraltro aggiungere che l’isola di calore urbano può giocare un ruolo importante nel determinare problemi di salute e conseguenti eccessi di mortalità in coincidenza con le ondate di caldo. Da ciò deriva che una priorità assoluta dovrebbe oggi quella di mitigare l’isola di calore urbano e più in generale di creare condizioni di vita fisiologicamente gradevoli e socialmente dignitose nelle grandi città, in primis in quelle dei Paesi in via di sviluppo. Al riguardo occorre anche sottolineare che la mitigazione dell’isola di calore urbano dovrebbe essere selettiva e mirare a contenere l’eccesso termico estivo rispetto alle aree rurali circostanti mantenendo al contempo la protezione che le città offrono alle popolazioni in occasione delle ondate di freddo invernali, che in Italia e a livello globale sono tutt’ora di gran lunga la principale causa di mortalità per estremi termici.

A tale riguardo Yuming Guo e collaboratori in un lavoro scientifico apparso su The Lancet nel 2021 hanno esaminato le serie temporali di 750 località collocate in 43 Paesi del mondo. I dati sono relativi al periodo 2000-2019, nel quale le temperature globali sono aumentate di 0,26 °C per decennio. Su tale periodo i ricercatori hanno analizzato un totale di 53.904.274 decessi ponendo in evidenza che l’eccesso termico (troppo caldo o troppo freddo) ha provocato 5.833.173 decessi, di cui 4.592.644 (oltre il 90%) era dovuto al freddo e solo il 490.529 (meno del 10%) era provocato dal caldo. Tali dati confermano quelli emersi dallo studio pubblicato sempre su The Lancet da Gasparrini e collaboratori nel 2015.

In conclusione l’eccesso di enfasi sul tema della cosiddetta “crisi climatica” allontana un’analisi oggettiva delle cause del disagio delle popolazioni. Occorrerebbe invece ridurre il tasso di retorica e indirizzare le risorse limitate di cui disponiamo alla soluzione dei problemi più che mai concreti che ci stanno di fronte, a iniziare dalla vivibilità degli ambienti urbani e rurali, dal rischio idrogeologico, dall’inquinamento dell’aria e delle acque e dalla disponibilità di cibo e di acqua potabile.






martedì 2 luglio 2024

Orrore e blasfemia nella Cattedrale di Linz: statua della Madonna che partorisce seminuda a gambe aperte




 2 LUGLIO 2024

AGGIORNAMENTO delle ore 9:30: tre ore dopo la pubblicazione di questo post, siamo venuti a sapere che la scultura crowning dell’artista Esther Strauß è stata distrutta «da un atto di vandalismo» (?!?) e «non è attualmente visitabile.

Sul sito ufficiale della Cattedrale di Linz si legge: «Lunedì 1º luglio, la scultura è stata distrutta in un atto di vandalismo di prima mattina – la testa della scultura è stata segata – e non può più essere ammirata nella sala d’arte del Mariä-Empfängnis-Dom. Il caso è stato denunciato alla polizia» (QUI).

Poi continua: «Le posizioni artistiche sono parte essenziale del progetto DonnaStage che, in occasione del centenario della consacrazione del Mariä-Empfängnis-Dom, esplora le questioni relative al ruolo della donna, all’immagine della famiglia e all’uguaglianza di genere attraverso installazioni artistiche, laboratori e discussioni. L’obiettivo è creare uno spazio per un discorso critico e promuovere la pluralità della religione e della Chiesa.

[…] L’artista Esther Strauß: “La maggior parte dei ritratti della Vergine Maria sono stati realizzati da uomini e quindi hanno spesso servito interessi patriarcali. La teologa Martina Resch l’ha riassunto in poche parole: Con la crowning, Maria si riappropria del suo corpo. Chi ha rimosso la testa dalla scultura è stato molto brutale. Per me questa violenza è espressione del fatto che ci sono ancora persone che mettono in discussione il diritto delle donne al proprio corpo. Dobbiamo prendere una posizione molto ferma contro questo”.
[…] Nell’anno dell’anniversario, la serie di eventi DonnaStage sta contribuendo in modo significativo a promuovere una cultura aperta al dialogo e a dare spazio a prospettive diverse».

Ci permettiamo di porre il quesito: atto di vandalismo o atto di autotutela della Verità, bellezza e buon gusto umiliati da una oscena e dissacrante immagine spacciata per opera d’arte ed asservita alla visione ideologica anti-cattolica, perdipiù installata in una Cattedrale cattolica?


* * *


Vi proponiamo – in nostra traduzione [MiL] – l’articolo pubblicato sul sito ufficiale della Cattedrale di Linz il 30 giugno, in cui si descrive la scultura posta nella sala d’arte della chiesa, la quale mostra la Madonna che partorisce «da una prospettiva femminista» (!?!).



In particolare la Turmkapelle West [Cappella della Torre Ovest: N.d.T.] del Mariä-Empfängnis-Dom [Duomo dell’Immacolata Concezione: N.d.T.] a Linz dal 27 giugno al 16 luglio è diventata uno spazio artistico in occasione del 100º anniversario della sua consacrazione ed attualmente è in mostra la scultura «crowning» di Esther Strauß come parte della serie «Künstlerische Positionen zur Heiligen Familie» [Posizioni artistiche sulla Sacra Famiglia: N.d.T.].

Innanzitutto occorre precisare che il titolo inglese dato all’opera – crowning – gioca su un’ambivalenza semantica: significa certamente «incoronazione», ma in lingua inglese il termine è usato anche per indicare la fase del parto in cui la testa del neonato inizia a spuntare, a comparire; e la posizione in cui è rappresentata la Madonna orienta fortemente verso l’inclusione, se non la preminenza, di questo secondo significato (nella traduzione si è voluto mantenere il termine inglese non tradotto).

Dalle fotografie pubblicate appare chiaramente una immagine – pur scientificamente, anzi ginecologicamente corretta – non solo di pessimo gusto (e già quindi inadatta ad essere ospitata in una Cattedrale), ma anche fortemente connotata da una finalità ideologica blasfema del tutto estranea alla tradizione artistica cattolica e – osiamo dire – anche in contrasto con la dottrina.

Infatti non si può non notare sul volto della Madonna gli evidenti segni dei dolori del parto; ma – per dogma solennemente proclamato da Papa Pio IX con la bolla Ineffabilis Deus – ella «fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento»; essendo quindi nata senza peccato originale (tra l’altro, la Cattedrale di Linz è proprio intitolata all’Immacolata Concezione), la Chiesa ha sempre creduto ed insegnato che abbia partorito senza dolori e senza alcuno spargimento di sangue («qui non ex sanguinibus»: Io. 1,13).

Che si tratti poi di un’opera essenzialmente ideologica è espresso senza neppure un tentativo di smussamento nello stesso articolo pubblicato sul sito della Cattedrale, che chiarisce la «prospettiva femminista» della statua.

L’artista stessa – alla domanda sul motivo per cui, nella storia dell’arte, non esiste alcuna immagine di Maria che partorisce – risponde che «questo ha a che fare con il fatto che le dee madri dei primi tempi si sono “trasformate in una Dea Madre a-sessuale” nel Cristianesimo, che serve come “una nuova immagine ideale della madre o della donna per le relazioni di potere patriarcali”»… poteva mancare il «patriarcato»?

Se non bastasse, continua: «Allo stesso tempo “l’enorme capacità creativa delle donne è stata ridotta a una capacità biologica di partorire che non vale più la pena di menzionare, dichiarando questa forza come una debolezza allo stesso tempo, non solo escludendo la nascita e il lavoro di cura dal pensiero del progresso, ma in realtà opponendosi ad esso e quindi emarginandolo”»… assicuriamo che l’originale «supercazzola» tedesca non è più comprensibile della traduzione italiana!

Insomma, il sunto di tutto il più trito armamentario vetero-femminista, per poi giungere a spiegare il vero significato di tutta l’operazione che ha portato alla scultura di Maria partoriente, che «è completamente se stessa. È al centro del suo potere – e anche al centro della sua indipendenza»… come fare strame, in un dol colpo, di tutti i racconti evangelici.

E non è certo un caso che il Vescovo di Linz sia mons. Manfred Scheuer, il più importante curatore fallimentare della Chiesa austriaca (ne abbiamo recentemente trattato QUI, QUI e QUI).


L.V.

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La scultura crowning nello spazio artistico mostra Maria che partorisce


L’artista Esther Strauß, che vive a Vienna e in Tirolo, mostra la scultura di una donna che partorisce seduta su una roccia su un basamento al centro della sala. L’opera fa riferimento al presepe del Mariä-Empfängnis-Dom, completato nel 1913 da Sebastian Osterrieder, uno dei più grandi presepi al mondo con quaranta figure in legno di tiglio. Esther Strauß, il cui lavoro artistico è specificamente dedicato alle lacune e ai misteri, riprende lo spazio vuoto della nascita di Cristo da una prospettiva femminista con la figura della crowning, circa 110 anni dopo il completamento del presepe. Oltre alle due figure di Maria che fanno parte del presepe della Cattedrale – la Maria inginocchiata con le mani giunte accanto al bambino nella culla, che viene allestita alla vigilia di Natale, e la Maria seduta con il bambino Gesù in grembo, che appare all’Epifania – Esther Strauß ha creato una terza figura di Maria: Maria che partorisce.

«Forse Maria è la donna al mondo di cui esiste il maggior numero di dipinti, disegni e sculture; ce ne saranno migliaia e migliaia. La maggior parte di queste immagini sono state realizzate da uomini. Perché l’immagine che manca spicca tra tutte? La Natività, che milioni di persone celebrano il 24 dicembre, non è raffigurata in nessun dipinto o scultura. Quando parliamo della nascita di Cristo, immaginiamo un bambino in una mangiatoia, ma non la madre che lo partorisce», dice l’artista, che si pone anche delle domande: «Questo ha a che fare con il fatto che – come scrive la storica dell’arte Ann-Katrin Günzel – le dee madri dei primi tempi si sono “trasformate in una Dea Madre a-sessuale” nel Cristianesimo, che serve come “una nuova immagine ideale della madre o della donna per le relazioni di potere patriarcali”? Che allo stesso tempo “l’enorme capacità creativa delle donne è stata ridotta a una capacità biologica di partorire che non vale più la pena di menzionare, dichiarando questa forza come una debolezza allo stesso tempo, non solo escludendo la nascita e il lavoro di cura dal pensiero del progresso, ma in realtà opponendosi ad esso e quindi emarginandolo”?».

La figura crowning è stato creato in collaborazione con altri due artisti in un processo di sette mesi di lotta per la forma e l’espressione. La scultrice Theresa Limberger ha scolpito e dipinto la figura prima che venisse patinata dall’artista e restauratrice Klara Kohler. In aspetti come l’abbigliamento e le mani, la «terza» Maria riecheggia le due figure storiche della Vergine Maria nel presepe, ma è comunque diversa per effetto e carisma: «La terza Maria è completamente se stessa. È al centro del suo potere – e anche al centro della sua indipendenza», afferma Esther Strauß.

Tra l’altro, l’artista ha un rapporto speciale con il Mariä-Empfängnis-Dom: nel 2008 è stata la prima donna eremita della torre a trasferirsi nella Türmerstube [sala della torre: N.d.T.].

Cliccare QUI per maggiori informazioni su Esther Strauß.

La scultura crowning può essere ammirata fino al 16 luglio 2024 nel Kunstraum (Turmkapelle West) durante gli orari di apertura del Mariä-Empfängnis-Dom (dalle ore 8:00 alle ore 19:00).









All’inaugurazione della mostra, il 27 giugno 2024, i teologi Martina Resch (Katholische Privat-Universität Linz) e Andreas Telser (Universität Wien) hanno affrontato il contesto teologico dell’opera nella loro introduzione. «Perché un bambino nasca, è necessario un “allargamento” fisico, ma anche emotivo. In inglese si usa la parola “crowning” per indicare il momento in cui la dilatazione è massima e la testa del neonato diventa visibile. Esther Strauß apre una visione finora non considerata, addirittura omessa, di Maria come donna che partorisce. Questo è teologicamente significativo, poiché l’arrivo di Dio nell’uomo Gesù di Nazareth è e rimane dipendente dalla forza umana di Maria e dal suo legame con la terra al momento della nascita e oltre», dice Telser. «L’opera è un forte impegno per l’incarnazione di Dio. La storia della salvezza non inizia con Gesù, ma con l’Annunciazione, e diventa vivida nel momento in cui nasce una nuova vita», spiega Martina Resch.

Maria Reitter-Kollmann, storica dell’arte e presidente della Linzer Diözesankunstvereins [Associazione diocesana d’arte di Linz: N.d.T.], ha presentato la tradizione iconografica che circonda la nascita di Cristo – le raffigurazioni di Maria nella speranza, Maria nel parto e Maria che allatta. Dopo il Concilio di Efeso del 431 e la conferma dogmatica di Maria come Madre di Dio, come «Θεοτόκος» [Theotókos: Genitrice di Dio: N.d.T.], Maria è stata raffigurata nell’arte bizantina come una figura reclinata con il bambino. La relazione emotiva tra madre e figlio non compare fino al XIII secolo. «Con la rappresentazione molto accurata della Maria Theotókos partoriente di Esther Strauß, lo spazio vuoto nella grotta del presepe del Mariä-Empfängnis-Dom può ora essere riempito – nell’immaginazione dello spettatore», ha detto la storica dell’arte all’inaugurazione.


Ecco alcune impressioni fotografiche







Fonte



In Germania dopo l’avvio del “cammino sinodale” è fuga dalla Chiesa cattolica. Ma i vescovi non cambiano strada





02 LUG 2024

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by Aldo Maria Valli



Leggete queste cifre: 272.771, 221.390, 359.338, 522.821, 402.694.

Sapete che cosa indicano? Sono i cattolici che hanno lasciato la Chiesa in Germania, rispettivamente negli anni 2019, 2020, 2021, 2022 e 2023. Il totale fa 1.779.014.

La cifra di 1.779.014 abbandoni è qualcosa di impressionante. Dal 2019, anno in cui è stato avviato il cammino sinodale sulla scia della crisi degli abusi, si assiste a un tracollo senza precedenti.

Al momento (dati della fine del 2023) i cattolici in Germania sono poco più di venti milioni, pari al 24% della popolazione.

Nell’arcidiocesi di Colonia, quella con il maggior numero di cattolici fra le ventisette diocesi tedesche, l’anno scorso sono state 40.913 le persone che hanno lasciato formalmente la Chiesa. L’anno precedente erano state 51.345

Lasciare formalmente la Chiesa in Germania richiede un procedimento non del tutto agevole. Il cattolico battezzato deve prenotare un appuntamento presso un ufficio anagrafico o un tribunale locale, fornire documenti validi e pagare una tassa di circa 35 euro. Dopo di che riceve una certificazione nella quale si afferma che il soggetto in questione non è più registrato come cattolico e quindi non è più soggetto al pagamento della tassa ecclesiastica. Allo stesso tempo, chi abbandona formalmente la Chiesa cattolica riceve dai funzionari della propria diocesi una lettera con la quale si comunica che l’ormai ex fedele cattolico non potrà più ricevere i sacramenti, ricoprire incarichi ecclesiastici o servire come padrino o madrina in battesimi e cresime.

Di pari passo con l’abbandono dei fedeli, anche i dati sulle vocazioni sacerdotali sono tutti in rosso.

Nel 2023 in Germania sono stati ordinati 38 nuovi sacerdoti (34 secolari e quattro religiosi), contro i 45 (33 secolari e 12 religiosi) dell’anno precedente.

In Francia nello stesso periodo sono stati ordinati 88 sacerdoti, mentre in Austria, dove i cattolici sono circa un quarto rispetto alla Germania, le ordinazioni sono state ventinove.

I dati del 2024 confermano la tendenza. Nelle cinque diocesi cattoliche della Renania Settentrionale-Vestfalia, l’area più popolosa della Germania, quest’anno saranno ordinati solo sette sacerdoti. E per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale non ci saranno ordinazioni sacerdotali nella diocesi di Würzburg e nell’arcidiocesi di Bamberg, entrambe situate in Baviera, tradizionale cuore della Chiesa cattolica tedesca.

In Germania (dati del 2023) i sacerdoti sono 11.702. Nel 2022 erano 11.987.

E i sacramenti? Sempre stando ai dati del 2023, i battesimi sono stati 131.245, in calo rispetto ai 155.173 del 2022, e le cresime sono scese a 105.942 rispetto alle 110.942 dell’anno precedente.

Il numero di matrimoni in chiesa è sceso a 27.565 rispetto agli oltre 35 mila dell’anno precedente.

In controtendenza è la percentuale di cattolici che frequentano la Messa, salita dal 5,7% del 2022 al 6,2% del 2023. Anche il numero di persone che dichiarano formalmente l’ingresso nella Chiesa cattolica è aumentato, passando dai 1.447 nel 2022 ai 1.559 nel 2023, ma non sono numeri tali da non compensare gli abbandoni.

Circa la partecipazione alla messa ci sono forti differenze tra una diocesi e l’altra. La diocesi di Görlitz (che si trova nell’ex Germania dell’Est e ha la popolazione cattolica più piccola tra le diocesi tedesche) fa registrare il record: le persone che partecipano regolarmente alla Messa sono il 13,9%. Al contrario, diocesi come Aquisgrana e Treviri, nella Germania occidentale, hanno registrato le percentuali più basse, pari al 4,2%.

Grazie alla tassa ecclesiastica nel 2022 la Chiesa cattolica tedesca ha raccolto la cifra record di 6,848 miliardi di euro, ma il gettito diminuirà significativamente nei prossimi anni a causa del calo del numero di cattolici e del peggioramento generale delle condizioni economiche.

Di qui i tagli. Come nella diocesi di Magonza (621 mila cattolici), dove le spese saranno ridotte del 25% nei prossimi anni.

Le cose non vanno molto meglio tra i protestanti. La Chiesa protestante di Germania (EKD), federazione di venti chiese regionali luterane, riformate e unite (queste ultime sono il risultato dell’unione di varie chiese protestanti), ha fatto sapere di aver perso 380 mila fedeli nel corso del 2023, con una diminuzione di oltre il cinque per cento delle entrate fiscali.

Il vescovo Kirsten Fehrs, presidente del Consiglio della EKD, ha dichiarato: “Stiamo diventando una chiesa più piccola e più povera. Dobbiamo affrontare questa realtà”.

Ma come reagisce la Conferenza dei vescovi cattolici tedeschi alla crisi senza precedenti?

È “una crisi globale” dice monsignor Georg Bätzing, presidente della Conferenza episcopale tedesca. Il quale, tuttavia, si affretta ad aggiungere che i cambiamenti proposti dal controverso “cammino sinodale” tedesco sono necessari con urgenza. Nessun passo indietro. Secondo il vescovo, “le riforme da sole non risolveranno la crisi della Chiesa, ma la crisi peggiorerà senza riforme. Ed è per questo che il cambiamento è necessario”.

E il vicario generale di Colonia, monsignor Guido Assmann, commenta: “La tendenza di noi cattolici a diventare meno numerosi è continua. Tuttavia, c’è anche uno sviluppo positivo: il numero di persone che lasciano la Chiesa è diminuito rispetto all’anno precedente”.

Chi si accontenta gode.

Fonti:

dbk.de

pillarcatholic.com



Sostegni vitali, l’ultima lotta (al rovescio) dei Radicali



Dal caso di Massimiliano Scalas in poi, Cappato & Co. cercano di eliminare il requisito dei «trattamenti di sostegno vitale», posto dalla Consulta come precondizione per accedere al suicidio assistito. La solita strategia mortifera che si basa su un pretesto.

SUICIDIO ASSISTITO
EDITORIALI 



Gutta cavat lapidem. La goccia scava la roccia. La roccia è la tutela della dignità personale e la goccia è quella dei radicali che non mollano sul suicidio assistito. Di recente, su un aspetto particolare si stanno accanendo: eliminare, per accedere all’aiuto al suicidio, il requisito dei «trattamenti di sostegno vitale», voluto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 242/2019 (qui un approfondimento).

La battaglia su questo requisito è iniziata con il caso Massimiliano Scalas, affetto da sclerosi multipla e morto tramite suicidio assistito in Svizzera nel dicembre del 2022. Felicetta Maltese, Chiara Lalli e il radicale Marco Cappato si autodenunciarono per aver accompagnato Massimiliano oltre i confini italici. Il Gip Agnese De Girolamo, lo scorso 17 gennaio, ha, come di consueto, sollevato questione di legittimità costituzionale riguardo al criterio dei trattamenti di sostegno vitale perché discriminatorio: chi è tenuto in vita da questi trattamenti può morire e chi invece non è tenuto in vita da nessun macchinario o mezzo farmacologico non può morire.

Poi c’è stato il caso di Martina Orpelli, paziente tetraplegica a cui l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asugi) di Trieste negò l’accesso alla pratica del suicidio assistito proprio perché mancante del requisito di cui sopra. Andò diversamente per la signora Anna, affetta da sclerosi multipla: l’assistenza alla persona e l’aiuto alla respirazione con il ventilatore meccanico nelle ore notturne furono considerati trattamenti di sostegno vitale e quindi Anna riuscì a trovare la morte nel novembre scorso.

Il requisito dei sostegni vitali pone ai radicali un duplice problema. Il primo lo abbiamo già evidenziato: il depresso che vuole morire ma che non è tenuto in vita da nessun presidio medico viene escluso dalla pratica dell’aiuto al suicidio. Secondo problema: un’Asl o un giudice possono considerare le terapie XY come mezzi di sostegno vitale e un’altra Asl o un altro giudice possono essere di parere opposto. Occorre quindi tagliare la testa al toro ed eliminare questo requisito. La strategia per giungere a questo scopo passa soprattutto dai tribunali: tempestare la Consulta con ricorsi al fine di farle cambiare idea su questo requisito specifico.

Ecco allora approfittare di tutte le occasioni propizie per tagliare il traguardo. Ed ecco dunque l’ennesimo caso-fotocopia di persone morte in Svizzera perché mancanti del requisito tanto contestato. Si tratta di Romano N. e di Elena Altamira. Il primo era affetto da una forma molto grave di Parkinson, tanto da costringerlo a vivere a letto. La seconda era malata terminale di cancro ai polmoni. Entrambi sono stati accompagnati da Cappato in Svizzera, dove si sono suicidati nel 2022, e in entrambi i casi quest’ultimo si è autodenunciato presso il Tribunale di Milano.

Questi due casi presentano alcune particolarità giuridiche in riferimento al requisito che stiamo qui trattando. La signora Altamira aveva rifiutato di essere tenuta in vita nel suo ultimo scorcio di esistenza da qualsiasi trattamento particolare. Il signor Romano era invece aiutato a vivere da alcuni presidi, ma li giudicava non appropriati, li qualificava dunque come accanimento terapeutico.

Il Gip di Milano Sara Cipolla, dopo che il caso fu archiviato ma poi dalla stessa Cipolla riaperto, ha chiesto alla Consulta di valutare la legittimità costituzionale del requisito dei trattamenti di sostegno vitale sia perché potrebbe essere discriminatorio per i motivi prima illustrati sia alla luce della seguente considerazione: se tali trattamenti configurassero accanimento terapeutico sprofonderemmo in un paradosso. Il paziente, che vorrebbe morire, sarebbe costretto, per soddisfare i requisiti voluti dalla Consulta, a sottoporsi a trattamenti di sostegno vitale che però configurerebbero accanimento terapeutico. Dunque dobbiamo permettere di far accedere al suicidio assistito anche coloro che rifiutano un trattamento salvavita «non perché inutile, ma perché espressivo di accanimento terapeutico secondo la scienza medica e non dignitoso secondo percezione del malato», dichiara il Gip.

In sintesi, secondo questa linea, il requisito dei trattamenti di sostegno vitale deve essere cassato sia perché non c’è giudizio omogeneo su quali trattamenti rientrino in tale categoria, sia perché discriminerebbe chi vuole morire e non è tenuto in vita da nessun presidio particolare, sia perché tali trattamenti possono in alcuni casi qualificarsi come accanimento terapeutico.

Quest’ultima motivazione, al pari delle altre, è pretestuosa. Infatti per accanimento terapeutico intendiamo un trattamento inefficace, ossia sproporzionato rispetto ai fini. Ora, la Corte costituzionale fa riferimento a trattamenti di sostegno vitale. Questa espressione può ricomprendere due tipologie di trattamento. La prima: un trattamento salvavita. In questo caso, dato che il trattamento è appunto salvavita, è sempre efficace, è sempre proporzionato (eccetto nel caso in cui – più teorico che reale – il trattamento provochi un dolore fisico impossibile da sopportare). Seconda tipologia di trattamenti: cure non salvavita, ma che permettono di mantenere in vita una persona più a lungo e per un certo tempo. Nel caso della signora Elena, se è paziente terminale, non è predicabile l’esistenza di un trattamento salvavita a suo favore. Molto probabilmente si faceva riferimento invece a cure che avrebbero potuto prolungare la sua aspettativa di vita, ma che lei decise di rifiutare. Ora, questo tipo di trattamenti può effettivamente configurare accanimento terapeutico, ma – ed è questo il punto – ciò non legittima l’aiuto al suicidio, ma solo la cessazione di questi trattamenti perché inutili o addirittura dannosi.

Dunque, i radicali usano il pretesto dell’accanimento terapeutico per accedere al suicidio assistito più facilmente e con tanto di benedizione della Consulta.





lunedì 1 luglio 2024

La realtà è più forte di chi vuole seppellire il Rito antico


 

Contro la liturgia tradizionale è in atto una guerra ideologica, che in quanto tale è destinata ad arenarsi contro le concrete conversioni e vocazioni. Il tempo è galantuomo perché non è lo spazio dell'ideologia ma della Provvidenza divina.

I FATTI PARLANO



Luisella Scrosati, 28-06-2024

Questa Messa non s'ha da fare, almeno nella mente di un consistente numero di prelati. I quali stanno cercando di circuire papa Francesco, per convincerlo a firmare un nuovo documento che taglierebbe definitivamente le possibilità di sopravvivenza del Rito antico al di fuori dell'apostolato degli Istituti ex-Ecclesia Dei. Se questo documento già esista o meno non è ancora chiaro; sembra invece trovare maggiore conferma il fatto che ad ogni modo la sua pubblicazione non sarebbe dietro l'angolo e nemmeno che sia così scontato che il Papa intenda appoggiare questa causa; forse per la nota antipatia che Francesco nutre per il Cardinale Arthur Roche, forse perché l'emarginazione di cattolici fedeli alla Santa Sede non sarebbe una buona pubblicità del Sinodo all'insegna del todos, todos, todos, forse per non si sa quale altra ragione.

L'esito della recente visita di Mons. Gilles Wach, Priore generale dell'Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote, sembra confermare una certa “protezione” del Papa nei confronti degli Istituti ex-Ecclesia Dei, come già accadde per la Fraternità San Pietro, ricevuta all'indomani del motu proprio Traditionis Custodes, e confermata nel proprio apostolato.

Decisamente più in difficoltà appare invece la Socièté des Missionaires de la Miséricorde Divine, Società di Vita apostolica di diritto diocesano (Fréjus-Toulon), molto attiva nell'evangelizzazione, con una particolare attenzione al mondo musulmano, e che oggi conta 34 membri. Gli statuti propri dell'istituto prevedono l'utilizzo dei libri liturgici anteriori alla riforma, ma dopo Traditionis Custodes la loro situazione sembra essere in stallo. Un comunicato del Superiore Generale, l'abbè Jean-Raphaël Dubrule, lamenta che un seminarista è in attesa da due anni degli Ordini maggiori e altri quattro seminaristi sono “fermi” da un anno, nonostante la situazione critica relativa alla diocesi si sia finalmente “sbloccata”.

«A seguito di numerose discussioni con le autorità romane competenti, guidate da Mons. Touvet [vescovo coadiutore di Fréjus-Toulon, n.d.a], che ringrazio vivamente per il suo grande sostegno alla nostra comunità, sembra che la situazione sia bloccata non solo per il rito dell'ordinazione, ma anche per la possibilità per i futuri sacerdoti di poter celebrare secondo il vecchio rito», spiega Dubrule. Le resistenze della Santa Sede mettono in seria difficoltà i membri dell'Istituto, i quali «non sarebbero più nella possibilità di esercitare il loro ministero all'interno della comunità e in conformità con gli statuti».

Sembra che a Roma si sia preoccupati, per non dire terrorizzati, dell'esistenza del Rito antico e che la priorità attuale del Dicastero per il Culto Divino sia quella di farlo sparire dalla faccia della terra. Lo stesso zelo però non sembra caratterizzare l'implementazione della costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, che, pur dando congruo spazio alle lingue nazionali, richiedeva il mantenimento della lingua latina nella liturgia (cf. SC 36, 54); così come, in perfetta continuità con lo sviluppo della tradizione liturgica, riconosceva «il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana», al quale riservare «il posto principale» (SC 116). Latino e gregoriano non più pervenuti nella stragrande maggioranza delle celebrazioni liturgiche, incluse quelle nelle cattedrali.

Né pare che tale zelo sia attivo nel perseguire i continui e sempre più diffusi abusi liturgici, alcuni dei quali al limite dell'immaginabile, che stanno allontanando i fedeli cattolici, giustamente disgustati, dalla liturgia. Non è un mistero che se un sacerdote celebra con il volto truccato da clown nessuno lo tocca, mentre se lo stesso sacerdote celebrasse con il Rito antico verrebbe spedito sull'Isola di Gorgona. Perché a noi non sta a cuore solo il Rito antico; sta altrettanto a cuore che le ben più numerose persone che frequentano il Rito riformato possano fare esperienza della bellezza della liturgia e non rimanere intossicate dalle molto clericali creatività liturgiche. Perché la realtà dice che esistono gli uni ed esistono gli altri. Ed un vero pastore deve prendersi cura di entrambi. Senza riduzionismi ideologici.

E veniamo così al nocciolo della questione: è sempre più chiaro che il Dicastero nominalmente guidato da Roche, ma realmente diretto da Mons. Viola, è malato di ideologia. Perché non vuole vedere i gravi malanni di cui soffre oggi la liturgia romana, mentre si ostina a perseguitare un Rito che la Chiesa ha approvato per secoli e che oggi continua ad attirare e nutrire decine di migliaia di fedeli in tutto il mondo e centinaia di vocazioni sacerdotali e religiose. E la realtà non può essere cancellata con un decreto. Come scriveva Dostoevskij ne I Fratelli Karamazov, «i fatti parlano! Gridano!». Parlano di un popolo giovane, in continua crescita, che è lieto di abbeverarsi a queste fonti, senza utilizzare questa liturgia in modo altrettanto ideologico contro il Concilio, contro questo o contro quello. Gridano del bisogno delle famiglie di una liturgia e di una pedagogia della fede ancorata all'esperienza secolare della Chiesa, senza per questo impedire ad altri di seguire altre strade.

Anche le ideologie gridano, ma semplicemente perché non vogliono lasciare spazio alla parola che proviene dalla realtà. Per caso Mons. Viola, il cardinale Roche o il cardinale Parolin si sono mai presi la briga di parlare con queste persone? Di cercare di capire che cosa le muove? O si accontentano di un certo “grillo parlante” che non fa altro che disprezzare, senza nemmeno sapere di chi sta parlando?

Uscirà questo temuto documento o non uscirà? Impedirà completamente il Rito antico o conserverà delle riserve indiane? Qualunque cosa accada, esso assesterà un colpo, ma non vincerà la guerra. Perché la realtà, con la sua invincibile testardaggine, ha saputo seppellire regimi ideologici ben peggiori. È solo questione di tempo e il tempo è galantuomo non per virtù propria, ma perché è lo spazio della Provvidenza divina. Che non è ideologica.

Per questo, nonostante tutto spinga nella direzione contraria, rilanciamo di nuovo la proposta ideata da Padre Louis-Marie de Blignières di una circoscrizione ecclesiastica, che permetta ai fedeli di poter ricevere i sacramenti e vivere la vita liturgica secondo il Rito antico, rimanendo in pace all'interno della Chiesa. E la rilanciamo soprattutto all'attenzione dei vescovi, perché sostengano la linea di un sano realismo. E di una vera accoglienza che, se non viene vissuta con quelli di casa, come può pretendere di aprirsi verso quelli di fuori? Perché se è vero che l'ideologia viene alla fine sempre sepolta dalla realtà, è altrettanto vero che nel mentre essa miete innumerevoli vittime. E lo vediamo giorno dopo giorno nelle tante anime che, continuamente colpite nella loro sensibilità liturgica, finiscono per cercare soluzioni che non sono in comunione con la Chiesa. La “proposta de Blignières” non è un'idea geniale e non è nemmeno un astuto escamotage: è un'idea realistica. Essa semplicemente chiede al diritto della Chiesa di avvalersi di una figura giuridica già esistente, per dilatare i propri spazi e racchiudere tra le sue braccia migliaia di suoi giovani (e meno giovani) figli.

«Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?» (Lc 11, 11-12). E a un figlio che chiede i sacramenti secondo un Rito che appartiene alla Chiesa?






Settimana sociale di Trieste. Niente di buono da aspettarci







Di Stefano Fontana, 1 LUG 2024

Dal 3 al 7 luglio prossimi si terrà a Trieste la 50ma Settimana sociale dei cattolici italiani. Il nostro Osservatorio ha già espresso alcune valutazioni sui documenti e gli incontri preparatori dell’evento, nonché sulla nuova impostazione che oggi viene data alle Settimane sociali. In calce a questo articolo il lettore può trovare l’elenco di questi nostri interventi. Qui mi permetto di sottolinearne almeno due: la pubblicazione di un numero monografico della nostra rivista, il “Bollettino della Dottrina sociale della Chiesa”, dedicato a “Democrazia, forma di governo e non fondamento del governo”, e il convegno che terremo a Trieste il 6 luglio prossimo dal titolo “La democrazia: cattolicesimo politico e dogma liberal-democratico”.

Le ultime e più recenti Settimane sociali hanno sposato una visione progressista molto unilaterale ed esclusivista. Anche questa di Trieste sembra impostata a senso unico. È stato fatto notare [vedi qui] che una gran quantità di relatori e coordinatori dei lavori alla Settimana sociale di Trieste hanno strutturali relazioni con un partito, il Partito Democratico, il che ci dice che ne condividono l’impostazione generale che contrasta con i principi della Dottrina sociale della Chiesa, nonostante oggi le autorità ecclesiastiche sostengano che si può e si deve collaborare con tutti. Punto, questo, decisamente insostenibile, a meno di invertire il rapporto tra mezzi e fini, caposaldo della morale sia naturale che cattolica. Il cardinale Matteo Zuppi, in una prefazione ad un libro sulla politica pubblicata sul Corriere della Sera del 23 giugno, ha fatto due esempi a senso unico di cattolici impegnati in politica: don Giuseppe Dossetti e David Sassoli: per la CEI altre impostazioni non esistono. 

Gli incontri preparatori alla Settimana sociale, sia quelli organizzati a Trieste dal vescovo diocesano [si vedano in calce le cronache di Silvio Brachetta] sia quelli a carattere nazionale, sono stati coordinati da uomini chiaramente di area progressista e perfino da esponenti del Partito Democratico già ricordato sopra. Segnalo questi aspetti solo apparentemente collaterali perché confermano quanto si legge nei documenti preparatori e fanno prevedere come saranno condotti i lavori: si andrà verso una piena legittimazione della democrazia liberale alla quale i cattolici saranno chiamati a partecipare comunque, indicando nella partecipazione il “cuore” della democrazia. Il che, come è facile capire, non ha molto a che fare con la Dottrina sociale della Chiesa.

La partecipazione non ha un valore di per se stessa, ma è validata dai fini che si propone e dai contenuti che approva e incarna. La visione liberale della democrazia sostiene che è la partecipazione a stabilire i fini, mentre la visione cattolica dice che sono i fini a stabilire la partecipazione. Così la fede cattolica non avrà nulla da dire alla democrazia se non invitare i fedeli alla partecipazione perché sarà la democrazia a dire alla Chiesa cosa e come fare e non il contrario. Lo stiamo vedendo da tempo sulle principali tematiche in agenda. 

Per questo si prevede che la Settimana sociale di Trieste assumerà la democrazia come un dogma per cui ciò che non è partecipato non vale nulla. Non sentiremo a Trieste nessun richiamo agli aspetti totalitari della democrazia liberale moderna ed attuale, né risuoneranno le gravi parole di Giovanni Paolo II a questo proposito. Nessuno dirà che la democrazia moderna dimostra spesso un volto totalitario in quanto pensa se stessa come un metodo che coincide con il contenuto, un mezzo che coincide con il fine. Basta che una legge o una politica siano frutto di consenso democratico perché siano da considerarsi valide.

Nella fase preparatoria, e si suppone anche nel corso dei lavori della Settimana sociale, si è partiti dalla partecipazione in atto, ossia dalle cosiddette “buone pratiche” e da esse si è cercato di far emergere i valori condivisi. Ma come è possibile valutare come “buone” certe pratiche ed escluderne altre come “cattive” senza partire da principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive d’azione previ a quell’esame? 

Non può essere la prassi a dare i criteri alla teoria perché il fare non contiene il proprio perché e l’effettualità esprime un esserci privo di senso. Del resto, se la partecipazione è il cuore della democrazia, i valori emergeranno dalla partecipazione e non il contrario. Questo richiede però che i cattolici si diano da fare insieme a tutti gli altri, ma senza indicare criteri e finalità previe alla partecipazione stessa che verrebbero intesi come “dogane dottrinali” e steccati che impediscono l’integrazione di tutti nella partecipazione democratica. Ci si attiene così alla democrazia “procedurale” secondo la quale il metodo fa il contenuto e la forma diventa sostanza. La democrazia verrebbe prima di qualsiasi valutazione della democrazia.

Staremo a vedere se durante i lavori della Settimana si parlerà di Gesù Cristo al di fuori delle celebrazioni liturgiche. Io penso di no, perché non se ne è mai parlato nemmeno nella fase preparatoria. Vedremo … Possiamo intanto essere sicuri che non si parlerà di Dottrina sociale della Chiesa, come non se ne è parlato alle Settimane di Cagliari e di Taranto. La democrazia, vista tramite l’immagine-slogan di essere tutti nella stessa barca, diventa un apriori esistenziale, una dimensione di vita che precede e dà senso a tutto il resto, piuttosto che riceverne. Essa diventa il “mondo” a cui anche i cattolici appartengono prima di essere cattolici e, soprattutto, insieme a tutti, tutti, tutti.

Stefano Fontana

(Foto: Pixabay)