
Di Gianfranco Battisti, 17 set 2025
Riemerge nell’attuale agone politico italiano la prassi della demonizzazione dell’avversario, cedendo al richiamo della lotta antifascista (e anticomunista) che ha attraversato l’intera vita della “Prima repubblica”. Un tema sul quale si è espresso fra i tanti anche il filosofo Rocco Buttiglione.
A 5 anni dalla morte di Augusto Del Noce, dunque in chiusura del “secolo breve”,[1] l’ex allievo sottolineava come “Errore chiave della storia italiana è stato il primato della politica sull’etica, la prevalenza di ciò che è utile su ciò che è buono”.[2] Osservava infatti: «È interessante osservare che se il fascismo è crollato di fronte a un estremo rimedio (una guerra di annientamento), il comunismo è crollato davanti a una resistenza morale che ha rifiutato la logica di una guerra totale ma ha cercato di risvegliare anche nell’avversario il senso di una comune umanità»[3].
Buttiglione (e il suo maestro) interpretano i processi politici sul piano della cultura, prevalentemente in base a dei codici morali. Questa operazione è non solo legittima ma personalmente gratificante e socialmente costruttiva. Peccato però che, contrariamente all’opinione corrente nella cultura occidentale, la categoria della politica non sia configurabile solamente nell’ambito intellettuale ma “viva” in simbiosi con le manifestazioni concrete del potere, dalle quali non è logicamente scindibile. Benché non “faccia fine” sottolinearlo, la caduta dell’URSS non è affatto dovuta ad una opposizione delle coscienze all’interno del mondo occidentale. Men che meno ad una reazione maturata nel cuore del “socialismo reale”. È ben vero che l’opposizione latente in questi Paesi è stata incoraggiata in tutti i modi (e con tanto denaro) dai servizi dell’Occidente, ma il risultato concreto si è prodotto per altra via. Vale a dire un’azione programmata, condotta in un preciso momento, con precisione chirurgica, contro i punti sensibili dell’economia sovietica: il prezzo del petrolio sui mercati internazionali e l’accesso ai crediti delle banche occidentali[4]. Questo ha scosso le basi del sistema, indebolendo la volontà di resistere nei gruppi di potere.
Non si pensi tuttavia che le cose siano andate così lisce. Consapevoli che l’Occidente li stava strangolando, prima di gettare la spugna i capi dell’URSS hanno valutato il ricorso agli estremi rimedi, vale a dire la guerra guerreggiata. Un’offensiva-lampo contro le difese NATO in Europa era nei piani militari da decenni, al Cremlino ci si è quindi impegnati in una seria valutazione delle prospettive di successo. Alla fine, hanno dovuto rinunciare, avendo realizzato che in ogni caso non sarebbero riusciti a prevalere. Questo episodio, del quale nessuno parla, ci svela due grandi verità. La prima è il grande rischio che tutti abbiamo corso in quegli anni, di finire vittime di un olocausto nucleare. La seconda è la dimostrazione che l’Occidente conosceva bene lo stato di inferiorità che caratterizzava l’apparato militare di Mosca, e dunque ha agito a ragion veduta.
Ciò è ancora più sconvolgente, in quanto se tali erano i rapporti di forza, verrebbe da chiedersi perché mai Stati Uniti e Gran Bretagna – gli altri due vincitori della II guerra mondiale – abbiano accettato che l’URSS mantenesse così a lungo il controllo dell’Europa centro-orientale, sottoposta a regimi caratterizzati da totalitarismo, ateismo e povertà materiale. Spiace doverlo constatare, ma la guerra atomica è stata evitata non per una scelta di civiltà ma grazie ad uno “squilibrio del terrore” che ha paralizzato la parte più debole. Spiace ancor più dover ammettere che aveva ragione Mao quando diceva “il potere politico viene dalla canna del fucile”.[5] Una realtà che confligge con la nostra coscienza di cristiani, impegnati a portare una testimonianza di fede accanto al nostro contributo alla vita associata.
Analogamente, la filosofia politica slegata dall’analisi economica conduce inevitabilmente ad una rappresentazione monca della realtà. Ne erano consapevoli gli studiosi marxisti, che fino alla metà degli anni ’80 hanno rifiutato la creazione all’interno dell’Unione Geografica Internazionale di un ambito di studi relativo alla Geografia politica, separato rispetto alla Geografia economica. La riunificazione, avvenuta nel 1986 su iniziativa dei geografi anglosassoni, è stata un’operazione di politica culturale (non sappiamo quanto premeditata) che ha portato ad allontanare le indagini accademiche dai temi concreti sul tappeto per rinchiuderle in una sterile torre d’avorio. Era allora al potere in Gran Bretagna Margaret Thatcher (1979-1990), che stava picconando il socialismo su tutti i fronti. L’obiettivo – lo stesso del suo omologo americano Ronald Reagan – era cancellare l’eredità socialdemocratica (e al tempo stesso anche quella democratico-cristiana) per consegnare il mondo alle multinazionali. Niente di diverso, in fondo, dall’intento (di Mussolini?), relativamente a Gramsci, di “impedire a quel cervello di funzionare per almeno vent’anni”.[6]
Se queste sono le vie sulle quali marcia il mondo, appare chiaro che la riflessione filosofica, per quanto importante, riesce a illuminare soltanto una parte della problematica. Quella relativa alla comunicazione politica, che attinge alle grandi idee sull’ordinamento della società per veicolarle più o meno strumentalmente ai suoi membri.
Allo stesso modo va riconosciuto che la storia non si può confondere con la filosofia della storia. Sotto questo profilo, Buttiglione ed il suo maestro rimangono in qualche modo ancorati al pensiero di Gentile, nonostante cerchino di distaccarsene.
Un cenno di commento lo merita un’altra considerazione: “Noi ci congederemo veramente dalla cultura del Novecento quando scompariranno insieme l’archetipo del comunismo e l’archetipo del fascismo, cioè quando avremo congedato quella idea dialettica totalitaria e di inimicizia assoluta che sta alla base della formazione antropologica degli uni come di quella degli altri e li rende in fondo così simili fra loro”[7].
Buttiglione, sulla scorta di Del Noce, si concentra sullo specioso dibattito fascismo/antifascismo, la cui rilevanza andrebbe commisurata al periodo storico sostanzialmente limitato nel quale ha trovato le sue fortune. La contrapposizione fascismo/comunismo è infatti una rozza semplificazione della dialettica politica, che è stata utile per alimentare i fronti contrapposti all’indomani della rivoluzione bolscevica. Mentre il ricordo delle efferatezze compiute da entrambi i campi si affievolisce per il naturale succedersi delle generazioni, assistiamo ad atrocità non meno grandi attuate da sistemi politici che godono dell’appellativo di “democrazie”. Queste si presentano come tali in quanto al loro interno il meccanismo di accesso al potere passa attraverso le tradizionali procedure elettorali, ma le azioni di governo che da esse promanano ben poco hanno in comune con il principio morale che sta alla base della democrazia, anche quando riflettessero la volontà della maggioranza del popolo.
Come si vede, privilegiare la politica sull’etica – sacrificando ciò che è buono a ciò che è utile – rappresenta una tentazione sempre presente per ogni uomo, e a maggior ragione per gli uomini di potere. Non costituisce purtroppo la prerogativa degli “opposti estremismi” che hanno caratterizzato il ‘900, né della riflessione storica in Italia. Nel mondo il male rimane e dilaga nonostante che con la fine del XX secolo sia scomparso anche il secondo “impero del male”, che sembrava destinato a durare per sempre. Voltare pagina, chiudere nel cassetto gli odi reciproci è certamente una pratica necessaria se si vuole raggiungere (anche in Italia) una vera pacificazione sociale, ma non rappresenta la soluzione dei problemi.
Su questo punto rimangono più che mai valide le considerazioni di Sant’Agostino: “Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri? Perché anche le bande dei briganti che cosa sono se non dei piccoli Stati? È pur sempre un gruppo di individui che è retto dal comando di un capo, è vincolato da un patto sociale e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se la banda malvagia aumenta con l’aggiungersi di uomini perversi tanto che possiede territori, stabilisce residenze, occupa città, sottomette popoli, assume più apertamente il nome di Stato che gli è accordato ormai nella realtà dei fatti non dalla diminuzione dell’ambizione di possedere ma da una maggiore sicurezza nell’impunità. Con finezza e verità a un tempo rispose in questo senso ad Alessandro il Grande un pirata catturato. Il re gli chiese che idea gli era venuta in testa per infestare il mare. E quegli con franca spavalderia: “La stessa che a te per infestare il mondo intero; ma io sono considerato un pirata perché lo faccio con un piccolo naviglio, tu un condottiero perché lo fai con una grande flotta”[8].
Il problema politico, ieri come oggi e presumibilmente anche domani, ruota attorno ai confliggenti interessi di quanti dominano l’economia e attraverso questa gli apparati statuali da una parte, e le masse che tale dominio debbono subire dall’altra. I patrizi romani governavano attraverso il senato e all’occorrenza armavano i loro eserciti privati. Il fatto che i ricchi e i potenti siano in numero limitato favorisce l’aggregazione dei loro interessi, mentre l’inevitabile stratificazione economica e culturale divide le masse e le rende incapaci di assumere in proprio il potere. Da qui uno scontro sotterraneo che ogni tanto assume la forma di una violenta esplosione, ma che si esprime quotidianamente in una dialettica politica che ha caratteri ripetitivi. Se oggi si parla di (neo)fascisti e (neo)antifascisti, un tempo si parlava di liberali e legittimisti, prima ancora di cattolici e riformati, di guelfi e ghibellini. Le denominazioni si affollano man mano che sfogliamo le pagine della storia. È un retaggio non solo italiano, basti pensare alle guerre di religione tra cattolici e riformati che hanno insanguinato l’Europa intera e non solo. Ovunque e in ogni epoca la competizione per il potere costruisce due fronti contrapposti, che si combattono attraverso la reciproca demonizzazione.
Storicamente e logicamente questo è un dato che appare ineliminabile. Fascismo e comunismo sono soltanto delle forme transeunti come l’islamismo e la lotta al terrorismo, ultimi in ordine di tempo fra i molteplici travestimenti del “re di questo mondo”.[9] Chiunque prometta di cambiare le cose, a meno che si appelli ad una “rinascita” dei cuori ispirata dall’avvicinamento al Dio Creatore, “è un ladro e un brigante”, come ha magistralmente ricordato il Maestro di Galilea.[10]
“Non c’è soluzione alla questione sociale fuori dal vangelo”, lo ha ricordato recentemente anche papa Leone XIV.[11]
(Foto: Di-ignoto-www.centroculturaledimilano.it-Pubblico-dominio.jpg)
[1] E. Hobswam, Age of Extremes: The Short Twentieth Century, 1914–1991, Ilford,Abacus, 1995.
[2] R. Buttiglione, “Del Noce: seppellire le idee del Novecento. La proposta di un antifascista nemico dell’unità antifascista e del comunismo”, Corriere della Sera, 29/12/1994.
[3] R. Buttiglione, cit.
[4] Tutto ciò è avvenuto durante la presidenza di G.H.W: Bush (1989-1993). Come già W. Churchill e più tardi H. Kohl, anch’egli perderà il potere all’indomani di una vittoria storica.
[5] Mao Zedong, II. “The War History of the Kuomintang”, in Problems of War and Strategy, Selected Works of Mao Tse-tung, II, Foreign Languages Press, 1938.
[6] Come disse il p.m. Ingrò durante il ‘‘Processone’’ del maggio 1928 contro Antonio Gramsci.
[7] R. Buttiglione, cit.
[8] Agostino, De civitate Dei, IV.
[9] Gv, 14, 30.
[10] “In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore.” (GV 10, 1.2).
[11] https://lanuovabq.it/it/cattolici-in-politica-dal-papa-un-forte-richiamo-alla-coerenza
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