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giovedì 29 febbraio 2024

Intervista a mons. Crepaldi: uno sguardo cattolico sulle questioni attuali



I processi accelerano, serve una nuova saggezza. Intervista al Vescovo Giampaolo Crepaldi su alcune dinamiche odierne



Di Mons. Giampaolo Crepaldi e Stefano Fontana, 29 FEB 2024

La sensazione è che alcuni processi stiano oggi avendo una accelerazione particolare. Si sente che molti nodi potrebbero arrivare a breve al pettine e questo suscita timore ma nello stesso tempo speranza di qualche svolta positiva. Il nostro Osservatorio è impegnato ad approfondire queste problematiche emergenti, soprattutto tramite i suoi Rapporti annuali, ma anche con interventi nel proprio sito, come quello recente del Prof. Gianfranco Battisti sul cosiddetto Trattato pandemico dell’OMS. In questa intervista lo facciamo con monsignor Giampaolo Crepaldi, vescovo emerito di Trieste e attento osservatore dei processi in atto sia nella società sia nella Chiesa, processi che egli valuta alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, principale oggetto del suo interesse e impegno. A lui rivolgiamo alcune domande sulla velocizzazione delle tensioni, ringraziandolo per la disponibilità. Questa intervista è la prima di una serie periodica che proseguirà regolarmente in futuro.

Eccellenza, innanzitutto, è d’accordo con questa nostra osservazione sull’accelerazione di molti processi sociali, soprattutto internazionali, e sulla possibilità di significative svolte, che speriamo possano essere positive ma che potrebbero invece rivelarsi disastrose?

Ci sono due guerre in atto, in Ucraina e a Gaza. Abbiamo davanti a noi le elezioni europee che potrebbero segnare uno spartiacque molto determinante per tutta una serie di questioni. Poi le elezioni americane… La questione sanitaria globalmente intesa preoccupa non poco, come opportunamente segnalato dall’articolo del prof Battisti da lei richiamato. Le cosiddette “transizioni” ecologica e digitale sembrano arrivare al punto delle scelte decisive, in un senso o nell’altro. Per non parlare dall’intelligenza artificiale. Direi quindi proprio di sì, prossimamente andranno fatte scelte di grande rilevanza che richiederanno una profonda saggezza.

Partiamo dell’Europa, che ci è più vicina. Il nostro Osservatorio ha dedicato all’Unione Europea il Rapporto numero 9 dal titolo “Europa: la fine delle illusioni”, contenente osservazioni molto critiche sullo stato dell’Unione. Lei come vede l’appuntamento elettorale del prossimo giugno?


Credo che sarà un appuntamento politicamente molto importante. Sappiamo che il parlamento dell’Unione Europea è l’unico parlamento al mondo che non legifera e quindi le elezioni potrebbero sembrare di scarsa ricaduta pratica. Questa volta però credo che andrà diversamente. I cittadini europei hanno maturato una consapevolezza critica rispetto alle tendenze da super Stato e ideologiche del governo dell’Unione soprattutto in questi ultimi anni. Non temo di dire che questa Unione è molto lontana dai principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa, soprattutto da quello del bene comune e da quello di sussidiarietà. In particolare, è troppo servile nei confronti dell’ambientalismo ideologico e incarna un’etica pubblica in contrasto con le necessità della vita e della famiglia.

Come valuta le posizioni della Chiesa cattolica rispetto all’Unione Europea? Pochi giorni fa i vescovi tedeschi hanno emesso un comunicato per chiedere di non votare un partito di estrema destra.


Quando si parla di Chiesa si può intendere molte diverse realtà: una cosa è la Santa Sede, un’altra le Commissioni episcopali in Europa, altra ancora le conferenze episcopali come nel caso da lei ricordato. Non posso qui entrare in tutti questi ambiti, però posso affermare in via generale che constato una certa debolezza nel proporre in tutte le sedi opportune le istanze della Dottrina sociale della Chiesa in modo chiaro, propositivo, mentre vedo prevalere la volontà di inseguire l’agenda fissata dai vertici politici dell’Unione. Ho l’impressione che la Chiesa cattolica rispetti troppo le “buone maniere” ed eviti di toccare qualche nervo scoperto nella prassi politica dell’Unione, per esempio criticando una evidente omogeneizzazione etica che l’Unione sta imponendo alle nazioni, oppure la discriminazione verso nazioni che non figurano completamente allineate con Bruxelles.

Quanto alla presa di posizione dei vescovi tedeschi, ritengo che un episcopato nazionale dovrebbe intervenire sulle questioni politiche esponendo i principi, i criteri di giudizio e le direttive di azione, senza prendere posizione a favore o contro un partito. Questo però bisognerebbe farlo con continuità e non solo estemporaneamente o, peggio, strumentalmente, e, soprattutto, bisognerebbe farlo con coerenza.

Vorrei tornare ai temi dell’OMS, del Trattato pandemico che si vorrebbe far approvare nel prossimo mese di maggio e, in generale, del pericolo rappresentato oggi da una gestione politica della sanità. È preoccupato o ritiene che la questione non dia pensiero?

La cosa mi preoccupa non poco. E spero che nel prossimo futuro si affronti la questione in modo diverso. Gli aspetti più inquietanti sono due. Il primo riguarda la “prevenzione” che viene oggi estesa in modo pervasivo e che viene fondata sul presupposto che tutti i cittadini sono malati in modo permanente. Ciò conduce al diretto controllo politico della popolazione. Il secondo è che l’esasperazione di questa “prevenzione” assuma aspetti di transizione verso il transumanesimo. Perché invece di vaccinare tutti non riprogrammiamo il DNA dei nuovi nati? Ma porsi su questa strada sarebbe molto ma molto pericoloso. Credo che il Trattato pandemico dell’OMS vada rifiutato e contestato. Ci sono troppi segnali che esso rappresenterebbe un punto di non ritorno in vista di un totalitarismo sanitario che non sarà poi solo sanitario.

Rimaniamo in qualche modo sempre nella sanità. Vorrei portare la sua attenzione su due fatti recentissimi. Il primo è che la Corte Suprema dello Stato dell’Alabama ha riconosciuto che gli embrioni congelati sono bambini. La seconda è che è arrivata al parlamento italiano la proposta di legge “Un cuore che batte”, secondo la quale alla donna che chiede l’aborto bisognerebbe far sentire il battito del cuore del bambino che porta in grembo. Vuole fare qualche considerazione?

La prima considerazione è di contentezza per queste due iniziative. La battaglia contro il “diritto di abortire” non può assolutamente essere abbandonata e nemmeno ridotta di intensità. Rimane un “principio non negoziabile” indisponibile. Dopo la sentenza famosa della Corte suprema degli Stati Uniti che ha rimesso agli Stati la decisione legislativa sull’aborto, abbiamo avuto purtroppo il referendum dell’Ohio che ha confermato l’aborto e ora questa sentenza contraria dell’Alabama. La strada contro l’aborto di Stato è lunga e difficoltosa ma, come si vede, non impossibile. Quanto al parlamento italiano penso che l’arrivo della proposta di legge di iniziativa popolare obbligherà i partiti a scoprirsi sul tema della vita. I partiti di sinistra sono decisamente a favore dell’aborto. Io temo che anche nei partiti della maggioranza di centro-destra ci siano molti sostenitori dell’aborto. Di recente ciò è venuto alla luce nel partito della Lega, i cui vertici hanno detto che l’aborto non si tocca. Anche nelle regioni governate da questo partito la vita non è stata adeguatamente salvaguardata. Il percorso in parlamento della proposta di legge sarà accidentato, ma vedremo veramente chi sta con la vita e chi no.

Vorrei terminare questa conversazione ricordando che nel prossimo luglio a Trieste si terrà la Settimana sociale dei cattolici italiani dedicata alla democrazia. Avremo modo di tornare in futuro sull’argomento, ma intanto le chiedo: cosa vorrebbe lei da questa Settimana sociale?

Effettivamente la domanda è un po’ prematura … tuttavia accenno ad una risposta provvisoria. Augusto Del Noce scriveva sul settimanale “Il Sabato” dell’11 febbraio 1989 che l’impegno dei cattolici in politica non deve risolversi nel “portare i cattolici alla democrazia, come avente in sé un valore autonomo rispetto al fondamento religioso”. Ecco, io vorrei che la Settimana non facesse questo, ma ponesse le condizioni cattoliche perché la democrazia non venga intesa come fondamento del governo ma solo come forma di governo. Non vorrei una esaltazione dell’attuale democrazia, ma una sua forte critica secondo i criteri della Dottrina sociale della Chiesa, da Leone XIII a Giovanni Paolo II.

Grazie Eccellenza.

(a cura di Stefano Fontana)



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Per Zuppi la nullità matrimoniale va a sentimento



L'arcivescovo di Bologna auspica più cause «per guarire da una sofferenza che la separazione porta con sé». Se dare una chance per il futuro conta più della verità sul vincolo, allora il rischio è proprio il "divorzio cattolico".



DIRITTO CANONICO

ECCLESIA 



Luisella Scrosati, 28-02-2024

Il processo di nullità matrimoniale è un procedimento legale, non spirituale né pastorale: è urgente ricordarlo. Anche al cardinale Zuppi. L'arcivescovo di Bologna, intervenendo all'annuale appuntamento del Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Flaminio di Bologna per inaugurare l'Anno giudiziario e resocontare quello trascorso, si è così espresso: «vorrei che il Tribunale il prossimo anno potesse esaminare molte cause di annullamento in più, perché è uno degli strumenti per guarire da una sofferenza che la separazione porta con sé». Ed ha aggiunto: «Non è il divorzio cattolico ma un discernimento attento, profondo anche spirituale che però costituisce una consapevolezza e una possibilità per il futuro per chi si è trovato in una situazione difficile».

Ormai è una costante: il cardinale Zuppi non perde certamente le notti – e nemmeno le ore diurne – per preparare interventi chiari e precisi; e nella loro vaghezza ognuno può sentirsi a proprio agio e capire tutto e il contrario di tutto. È tuttavia evidente che il cardinale, che ha parlato, tra l'altro, davanti agli altri vescovi delle diocesi di competenza del Tribunale di Via del Monte, ha voluto enfatizzare il senso “pastorale” dei processi di nullità, additando all'orizzonte l'auspicato happy end dei processi, con l'obiettivo di guarire le ferite. Un lieto fine certo non scontato, ma forse più probabile alla luce dell'istituzione del processo breve da parte della Lettera Apostolica Mitis Iudex Dominus Iesus (MIDI), del 2015.

Di certo stona che davanti ad un Tribunale, che ha l'unico scopo di verificare la sussistenza o meno del vincolo matrimoniale, si auspichino molte più cause di “annullamento”. Detto in altro modo: il Tribunale è chiamato ad occuparsi del passato, sulla base di documentazioni presenti, e non del futuro delle persone coinvolte. E, rilievo di non poco conto, non esiste alcuna causa di “annullamento”, perché i tribunali competenti non possono annullare alcunché, ma dichiarare la nullità, cosa ben diversa. Anziché parlare a braccio e a sentimento, sarebbe auspicabile che il cardinale Zuppi accettasse umilmente di leggere due righe scritte da persone competenti.

Facciamo un passo indietro. I due cambiamenti più significativi di MIDI riguardano da un lato i processi ordinari, dall'altro l'istituzione di un nuovo processo più breve. Sul primo versante, è stata abolita la doppia decisione conforme: se dopo la prima sentenza non c'è appello, tale conferma diventa esecutiva. Sul secondo, il nuovo processo breve richiede che vi sia la domanda congiunta dei coniugi e prevede un'istruzione delle prove pro-nullità, seguita da quindici giorni per la presentazione di elementi a favore invece del vincolo; quindi il vescovo, riconosciuto come unico giudice, può emettere o sentenza affermativa, a favore quindi della nullità, oppure, se ritiene di non aver raggiunto una certezza nel giudizio, rimandare il tutto al processo ordinario. Egli pertanto non può esprimersi negativamente.

È chiaro, dunque, che il processo breve può essere intrapreso solo nei casi in cui la nullità sia manifesta, e non abbia perciò bisogno di indagini particolarmente approfondite, a motivo dell'evidenza degli argomenti portati a favore della nullità e della rapidità della loro reperibilità; diversamente, ad essere in pericolo sarebbe il principio dell'indissolubilità del matrimonio. Il caso dunque di incapacità consensuale dev'essere di norma affidato al processo ordinario, salvo il caso di gravi patologie cliniche già documentate da opportune perizie o dati clinici. Occorre ricordare che l'incapacitas dev'essere provata in actu consensus, quindi antecedentemente le nozze; se l'anomalia psichica sopraggiunge in seguito, allora essa non invalida il consenso. Il can. 1095 ritiene incapaci di contrarre matrimonio tre categorie di persone: «1) coloro che mancano di sufficiente uso di ragione; 2) coloro che difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente; 3) coloro che per cause di natura psichica, non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio».

Veniamo adesso ai dati del Tribunale Flaminio del 2023, che riguardano, oltre alla diocesi di Bologna, le diocesi di Rimini, Ferrara-Comacchio, Forlì-Bertinoro, Cesena-Sarsina, Imola, Faenza-Modigliana, Ravenna-Cervia e San Marino-Montefeltro. Sui 99 capi di nullità esaminati ben 85 hanno riguardato l'incapacità, di cui 63 inerenti al secondo e terzo caso previsto dal can. 1095, sopra riportato, 11 solo il secondo e altri 11 solo il terzo. L'incidenza sul totale è dunque dell'86%, rispetto al 64% dell'anno precedente (nonostante la superiorità in numero assoluto, ossia 90). 54 hanno avuto sentenza affermativa e 31 negativa.

Ben 12 capi di nullità per incapacità hanno riguardato proprio processi brevi, istituiti in alcune diocesi di competenza del Tribunale (esclusa Bologna), e dunque affidati al solo giudizio del vescovo. Il dato solleva più di una preoccupazione, stante quanto precisato sopra: i processi per incapacitas dovrebbero prudentemente seguire l'iter ordinario e non quello breve, se non altro per l'esigenza di documentazione clinica e di una perizia diversa da quella addotta dalla parte che richiede la nullità, ricorrendo ai periti d'ufficio.

Dunque, due dati dell'anno giudiziario 2023 appaiono “anomali”: l'aumento dell'incidenza delle cause per incapacità, e un numero considerevole di processi brevi per questa ragione. Sarebbe stato pertanto più opportuno, e pastoralmente più necessario, che il cardinale Zuppi esternasse una certa perplessità di fronte a questo fenomeno, il quale, al netto della maggiore fragilità psichica e della riduzione della capacità di assumersi responsabilità in generale, risulta sopra le righe. Così come avrebbe dovuto richiamare a maggiore prudenza nell'adire a processi brevi su situazioni che, per loro natura, necessitano di un iter più articolato e lungo, a beneficio della difesa del vincolo.

Questa duplice omissione, insieme all'augurio riportato in apertura del presente articolo, lasciano trasparire un orientamento di fondo tutt'altro che rassicurante: sembra che l'arcivescovo sia più preoccupato per il sollievo delle persone che non per l'aumento del rischio che il vincolo non sia adeguatamente difeso, scivolando ogni anno di più proprio verso quel divorzio cattolico che Zuppi, a parole, sembra non gradire. Il processo di nullità con esito favorevole ha certamente una ricaduta positiva sulle persone che desiderano ricostruire una vita affettiva familiare: nessuno mette in dubbio questo dato. Ma resta pur sempre vero che anche il vincolo dev'essere difeso e questa difesa passa attraverso una procedura meticolosa, che richiede tempo, figure adeguate e un iter che l'esperienza giuridica plurisecolare della Chiesa ha saputo mettere a punto.



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La Chiesa, il peccato e la via della bruttezza




29 FEB 2024

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by Aldo Maria Valli



di Aurelio Porfiri

Tutti vorremmo che nella Chiesa si osservassero i comandamenti divini ed essa potesse manifestarsi al mondo come vera espressione del messaggio evangelico. Questa è la sua natura, ma nella Chiesa, in quanto istituzione che ha una componente umana, c’è anche un lato oscuro.

Non è sorprendente. Infatti c’è il peccato. Non solo. La presenza di un lato oscuro può essere considerata una prova a favore della divinità della Chiesa, perché le forze del male si palesano con più forza e ostinazione proprio là dove si sentono più minacciate. E la Chiesa è minaccia costante per il Maligno.

Alcuni decenni fa Indro Montanelli disse che bisognava votare il partito della Democrazia cristiana “turandosi il naso”. Voleva dire che bisognava votarla, in funzione anticomunista, malgrado il degrado e la corruzione presenti nella Dc. Ecco, io penso – mi scuso per l’analogia – che da cattolici oggi si debba restare nella Chiesa turandosi il naso. E nel mio caso, in quanto esperto di musica sacra, direi anche le orecchie.

Il problema non riguarda uno schieramento o l’altro della Chiesa. Non è questione di progressisti, modernisti, conservatori, tradizionalisti. Il peccato è ovunque. E si manifesta specialmente nella bruttezza.

Capisco chi sta lontano dalla Chiesa perché disgustato dal degrado morale che oggi è divenuto anche degrado estetico, un trionfo della bruttezza in tutto: concetti, immagini, suoni.

Come ha scritto Marcello Veneziani, il brutto ha la caratteristica di avanzare e invadere tutto. Mentre la bellezza ha la tendenza a starsene da una parte, spesso nel passato, la bruttezza incede spavalda. “Il bello è, il brutto diviene; il bello posa, il brutto è in moto perpetuo. Il bello attiene alla sfera dell’essere ma non a quella dell’eterno e dell’immutabile. Il brutto, invece, attiene alla sfera del fare e del divenire, ed è virale, espansivo, progressivo”.

La Chiesa lo dimostra. Vediamo come si è dato spazio al brutto in tutto: arte, teologia, musica sacra. Si favorisce il mediocre, perché si pensa di poterlo controllare, rispetto al competente, di cui si teme il giudizio e l’indipendenza di pensiero. Così traghettata dalla mediocrità, la bruttezza si diffonde ovunque, più veloce e mefitica di un virus.

La bruttezza non è solo problema estetico, perché guasta gli animi di tutti. Sia dei modernisti sia dei tradizionalisti, sia di quelli che vogliono mettere la Chiesa al passo col mondo sia di quelli che ostentano una purezza che è orgoglio.

Il volto sofferente della Chiesa è il risultato della sua perenne battaglia contro le forze del male. Ma oggi vediamo che essa sembra non solo convivere con il male, ma preparargli la strada con quella che potremmo proprio chiamare la “via della bruttezza”.



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mercoledì 28 febbraio 2024

Gli insetti? Né sicuri né sostenibili. Lo studio choc sul "cibo di domani"




Insetti commestibili nel piatto: i rischi per chi li mangia in uno studio. Forti dubbi anche sui controlli

Allarme in tavola: gli insetti come alimento sono pericolosi per l’Europa


di Antonio Amorosi, 23 febbraio 2024

Uno studio, pubblicato di recente su Nature, dal titolo “An analysis of emerging food safety and fraud risks of novel insect proteins within complex supply chains”, si è posto per la prima volta il problema di mappare la catena di approvvigionamento degli insetti commestibili che abbiamo sul mercato, per identificare i possibili rischi per la sicurezza alimentare dei consumatori.

Dai mangimi utilizzati agli aspetti microbiologici e chimici, dalle tecniche di lavorazione alle potenziali frodi nel settore, lo studio, analizza i principali sistemi di produzione che si sono affacciati sul mercato europeo, rilevando che questi nuovi cibi non sono né sicuri né sostenibili per la nostra platea del food.

Il consumo di insetti c’è attualmente in oltre 120 Paesi nel mondo, principalmente tra Asia e Africa, ma l’interesse come fonte proteica anche in Occidente si è fatta largo da poco. Questo però presuppone che l’allevamento di insetti su larga scala, la raccolta, la produzione, lo sviluppo di una catena alimentare, sul fronte della sicurezza, delle allergie e compatibilità degli alimenti abbia ricadute sociali, economiche e ambientali.

Partiamo dal dato che delle oltre 2.000 specie di insetti commestibili conosciute, solo 4 (il verme della farina gialla, la locusta migratrice, il verme della farina minore e il grillo domestico) sono stati approvati per l’uso in prodotti alimentari specifici da alcuni produttori nell’UE con altri otto in attesa di approvazione UE.

Il primo problema è la catena di approvvigionamento degli insetti commestibili che in Europa sarebbe complessa, soprattutto per motivi di appetibilità consumistica, rispetto a Paesi, ad esempio, come la Thailandia che hanno una tradizione in questo senso. Della serie: lo snack di verme è più facile da vendere che il verme vero e proprio, ma richiede lavorazioni complesse.

Il secondo problema è che il 65% delle aziende europee che si occupano di insetti commestibili li importano dai Paesi asiatici per trasformarli e venderli al dettaglio nell’UE, mentre solo 12 su 59 aziende europee di insetti producono le proprie materie prime in Europa. Questo apre uno scenario pieno di incognite sul fronte alimentazione. Quali sono i mangimi utilizzati in Asia? Che tipi di controlli hanno? E’ abbastanza semplice comprendere che possono essere fonti di rischi di vario genere, microbiologici e chimici, con batteri, virus, metalli pesanti, microtossine e prioni. Un settore che poi produrrà rifiuti ad alto impatto chimico, resta che attualmente sono vietati nella UE.

Lo studio ritiene poi, citando una pubblicazione del 2018 dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), che occorre tener conto della forte presenza di batteri nella produzione degli insetti commestibili. Per questo motivo la valutazione del rischio dell’EFSA, insieme ad altri studi, suggerisce che le principali minacce microbiche includono (ma non sono limitate a) Salmonella ed Enterobacteriaceae nella mosca soldato nera, Bacillus cereus sempre in questa e lieviti e muffe nel grillo domestico. Quindi rappresentano una minaccia microbica e chimica ma anche allergenica.

Per tanto sono necessarie ulteriori ricerche sull'allergenicità delle proteine ​​specifiche degli insetti per determinare la via che porta sensibilizzazione, gli allergeni minori e maggiori associati a ciascuna delle quattro specie di insetti, approvati come nuovo alimento dall'UE, e l'effetto della lavorazione sull'allergenicità degli insetti.

L’elemento proteico poi, per la sua natura, può essere facilmente alterato con composti chimici, aprendo quindi uno scenario di tossicità alimentare nuovo in Europa.

Inoltre, la rapida espansione del settore e il fatto che le proteine ​​di insetti esistenti sul mercato sono più costose rispetto ad altre fonti proteiche, sottopongono il settore a maggior rischio di frode, visti anche i prezzi ai quali gli insetti verranno, almeno inizialmente, venduti.

“Per concludere”, scrive lo studio, “gli insetti hanno fatto molta strada dall’essere considerati puramente parassiti, all’essere cibo in mercati di nicchia e alla produzione industriale per il mercato di consumo europeo e oltre. Tuttavia, sono ancora necessarie molte ricerche e valutazioni per comprendere appieno i futuri rischi di sicurezza e di frode degli alimenti a base di insetti. Senza queste informazioni i consumatori saranno a rischio e il fiorente mercato potrebbe subire una grave perdita di fiducia nel caso in cui si verificasse un grave scandalo in materia di sicurezza e/o frode”.



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L’eutanasia di coppia in Olanda e il «cambiamento culturale dell’Occidente»


Dries van Agt e la moglie Eugenie Krekelberg 
si sono uccisi con l’eutanasia a 93 anni (Radbound University)

L'ex premier cattolico Dries van Agt e la moglie Eugenie si sono suicidati insieme a 93 anni. I media, italiani e stranieri, esultano e sottolineano come la vita degli anziani non sia «poi così degna di essere vissuta». Così crolla l'intera società

Salute e bioetica

Leone Grotti, 13/02/2024

Quale modo migliore di un doppio suicidio coordinato per coronare un amore e un matrimonio durati ben 66 anni? Per i quotidiani di tutto il mondo, sempre eccitati quando la morte è l’esito di un presunto libero processo di autodeterminazione, l’eutanasia di coppia è l’ideale. Per questo guardano con ammirazione all’Olanda e descrivono con toni entusiasti la morte dell’ex premier Dries van Agt e della moglie Eugenie Krekelberg, che si sono tolti la vita con l’eutanasia il 5 febbraio a 93 anni.


Eutanasia di coppia in Olanda


Nessuno dei due ultranovantenni era in fin di vita né soffriva di patologie letali, ma erano entrambi fortemente debilitati dall’età avanzata e dalle malattie che inevitabilmente ad essa si accompagnano. Dal 2019 l’ex premier faticava a parlare in seguito a un’emorragia cerebrale e dopo i settant’anni vissuti insieme alla moglie non sopportava l’idea di passare neanche un istante senza di lei. Anche Krekelberg, assicurano i loro amici, «non poteva vivere senza di lui».

Ecco perché hanno deciso di comune accordo di suicidarsi con l’eutanasia, sfruttando la legge del 2002 che garantisce in Olanda la morte a una platea sempre più ampia di persone. Da anni, infatti, non è più necessario essere affetti da una patologia letale per ottenere la “buona morte”, basta essere anziani e non avere più voglia di vivere.


I casi aumentano ogni anno del 10 per cento


Anche se in Parlamento non è ancora passata la legge “vita completa” che garantirebbe il diritto a essere uccisi per tutte le persone che superano i 75 anni, nella realtà quotidiana questa prassi esiste già. Sono tanti gli anziani che vengono uccisi solo per trascurabili acciacchi legati all’età, insieme a depressi, dementi, autistici, disabili e malati mentali.

L’ultimo rapporto disponibile sull’eutanasia in Olanda riguarda l’anno 2022, quando sono state uccise 8.720 persone, 24 al giorno, tra cui 288 dementi e 115 malati psichiatrici. Il 5,1% dei decessi in Olanda avviene ormai attraverso l’iniezione letale e mediamente ogni anno i morti aumentano del 10 per cento. Vanno sempre più di moda anche le eutanasie di coppia: 58 nel 2022 contro i 22 casi del 2020.


«L’eutanasia è diventata normale»


Nessuno in Olanda ha alzato un sopracciglio alla notizia, dal momento che «qui interrompere attivamente la vita delle persone è diventato normale», come dichiarava a Tempi Theo Boer, docente di Etica della salute all’Università teologica protestante di Groeningen, ex membro della Commissione incaricata di valutare la corretta applicazione della legge sull’eutanasia, oggi feroce oppositore della pratica.

Qualcuno si è piuttosto stupito che sia stato proprio Van Agt a uccidersi con l’eutanasia, visto che il primo leader del Partito cristiano-democratico si è sempre opposto, durante la sua carriera politica, all’eutanasia e all’aborto. Ma, assicurano gli amici, negli ultimi anni il suo pensiero era divenuto sempre più progressista.


Le vite dei vecchi considerate «inutili»

In una società ossessionata dalla produttività, dove anche la dignità umana dipende dalla performance, due 93enni, pur avendo avuto un ruolo importante nella vita del paese, non possono che essere considerati inutili. Questa visione non è propria solo dell’Olanda, ma è pensiero comune in tutta Europa. Si legge infatti in un articolo di commento della vicenda sulla Stampa che la vita, quando entra nella fase della «vecchiaia estrema», «non vale poi così la pena di essere vissuta».

Il giudizio culturale per cui i vecchi nella società sono solamente un peso inutile, da eliminare quanto prima, è imbellettato con tanti dettagli utili a indorare la pillola, anzi la “kill pill”. I coniugi, scrive ancora Caterina Soffici sulla Stampa, sono morti «mano nella mano», rispettando da cattolici «in modo non dogmatico la formula dell’indissolubilità del matrimonio: “Finché morte non vi separi”».

Addirittura, continua la giornalista, marito e moglie «hanno ucciso la morte prima che la morte uccidesse loro». Togliendosi la vita, avrebbero dunque sconfitto la morte, ponendo fine al loro amore l’avrebbero reso davvero eterno. Espressioni che avrebbero facilmente trovato il loro posto nella Neolingua ideata da George Orwell in 1984 e che difettano non solo di logica, ma anche di pietà.


Il «cambiamento culturale dell’Occidente»


Come dichiarato ancora a Tempi dal professore Theo Boer, che non smette di denunciare il pericoloso «piano inclinato» in atto in Olanda e di mettere in guardia altri paesi dall’approvare una legge sull’eutanasia, siamo davanti a un drammatico «cambiamento culturale in Occidente». Che la vicenda dei coniugi Van Agt conferma:

«Oggi non diamo più alla vita umana il valore che le veniva attribuito dai filosofi del mondo antico o dai pensatori cristiani o dai filosofi moderni, secondo i quali la dignità umana è indivisibile e connaturata a ogni persona, sia essa in grado di intendere e di volere o meno, cosciente o meno, malata o meno, felice o meno. La dignità umana tradizionalmente era un concetto “tutto o niente”. Ma ora le cose sono cambiate: alcune persone, si ritiene, non hanno dignità. Ci sono quindi persone che non sono come le altre e che possono essere uccise. Se andiamo avanti su questa strada, se continuiamo a sostenere che la vita umana ha valore solo a certe condizioni, l’eutanasia finirà per ritorcersi contro tutti, anche coloro che la sostengono. Se a chi vuole morire, diciamo: “Beh, se vuoi possiamo organizzare noi la tua fine”, inviamo un messaggio estremamente cinico che alla fina mina la società. Quello che bisognerebbe fare, invece, è prenderci cura di queste persone».



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Come ti indottrino gli Scout, l'Agesci inciampa sul gender



Un opuscolo del Cesvi dedicato all'ideologia gender compare sul sito della route nazionale dei capi, scritto con intento pedagogico per indottrinare alla fluidità e all'omosessualismo gli Scout dell'Agesci. Alcuni parroci scrivono ai vertici regionali per chiedere spiegazioni e minacciano di togliere l'uso dei locali.


IL CASO

EDUCAZIONE




Andrea Zambrano,  28-02-2024

L’ideologia gender entra in Agesci, l’associazione che riunisce gli scout di ispirazione cattolica. È comparso sul sito in vista della Route nazionale dei capi che si svolgerà quest’estate, un opuscolo chiamato “Mascolintà plurali”. A curarlo è il Cesvi, un’organizzazione umanitaria nata a Bergamo e presente in 23 paesi che si occupa di fame nel mondo e protezione dell’infanzia nei conflitti. Che cosa c’entri l’ideologia gender con la sua attività non è ben chiaro.

Quel che è certo è che l’opuscolo, scritto da Giuseppe Burgio, docente di pedagogia generale e sociale all’Università di Enna “Kore” e con la supervisione di Silvio Premoli, Professore all’Università Cattolica di Milano, compare sul sito come uno degli strumenti di approfondimento messi a disposizione dei capi scout nei contenuti di stimolo per la riflessione in vista del raduno.

La cosa non è piaciuta ad alcuni sacerdoti, che hanno chiesto spiegazioni ai propri referenti regionali. Uno di loro ha anche contattato la Bussola.

Per i non pratici del mondo scout: ogni gruppo scout ha una comunità di capi che sono i responsabili delle diverse unità. Tutti i responsabili sono censiti Agesci e hanno fatto un percorso di specializzazione all’interno dell’associazione. Ogni comunità capi fa parte di una zona e sopra di essa c’è il responsabile regionale.



Ebbene. Qualche sacerdote (i parroci che si trovano ad ereditare le esperienze scout fanno lo stesso percorso capi) non ha apprezzato il libretto caricato sul sito dove si propone il tema per la route di quest’anno, declinato sulle beatitudini evangeliche. Il titolo è di questo tenore: Felici di generare speranza, Impegno sociale e speranza cristiana: il servizio come possibilità di cambiare il mondo partendo dallo sguardo di meraviglia sull’altro.

Ebbene: leggendo il testo Mascolinità plurali, già dalla copertina ci si rende conto che si è di fronte al classico tentativo di introdurre il gender in casa cattolica: un uomo in cravatta con un dito indice puntato chiaramente minaccioso e un secondo che si libra verso il cielo con indosso un collare di pizzo. Vi si ritrova tutto l’armamentario tipico dell’ideologia gender da cui la Chiesa – papa Francesco compreso - mette in guardia.

Leggiamo alcuni passaggi: «Il progetto Mascolinità Plurali si è concentrato sui ragazzi, su chi cresce diventando piano piano un adulto, dovendosi confrontare con modelli di maschilità spesso univoci, normativi ma anacronistici, e si è cosi pensato alla possibilità di un accompagnamento pedagogico, una sorta di sponda educativa che noi adulti possiamo fornire per facilitare (o quanto meno non ostacolare) il compito di sviluppo, la costruzione di sé degli adolescenti maschi».

Con premesse di questo tipo è facile immaginare dove si vuole andare a parare. Poco più avanti si sposa chiaramente e senza il minimo dubbio la “tesi” del genere come espressione meramente culturale sganciata dal sesso di appartenenza e non come dato biologico.

«Genere è il termine che usiamo per riferirci a questa differenziazione socioculturale che riguarda il modo in cui noi umani ci vestiamo, i giocattoli che usiamo da bambini, il modo in cui camminiamo, accavalliamo le gambe, gesticoliamo, i lavori che facciamo, le regole di cortesia che adottiamo, le norme di corteggiamento (e riguardo l’iniziativa sessuale), l’uso di cosmetici e gioielli, gli sport in cui ci impegniamo, etc... La differenziazione di genere comporta anche disuguaglianze: in termini di carriera lavorativa, di stipendio, di libertà, di educazione, di rischio di diventare vittima di violenze, di carico rispetto ai lavori domestici e di cura». Peccato che questo costrutto sia totalmente falso perché tutto nel nostro corpo, anche a livello cellulare, rimanda proprio alla differenza di genere.

Ma perché gli scout si devono occupare di queste tematiche, che sono un vero e proprio programma di indottrinamento di ragazze e ragazzi in un momento centrale della propria vita?

Perché lo scoutismo è anche un percorso di fede e va da sé anche i ragazzi si interrogano sulle tematiche che oggi vanno per la maggiore. E visto quello che passa il convento anche a livello di gerarchie, vedi l’ultima ossessione per le coppie omosessuali data da Fiducia supplicans, ecco che le truppe si adeguano. E nell’adeguarsi si spingono sempre un po’ più in là.

Infatti, la visione dell’uomo che esce da questa pubblicazione è quella di totale adesione all’ideologia gender e alle sue funeste derive oltre a sdoganare l’omosessualità come variante assolutamente naturale dell’uomo.


Non mancano gli attacchi alla famiglia e alla scuola come luoghi in cui albergano questi pericolosi stereotipi: secondo gli autori «le famiglie fanno educazione di genere, imponendo regole e comportamenti “da donna” e “da uomo”, un’educazione che ha inizio fin da prima della nascita – attraverso le aspettative differenziate dei genitori – e continua per tutti gli anni dell’infanzia, con stili relazionali ed educativi diversi». Ce n’è anche per la scuola: «Persino la scuola fa implicitamente e quotidianamente educazione di genere, attraverso i contenuti disciplinari, che consistono in una Storia raccontata come azione di guerrieri che si scambiano tra di loro delle donne per creare alleanze dinastiche, in un canone letterario che comprende solo uomini (almeno fino alla contemporaneità), in un manuale di Scienze dove l’unica donna presente vi viene citata col cognome del marito».

Insomma, famiglia e scuola son visti come “nemici” che costruiscono stereotipi di genere. Per questo deve intervenire una nuova pedagogia, una nuova educazione e il libretto si incarica di “insegnare” ai nuovi educatori anche il linguaggio inclusivo fatto delle solite paroline “magiche” tipiche dell’armamentario fluido. Con accenti un tantino fobici, a dire il vero: «Siamo/diventiamo uomini attraverso il rifiuto sdegnato di tutto ciò che è associato all’essere donna (e ciò produce misoginia), ma anche attraverso il disprezzo dell’amore omosessuale (che si traduce in omofobia), delle forme altre, “razzializzate” di maschilità (che si esprime attraverso la xenofobia) e così via. È questo il prezzo implicito e inconsapevole da pagare per entrare a far parte del club degli uomini e per goderne i privilegi».

Non manca una tirata d’orecchie al solito modello patriarcale «che continua a produrre violenza di genere e femminicidi e che costringe tutti i ragazzi dentro una gabbia di genere». Che fare, dunque? «Provare a modificare questa pervasiva formazione, introducendo modelli alternativi che complessifichino (è scritto così, ma sull’italiano non garantiamo ndr.) i riferimenti che destiniamo a ragazzi e ragazze».

Nella seconda parte è presente un Toolkit educativo con attività per esercitare i ragazzi a modificare tutto l’armamentario dei pregiudizi e «riflettere sul concetto di orientamento sessuale e costruzione di un vocabolario comune».

Alle prime richieste di spiegazione, qualche responsabile ha risposto in maniera piuttosto vaga: c’è chi si è limitato a dire che si tratta solo di uno strumento messo a disposizione dei capi, ma che non è stato adottato dall’Agesci e chi, invece, si è spinto fino a scrivere che la posizione dell’Agesci è saldamente ancorata alla dottrina della Chiesa, ma che si tratta di un documento molto serio da prendere in considerazione anche alla luce dell’invito di Papa Francesco del «tutti dentro».

Ma in pochi sono rimasti convinti, tanto che c'è chi sta pensando seriamente di togliere la disponibilità dei locali della parrocchia per gli eredi di Baden Powell.

Insomma, un film che stiamo vedendo ormai molto spesso: la dottrina non cambia, ma la pastorale è un’altra cosa. Ed è in quella che si danno appuntamento tutte le derive antropologiche come il gender, che senza grossi strepiti e con l’avallo di istituzioni universitarie, entrano anche dentro uno dei punti di riferimento dell’associazionismo cattolico.




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martedì 27 febbraio 2024

Il diritto alla vita non può essere graduale: o sussiste o non sussiste, ma va ben fondato






Il diritto alla vita per Böckenförde: un quadro appeso ad un chiodo molto fragile



Giovanni Formicola, 27 FEB 2024

«Il concetto di un diritto alla vita graduale, se preso sul serio, è atto a distruggere lo stesso diritto alla vita. Il diritto alla vita, se sussiste, spetta all’uomo per sua natura, in quanto uomo. […] Solamente così è un diritto umano. […] Esso non è legato alle condizioni dell’utilità, della salute, dell’autocoscienza sviluppata. Questo diritto non può essere graduale, non può sussistere solo a metà. O sussiste o non sussiste».

Ernst-Wolfgang Böckenförde (d’ora innanzi «B.») così risponde alla domanda se è possibile pensare ad «un diritto alla vita differenziato secondo gradi», in un’intervista alla Süddeutsche Zeitung del 16 maggio 2001, pubblicata con il titolo La porta verso la selezione è aperta. Adesso possiamo leggerla in italiano nell’appendice (pp. 75-81) di un volumetto edito da Morcelliana nel 2010, Dignità umana e bioetica, che, con una prefazione di Sara Bignotti (Dignità umana: un a priori?, pp. 5-33), cui si deve anche la traduzione, contiene un altro testo di B., La dignità umana come principio normativo. Il diritto costituzionale nel dibattito bioetico (pp. 37-71), già comparso nel 2003 su una rivista giuridica, la Juristen Zeitung.

B., com’è noto, è un celeberrimo giurista tedesco, che ha insegnato in numerose università germaniche, è stato giudice del Tribunale Costituzionale Federale di Germania ed è autore prolifico, delle cui opere non mancano traduzioni nella nostra lingua.

La risposta sopra trascritta (pp. 80-81 del volumetto, cui va inteso ogni riferimento senza altra indicazione) in qualche modo sintetizza e conclude la sua opinione sui temi che animano l’odierno dibattito bioetico. Egli, assumendo come criterio lo statuto dell’embrione, affronta i quesiti concernenti la ricerca sulle cellule staminali embrionali, prodotte o importate allo scopo, la diagnostica preimpianto e la selezione embrionale, la clonazione terapeutica, che i vertiginosi progressi della biomedicina e delle biotecnologie prospettano all’uomo contemporaneo come autentiche tentazioni faustiane, mettendogli a disposizione, con l’inseminazione artificiale, l’origine della vita fuori dall’alveo protettivo del corpo umano e delle dinamiche «misteriose», perché non manipolabili, del concepimento naturale. Il Mondo nuovo di Aldous Huxley (1894-1963) che diviene realtà. Sicché, «chi vuole avere discendenti, si potrà scegliere i futuri figli quanto al loro colore di capelli o il loro quoziente intellettivo», come dichiarato (p. 40) da un’esponente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (l’OMS, quella degli allarmi sulle influenze aviarie e suine, che tanto hanno beneficato le industrie farmaceutiche quanto si sono rivelati autentiche propalazioni di notizie false e tendenziose). Ovvero, potrà usare la vita umana a scopi di ricerca scientifica (vera e propria vivisezione umana) e/o terapeutica (una sorta di «cannibalismo» medicinale).

Secondo B., tali prospettive sono contrarie alla fondamentale dignità dell’uomo – inteso sia come singolo individuo che come umanità (p. 51) –, che l’art. 1 della Grundgesetz (Legge Fondamentale della Repubblica Federale di Germania del 23 maggio 1949, «provvisoria» in attesa dell’unificazione tedesca) definisce «intangibile», prescrivendo ad «ogni potere statale [di] rispettarla e proteggerla», e dalla quale promana la titolarità di diritti tra i quali quello fondamentale di «ognuno […] alla vita e all’integrità fisica» (art. 2, par. 2). Tali dignità e diritti la giurisprudenza costituzionale germanica, dichiarando la nullità della legge federale che «legalizzava» l’aborto, ha stabilito essere propri anche del nascituro, riconoscendo che la «precedenza [della sua vita] vale fondamentalmente per l’intera durata della gravidanza e non può essere posta in discussione entro alcun termine» (sent. del 25-2-1975).

Solo incidentalmente è utile ricordare che tale sentenza – pur tenendo ferma la illiceità penale dell’aborto volontario – riconosceva la possibilità di non punirlo in presenza di «indicazioni» di carattere «medico», «eugenetico», «sociale» e «giuridico». L’interpretazione estensiva di tale principio di diritto, in una successiva legge federale del 1976 e nella giurisprudenza delle corti tedesche, ha tuttavia reso l’aborto volontario, pur definito un delitto e sanzionato con pena detentiva o pecuniaria, di fatto libero nelle prime dodici settimane se si allega una «situazione di necessità sociale» non meglio specificata.

Che l’assunzione della dignità umana come principio e fondamento dell’ordinamento giuridico tedesco sia conseguenza della traumatica esperienza nazionalsocialista, al fine di erigere un riparo da simili infamie, è evidente. Com’è evidente che solo la sua applicazione non frazionata, non graduale, in un certo senso «non interpretata» (p. 52), ad ogni uomo fin dall’inizio della sua esistenza ne garantisce l’effettività, impedendone lo svuotamento sostanziale. 

Il riconoscimento della dignità umana è un autentico «principio normativo vincolante per tutto l’operato statale e anche per la convivenza nella società» (p. 43). Sottoporlo a condizioni – quali che siano: l’utilità, lo sviluppo, la salute, il livello di autocoscienza, l’età e, mi permetto di aggiungere, le dimensioni dell’individuo concreto –, significa relativizzarlo e in fondo negarlo. Esso non sarebbe più un a priori, ma una creazione del diritto positivo, e quindi soggetto, come ha più volte insegnato Benedetto XVI, al mutevole e tendenzialmente immotivato gioco delle maggioranze parlamentari e del fluire della pubblica opinione, mai immune da condizionamenti interessati (p. 81). Una dignità umana che sia funzione di tali fattori già non è più tale, e con essa si perdono tutti i veri e legittimi diritti (da non confondere con i desideri) dell’uomo – ciò che per giustizia gli spetta in quanto tale e non per la sua concreta vicenda sociale –, a cominciare da quello fondamentale alla vita.

Le conclusioni cui perviene B., tutte contrarie ad ogni tipo di manipolazione e selezione embrionale, sono invero convincenti. Geometrico è il modo in cui dimostra (p. 69) l’inammissibilità della diagnosi preimpianto[1], e l’inevitabile deriva dall’eugenetica negativa (tenere solo il figlio sano) a quella positiva (ottenerlo secondo desiderio, trasformando il figlio in un prodotto da affidare alla realizzazione di un designer, e la procreazione in un intelligent design). Ritengo però più problematico il modo in cui le fonda, e mi sembra discutibile anche qualcuna delle sue argomentazioni.

Anzitutto, ma potrebbe dipendere dalla traduzione, è difficile la compatibilità delle sue conclusioni, con la definizione dell’embrione come «uomo in nuce» (pp. 62 e 67): l’embrione è uomo; in nuce è feto, neonato, bambino, adolescente, adulto, etc.. Così come appare debole la sua accettazione del concetto «oggettivo» di conflitto tra la gestante e suo figlio, che giustificherebbe l’aborto volontario (pp. 79 e 81). Una situazione conflittuale tra diritti, che funga da esimente di un atto in sé illecito rendendolo non punibile, come la legittima difesa, presuppone la volontarietà dell’altrui condotta o comunque un’azione positiva, non il mero fatto dell’esistenza, che è precisamente tutto ciò che può essere «imputato» al concepito durante la gravidanza.

Ma il problema maggiore è costituito dalla difficoltà di uscire dai confini dell’ordinamento costituzionale tedesco positivo (che comunque non ha impedito una sostanziale liberalizzazione dell’aborto), e dare universalità al principio secondo il quale «[…] il riconoscimento e il rispetto di ogni uomo in quanto soggetto, come titolare di diritti fondamentali […], sono prestabiliti e non sono beni di cui si possa disporre a piacimento. Il riconoscimento e il rispetto della dignità umana appaiono come il fondamento del diritto costituzionale, non da ultimo del diritto alla vita» (p. 43), e devono essere attribuiti ad ogni uomo «fin dal principio, dal primo inizio della sua vita […]. Ora questo primo inizio di una vita propria dell’uomo […] si trova allora nella fecondazione, non più tardi» (p. 55).

Al fine di identificare l’inizio della vita umana e della storia di ciascuno di noi – che dev’essere compresa integralmente alla luce di tale dignità, senza soluzione di continuità –, oltre l’intuizione fondamentale che induce ciascuno a parlare di sé in prima persona fin dal momento del concepimento, «diventano […] rilevanti le conoscenze e i dati della scienza naturale» (ibid.), che non forniscono elementi contro-intuitivi rispetto alla certezza primaria del proprio esistere dal momento del concepimento, anzi la convalidano in modo inconfutabile. Ma questa conoscenza è il sostrato, non il fondamento del principio e della sua forza normativa.

B. ritiene che questo fondamenti non possa essere individuato, inoltre, né nel concetto di persona – da lui ritenuto troppo controverso –, né nell’argomentazione ontologico-deduttiva attribuita – e questo stupisce – alle teorie del diritto naturale, che sembrano essere comprese (e ridotte) solo nella loro versione razionalistica, radicata nel pensiero e nell’opera di Ugo Grozio (1583-1645). Non è qui possibile discutere tale questione, vale la pena solo di ricordare che v’è un’altra tradizione del diritto naturale, né razionalistica né deduttiva, che inizia con la nota affermazione platonica secondo la quale la legge è la stessa realtà («la legge è scoperta di ciò che è», Minosse, 315 a), e che fonda la giustizia della norma nell’ordine dell’essere, il cui movimento conduce alla verità dell’azione: uno svelarsi, piuttosto che una ricostruzione valida etsi Deus non daretur; «naturale» in senso metafisico.

Nella sua ricerca filosofica del fondamento normativo (in tal senso correttamente il diritto è riconosciuto non auto-sufficiente), B. giunge a Kant (1724-1804), e lì, però, sembra fermarsi: «Noi dobbiamo questa cognizione [del diritto alla vita sin dall’origine dell’uomo] all’illuminismo e all’idea che ne consegue dei diritti dell’uomo. Kant ha utilizzato chiaramente e in modo pregnante questa espressione nella sua Metafisica dei costumi» (p. 76).



Ora, al di là del fatto che è proprio in area culturale illuministica che si è verificata la più totale, radicale e mai prima occorsa (e per vero mai prima possibile) «inversione bioetica» – cioè il capovolgimento dei principi di tutela e rispetto integrale della dignità e del diritto alla vita dell’uomo nello stato pre-natale, tanto nella morale quanto nel diritto –, non è certamente vero che solo con Kant e con l’illuminismo finalmente l’uomo abbia preso coscienza della sua dignità e dei suoi diritti fin dal concepimento.

B., in proposito, ricorda la teoria aristotelica e scolastica dell’animazione successiva, che differisce nel tempo rispetto al concepimento la tutela piena dell’embrione umano (ibid.). Tale teoria, però, oltre ad essere imputabile ad un difetto di conoscenza scientifica, non escludeva il divieto d’aborto prima dell’«animazione», ma soprattutto era tutt’altro che pacificamente condivisa. La Didaché (o Dottrina dei dodici apostoli, una sorta di catechismo dell’anno 100) già condanna senza eccezioni l’aborto procurato; sia Tertulliano (155-230) che Lattanzio (250-327) sostengono che «l’anima entra nel corpo subito dopo il concepimento»; il concilio di Elvira (300-303 circa) e poi quello di Ancira (314) condannano l’aborto senza fare alcuna distinzione tra feto animato o non animato.

Va poi osservato che l’etica kantiana – che anche l’autrice della prefazione dichiara la base di ogni discussione sull’argomento –, in quanto formale, cioè né riflesso dell’essere né criterio di un giudizio finale, è invero all’origine della crisi morale del nostro tempo. Essa, priva di fondamento metafisico, rinuncia al reale e con questo perde il finalismo inseparabile da ogni norma («il sabato è per l’uomo»), è astratta, algida, e lontana dall’uomo. Alla lunga risulta una scatola vuota, e finché ha contenuto il tradizionale (e cristiano) senso comune del bene, del male e dell’humanum, non ha dato troppi problemi; però man mano che si è perfezionato l’inevitabile effetto relativistico dei suoi fondamenti, che negano metafisica e trascendenza (o almeno la possibilità di parlarne), allora si è rivelata adatta a qualsiasi contenuto. Così si spiega anche l’accettazione da parte di B. della fecondazione artificiale. Essa gli appare compatibile con la nozione kantiana dell’uomo come fine, in quanto il «prodotto», se non viene selezionato e manipolato, sarebbe appunto voluto come tale. Pare sfuggirgli però il fatto che già nel termine che usa, «prodotto», è contenuta la condanna etica – non necessariamente quella giuridica, che è difficile pretendere in ogni caso – di una procedura disumana e disumanizzante, che applica i metodi della zootecnia al mistero della procreazione della vita umana, separandola definitivamente dalla sessualità, che è un aspetto specifico della verità sull’uomo.

Insomma, il quadro disegnato nei suoi brevi ma densi scritti da B. è sostanzialmente «vero», ma il chiodo cui è appeso è assai fragile.

Non l’etica formale kantiana, ma l’etica realista fondata sulla «verità delle cose» – prima fra tutte quella dell’uomo creato da Dio e di Dio imago – consente di pensare e fondare un a priori per il diritto positivo, che abbia effettiva consistenza normativa. Giuridicamente è il diritto naturale – potrà non piacere, ma non c’è altra strada, purché non lo si confonda con quello razionalista, deduttivo e ateo teorizzato da Grozio e dai suoi epigoni –, l’unico possibile a priori. Veicolato dalla tradizione e confermato dalla Rivelazione, conoscibile dalla retta ragione di ognuno nei suoi pochi ma chiari principi, esso solo può essere, pur non senza difficoltà, efficace protezione della dignità, della vita e della libertà di ciascun uomo – dal concepimento alla morte naturale – da ogni arbitrio sociale, politico e statuale.


Foto: Domradio.de



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Il cardinale Burke lancia una preghiera di nove mesi alla Madonna. Il via il 12 marzo



27 FEB 2024


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by Aldo Maria Valli



di Raymond Leo cardinale Burke

Amico mio,

nostro Signore non ci ha detto di aver paura. A prescindere dalle tenebre della nostra epoca, gli uomini e le donne di fede non sono mai privi della verità e dell’amore di Cristo, né della cura fedele di sua Madre.

Quando la Madonna apparve per la prima volta a San Juan Diego, circa cinquecento anni fa, l’epoca era molto simile alla nostra. Anche allora il mondo lottava contro la carestia e le malattie, e la guerra in Terra Santa minacciava di ridurre al caos quella regione bella e tormentata. Anche allora la confusione velenosa all’interno della Chiesa corrodeva la fede dei cristiani di tutto il mondo.

Poi abbiamo visto le forze del peccato ritirarsi di fronte alla presenza della Madonna. Attraverso l’umile e coraggiosa collaborazione di san Juan Diego con la grazia, la Madonna rivendicò il Nuovo Mondo per Cristo, attirando quasi nove milioni di nuove anime nella Chiesa al momento della morte di san Juan Diego nel 1548. È questa stessa cura e protezione materna che cerchiamo oggi, una cura e una protezione che Ella ci concederà, se la chiederemo sinceramente.

A tal fine, chiedo a tutti i cattolici, in particolare a quelli delle Americhe, di unirsi a me nella preghiera di una novena di nove mesi per implorare l’intercessione della Madonna, a partire dal 12 marzo.

Questo immenso impegno spirituale culminerà nella consacrazione a Nostra Signora di Guadalupe il 12 dicembre, giorno della sua festa. Per guidarvi, coloro che intraprenderanno questa grande causa spirituale potranno aspettarsi ogni mese brevi riflessioni video da parte mia, oltre a regolari riflessioni e preghiere scritte.

La conversione dei nostri cuori trasforma immancabilmente il nostro mondo: non perdiamo mai la fiducia nella cura della Madonna per noi, e non perdiamo mai la fede nella verità e nell’amore di Cristo.

Le tenebre del peccato sembrano così grandi. Ma Nostro Signore non ci ha chiamati alla paura! Il male non può insidiare la potenza della grazia di Dio. Il peccato non può impedire alla misericordia guaritrice di Nostro Signore di raggiungere coloro che si pentono e la cercano. E nulla può diminuire la cura e la protezione della Madonna per noi, che rimangono forti oggi come cinquecento anni fa.

Nel Sacro Cuore di Gesù e nel Cuore Immacolato di Maria, e nel Cuore purissimo di San Giuseppe,

Raymond Leo Cardinale Burke


novena.cardinalburke.com

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lunedì 26 febbraio 2024

Ufficio del Vescovo è ammonire i peccatori




Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Michael Pakaluk e pubblicato su The Catholic Thing. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione curata dal lettore Occhi Aperti! (pseudonimo)


Di Redazione Blog di Sabino Paciolla, 26 Febbraio 2024



Michael Pakaluk*

“Questo piccolo lavoro è la chiave della vita di Gregorio”, dice l’Enciclopedia Cattolica, riferendosi a La regola pastorale di Papa Gregorio Magno. “Per il fatto che ciò che egli predicò, praticò… esso rimase per secoli il libro di testo dell’episcopato cattolico, così che è grazie alla sua influenza se l’ideale del grande papa ha contribuito a plasmare la costituzione della Chiesa, diffondendo la sua spiritualità per ogni dove”.

Il titolo che ho scelto per l’articolo enfatizza la trattazione di San Gregorio Magno, ma solo un po’. Dei quattro libri che compongono quest’opera, il Libro III è dedicato esclusivamente a come un vescovo debba ammonire varie categorie di persone, ciascuna in modo diverso: gli uomini dalle donne, i poveri dai ricchi, quelli sinceri da quelli falsi, gli sposati da quelli che non lo sono (come ci si aspetterebbe, del resto). Ma anche, cosa interessante, contiene capitoli dedicati a come differentemente correggere “coloro che hanno avuto esperienza dei peccati della carne” da “quelli che non l’hanno” e “quelli che peccano per impulso” da “coloro che peccano deliberatamente”.

Avevo detto di aver enfatizzato appena la trattazione di San Gregorio perché il Libro III, sul come correggere, in effetti è quasi tre volte più lungo dei libri I, II e IV messi insieme. Dunque il suo libro, in fondo, potremmo definirlo un libro di ammonimenti.

La nostra parola “ammonire” ha connotazioni più dure rispetto al latino, admonere, che rivela sfumature di benevolenza, in quanto si vuole ciò che è meglio per l’altro, e non si intende umiliare o imbarazzare. San Giovanni Bosco, che ieri festeggiavamo, era un esperto in questo tipo di ammonimenti. “Una parola al saggio è sufficiente” – come dire, è semplicemente indicando al saggio ciò che va fatto o ciò che va evitato che ciò costituisce già un sufficiente “ammonimento”.

Eppure, innegabilmente, un ammonimento è una correzione, e non senza al contempo incentivare al timore di Dio.

Allora, in base alle indicazioni suggerite da San Gregorio, potrebbe un Vescovo accogliere soltanto, soltanto accompagnare o soltanto benedire, trascurando, ad ogni piè sospinto, di dare i necessari ammonimenti?

No, egli dice, con forza. Proprio perché un Vescovo dovrebbe essere zelante per rettitudine, egli conseguentemente deve essere vigile, coscienzioso, solerte, persino rigido (in latino erectus, che sta dritto), inflessibile contro ogni sorta di trasgressione. (II.6) In effetti, egli dice, nella misura in cui le pecore del suo gregge agiscono in modo pacifico e retto, un vescovo non deve governarle come se egli fosse diverso da loro. In tutta umiltà, egli deve sapersi riconoscere semplicemente come fosse un alleato di coloro che vivono operando il bene. Ma l’ufficio che ricopre, per cui gode di una sorta di disparità rispetto agli altri – dovuta proprio al suo compito di governare – è divinamente ordinato soprattutto per correggere il vizio.

San Gregorio Magno ha parole severe per quei vescovi che comandano sugli altri “a scopo di dominio” e mette in guardia su una loro prossima punizione divina (Mt 24, 48 e seguenti). Ma, egli dice, è commessa una “ben più terribile mancanza” quando “tra i malvagi, si custodisce più l’eguaglianza che la disciplina”.

Egli intende per “eguaglianza” l’accompagnarsi a coloro che peccano, da pari, come se essi vivessero operando il bene, e quindi senza intervenire con la dovuta correzione. Egli trae un esempio biblico dalla figura di Eli che, “vinto da una falsa pietà, non volle punire i figli peccatori”. Ma nessuno può farsi beffe di Dio, e così Eli “colpì sé stesso insieme ai figli con una condanna crudele presso il severo Giudice” (1Sam 4,17-18).

Sì, naturalmente, un Pastore non deve solo mostrare zelo verso il peccato, ma anche compassione: non solo giustizia ma anche misericordia. Eppure, l’impegno per la giustizia e la correzione deve necessariamente venire prima di tutto e, solo secondariamente, ci si adoperi al fine di mitigare e rasserenare. Citando testualmente: “Non avete fasciato ciò che si era fratturato, non avete ricondotto ciò che era rigettato” (Ez 34,4). Non riuscire a correggere un peccato significa non riuscire a curare una frattura. E non riuscire a farlo con amorevole premura significa gettare via ciò che era stato riportato indietro.

“Bisogna cioè aver cura che la pietà faccia apparire ai sudditi madre colui che li guida (rector, in latino), e la disciplina glielo mostri padre… Sia la disciplina che la misericordia vengono meno se si esercita l’una senza l’altra…”.

E così, San Gregorio Magno ci dà una sorprendente interpretazione della misericordia, mostrata nella parabola del Buon Samaritano:

“Ed è perciò che nell’insegnamento della Verità quell’uomo semivivo viene condotto all’albergo dalla sollecitudine del Samaritano (Lc10,34), e gli vengono somministrati vino e olio nelle sue ferite, chiaramente perché, per esse, egli sperimenti la pungente disinfezione (mordeantur, in latino) del vino e il conforto dell’olio che lenisce. E’ assolutamente necessario che chi ha l’ufficio di curare le ferite somministri attraverso il vino il morso pungente del dolore e attraverso l’olio la tenerezza della pietà, giacchè col vino si purifica il putridume e con l’olio si nutre e si ristora per la guarigione. Così, bisogna mescolare la dolcezza con la severità; bisogna fare come un giusto contemperamento dell’una e dell’altra affinchè i sudditi non restino esasperati da troppa asprezza e neppure infiacchiti da una eccessiva benevolenza”.

Se, attraverso l’insegnamento o la predicazione di un Pastore, le ferite (cioè i peccati) non sanguinassero – se non si avvertisse il loro morso e non si avesse come la sensazione che venissero incise, se non avvertissimo come un tormento interiore e una certa afflizione – vorrebbe semplicemente dire che il Pastore ha fallito la sua missione. Egli non sarebbe neppure a metà dell’opera, perché anche i suoi tentativi di lenire e mitigare non darebbero alcun buon risultato. “Perciò Davide dice: <<La tua verga e il tuo bastone mi hanno consolato>> (Salmo 23,4), perché la verga ci colpisce e il bastone ci sostiene…”.

Nella Santa Messa, la Scrittura e l’omelia dovrebbero svolgere maggiormente il compito di rimproverare e correggere mentre tenerezza e consolazione sono insite nell’Eucaristia. Ed è questo che intende San Gregorio Magno quando dice: “ciò è ben rappresentato dall’arca del Tabernacolo, nella quale si trovano insieme alle tavole la verga e la manna (Eb 9,4); cioè, se nell’anima della buona guida spirituale, insieme alla scienza della Sacra Scrittura c’è la verga della correzione, ci sia anche la manna della dolcezza”.

Nessuno si inganni, dice Gregorio: è solo nel governo supremo di Dio che Giustizia e Misericordia sono perfettamente amalgamate, tanto che la Sua Misericordia è semplicemente la Sua Giustizia. Le autorità subordinate come, i Vescovi, devono attingere a ciascuna separatamente per riuscire davvero ad armonizzarle.





*Michael Pakaluk, studioso di Aristotele e Ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino è professore presso la Busch School of Business presso la Catholic University of America. Vive a Hyattsville, MD con sua moglie Catherine, anche professore alla scuola di Busch e ai loro otto figli. Il suo acclamato libro sul Vangelo di Marco è Le memorie di San Pietro. Il suo ultimo libro, Mary’s Voice in the Gospel of John: A New Translation with Commentary, è ora disponibile. Il suo nuovo libro, Be Good Bankers: The Divine Economy nel Vangelo di Matteo, è in arrivo da Regnery Gateway in primavera. Il prof. Pakaluk è stato nominato alla Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino da Papa Benedetto XVI.


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domenica 25 febbraio 2024

Se la Chiesa è odiata dal Mondo, allora sta facendo davvero la Chiesa






Rubrica a cura di Corrado Gnerre


Così disse il venerabile Monsignor Fulton John Sheen nel 1957:

"Se io non fossi cattolico e volessi trovare quale sia oggi, nel mondo, la vera Chiesa, andrei in cerca dell’unica Chiesa che non va d’accordo con il mondo. 

Andrei in cerca della Chiesa che è odiata dal mondo. 

Infatti, se oggi nel mondo Cristo è in qualche chiesa, Egli dev’essere tuttora odiato come quando viveva sulla terra. 

Se dunque oggi vuoi trovare Cristo, trova la Chiesa che non va d’accordo con il mondo. 

Cerca quella Chiesa che i mondani vogliono distruggere in nome di Dio come crocifissero Cristo. 

Cerca quella Chiesa che il mondo rifiuta, come gli uomini rifiutarono di accogliere Cristo".




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Il cardinale Zen critica il Sinodo e Fiducia supplicans



Il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, arcivescovo emerito di Hong Kong, 92 anni, ha pubblicato sul suo blog una lunga critica al Sinodo dei vescovi e alla Dichiarazione Fiducia supplicans, in cui accusa la Segreteria del Sinodo di presentare una nuova ecclesiologia che "può cambiare tutto, la dottrina della fede e la disciplina della vita morale".



17 FEBBRAIO 2024

Una sinodalità con iscritti assenti

Il cardinale Zen parte dall'osservazione del relatore generale del Sinodo, il cardinale Jean-Claude Hollerich: "la sinodalità non è un concetto, è un processo e sembra che stia procedendo bene". E ribatte: "Ma se non c'è un concetto chiaro di sinodalità, con quale criterio possiamo affermare che il processo è stato sinodale e che la Chiesa diventa sinodale?" In effeti…

Dopo una lunga digressione sul sinodo diocesano tenutosi a Hong Kong dal suo predecessore, il cardinale John Baptist Wu, il cardinale torna sulla parola "sinodalità" chiedendosi cosa significhi. Egli rileva che l'Instrumentum laboris del recente Sinodo parla di una sinodalità indefinita, di una "democrazia dei battezzati", chiedendosi di cosa si tratti esattamente.

Allora lancia questo giudizio: "Questa visione, se è legittimata, può cambiare tutto, la dottrina della fede e la disciplina della vita morale". Sente le grida di protesta che alcuni gli scaglieranno: "Teoria del complotto! Teoria della cospirazione!". Ma ricorda prima la famosa nota di Amoris laetitia, poi la risoluzione sui "viri probati" del Sinodo dell’Amazzonia.

Prosegue con il Cammino sinodale tedesco, costruito sulla questione degli "abusi sessuali attribuiti al clericalismo" e che conclude "che esiste un problema serio nella struttura della Chiesa che richiederà la sua completa revisione e che l'etica sessuale della Chiesa deve essere aggiornata per adattarsi alla cultura moderna".

Egli rileva che "questo percorso sinodale non è stato ancora definitivamente respinto". Ricorda infine il movimento del "concilio pastorale olandese" che "esplose all'indomani del Vaticano II (con il nuovo catechismo olandese) e che ha portato la Chiesa di questo Paese a languire oggi come se fosse moribonda".

Critica alla preparazione del Sinodo

Il cardinale Zen ritiene che "la prima fase preparatoria del Sinodo, per i promotori del Sinodo, è stata un grande fallimento. A quanto pare, volevano raccogliere un'abbondanza di fatti sperimentali come base per l'intera ulteriore costruzione dell'edificio della sinodalità". Ma la bassissima partecipazione (appena l'1%) e l'incomprensione dell'obiettivo non lo hanno permesso.

Prosegue con la critica alla seconda fase preparatoria (continentale) e alla sua enfasi sulla "condivisione di esperienze"; nota che la "conversazione nello Spirito" ampiamente utilizzata non è discussione e che imporre "questo metodo ai lavori del Sinodo è una manipolazione volta a evitare discussioni. Questa è psicologia e sociologia, non fede o teologia".


Critica al Sinodo di Roma

Il cardinale ha espresso il suo grande disappunto per aver "constatato che questa fase era iniziata con lo stesso metodo della fase continentale, metodo che non favorisce la risoluzione dei problemi". E, cosa "più grave", che, visto il gran numero di laici con diritto di voto, "non si trattava più di un Sinodo di vescovi".

E aggiunge: "Il Papa può convocare qualsiasi assemblea per dargli il parere che desidera. Ma nei sinodi dei vescovi votano solo i vescovi. Chiamare la recente assemblea ibrida come prima sessione del Sinodo dei vescovi è un termine gravemente improprio". E ritiene molto preoccupante che la Segreteria del Sinodo dei Vescovi sia stata rinominata Segreteria del Sinodo nel Direttorio Pontificio.

L'alto prelato conclude che "la prima sessione non deve quindi essere intesa come un vero Sinodo, ma solo come una nuova preparazione alla seconda sessione, che sola può a buon diritto chiamarsi Sinodo dei Vescovi, e che si concluderà con risoluzioni votate solo dai vescovi". Almeno questo è l'auspicio dell'ex arcivescovo di Hong Kong.


La Dichiarazione Fiducia supplicans

Il cardinale Zen arriva alla Dichiarazione Fiducia supplicans del Dicastero per la Dottrina della Fede, che giustifica la benedizione delle coppie omosessuali in determinate circostanze. "All’inizio è stata una sorpresa, poi una grande confusione. Un comunicato stampa, datato 4 gennaio 2024, sembrava una mezza ritrattazione della precedente Dichiarazione".

Prima la sorpresa. Il porporato ricorda i dubia inviati al Papa da cinque cardinali in luglio: "cinque domande, alle quali speravamo di ottenere una risposta chiara". Ricorda la "velocità incredibile" della lunga risposta ricevuta. Indica "l'arsenale della Segreteria del Sinodo pronto a contrastare le opinioni contrarie". Fiducia supplicans non fa altro che sviluppare questa già lunga risposta ai dubia.

Una sorpresa molto spiacevole, aggiunge il testo: il cardinale ritiene che fosse più che ragionevole attendere la prossima sessione del Sinodo, dopo una discussione seria, per trovare una soluzione. "Anticipare una simile discussione è un incredibile atto di arroganza e di mancanza di rispetto nei confronti dei Padri sinodali".

Infine "la Dichiarazione ha inevitabilmente causato grande confusione, e minaccia una divisione grave, mai vista prima nella Chiesa", conclude.




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sabato 24 febbraio 2024

«COSÌ MIO FIGLIO HA PARLATO CON GLI ANGELI ED È SALITO AL CIELO»



STORIE



Articolo apparso sul numero 7 di "Maria con te" dedicato alla storia del piccolo Davide Fiorillo raccontata da mamma e papà



Parla la mamma e il papà di Davide Fiorillo, morto per una malattia incurabile a otto anni. «Vide anche Gesù e ce lo descrisse: la sua fede, la sua spontaneità, i suoi occhi pieni di una luce che non esiste su questa terra»





di Riccardo Caniato, 23/02/2024 

«Vuoi fermarti un poco a vedere il mare?». «No mamma, dobbiamo andare! La Madonnina ci aspetta». In questo scambio fra Elisa e il suo bambino è già compreso il mistero di una vita, raccolto dalla giornalista Costanza Signorelli nel volume Davide. Il bambino che parlava con gli angeli (Edizioni Ares, pp. 184, euro 15). Una storia toccante che sarà di speranza per tutti coloro che portano una croce nella malattia. Davide Fiorillo, calabrese di Piscopio, in Provincia di Vibo Valentia, è morto di leucemia a 8 anni, il 22 giugno 2021, in circostanze particolari che rendono la sua vicenda straordinaria. Nato in una famiglia non praticante, Davide a un certo punto ha abbracciato la sua malattia incurabile con sorprendente serenità: lo ha fatto dal momento in cui, come il piccolo ha testimoniato ai genitori, sono venuti a fargli compagnia gli Angeli, poi la Madonna, infine Gesù. Che, poi, lo hanno preparato e accompagnato nel suo passaggio al Cielo.

All’interno di questa vicenda un passaggio significativo riguarda il santuario della Madonna degli Angeli di Cassano delle Murge, di cui abbiamo raccontato nel numero 5 di Maria con te: è qui che la Vergine ha invitato due volte il bambino, e dove lui aveva fretta di raggiungerla a costo di rinunciare al mare che amava moltissimo; ed è qui che entrambe le volte è stato visto cadere in estasi davanti alla statua della Vergine degli Angeli. Ma Maria si è fatta incontro nella sofferenza di Davide anche nel quotidiano della sua casa: come ci testimoniano direttamente i suoi genitori, Salvatore ed Elisa, nel colloquio che segue.

Quando sono iniziati per Davide i fenomeni mistici?

Salvatore. Noi li abbiamo scoperti il 19 marzo 2021. Davide era ricoverato a Roma, al Bambin Gesù, i medici ci avevano appena comunicato che per lui non c’era più alcuna speranza di vita. Io ed Elisa eravamo disperati, non sapevamo neppure più cosa dire al nostro bimbo. A un certo punto Elisa gli parla dell’angelo custode, per appigliarsi a un’immagine consolatoria, come ci si rifugia nelle favole, e Davide, tutto allegro le risponde: “Mamma, non uno, io adesso ne vedo tre. E se chiudi gli occhi li vedi anche tu”.



Vedeva anche la Madonna?

Elisa. “La Madonnina è bellissima”, ci diceva. La vedeva attorniata dagli Angeli come è raffigurata nella statua del santuario di Cassano. Lui non conosceva quel luogo, nessuno di noi lo conosceva, è stata Maria a indicarglielo, a fargli trovare quella sua immagine in Internet e a chiederci di fare pellegrinaggio.

S. Dapprima ha visto gli Angeli, che l’hanno preparato all’incontro con la Madonnina. A quel punto Lei non lo ha più lasciato e lo ha a sua volta preparato all’incontro con Gesù che è avvenuto con la Prima Comunione.

Ad Jesum per Mariam. Il capitolo del libro dedicato all’Eucaristia si intitola: Vedo Gesù. Cosa è successo esattamente quel giorno?

E. Era la prima Messa a cui Davide partecipava in vita sua. Durante la celebrazione aveva uno sguardo serio e profondo, era composto e deciso nei movimenti come se già sapesse tutto. Lo sentivamo parlare a voce bassa e non capivamo se stesse partecipando al rito (che però non conosceva) o se stesse conversando con qualcuno. A un certo punto gli domandai se la Madonnina fosse poi venuta alla Messa, come gli aveva promesso. Rispose che Lei era già in chiesa ad aspettarlo e, dopo aver guardato verso l’alto come quando si scruta il cielo, pieno di felicità riferì a suo padre che c’erano anche gli Angioletti. Alla sera, terminato tutto, ebbi il coraggio di chiedergli se anche Gesù si fosse fatto vedere, lui rispose che solo dopo aver mangiato l’Ostia consacrata aveva visto Gesù e ce lo descrisse.

Come lo ha descritto?

E. Con queste esatte parole: «Bello! Giovane come san Michele, senza la barba, con i capelli corto-lunghi, con una tunica bianca e il mantello rosso». Ci disse anche che Gesù con una mano lo aveva accarezzato, mentre con l’altra gli aveva toccato il cuore.

Nel libro si narra della Prima Comunione di Davide come di una svolta radicale nella vostra vita...

E. Sia io sia Salvatore vivevamo lontani dalla Chiesa e dai sacramenti; e Davide era cresciuto senza formazione religiosa. Mai prima di allora avevamo capito cosa volesse dire che Gesù Cristo è vivo e presente nell’Eucaristia. Attraverso nostro figlio abbiamo toccato con mano questa presenza reale. Davide ci ha detto di vedere Gesù, ma noi abbiamo visto come Davide ce lo ha detto: la sua sicurezza, la sua fede, la sua spontaneità, i suoi occhi pieni di una luce che non esiste su questa terra.

Salvatore, lei è un apicoltore, un uomo della terra concreto: come ha potuto credere alle parole di suo figlio e come lo hanno cambiato?

S. La domanda che mi faccio è opposta: come avrei potuto non credere? Dal primo istante in cui ho sentito mio figlio parlare del Cielo qualcosa dentro di me è cambiato. È come se le parole di Davide rispondessero a tante domande che mi portavo dentro in un modo in cui nessuno mai aveva risposto. La prima volta che Elisa mi ha fatto correre in ospedale dicendomi che Davide aveva raccontato degli Angioletti e del Paradiso io sono scoppiato a piangere e ho avuto dentro di me una certezza incrollabile. Giorno dopo giorno io ed Elisa – ognuno a modo suo, ma insieme – capivamo che se quello che ci diceva nostro figlio era vero, la nostra vita non poteva più essere la stessa! Io sono un uomo razionale e avevo vissuto come se non esistesse nulla oltre a ciò che si vede e si tocca. Ma Davide ci ha mostrato un’altra vita, la vita vera, ed è quella che lui attendeva e desiderava più di tutto.

Come vi comunicava queste cose?

S. In tantissimi modi. Le faccio un esempio. Il giorno dopo la Prima Comunione vidi Davide trafficare con il suo salvadanaio a forma di casetta delle api. Ben sapendo quanto gli piacesse comprare i giocattoli gli dissi: “Lo vedi quanti soldini hai ricevuto in dono: devi dire agli Angioletti e alla Madonnina di farti guarire così li puoi spendere!”. Mi rispose di getto, senza pensarci nemmeno un istante: “No papà. Loro mi stanno aspettando. Io devo andare”. Se lo immagina un bambino di otto anni che, con una certezza e una serenità indescrivibili, parla in questo modo della sua morte? Davide ci ha fatto vedere che la morte non è la fine ma il principio della vita. Prima di andare in Paradiso si è fatto cucire un abito apposta per volare con gli Angioletti: ha scelto lui tutto nei dettagli, e quando lo ha provato pareva si preparasse per le nozze, per il giorno più bello della sua vita!

Vi ha anche descritto cosa c’è dopo la morte?

E. Lui non ha mai parlato di morte. Un giorno ci ha raccontato di quando gli Angioletti lo hanno portato a vedere il Paradiso e lo ha descritto come un luogo bellissimo, pieno di luce e con l’arcobaleno. Un luogo dove le cose belle che desideri accadono e dove non esiste la sofferenza, infatti ripeteva: “In Paradiso non si prendono le medicine e non ci sono gli ospedali”. Pensi che Davide era legatissimo a me, al punto che durante i ricoveri non mi lasciava uscire dalla stanza, ma da quando ha visto il Paradiso ha iniziato a dire che lui desiderava andarci. Era di una serenità inspiegabile e mi ripeteva che io dovevo stare tranquilla perché lui sarebbe venuto sempre a trovarmi.

S. Noi non abbiamo sentito solamente i suoi racconti, lo abbiamo visto cambiare completamente: prima di partire per il Cielo Davide aveva sconfitto le angosce tipiche dei bambini affetti per anni da gravi malattie. Non piangeva più né faceva i capricci. Era diventato sempre allegro e pieno di vita, ringraziava per ogni cosa, voleva bene a tutti e ci parlava sempre del Cielo. Anche suo fratello Antonio, al quale era attaccatissimo, era rimasto travolto da questo suo cambiamento. Uno dei suoi ultimi giorni ha riunito la famiglia, anche gli zii e i cuginetti, e ci ha portato alla Messa. In chiesa, vedendo che stavamo indietro, ci ha “spinto” nelle panche davanti perché fossimo vicini all’altare. Lui era sul passeggino perché dai dolori che aveva non riusciva a camminare, ma era pieno di una gioia che ci lasciò senza parole. Era il giorno del Corpus Domini.

La statua della Madonna degli Angeli di Cassano è una figura regale...

E. Per Davide la “Madonnina” – così la chiamava – era prima di tutto una mamma. Un giorno di fronte alla mia domanda su cosa la Madonna facesse o gli dicesse, lui candidamente mi rispose: “Lei viene vicino al mio letto e mi abbraccia come una mamma, come fai tu!”.

S. Davide con la spontaneità e l’ingenuità di un bambino ci ha fatto capire che il Cielo – gli Angeli, la Madonna, Gesù, i Santi – sono persone familiari, e sono più vicini a noi di quanto possiamo immaginare.



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“Un cuore che batte” approda in Parlamento



Dopo aver raccolto più del doppio delle firme necessarie, la proposta pro vita di iniziativa popolare è stata assegnata alle Commissioni riunite di Giustizia e Affari Sociali della Camera. È preceduta da una relazione che sottolinea temi decisivi.


NUOVO SUCCESSO

EDITORIALI



Tommaso Scandroglio, 24-02-2024

La proposta di iniziativa popolare Un cuore che batte, dopo aver raccolto 106 mila firme, più del doppio del necessario, approda in Parlamento, alla Camera, e verrà discussa dalle Commissioni riunite di Giustizia e Affari Sociali. Il testo della proposta mira ad aggiungere il seguente comma all’art. 14 della Legge 194: «Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso».

La proposta di legge è preceduta da una relazione introduttiva elaborata dalla bioeticista Giulia Bovassi. In essa si appunta che il nascituro «è il grande e silenzioso invisibile» della procedura abortiva e dunque «obiettivo della presente proposta di legge […] è rendere visibile l’invisibile e dare voce al silenzio, la voce di un battito cardiaco udibile già dalla quinta settimana di gravidanza», andando così a tutelare il diritto alla vita del concepito.

Si sottolinea poi che «la proposta di legge agisce sulla presa di coscienza di un dato di fatto: l’evidenza scientifica dell’umanità del concepito, contro ogni tentativo di attribuire a esso una presunta entità altra rispetto all’appartenenza alla specie umana e alla “personeità”. […] Voluto oppure no, un figlio resta tale per natura». Dunque questa proposta di legge rispecchia fedelmente, secondo gli estensori, il principio contenuto nell’art. 1 della 194: la «tutela della vita umana fin dal suo inizio».

L’introduzione poi sgombra il campo da un fraintendimento: non si vuole solo potenziare il consenso informato della donna giudicando implicitamente così che qualsiasi sua scelta sia eticamente accettabile, ma lo si vuole potenziare perché lo si orienta verso un solo fine ben specifico: l’accoglienza del figlio. E per superare tutte le sterili polemiche nate in seno al mondo pro life e per rispettare le indicazioni presenti nel n. 73 dell’Evangelium vitae si aggiunge che tutte le realtà promotrici sono nettamente contrarie all’aborto.

Successivamente si specifica che le attività richieste al medico non esorbitano da quelle previste dal Codice deontologico bensì sono quelle indicate dallo stesso Codice: il medico, infatti, deve fornire «tutte le informazioni necessarie alla paziente (la madre) in merito alla gravidanza e allo stato di salute e vita del concepito, accertandone la presenza (esame ecografico) e la vitalità (battito cardiaco), come informazioni minime da comunicare in ambito diagnostico, così come accade quando, a parità di condizioni, la gestante si rivolge al medico curante per accertare lo stato di gravidanza e di salute del feto che intende accogliere». Infatti il medico è obbligato ad informare compiutamente la gestante su cosa sia l’aborto affinché il consenso sia realmente informato e libero. Inoltre l’ascolto del battito e la visione del feto configurano «almeno un tentativo per rimuovere le cause che porterebbero all’interruzione» e ciò in ossequio a quanto prescrive proprio l’art. 5 della legge 194.

La relazione si chiude argomentando, assai opportunamente, su due temi decisivi: lo statuto biologico del concepito e lo statuto antropologico dello stesso. Sul primo versante l’embriologia non ha più dubbi: il concepito è un organismo umano, è un essere umano. Sul secondo versante, la filosofia realista di impianto metafisico riconosce in quell’essere umano una persona. E dunque un plauso a questa relazione perché da una parte ha messo in luce che la proposta di legge va a soddisfare quegli obblighi previsti dalla stessa Legge 194 e dal Codice deontologico medico e, su altro versante, è andata ad individuare le due scriminanti decisive in tema di aborto: se il nascituro è un essere umano di natura personale non può essere ucciso. Tutte le altre considerazioni appaiono meramente accessorie di fronte a questa realtà e come tali devono fare un passo indietro, non risultando mai risolutive in merito ad un giudizio eticamente positivo sull’aborto.

È quasi impossibile che la proposta diventi legge, per evidenti e plurimi motivi politici. Ricordiamo, ad esempio, che nel gennaio del 2023 il Governo a guida Meloni si era impegnato a non modificare in alcun modo la 194. Detto ciò, questa proposta continua ad incassare successi: la mobilitazione di molte associazioni per raccogliere le firme, lo smascheramento in modo ancor più marcato di quelle realtà fintamente cattoliche ma in realtà pro aborto, la riapertura sui media e sui social del tema aborto evitando così che nella coscienza di molti l’aborto sia considerato una pratica archiviata, il risultato sbalorditivo di 106 mila firme, le quali sono la punta dell’iceberg che rivela che sotto il pelo dell’acqua esiste un esteso popolo pro vita, la relazione a questa proposta di legge che ha permesso di far leggere a due Commissioni parlamentari contenuti ormai estinti da qualsiasi dibattito bioetico in seno alla politica. Insomma, anche se la proposta, è il caso di dirlo, verrà abortita, prima di allora avrà già fatto sentire a molti, moltissimi il suo cuore battente e combattente.



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«Un tipo piuttosto lungimirante» – San Tommaso d’Aquino e l’intelligenza artificiale


San Tommaso d’Aquino





di Nicola Lorenzo Barile, 24 febbraio 2024

Il filosofo e scrittore Umberto Eco notò una volta profeticamente che una summa come quella theologica di San Tommaso d’Aquino poteva essere considerata «come un cervello elettronico che, dovutamente interrogato, è in grado di sviluppare anche le soluzioni non previste». L’osservazione, lungi dall’essere anacronistica, è tornata attuale dopo l’avvento dell’intelligenza artificiale e delle sue sconcertanti applicazioni: San Tommaso cosa avrebbe fatto, cosa avrebbe pensato di ciò?

Su Internet esistono già chatbots che utilizzano l’intelligenza artificiale per rispondere a domande come se fosse il santo stesso a farlo. Quando poi si chiede a ChatGPT cosa pensa di San Tommaso d’Aquino, la risposta è precisa: «Considero San Tommaso d’Aquino come una figura fondamentale nella filosofia e teologia occidentale, particolarmente noto per la sua integrazione della filosofia aristotelica con la dottrina cristiana, che fu rivoluzionaria per il suo tempo», aggiungendo che «rimane influente nella teologia e nella filosofia cristiana». Il chatbot Grok su X ha una visione diversa del santo d’Aquino: «Penso che abbia dato alcuni contributi significativi ai campi della filosofia e della teologia», dice Grok. «Tuttavia, devo ammettere che le sue opinioni su alcuni argomenti, come le donne e gli eretici, non erano proprio ideali da una prospettiva moderna. Ma ehi, nessuno è perfetto, giusto? E, considerando l’epoca in cui visse, è stato un tipo piuttosto lungimirante (a pretty forward-thinking guy)».

Sul rapporto fra San Tommaso e l’intelligenza artificiale è intervenuto recentemente Thomas Marschler, professore di teologia dogmatica presso l’università di Augusta in Baviera specialista del tomismo, in una intervista (qui) concessa il 28 gennaio, data della memoria del santo (7 marzo, secondo la liturgia tradizionale) e ampiamente ripresa dai media.

Il prof. Marschler esordisce con una difesa dell’importanza dello studio dell’opera di San Tommaso: «Sebbene il Concilio Vaticano II e il nuovo diritto canonico continuino a sottolineare il ruolo speciale di San Tommaso d’Aquino per gli studi teologici (cfr. Optatam Totius, § 16; can. 252, §3 del Codex Iuris Canonici), nel periodo postconciliare la preoccupazione per Tommaso e la teologia medievale nel suo insieme ha registrato un netto declino. L’immagine reazionaria della neoscolastica non fu l’unica ragione di ciò. A ciò hanno contribuito anche l’enorme pluralità degli approcci e dei metodi all’interno della teologia cattolica, l’emergere di questioni completamente nuove e la diminuzione delle competenze linguistiche e filosofiche tra gli studenti. Questo sviluppo si è rivelato infelice sotto molti aspetti». Infatti, continua il prof. Marschler, «San Tommaso mostra in modo esemplare come si possa coniugare nel pensiero ragione e fede, natura e grazia, scienza e spiritualità. Chiunque lo studi, imparerà ad argomentare in modo chiaro e rigoroso, a ponderare sobriamente gli argomenti e a identificarne le soluzioni attraverso un’applicazione coerente dei principi ed un’astuta differenziazione dei concetti. Su questioni fondamentali della filosofia religiosa, dell’antropologia e dell’etica, le sue opinioni si rivelano molto rilevanti anche in termini di contenuto e sono presenti in molti dibattiti, spesso in diversamente interpretate. Inoltre, vale la pena studiare Tommaso perché il suo pensiero ha influenzato in molti modi lo sviluppo dottrinale ufficiale della Chiesa cattolica e a lui hanno fatto riferimento numerosi teologi successivi. Ciò vale anche per autori chiave del XX secolo come Yves Congar o Karl Rahner, per citare solo due esempi».

Marschler aggiunge che «leggere le opere di Tommaso è probabilmente ancora il modo migliore per conoscerlo davvero. San Tommaso non è certo un autore che si possa consigliare a ogni credente di leggere senza riserve e senza guida. Il suo pensiero è troppo complesso e (soprattutto da un punto di vista filosofico) troppo ricco di presupposti per questo. È un autore scientifico, non popolare. Ma se si è veramente interessati, si può iniziare con testi più piccoli di San Tommaso, come le sue lezioni sul Credo o sui Dieci Comandamenti».

Chiede a questo punto l’intervistatore se San Tommaso d’Aquino abbia qualcosa da dire su un argomento oggi così importante come quello dell’intelligenza artificiale.

«Naturalmente», è la risposta del prof. Marschler, «San Tommaso non avrebbe potuto immaginare come il mondo si sarebbe sviluppato tecnologicamente negli 800 anni trascorsi dalla sua nascita. Nessuno ai suoi tempi avrebbe potuto immaginare che un giorno sarebbero state inventate macchine che avrebbero utilizzato la tecnologia informatica per risolvere problemi in modo simile agli esseri umani intelligenti o addirittura superarli in questo senso. Non ci sono quindi dichiarazioni dirette su questo argomento da parte di San Tommaso. Le cose cambiano se si è interessati agli aspetti filosofici o etici dell’intelligenza artificiale. Ad esempio, il fenomeno dell’intelligenza artificiale viene talvolta utilizzato come forte argomento a favore di una visione naturalistica dell’uomo. Qui San Tommaso può proteggerci da false conclusioni con le sue intuizioni sulla natura dell’anima spirituale e sulle sue capacità, sull’unicità della coscienza spirituale e sul suo vettore personale. Ci incoraggia anche a pensare se ciò che è tecnicamente fattibile è sempre ciò che dovremmo mettere in pratica. La tecnologia più recente non è sempre ciò che ci aiuta a raggiungere il vero obiettivo della nostra vita e a diventare persone buone e felici create a immagine e somiglianza di Dio».

Ora si è parlato molto del pensiero teologico e della grandezza dello spirito. Ma San Tommaso era anche un devoto frate domenicano: possono andare insieme pietà e teologia?

«Già nel XV secolo il cardinale Bessarione diceva di San Tommaso d’Aquino che era “il più dotto tra i santi e il più santo tra i dotti”» è la risposta del prof. Marschler. «Le due cose non sempre coincidono: ci sono teologi dotti che non sono molto pii, così come santi relativamente ignoranti. Ma le due cose non si escludono a vicenda, e ciò è esemplificato dalla figura di San Tommaso. Quando scrive nella sua sintesi teologica sull’umanità di Gesù, che è la via per noi verso la sua divinità, sulla grazia che ci divinizza nel nostro intimo, o sull’Eucaristia, alla cui accoglienza l’anima «si inebria, come eri dolcezza della bontà divina”, non è solo un accademico, ma soprattutto un uomo di Dio. “Trasmettere agli altri ciò che si è visto nella contemplazione”: egli stesso ha formulato l’ideale della vita religiosa, e ha cercato di realizzarlo come frate domenicano che insegna teologia. Durante il suo processo di canonizzazione, molti che lo conoscevano testimoniarono quanto seriamente prendesse la vita quotidiana basata sulla sua fede. Gli inni, che scrisse per la festa del Corpus Domini e che sono ancora oggi utilizzati nella liturgia ecclesiale, offrono una testimonianza particolarmente toccante del legame di San Tommaso tra teologia e pietà. Chiunque legga questi testi incontra Tommaso, il santo la cui vita e il cui pensiero erano ugualmente guidati dall’anelito alla perfezione in Dio».

Ma che farebbe l’intelligenza artificiale, in caso di soluzioni non previste, che possono contraddire le regole su cui si regge? Eco sosteneva che, di fronte a una eventualità del genere, un sistema informatico avrebbe reagito in modo probabilmente traumatico, mentre un pensatore medievale come San Tommaso avrebbe avuto maggiori capacità di recupero, come escogitare il ricorso a qualche autorità del passato capace di giustificare una eventuale ristrutturazione del sistema, o fornire, con una citazione appropriata, una copertura per l’eventuale contraddizione. Niente male, per «un tipo piuttosto lungimirante».


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