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venerdì 28 febbraio 2025

I preti di strada




Notizie



Di Stefano Fontana, 28 Feb 2025

Ci sono state e ci sono tuttora molte storie di sacerdoti che hanno deciso di operare direttamente a contatto con i problemi sociali, impegnandosi su posizioni di frontiera in modo operativo, collocandosi dentro le vicende concrete della vita sociale. C’erano stati i “preti operai”, poi si è parlato di “preti di strada” e più di recente di “preti delle periferie”. Gli interessati hanno spesso rifiutato queste formule, ritenute riduttive e fuorvianti, io le uso qui non perché le condivida ma per far capire al lettore di chi e di cosa ci stiamo occupando. 

Tra di loro c’è chi si è impegnato direttamente per la legalità e contro le mafie, chi è operativo nell’aiuto ai senzatetto, chi ha deciso di dedicare la propria vita al sostegno di chi è dipendente dalle droghe. Alcuni nomi sono famosi – Grillo, Ciotti, Mazzi, Albanesi – perché sono saliti alla ribalta della cronaca, altri sono più sconosciuti. 

Di recente si è assistito ad un fatto nuovo: molti vescovi di recente nomina, alcuni diventati poi cardinali, provengono proprio da questo mondo e sembra che la linea di Francesco sia di valorizzare queste esperienze di prima linea legate alle varie forme del movimentismo popolare. Tra di loro ci sono sacerdoti che intendono correttamente questo loro impegno come emanato dalla fede cattolica intesa in senso pieno. Molti altri parlano invece di una Chiesa senza dogmi e sostengono che il cristianesimo sia in fondo una prassi di vicinanza e di trasformazione della società. 

Prima di Francesco questi sacerdoti si contrapponevano al vescovo diocesano, criticavano la Chiesa non solo negli atteggiamenti dei vertici ma anche nella dottrina insegnata. A Trieste, per esempio, un gruppo di una decina di sacerdoti chiamati dai giornali “preti di strada” ha pubblicato per anni una “Lettera di Natale” fortemente critica verso la Chiesa e il suo posizionamento nella società di allora. Durante il pontificato di Francesco, invece, non si nota più nessun contrasto tra questi sacerdoti e il loro vescovo, la cosa è diventata normale perché i vertici ecclesiali stessi hanno fatto propria questa visione del ruolo del sacerdote.

Il ruolo “sociale” del sacerdote


L’impegno sociale dei cattolici dovrebbe essere svolto alla luce della Dottrina sociale della Chiesa. Tutta la Chiesa, nei suoi vari componenti, è impegnata nell’evangelizzazione del sociale, come insegna il paragrafo 79 del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa. Ciò comporta che anche il sacerdote abbia un proprio compito, diverso però da quello del laico. Le esperienze richiamate sopra, invece, non distinguono tra i carismi e vorrebbero mobilitare la Chiesa intera in un’unica prassi di liberazione. 

Dopo il Vaticano II si è diffusa l’idea che non esista nella Chiesa una gerarchia di status e di competenze e che il Battesimo elimini le differenze. Essere laico, sacerdote o religioso sarebbe in fondo lo stesso e avrebbe la stessa dignità. Da qui l’equivoco ricorrente di laici impegnati solo sull’altare e in parrocchia (e non nella società e nella politica) e di sacerdoti impegnati nella società e in politica (e non sull’altare o in parrocchia). 

Come si vede, il variegato fenomeno dei vecchi e nuovi “preti di strada” comporta una visione non propriamente corretta della Chiesa, della sua struttura e della sua stessa missione. Proviamo allora a verificare cosa dica la Dottrina sociale della Chiesa a proposito del ruolo che il sacerdote deve assumere in questo campo.

Il paragrafo 39 del Compendio riassume molto bene i compiti del presbitero nel campo della Dottrina sociale. Dopo aver ricordato che il presbitero collabora ad attuare l’azione pastorale del Vescovo, primo responsabile dell’evangelizzazione del sociale nella sua diocesi, questo paragrafo dice: “Con la programmazione di opportuni itinerari formativi, il presbitero deve far conoscere la dottrina sociale e promuovere nei membri della sua comunità la coscienza del diritto e dovere di essere soggetti attivi di tale dottrina. Tramite le celebrazioni sacramentali, in particolare quelle dell’Eucaristia e della Riconciliazione, il sacerdote aiuta a vivere l’impegno sociale come frutto del Mistero salvifico. Egli deve animare l’azione pastorale in ambito sociale, curando con particolare sollecitudine la formazione e l’accompagnamento spirituale dei fedeli impegnati nella vita sociale e politica. Il presbitero che svolge il servizio pastorale nelle varie aggregazioni ecclesiali, specie in quelle di apostolato sociale, ha il compito di favorirne la crescita con il necessario insegnamento della dottrina sociale”.

Come si vede, da questo testo non emerge nessuna indicazione su un impegno attivo e diretto del sacerdote. Egli ha prima di tutto un compito formativo nel far conoscere ai fedeli i principi della Dottrina sociale, anche e soprattutto se ha l’incarico di animare qualche aggregazione laicale impegnata nello spazio pubblico. Questo impegno non è solo informativo, ma formativo, ossia l’insegnamento della Dottrina sociale deve essere collocato dentro la tradizione della Chiesa e la dottrina della fede. Il suo impegno poi si completa nel seguire i fedeli laici nel loro operato, assistendoli spiritualmente e sul campo. Egli si misura con le questioni concrete non affrontandole direttamente ma agendo da direttore spirituale. 

Queste funzioni non sono tuttavia le principali, perché quella fondamentale sembra essere la celebrazione dei sacramenti, in particolar modo la Santa Messa e la confessione. La confessione era in fondo implicita già nell’indicazione di accompagnare spiritualmente i fedeli laici. La celebrazione dell’Eucarestia emerge quindi con una particolare rilevanza a dire tutta l’importanza del nesso tra impegno sociale di evangelizzazione della Chiesa e la liturgia: lex orandi lex credendi e, possiamo dire, lex operandi.

Il Direttorio di pastorale sociale Evangelizzare il sociale dei vescovi italiani, che è precedente al Compendio (1991), aggiunge a quanto ora visto altri due spunti: “aiutare i genitori e gli educatori ad adempiere la loro vocazione educativa per la formazione sociale e politica”; “Nelle omelie, nelle catechesi, nelle istruzioni, nei ritiri spirituali, non tralascino di richiamare i doveri sociali del cristiano, l’ispirazione e le energie che gli vengono dall’adesione a Cristo e al suo Vangelo e dai sacramenti”.

Senza voler generalizzare, sembra molto evidente che oggi i sacerdoti non hanno molto presente questi loro compiti, mentre c’è tutta una fretta di andare in prima linea per “partecipare” direttamente all’edificazione… di quale società? Senza i presupposti ora visti, i preti di frontiera vanno allo sbaraglio.

Una valutazione teologica

Le esperienze di sacerdoti che concentrano tutto il loro essere sacerdoti in una prassi sociale non avvengono per caso e non sono immotivate. Una nuova teologia le anima e le giustifica.

Già Leone XIII nell’enciclica Testem benevolentiae (1899) lamentava la priorità data alle virtù pratiche rispetto a quelle contemplative, che invece dovrebbero essere privilegiate. Egli faceva notare che in questo modo veniva invertito il rapporto tra la natura e la soprannatura, finendo per sostenere che la prima è più efficace della seconda. La retta dottrina ci dice, invece, che il sacerdote che passa la vita in confessionale realizza con grande efficacia una trasformazione molto concreta della stessa vita sociale. È prima di tutto celebrando sull’altare che il Sacerdote fa un servizio alla società mondana, perché nel sacrificio della croce e della resurrezione si attua la nuova creazione che riguarda l’intera realtà decaduta. Se un sacerdote facesse solo questo, farebbe già moltissimo per il rinnovamento della società. 

La vita di grazia non tocca la natura indirettamente ma direttamente. Essa la invade e la trasforma purificandola e innalzandola. L’attuale passione per la prassi, alla quale anche la pastorale viene assimilata, rovescia questi rapporti e fa di molti sacerdoti dei militanti sociali, col pericolo di finire vittime di ideologie e di prese di posizione limitate e parziali vissute come aventi un valore evangelico assoluto.

Gli sviluppi della teologia contemporanea hanno aggiunto potenti spinte alla tendenza che Leone XIII segnalava con preoccupazione. Da tempo la teologia ha cambiato la propria visione del rapporto tra la Chiesa e il mondo, sostenendo che essa non è nel mondo, ma è mondo. Dio si autocomunica nella storia dell’umanità e la Chiesa non gode di alcun privilegio né può vantare una supremazia sul mondo. 

La grazia è già presente nella natura, lo Spirito è operante nella storia anche al di fuori dei confini ecclesiali, nelle concrete situazioni storiche. Esso chiede alla Chiesa di “uscire”, ossia di farsi mondo e sintonizzarsi su quanto Dio ci sta dicendo attraverso gli eventi del tempo. Di conseguenza il primo modo di essere contemplativi è di essere attivi, l’unico modo di parlare di Dio è parlare dell’uomo, l’unica maniera di essere Chiesa è di scegliere una prassi di laicità, il modo principale di celebrare il Santo Sacrificio è di farlo sull’altare del mondo, che a questo punto ha un valore sacramentale. 

I cosiddetti “segni dei tempi” vengono intesi come gli inviti contenuti nella concreta storia dell’umanità a rileggere il Vangelo, il proprio essere sacerdote, il proprio essere Chiesa, e non il contrario. La logica interna a queste esperienze sociali e politiche dirette dei sacerdoti non è di uscire e testimoniare la rivelazione, ma è di uscire per incontrare la rivelazione nei crocevia della vita.



[La Bussola Mensile, gennaio 2025, pp. 25-27].

(Foto: Wikipedia e Pixabay)


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Manipolazione mentale e psicologica. Dagli insetti nel pane al lavaggio del cervello dei bambini: la grande fabbrica della paura agisce così






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by Aldo Maria Valli, 28 Feb 2025


di Laura Dodsworth

Ogni giorno veniamo sottoposti a nuove dosi di catastrofismo ecologico e manipolazione psicologica.

Se tu trovassi un verme nel pane, che faresti? Ne saresti inorridito. Probabilmente condivideresti foto, sui social ti diresti indignato e restituiresti la pagnotta al negozio in cui l’avevi comprata.

Ora, considerate che la polvere di vermi per la farina è stata appena approvata dall’Unione europea come nuovo ingrediente alimentare e può essere utilizzata legalmente fino a una dose del 4% in prodotti alimentari come pane, biscotti, torte, formaggi, pasta e snack a base di patate.

Ma perché i vermi della farina? Perché il pane? E perché adesso?

I vermi della farina, le larve dei tenebrionidi, vengono presentati come un’alternativa ecologica al bestiame tradizionale, in quanto si ritiene che abbiano un’impronta di carbonio inferiore e richiedano meno risorse per la loro coltivazione.

E poco importa che non vogliamo mangiare insetti striscianti. Nonostante la quasi totale mancanza di domanda, organizzazioni sovranazionali come le Nazioni Unite ed enti come il World Economic Forum, insieme a celebrità e programmi televisivi di cucina, si sono tutti buttati sul carrozzone degli insetti, salutandoli come il futuro del cibo.

Come afferma uno studio del 2022 intitolato “Accettazione da parte dei consumatori del primo nuovo cibo a base di insetti approvato nell’Unione Europea: fattori predittivi del consumo di chips di vermi della farina”, la maggior parte dei consumatori europei “reagisce con disgusto” al cibo a base di insetti. Ma apparentemente è colpa nostra, perché abbiamo “neofobia” (paura del nuovo). Vogliono convincerci che essere maldisposti a mangiare cose che si contorcono tra rifiuti e corpi in putrefazione è da retrogradi.

Come Patrick Fagan e io abbiamo scritto in Free Your Mind, la spinta impressa all’accettazione degli insetti commestibili è un esempio lampante di manipolazione psicologica. Dal momento che non siamo in grado di fare la scelta giusta da soli, dobbiamo essere influenzati, incentivati, ingannati e manipolati furtivamente, così da diventare piccoli servi ragionevoli.

Pane, pasta e snack sono cibi molto apprezzati, comuni e gustosi, e quindi sono il posto ideale per nascondere qualche insetto, o almeno la loro versione in polvere. Come afferma lo studio, “l’inclusione di insetti come ingredienti in cibi familiari e apprezzati come biscotti e patatine può essere un altro passo verso la loro accettazione”.

Considerate i nomi. Gli insetti attualmente offerti come nuovi alimenti tendono ad avere qualche collegamento con la terminologia alimentare: i vermi della farina ci ricordano i pasti e i grilli sono foneticamente simili ai polli. Entrambi sono meno offensivi di alcuni dei loro concorrenti nel mondo degli insetti. I propagandisti non cercano di farci mangiare scarafaggi, ragni o vespe, sebbene tutti e tre siano ugualmente adatti al consumo come i grilli.

I vermi della farina e i grilli non rientrano ancora nel nostro lessico nutrizionale. Quindi triturarli e farci il pane è un modo per camuffarli.

Occorre fare piccoli passi, da insetto, uno alla volta, e sperare che nessuno si accorga del disgustoso stratagemma. Ed è qui che entra in gioco la tecnica del piede nella porta, o meglio della mandibola nella porta. Dobbiamo abituarci gradualmente all’idea di mangiare insetti striscianti attraverso progressi lenti e sottili. Quattro per cento di farina di vermi? Va bene. E da lì all’8%. Poi al 20%. E così via, finché un giorno al supermercato i tuoi biscotti preferiti saranno sostituiti da un sacchetto di patatine di vermi della farina.

Questa è l’idea. Ma non credo che per ora non decollerà. E non sono la sola. I politici italiani al Parlamento europeo si sono apertamente opposti. Uno ha descritto la mossa come “un affronto agli agricoltori e alle tradizioni alimentari dei nostri paesi” e un altro ha chiesto: “L’Ue vuole insetti in tavola? Che se li mangino loro”. Condivido.

Tuttavia i media sono complici della spinta verso gli insetti come alimento. Dai programmi della BBC sui “benefici per la salute” assicurati dal latte di scarafaggio agli chef televisivi che promuovono i grilli da gourmet in programmi popolari come The Great British Bake Off, la narrazione mainstream viene attentamente controllata. Siamo inondati da articoli, comunicati stampa e studi di ricerca sui benefici ambientali del consumo di insetti. Tutto per spingerci a un’accettazione verso la quale abbiamo ancora resistenze. Più siamo esposti all’idea, più è probabile che la accetteremo come un dato di fatto.

Non si tratta solo di farci mangiare insetti oggi. Si tratta di cambiare le abitudini a lungo termine delle generazioni future.

Prendiamo l’esempio dei bambini presi di mira dai “workshop” in Galles, dove vengono istruiti sui benefici ambientali delle “proteine alternative” come quelle, appunto, degli insetti. I bambini, ci viene detto, hanno una mentalità più aperta, quindi, cambiando i loro atteggiamenti in anticipo, possiamo influenzare le scelte alimentari che faranno da adulti. È uno dei principi dell’ingegneria comportamentale, ma non credo che sia questo il motivo per cui mandiamo i nostri figli a scuola.

E così arrivo a un’altra notizia recente sul cosiddetto ambientalismo. La manipolazione dei bambini non si ferma al cibo. Si estende alla narrazione climatica più ampia, mediante la quale le giovani menti vengono incessantemente bombardate da un messaggio terrificante: il pianeta sta morendo ed è loro responsabilità sistemarlo.

Un nuovo sondaggio commissionato da Greenpeace ha rivelato che il 78% dei bambini sotto i dodici anni è “preoccupato” per il cambiamento climatico. Beh, perché non dovrebbero esserlo? I media parlano senza sosta di catastrofi climatiche e l’ambiente è parte integrante del programma scolastico. Extinction Rebellion ha diffuso video inconsapevolmente stupidi, del tipo “Consigli ai giovani mentre affrontano l’annientamento”. Le trame delle soap opera sono volutamente intrecciate con l’eco-panico. Ed ecco il titolo catastrofico di oggi, per gentile concessione di Sky News: “Avviso di pericolo di crollo climatico. Il gennaio più caldo mai registrato sconvolge gli scienziati”.

Notare che questo particolare sondaggio è stato finanziato da Greenpeace, un’organizzazione con un interesse personale nell’alimentare le fiamme dell’ansia climatica.

Come ha dimostrato abilmente sir Humphrey Appleby in Yes, Minister, i sondaggi possono essere concepiti per produrre i risultati desiderati. Quando organizzazioni come Greenpeace commissionano sondaggi incentrati su domande che inducono paura sul futuro del pianeta, bisogna chiedersi quanto sia accurata la rappresentazione delle preoccupazioni dei bambini. Stanno spingendo un programma che gioca sulla paura, l’incertezza e il senso di colpa? È perché vogliono che i bambini crescano credendo di essere direttamente responsabili di una crisi esistenziale che non riescono nemmeno a comprendere appieno? In altre parole, un sondaggio sulla paura cerca di creare paura?

Non è una novità. Nel mio articolo del 2022 Little Climate Foot Soldiers, ho evidenziato come i sondaggi sull’ansia climatica dei bambini siano spesso distorti per amplificare il disagio emotivo nelle giovani generazioni.

Questo ci riporta allo studio Young People’s Voices on Climate Anxiety, Government Betrayal and Moral Injury: A Global Phenomenon. Condotto dal Cast, Centre for Climate Change and Social Transformations, afferma che i giovani sono molto spaventati dal cambiamento climatico, ma è chiaro: agli interpellati sono state proposte solo affermazioni come “il futuro è spaventoso” e “l’umanità è condannata”. Agli intervistati non è stato chiesto di concordare con affermazioni neutre o positive. Se non erano spaventati da un futuro pericoloso all’inizio del sondaggio, probabilmente lo erano alla fine.

Quando spingi i bambini verso uno stato di panico permanente, non sorprende che poi si dicano “preoccupati” per il cambiamento climatico. Questa è una grottesca inversione della relazione adulto-bambino. Il benessere psicologico ed emotivo dei bambini viene sacrificato per servire gli scopi di adulti sfruttatori. Il culto del clima è da psicopatici.

Questa paura creata ad arte viene poi utilizzata per giustificare interventi climatici sempre più radicali, dall’accettazione del declino economico e delle restrizioni al nostro stile di vita fino alle tasse sul carbonio e, appunto, al consumo di insetti.

È come un cane malato che si morde la coda: si crea la paura, si sonda la paura e poi si usa la paura per giustificarne ancora di più.

La guerra a difesa del nostro piatto e la guerra a difesa delle menti dei nostri figli sono la stessa cosa. Dalla polvere di vermi della farina nel pane all’indottrinamento e al terrorismo psicologico verso i bambini, stiamo assistendo a un assalto su vasta scala alle nostre scelte, alla nostra cultura e al nostro futuro.

Non è solo una questione di cosa c’è nel menù, ma anche di chi ordina.



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giovedì 27 febbraio 2025

Da satanista a santo, la parabola di Bartolo Longo



Via libera da papa Francesco: il fondatore del santuario della Madonna di Pompei verso la canonizzazione. La caduta nel satanismo, il ritorno alla fede, la propagazione del Rosario e tante altre opere di carità: la straordinaria parabola di vita del beato Bartolo Longo.


La figura

Ecclesia 


Ermes Dovico, 27-02-2025

Grazie al via libera concesso da papa Francesco, lunedì 24 febbraio, al Dicastero delle Cause dei Santi, la strada verso la canonizzazione del beato Bartolo Longo (1841-1926) è ormai spianata. Come informa il sito dello stesso Dicastero, nell’iter speciale intrapreso per il fondatore del santuario della Madonna di Pompei, si è chiesta la dispensa dal riconoscimento formale del miracolo ordinariamente necessario per la canonizzazione, in ragione della continuità ed espansione del culto tributato al beato, dell’attestazione – in varie parti del mondo – di grazie e favori attribuiti alla sua intercessione e ancora per «la forza trainante del suo esempio». 

Una forza trainante che si spiega con il profondo connubio – tipico dei santi – tra fede e opere di carità che il beato Bartolo Longo incarnò nella sua vita, nonché con la storia della sua straordinaria conversione. La quale è un serio promemoria del combattimento spirituale a cui partecipiamo quaggiù – spesso senza rendercene conto, anche perché immersi in società dimentiche di Dio – e da cui dipende il nostro destino eterno.

Nato il 10 febbraio 1841 a Latiano (provincia di Brindisi), Bartolo era stato educato nella fede cattolica. Ma negli anni degli studi in giurisprudenza a Napoli si era fatto traviare dal forte clima anticlericale e positivista dell’epoca, che era particolarmente diffuso in ambito universitario. Tra i prodotti di questo clima c’era un famoso saggio del filosofo francese Ernest Renan (Vie de Jésus, "Vita di Gesù", pubblicata nel 1863 e tradotta quello stesso anno in italiano), che negava la divinità di Gesù e ogni suo miracolo. Anche Bartolo lesse quell’opera, che contribuì, insieme alle lezioni universitarie di alcuni docenti apertamente ostili al cattolicesimo, ad allontanarlo dalla fede. Per circa cinque anni si fece coinvolgere in pratiche e incontri legati allo spiritismo e a un certo punto, per un anno e mezzo, fu addirittura “sacerdote” satanista.

Caduto in quell’abisso di peccato, interiormente devastato, Bartolo ebbe la forza di confidarsi con un suo devoto compaesano, il professor Vincenzo Pepe, che non solo lo ammonì fraternamente ma lo indirizzò a mettersi sotto la guida spirituale di padre Alberto Maria Radente (1817-1885), un domenicano. E da qui, provvidenzialmente, iniziò la rinascita spirituale di un uomo che è divenuto uno dei più grandi apostoli del Rosario nella storia della Chiesa, autore di libri e pratiche devozionali (dalla Novena alla Supplica alla Madonna di Pompei), fautore della moderna Pompei, sviluppatasi attorno al santuario da lui fondato, con opere sociali a favore di bambini, poveri ed emarginati che testimoniano la forza dirompente di ciò che significa mettersi alla sequela di Gesù e confidare nell’aiuto materno di Maria.

La rinascita e la scoperta della sua vocazione, da cui scaturirono le opere sopra accennate, chiaramente non avvennero dall’oggi al domani. Prima, furono necessari altri fondamentali incontri con anime che lavoravano per il regno di Dio. Grazie alla frequentazione dei circoli di spiritualità animati dalla napoletana santa Caterina Volpicelli (1839-1894), grande propagatrice del culto al Sacro Cuore, Bartolo conobbe la contessa Marianna Farnararo De Fusco (1836-1924), che era rimasta vedova ad appena 27 anni, con cinque figli da crescere. Dopo aver conosciuto le qualità umane del futuro santo, la contessa gli affidò tra l’altro l’amministrazione delle sue proprietà a Valle di Pompei.

E fu in quelle terre, un giorno d’ottobre del 1872, che avvenne la svolta definitiva nella vita di Bartolo. Era da anni che aveva abbandonato il satanismo, ma il suo animo era ancora tormentato dai suoi trascorsi, fino a spingerlo a volte quasi alla disperazione. Quando a un tratto, poco prima che le campane suonassero l’Angelus del mezzogiorno, quelle tenebre furono squarciate, come racconterà, diversi anni più tardi, lui stesso: «Una voce amica pareva mi sussurrasse all’orecchio quelle parole che io stesso avevo letto e che di frequente ripetevami il santo amico [padre Radente, ndr] dell’anima mia, ora defunto: Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!». In quello stesso frangente Bartolo s’impegnò a propagare il Rosario e subito avvertì una grande pace interiore.



Da allora, aveva 31 anni, fu un crescendo di apostolato che ha trasformato, in meglio, il volto di Pompei e ne ha fatto un centro di irradiazione dell’amore di Gesù e Maria. Bartolo iniziò insegnando il catechismo ai contadini, colmandone le gravi lacune religiose. Poi, su invito del vescovo di Nola, diede avvio alla costruzione di una chiesa dedicata alla Madonna del Rosario, la cui prima pietra fu posta nel 1876, l’8 maggio, che perciò è divenuto giorno di festa solenne. L’edificazione di quello che oggi è il pontificio santuario di Pompei fu possibile grazie a offerte provenienti da ogni parte del mondo. E il restauro di un’immagine della Beata Vergine del Rosario – tramite di miracoli fin dalla prima esposizione al culto pubblico, il 13 febbraio 1876 (vedi la guarigione improvvisa della dodicenne Clorinda Lucarelli) – ha contribuito ad alimentare la devozione.

Questo risveglio di fede, qui solo accennato, si è accompagnato a una grande attenzione al prossimo. Di qui la fondazione nel corso degli anni, dal 1886 in poi, di asili, oratori per il catechismo, case operaie e, ancora, un orfanotrofio femminile, due ospizi, uno per i figli e l’altro per le figlie dei carcerati. Ospizi nati dopo che gli stessi detenuti si erano rivolti al beato perché si prendesse cura della loro prole. Una sfida educativa praticamente impossibile per la scienza positivista dell’epoca, legata alle idee di Lombroso, per cui i figli di criminali avevano il destino segnato. Non così per il cattolicesimo. «Io non li guardo in faccia né sul cranio. Solamente mi accerto se sono reietti e innocenti abbandonati; li stringo al cuore e comincio a educarli», diceva il beato. Che non solo educava quei figli a vivere rettamente, ma anche ad essere strumento di salvezza eterna per i loro genitori.

All’origine di tanta carità c’era la fedeltà a quella promessa fatta a Maria Santissima, che invocava anche con il titolo di Corredentrice. La promessa di diffondere il suo Rosario, «torre di salvezza negli assalti dell’inferno», come recita il testo della famosa Supplica che lo stesso Bartolo Longo compose.



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Il Cardinale Müller a Napoli: «Ingiusto sopprimere le messe in latino»




Conferenza del Card. Gerhard Ludwig Müller dedicata al tema del ritorno della Tradizione.
QUI l'intervista a Roma, da leggere tutta.






27 febbraio 2025

AGI card. Muller, non giusto sopprimere messa con rito antico: Napoli, 23 feb. 

"Sulla celebrazione della Messa in latino da parte dei Vescovi occorre maggiore liberalita'. Non si tratta di sopprimere i sacramenti, ma di aprirli alla gente". 

Cosi' il cardinale Gerhard Muller, parlando con l'AGI a Napoli, dove ha tenuto una affollata conferenza in un albergo del centro sul tema 'Nessuna novita' e' possibile senza la Tradizione' su invito dei gruppi di fedeli che partecipano alla Messa in rito antico. 

"Ricevere i sacramenti e celebrarli - ha aggiunto l'ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede - è più importante che unificare i riti della Chiesa, che sono più di 20. I fedeli del rito antico non esprimono una distanza o una separazione dalla Chiesa, e vescovi e sacerdoti debbono concentrarsi sul fatto che la gente venga in chiesa piuttosto che su un'unica forma del rito latino, quella ordinaria. Papa Benedetto XVI aveva trovato una ottima soluzione, parlando di una forma 'extraordinaria' del rito romano". "Non è giusto per un pastore sopprimere la Messa in rito antico perchè ci si vuole presentare come esecutori di un ordine che viene dall' alto. L'obbedienza e la disciplina hanno per scopo la purezza della chiesa, non l'uniformità. La chiesa non è una caserma con obbedienza militare, ha una dimensione spirituale. L'unificazione dei riti non favorisce la vita religiosa e sopprimere un'attività religiosa non è nello spirito cattolico", conclude Muller. 

Nella Diocesi di Napoli dal maggio scorso sono state soppresse, con un decreto dell' arcivescovo Domenico Battaglia, quasi tutte le Messe celebrate in latino con il rito antico, che erano frequentate da centinaia di fedeli. (AGI)

InfoVaticana - Redazione: Cardinale Muller: “Che Dio conceda alla Chiesa buoni pastori secondo il Cuore di Gesù: «... In questo momento non si tratta di giochi di potere, raccomandazioni personali e gare tra candidati, ma di riflettere sull'essenza del ministero di Pietro che Cristo ha dato alla sua Chiesa. (...) L'unità della Chiesa risiede nella verità rivelata e non deve essere danneggiata in una guerra di trincea politico-ideologica (conservatori/progressisti). Paolo scrive ai Corinzi: «Mi è stato riferito che tra voi ci sono lotte e discordie: voglio dire che ognuno di voi dice una cosa diversa: io sono di Paolo; io di Apollo; io di Cefa/Pietro; io di Cristo: è forse diviso Cristo?». (1 Cor 1, 11s). Quindi non incrociamo le dita per uno dei nostri candidati preferiti (come in una competizione per un premio effimero) e non facciamo politica personale basandoci sugli oroscopi di giornalisti e politici completamente estranei alla Chiesa che non vedono nel Vaticano altro che un fattore di potere nella scena politica mondiale. (...) Ed è importante riflettere non in termini di potere umano, ma spirituale e teologico sul ministero pastorale universale che Gesù ha affidato a San Pietro e ai suoi successori nella sua cattedra romana”.




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mercoledì 26 febbraio 2025

La strategia della Luca Coscioni otterrà l’omicidio di Stato?


FONTE IMMAGINE: La Repubblica - Bari (https://bari.repubblica.it/)




CR 1887



di Fabio Fuiano, 26 Febbraio 2025 

Il 10 febbraio scorso, in seguito all’approvazione della legge regionale toscana, si è instaurato un imponente dibattito sul tema del “suicidio assistito”. L’Associazione Luca Coscioni, capofila nella battaglia per la liberalizzazione di questo crimine, sta adottando una strategia molto efficace: in seguito alla legalizzazione dell’eutanasia passiva (i.e., omissione di trattamenti di sostegno vitale) con la promulgazione della legge 219/2017 sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) i fautori della “buona morte” sapevano di non poter ottenere a breve termine anche una legislazione nazionale mirante alla legalizzazione dell’eutanasia attiva (i.e., condotta volta direttamente alla soppressione del paziente, tramite somministrazione di un farmaco letale) e del suicidio assistito. Di conseguenza, per obbligare il Parlamento a procedere in tal senso, si è deciso di instaurare una situazione di liberalizzazione se non de iure, quantomeno de facto di eutanasia e suicidio assistito. Ciò mediante due principali linee operative.

Disobbedienza civile sull’istigazione al suicidio


I radicali hanno saputo sfruttare a proprio vantaggio singoli casi pietosi di persone con situazioni gravemente compromesse, agevolando il loro proposito suicidario e costituendosi poi alle autorità competenti per creare “il caso”, rilanciato dai media. Il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, si è speso in prima persona nell’accompagnare in una clinica svizzera Fabiano Antoniani, alias Dj Fabo, morto il 27 febbraio 2017, facendosi in seguito processare per il reato di istigazione al suicidio e dando massima risonanza mediatica al fatto. Tutto ciò ha portato, nel 2019, alla gravissima sentenza n. 242 della Corte costituzionale che ha sancito, in base alla stessa legge 219, la parziale illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice Penale escludendo così la punibilità di coloro che agevolano «l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente» (tondi nostri). Questo ha permesso a diverse persone di ottenere, dalla propria ASL di appartenenza, l’autorizzazione al suicidio assistito.

La proposta regionale di iniziativa popolare “Liberi subito”


Nel frattempo, cavalcando l’onda di tale sentenza e dei diversi casi, opportunamente pubblicizzati, di persone che hanno ricorso al suicidio assistito, l’associazione si è alacremente adoperata per raccogliere firme su tutto il territorio per ottenere l’approvazione di singole leggi regionali per il suicidio assistito. La proposta di legge, denominata “Liberi subito”, è stata già depositata in 18 regioni e approvata dalla giunta regionale toscana. Attualmente, si trova in discussione anche in altre regioni, in stadi più o meno avanzati (qui l’Associazione Coscioni riporta lo “Stato avanzamento lavori”). Lo scopo è chiaro: fare pressioni sul Governo circondandolo di “casi” a mo’ di città assediata da un esercito.

Tale strategia, ha già ottenuto i suoi tristi effetti spingendo allo scoperto ben due ministri in carica. Dapprima, il Ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, il quale ha pubblicato il 14 febbraio scorso un post sui propri canali social chiedendo: «Sarebbe giusto, secondo te, che il Parlamento approvasse una legge sul “fine vita”, per stabilire criteri, modi e tempi per permettere ai malati terminali di decidere, in piena coscienza, di porre fine alla propria esistenza?». Al di là del risultato, scontato, di una semplice domanda, bisognerebbe chiedersi se una maggioranza, fosse anche assoluta, abbia il potere di sancire che è legittimo uccidere e uccidersi.

A seguire, il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, preoccupato per le “fughe in avanti” delle regioni, si è pronunciato il 21 febbraio scorso a favore di una “sintesi”, di hegeliana memoria: «si tratta di un argomento complesso, ma al di là delle diverse sensibilità politiche credo sia importante trovare una sintesi, i tempi sono giusti e maturi per una legge buona per tutti». I tempi sembrano sempre maturi per trasgredire la legge morale ma mai abbastanza per rendersi conto delle mostruose conseguenze che questo comporta.

La soluzione non sta in una inverosimile “impugnazione” dei progetti di legge da parte del governo. Piuttosto, contrastare le leggi ingiuste significa respingere le idee erronee su cui si fondano. Come ben spiegato dal prof. Mario Palmaro (1968-2014) nella rivista trimestrale Quaderni di San Raffaele (n. 1, febbraio 2009), «il fondamento dell’eutanasia legale è sempre un giudizio sulla qualità della vita della persona che soffre. E questo è il punto debole principale di ogni tentazione eutanasica: alla fine, i liberali ultra-tolleranti e il nazismo sadico e totalitario vanno a braccetto intorno a un giudizio di valore: la vita dell’uomo vale soltanto a certe condizioni» (p. 37). Il dibattito sull’eutanasia è viziato da una domanda sbagliata: «la questione non è: è meglio stare bene o stare male? Essere sani o precipitare nel coma? Perché è ovvio che, messe le cose in questi termini, chiunque risponderà: molto meglio vivere nella pienezza delle proprie facoltà e funzioni. Ci mancherebbe. La vera domanda è un’altra. Che cosa è lecito fare all’uomo di fronte a una malattia grave, a una menomazione, a un handicap, e a qualsiasi situazione di grave compromissione della salute? Si può uccidere per pietà? Questa è la domanda giusta» (p. 32).

Oggi, l’intero dibattito sul tema sembra fondarsi proprio sul mito dell’autodeterminazione. Eppure, normalmente, l’istanza eutanasica prevede la presenza di un “comitato etico” che decida se il paziente versi o meno nelle condizioni per ottenere il suicidio assistito. Ma questo, sottolineava con perspicacia Palmaro, va proprio a discapito di quel famoso principio del consenso o dell’autodeterminazione del paziente, facendo sì che prevalgano ben altri argomenti. Fino ad arrivare al cosiddetto “pendio scivoloso” «che viene imboccato ogni volta che si supera il confine di un principio etico assoluto». Infatti,tra uccidere e non uccidere «c’è una linea di demarcazione molto netta. Ma una volta che si legalizza l’omicidio per motivi pietosi, anche se con molte limitazioni e condizioni, il “Rubicone morale” è stato superato una volta per tutte, e nulla può più frenare una sciagurata caduta verso il basso, che è nella natura delle cose».

In realtà, «saremo in ogni caso vittime dell’arbitrio. A definire i parametri meritevoli di vita, e meritevoli di morte, potrà essere chiamata una commissione di medici; un comitato etico; un collegio di giudici; o chi volete voi. Ma in ogni caso saranno parametri stabiliti da uomini a danno di altri uomini […]. Se il fondamento della dolce morte fosse davvero il principio di autonomia, un giovane sano che chiedesse la buona morte, per ciò stesso, dovrebbe essere accontentato. Il nostro diverso giudizio sul malato terminale e sul giovane sano dipende da un paradigma implicito: quello della “qualità della vita” […] (pp. 36-38).

Non è vero che “resteranno liberi quelli che non vogliono l’eutanasia”, «perché per il solo fatto di renderla possibile, si trasforma automaticamente in una scelta problematica quella del vivere, del continuare a lottare contro una malattia, del curare con impegno […]. Di più, con l’eutanasia per legge si provoca anche un effetto disincentivante sull’attività medica: si introduce una cultura che preferisce la rimozione dei problemi, invece che lo sforzo della loro risoluzione».

Confidiamo che tali considerazioni costituiscano utile spunto di riflessione per l’on. Schillaci il quale, ancor prima che ministro, è un esperto medico.





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La “prova finale” della Chiesa


L’Anticristo – duomo di Orvieto

Di seguito l’articolo scritto dal vescovo Donald J. Hying, pubblicato su What We Need Now, nella traduzione curata da Sabino Paciolla, 26 Febbraio 2025.





+Donald J. Hying*, vescovo

Un paragrafo intrigante del Catechismo della Chiesa cattolica, su cui ho spesso riflettuto, è il numero 675:

La prova finale della Chiesa. Prima della seconda venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà “il mistero dell’iniquità” sotto forma di un inganno religioso che offre agli uomini un’apparente soluzione ai loro problemi al prezzo dell’apostasia dalla verità. L’inganno religioso supremo è quello dell’Anticristo, uno pseudo-messianismo con cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne.

Pochissime persone peccano perché vogliono rendersi infelici e mettere in pericolo la salvezza della propria anima.

Il male di solito ci viene incontro, travestito da angelo di luce, promettendoci felicità e appagamento se ci abbandoniamo alle tentazioni dei sette peccati capitali, siano essi orgoglio, avarizia, ira, lussuria, accidia, invidia o gola.

Una volta caduti nel tradimento del peccato, esso ci strappa la sua maschera ingannevole e rivela sia la sua bruttezza morale sia la sua radicale incapacità di mantenere le sue false promesse di gioia, facendoci vergognare per le nostre scelte peccaminose. O, peggio, ci convince che abbiamo bisogno di un po’ più di quel peccato per essere soddisfatti, creando un percorso di dipendenza o di vera e propria assuefazione.
A causa della fondamentale schiavitù dell’umanità nei confronti del peccato e della sua tragica conseguenza della morte, Gesù Cristo è venuto a salvarci e a ripristinare la nostra identità originaria di figli del Padre, liberati e perdonati, attraverso il potere della sua morte e risurrezione.

Perdono e redenzione

In quanto “sacramento” essenziale della presenza e della missione di Cristo nel mondo fino alla fine dei tempi, la Chiesa cattolica insegna la rivelazione divina che ci è stata data attraverso le Scritture e la Tradizione e offre la misericordiosa riconciliazione conquistata per noi in Cristo, affinché possiamo essere liberati dalla morsa del peccato e della morte.

In altre parole, la Chiesa ci condanna per il nostro peccato, mettendoci in contatto con il nostro profondo bisogno di Cristo e della sua salvezza, e poi offre l’unica soluzione alla nostra condizione di smarrimento e rottura: Il perdono e la redenzione nel Signore attraverso la fede e la grazia dei Sacramenti.

In un mondo in cui siamo sempre più sommersi da informazioni contrastanti, la Chiesa ci offre la verità data da Dio. Mentre diventiamo sempre più polarizzati, la Chiesa ci ricorda che siamo fratelli e sorelle nella famiglia umana e ci invita a un’unità ancora più profonda diventando figli e figlie adottivi nella famiglia di Dio attraverso il Battesimo. Quando immancabilmente cadiamo in basso e scegliamo il peccato al posto del bene, la Chiesa estende la misericordia e la guarigione di Dio con il perdono attraverso la Riconciliazione. E poiché siamo troppo deboli per combattere la battaglia spirituale da soli e abbiamo bisogno di essere rafforzati e trasformati da Colui che è più grande di noi, la Chiesa ci nutre con il Corpo e il Sangue di Cristo.

La crisi attuale

Nonostante questi incredibili doni, rimaniamo affetti dal peccato originale: oscurati nell’intelletto, per cui è più difficile individuare il bene e indeboliti nella volontà, per cui è più difficile sceglierlo. Anche se siamo ancora “molto buoni” e fatti a immagine e somiglianza di Dio1, sentiamo un’attrazione verso il peccato. Un cattivo frutto della nostra inclinazione alla ribellione contro Dio e la sua verità, che in Occidente si è sviluppata per molto tempo ma che ora sta raggiungendo il culmine sulla scia della rivoluzione sessuale, è la negazione fondamentale degli assoluti morali e della legge naturale. Forse non stiamo vivendo la persecuzione descritta nel riferimento al Catechismo, ma certamente viviamo in un’epoca in cui “l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio”.

Molte voci influenti nella nostra società mettono in dubbio la realtà della natura umana, la sacralità della vita nel grembo materno, il significato e lo scopo della sessualità, la definizione del matrimonio e persino l’identità dell’uomo e della donna. I cattolici che esprimono opinioni contrarie all’insegnamento della Chiesa sono troppo comuni.

All’inizio dello scorso anno, Dan Hitchens ha scritto con acume che il cattolicesimo si trova di fronte alla sua terza grande crisi.2 La prima, affrontata dai concili ecumenici nel corso di molti secoli, era una crisi teologica: Chi è Dio? La seconda, dal Grande Scisma alla Riforma protestante, era ecclesiale: che cos’è la Chiesa? E la terza, che imperversa dal secolo scorso, è antropologica: che cos’è l’uomo? Quest’ultima domanda sta devastando la Chiesa e la cultura. Chi è esattamente l’uomo? Ha una natura fissa, donata da Dio, o è completamente autonomo, decide da solo cosa è? Esiste una legge morale universale alla quale si sottomette e fiorisce o si ribella e si danneggia, oppure decide da solo il bene e il male? Fa parte di una comunità attraverso la quale si sacrifica e trae beneficio nel suo cammino per diventare la persona che Dio ha creato per lui, oppure i legami e gli obblighi comunitari sono cose da scacciare e da evitare, in modo da poter creare un’identità per se stesso con il minor numero possibile di vincoli?

La lotta con queste domande, già fissate in precedenza, ha provocato una crisi di identità e di senso comune. Siamo arrivati a un punto di tale confusione intellettuale e morale che miriadi di persone intelligenti e istruite negano i fatti fondamentali della nostra biologia e della nostra umanità, ma, come ci ricorda G.K. Chesterton, affermare che il cielo è verde non lo rende tale.

Riaffermare la verità

Questo desiderio di ridefinire la realtà morale ha trovato voce all’interno della Chiesa stessa, in quanto alcuni individui, certamente teologi, ma anche alcuni vescovi e sacerdoti, sostengono cambiamenti fondamentali nell’insegnamento cattolico per quanto riguarda l’accettazione della contraccezione, l’attività omosessuale, il transgenderismo, compresi i bloccanti della pubertà e la chirurgia per i minori, e l’eutanasia.

Sebbene non stia suggerendo che siamo nel “processo finale” o che la fine del mondo sia vicina (anche se questa rimane sempre una possibilità), questa dinamica attuale di cercare di ridefinire l’insegnamento della Chiesa potrebbe essere parte di ciò a cui il Catechismo fa riferimento nel paragrafo n.675: L’ingannevole tentazione di risolvere i problemi dell’uomo negando la Verità che la Chiesa ha sempre insegnato, e di ridefinire il peccato, al fine di affermare semplicemente le persone nelle loro scelte morali?

In questo tempo confuso, in cui tutto sembra criticato, ridefinito e messo in discussione, è di vitale importanza riaffermare le realtà eterne e immutabili della Verità.

Dio, le Scritture, i bellissimi insegnamenti della nostra Fede, il dono inestimabile della natura umana, l’identità e la missione della Chiesa non cambiano.

Possiamo cambiare, speriamo in bene, man mano che cresciamo nella comprensione di questi doni senza tempo che Dio ci ha rivelato, ma non abbiamo il potere di ridefinire o adattare ciò che il Signore ci ha dato solo per conformarci alle mode culturali del momento.

Non c’è modo più veloce o più facile di rendere la Chiesa impotente e irrilevante che seguire lo Zeitgeist culturale.

Piuttosto, dobbiamo stare coraggiosamente e amorevolmente nella luce radiosa del Signore, insegnando la Verità che ci è stata data come garanzia duratura della libertà e della dignità umana e accompagnando con compassione coloro che lottano e persino non riescono ad accettare e a vivere alcuni aspetti di quella Verità.

Siamo tutti peccatori. Nonostante le affermazioni contrarie, si può e si deve essere fedeli e pastorali allo stesso tempo. Possiamo seguire l’esempio di Gesù quando i farisei gli portarono davanti una donna colta in adulterio. I maestri religiosi del tempo stavano cercando di intrappolare Gesù: Egli poteva sostenere la legge mosaica e dichiarare la donna meritevole di morte (e apparire come un ribelle, poiché per legge solo il governo romano si arrogava il diritto alla pena capitale), oppure poteva equivocare (e apparire come un ebreo tiepido, che rifuggiva la legge mosaica). Invece, Gesù scelse una terza e migliore opzione: giudicare l’azione (“Va’ per la tua strada e d’ora in poi non peccare più”) ma non condannare la persona (“Neppure io ti condanno” [Gv 8,11]). Oggi ci troviamo spesso di fronte a due scelte: essere fedeli all’insegnamento della Chiesa e condannare la persona, oppure essere pastorali e ammorbidire l’insegnamento della Chiesa nel tentativo di mostrarle compassione. Dobbiamo seguire la terza e migliore via di Gesù: amare la persona condividendo la verità; essere misericordiosi e compassionevoli, pur sostenendo ciò che è veramente buono per lui o lei.

Possiamo danneggiare profondamente un fratello o una sorella non offrendogli la pienezza dell’insegnamento della Chiesa, così come possiamo danneggiarli non amandoli e non camminando con loro nella loro sofferenza, nel loro dolore e nella loro lotta. Ognuno di noi propende per uno di questi approcci piuttosto che per l’altro. Qualunque sia la nostra particolare preferenza, dobbiamo lavorare per estrarre ciò che è buono e vero in entrambi gli approcci e lasciare indietro ciò che è fuorviante, seguendo la terza via di Gesù.

Questa fusione di verità e carità è il segno distintivo dell’identità e della missione di Gesù, e deve esserlo anche per noi. Ora dobbiamo assumere questa identità missionaria, viverla con l’approccio olistico di Gesù e offrire a un mondo che soffre la grazia, il perdono, la speranza e l’amore che si trovano nella Chiesa.





*Donald J. Hying è il vescovo di Madison. Attualmente è membro del Comitato pro-vita della USCCB ed è autore di Love Never Fails. Questo saggio è rivisto e adattato da una rubrica originariamente apparsa sul Catholic Herald della diocesi di Madison il 26 luglio 2023.



Note:
1 See Gn 1:31 and Gn 1:26–27.
2 https://www.spectator.co.uk/article/the-lost-shepherds-can-justin-welby-and-pope-francis-keep-their-flocks/
 


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Un altro ordine tradizionale cacciato da una diocesi. La colpa? Troppe vocazioni







di Francesco Balducci, 25 Feb 2025

Non si arresta la persecuzione nei confronti delle realtà che celebrano la Santa Messa in rito antico. E, nello specifico, nei confronti delle famiglie religiose che sono nate sulle ceneri dei Francescani dell’Immacolata, indeboliti e colpiti da un commissariamento ideologico e violento durato dieci anni. Una di queste realtà è la Famiglia di Maria Immacolata e San Francesco, conosciuta come Marian Franciscans, fondata da padre Serafino Maria Lanzetta in Inghilterra e riconosciuta nella diocesi di Portsmouth, nel Sud del Regno Unito, retta dal bravo vescovo monsignor Philip Egan. Una famiglia ricca di vocazioni, devota all’Immacolata secondo il carisma mariano-francescano di san Massimiliano Kolbe. Alcuni anni fa erano stati chiamati ad aprire un secondo convento, in Scozia, dal vescovo della Diocesi di Dunkeld, monsignor Stephen Robson. Quest’ultimo si è dovuto ritirare per motivi di salute, e il suo successore, Andrew McKenzie, a soli dieci mesi dall’insediamento, ha ordinato ai Marian Franciscans di lasciare il convento.

“Ave Maria! Cari Amici, non è una buona notizia da condividere” si leggeva ieri, 24 febbraio, sulla pagina Facebook del convento. “Ci è stato detto di lasciare la diocesi di Dunkeld. Molto presto cinquanta persone (contando frati e sorelle residenti) saranno senzatetto. Trovare un altro alloggio per entrambe le comunità non è facile. Per favore pregate per noi e aiutateci”.

Che cos’hanno fatto di così grave i figli di san Massimiliano Kolbe e dell’Immacolata? Niente. Sono colpevoli di avere troppe vocazioni, cinquanta tra frati e suore, in una diocesi che conta appena cinquantaquattro sacerdoti divisi in 44 parrocchie. L’altra loro grande colpa è l’opzione preferenziale per la celebrazione della Santa Messa nel rito romano antico. Un peccato gravissimo per monsignor McKenzie, che preferisce privarsi di cinquanta tra sacerdoti, frati e suore, pur di cacciare i francescani tradizionalisti ricchi di vocazioni.

Proprio nelle stesse ore il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede, nel corso di una conferenza organizzata a Napoli dall’associazione Una Voce, affermava: “Lo scopo dell’unità della Chiesa non è raggiungere l’uniformità. Non siamo una caserma dove si richiede obbedienza militare. Nella Chiesa l’obbedienza va intesa nella dimensione spirituale: come l’obbedienza a Cristo. E i vescovi, i presbiteri devono occuparsi di attirare anime, insegnare e somministrare i sacramenti, non sopprimerli”. Aggiungendo, in un’intervista all’edizione on line del quotidiano partenopeo Il Roma: “Sulla celebrazione della Messa in latino da parte dei vescovi occorre maggiore liberalità. Non si tratta di sopprimere i sacramenti, ma di aprirli alla gente. Nessuna novità è possibile senza la Tradizione. Ricevere i sacramenti e celebrarli, è più importante che unificare i riti della Chiesa, che sono più di venti. L’unificazione dei riti non favorisce la vita religiosa, e sopprimere un’attività religiosa non è nello spirito cattolico”.

Il vescovo di Dunkeld, del resto, in questo suo atteggiamento non fa altro che seguire le indicazioni del papa, che non ha mai fatto mistero della sua radicale avversione per la Messa in rito antico. Nonostante queste celebrazioni attirino decine di migliaia di giovani, e le chiese siano stracolme di ragazzi e famiglie con tanti figli, nonostante il mondo della Tradizione mostri una vitalità sorprendente e non riscontrabile altrove nella Chiesa, il pontefice argentino solo poche settimane fa, nella sua autobiografia, scriveva: “È curioso vedere questo fascino per ciò che non si capisce, per ciò che appare un po’ nascosto, e che a volte sembra interessare anche le giovani generazioni”. E ancora: “Questa rigidità è spesso accompagnata da una sartoria elegante e costosa, da pizzi e merletti, da passamanerie e rocchetti. Non un gusto per la tradizione ma l’ostentazione clericale, che poi non è altro che una versione ecclesiastica dell’individualismo. Non un ritorno al sacro ma all’opposto, alla mondanità settaria”. Addirittura, le persone che vanno alla Messa in latino “a volte nascondono uno squilibrio mentale, una deviazione emotiva, una difficoltà comportamentale, un problema personale che può essere sfruttato” e “sono degli indietristi”, ha scritto il papa-della-misericordia.

Mentre chiese, conventi e seminari chiudono per mancanza di fedeli e di vocazioni, nel mondo della Tradizione succede il contrario: ogni anno nascono nuove chiese (spesso acquistate dalle diocesi o da ordini religiosi, nei Paesi nordici e in Usa anche dalle varie chiese protestanti), aprono scuole, conventi, noviziati e seminari. I più grandi pellegrinaggi europei sono ormai quelli organizzati dalle realtà tradizionaliste (Parigi-Chartres, Covadonga in Spagna, Walsingham in Inghilterra, ne è nato uno anche in Svezia), contano decine di migliaia di partecipanti. Nonostante la persecuzione bergogliana e della Curia romana, in una Chiesa fragile e afflitta da dubbi e pensiero debole, l’unica realtà davvero viva e salda è quella della Tradizione. Che piaccia o no a Bergoglio e a monsignor McKenzie.



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martedì 25 febbraio 2025

Nuove tecnologie e controllo biopolitico: tra realtà e distopia




Una lettura apocalittica della distopia. Dai chip sottopelle al controllo dell’io. 


(Di Dalla Rete, 25 Feb 2025)


Di Alessio Canini

Dinanzi ai grandi mutamenti in corso, qualsiasi prospettiva futura non può che oscillare tra la distopia orwelliana e quella huxleyana. Che l’umanità, infatti, si sia instradata verso un pericoloso controllo biopolitico sembra essere incontrovertibile, specie nel caso in cui si pensi allo sviluppo forsennato dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie di acquisizione, memorizzazione e analisi dei big data, nonché di forme di elaborazione, controllo e incrocio di dati consentite dai nuovi sistemi informatici (Internet of Things, ad esempio).

Sono state già formulate diverse ipotesi in merito a quali forme potrebbero essere adottate in futuro per esercitare il controllo biopolitico. Una di queste è l’applicazione di microchip sottopelle che potrebbero espletare diverse funzioni sull’individuo a cui è impiantato, come ad esempio il controllo dei parametri vitali (battito cardiaco, pressione sanguigna, valori metabolici, ecc.), finanche il controllo del sistema nervoso (consentendo o impedendo determinati impulsi motori, o linguistici) e, impossibile escluderlo, del pensiero.

Tale scenario ipotetico non è l’unico ad integrare in modo inquietante realtà e distopia. Basti pensare, ad esempio, al concetto di sistema di credito sociale, che dà vita ad una sorta di punteggio di cittadinanza, in cui ogni individuo è sapientemente monitorato in ogni circostanza della vita (pubblica, e se possibile anche privata) e in cui le sue azioni e i suoi stati fisici impattano positivamente o negativamente sul suo punteggio sociale, la cui conseguenza immediata è maggiori libertà o maggiori restrizioni, a seconda del punteggio sociale ottenuto in quel momento.

Il dramma, oggi, è la sempre più evanescente distinzione tra realtà e distopia. Se guardiamo, ad esempio, alla Cina odierna scopriremo come in alcune delle più grandi città cinesi esista già un sistema di credito sociale con il quale i cittadini vengono premiati o puniti a seconda dei loro comportamenti in pubblico, o secondo lo stile di vita adottato o, ancora, secondo l’aderenza o meno ai dettami del governo cinese.

Ancora, che esistano chip sottopelle è ormai assodato: non sono ancora aperti al mercato di massa, ma l’idea è nata anni fa e oggi migliaia di persone hanno installato un chip sottopelle al fine di dimostrare, tramite sperimentazione, che il mondo digitale è preferibile a quello materiale. Di più, Elon Musk lavora ad una tecnologia neurale che possa impiantarsi nel sistema nervoso (Neuralink). La smaterializzazione del mondo e della vita è la chiave di lettura di tale fenomeno, posto a questo stadio embrionale.

Nel pensare al XXI secolo, quindi, è inevitabile pensare al ruolo e alla pervasività che avranno le nuove tecnologie. La riflessione su di esse non è, tuttavia, innocente e si riconnette alla questione più complessa dei modi e delle forme del potere futuro. È, difatti, ingenuo pensare che lo sviluppo e la diffusione tecnologica possano scindersi dal potere, giacché la stessa τέχνη è una declinazione del potere umano, mai neutrale.

Se a ciò aggiungiamo le possibilità di controllo e di influenza delle nuove tecnologie sulla vita dei soggetti, che possono arrivare a cambiarne radicalmente gli aspetti più intimi, coinvolgendo sia il corpo che l’intelletto, tale riflessione appare ancor più urgente e quanto mai necessaria.

Si potrebbe pensare, per un momento, che a modellare la società futura sarà più l’economia che non le tecnologie o il potere politico, ma gli accadimenti dell’ultimo lustro hanno mostrato, in modo assai chiaro, quanto il ruolo del potere politico (e, dunque, di scelte politico-decisionali) sia nevralgico. Ad ogni modo, vi è un esempio apocalittico in cui la realtà economica è totalmente subordinata all’ordine politico-sociale, che si intende ora considerare.

L’aggettivo ‘apocalittico’ non è casuale: è Apocalisse 13:16-18 a descrivere un ‘marchio’ satanico sulla mano e sulla fronte, la cui assenza implica l’esclusione dal mondo economico più basilare, ossia lo scambio economico («e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio»). Tale scenario merita particolare attenzione per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo, è un chiaro esempio di come l’assetto politico-sociale possa subordinare a sé l’ordine economico, creando una barriera all’ingresso al mondo economico, imponendo una certa obbedienza o una certa appartenenza politico-sociale ben riconoscibile.

In secondo luogo, la visione apocalittica fornisce un chiaro esempio di società satanica, ove l’aggettivo satanico è da intendersi in senso etimologico, dunque quale “avversaria”, (in avversione a Dio; meglio, all’ordine divino). Così, dunque, la società satanica è quella società in cui si ha il pieno rovesciamento dell’ordine divino a favore di un ordine in antitesi all’uomo e alla sua salvezza. La società preconizzata in Apocalisse è la società terminale, ovvero senza possibilità di redenzione e di vie di fuga. Una società dove per vivere è necessario essere marchiati, ed ove il marchio esprime il simbolo del potere umano al massimo del suo apice, poiché ora controlla tutto e tutti.

Il potere diviene forma e strumento della corruzione umana, perdendo qualsiasi connotato divino o trascendente. La concezione, in breve, di un potere pienamente umano è, a prima vista, paradossalmente negativa: ma il paradossale svanisce presto allorquando si insista sul carattere finito e ribelle dell’uomo. Quella stessa ribellione che ha implicato la cacciata dall’Eden. Di più, quella ribellione non è solo sorda all’ordine divino (in cui l’uomo trova la sua reale dignità e posizione nel Creato), ma è nei fatti eversiva. È la stessa eversione che ha condotto al regno di Nimrod e alla costruzione della torre di Babele:

«[Nimrod] trasformò gradatamente il governo in una tirannia, non vedendo altro modo per sviare gli uomini dal timor di Dio, se non quello di tenerli costantemente in suo potere. Disse inoltre che intendeva vendicarsi con Dio, se mai avesse avuto in mente di sommergere di nuovo il mondo; perciò, avrebbe costruito una torre così alta che le acque non l’avrebbero potuta raggiungere, e avrebbe vendicato la distruzione dei loro antenati. La folla fu assai pronta a seguire la decisione [di Nimrod], considerando un atto di codardia il sottomettersi a Dio; e si accinsero a costruire la torre…ed essa sorse con una velocità inaspettata» ~ Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, I, 114, 115, ( iv. 2, 3)

Qui la perdita di ogni concezione del limite e del sacro non conduce ad un ripensamento di sé e del potere umano, ma ad un rafforzamento del potere, che mira ora alle forme più sofisticate di controllo e di sottomissione dell’altro. Non è un caso se il potere oggi più che mai punti al corpo:

«Il controllo della società sugli individui non è condotto solo attraverso la coscienza o l’ideologia, ma anche nel corpo e con il corpo. Per la società capitalistica la biopolitica è la cosa più importante, il biologico, il somatico, il corporeo» ~ M. Foucault, La nascita della medicina sociale

Il fine precipuo di tale potere è il controllo totale sull’uomo da parte dell’uomo: un controllo che vuole il corpo come garanzia di dominio dell’anima altrui. Il controllo dei parametri vitali, degli stimoli percepiti, delle emozioni sperimentate e dei desideri mira, dunque, ad un controllo dell’Io nella sua totalità. Lasciare un simile potere libero di poter estendere il suo dominio implica la totale espropriazione del corpo e, di converso, dell’anima (lì dove si è già perso lo spirito, dacché Dio è stato ucciso). È una duplice schiavitù dalle conseguenze nefaste per l’autentica libertà e dignità dell’uomo.

È pur sempre del potere dell’uomo sull’altro ciò che si descrive qui, sebbene sia ora mediato da un mezzo asettico e soltanto in apparenza neutrale come la tecnologia. L’apparente innocenza della tecnologia inganna i più e rovescia il rapporto di schiavitù, (la schiavitù si pone ora dal basso verso l’alto).

Finché tale radice del potere influenzerà la sfera politica, appare superficiale, se non addirittura illusorio, credere di poter riformare il potere a partire dall’economico, dato che l’economico è soggetto al politico al punto da poterne essere succube. L’ordine economico soggiace a regole gerarchicamente maggiori, indi per cui lo stesso sistema economico può modificarsi in un sistema puramente ricattatorio e oppressivo, “braccio disarmato” del potere, ma “affamatore” ove necessario.

Il sistema economico in tale visione non si pone, dunque, come freno o limite al potere totalizzante dei sistemi biopolitici, ma contribuisce, de facto, alla riproduzione dei rapporti di potere esistenti, sempre più ineguali e squilibrati. Ogni possibilità di modifica radicale del sistema politico può essere impedita dal sistema economico, perpetuando così lo status quo. A ciò si aggiunga che una lunga marcia infernale verso il progresso è il fine dei sistemi biopolitici odierni e futuri.

«Quello che a noi viene presentato come un progresso è, in realtà, una marcia verso il nichilismo, un’avanzata verso il nulla, un movimento verso la distruzione» ~ Michel Onfray, Teoria della dittatura.

Il fine del progresso, difatti, non è il progresso dell’uomo, bensì il consolidarsi del potere dominante, che conduce poi alla sottomissione economica. Un’estensione sempre maggiore del potere biopolitico ne incrementa la sua influenza, mentre acquista sempre più centralità l’ordine economico, che espropria forze vitali e tempo agli uomini incatenandoli al sistema di bramosia generalizzato che il mercato istituisce.

Il capitale, nella fase calante postmoderna dell’uomo, coincidente con l’epoca del potere biopolitico, si salda profondamente al nuovo potere dominante che, non avendo più bisogno del concetto di “umano”, vuole superarlo fino a negarlo. Per schiavizzare meglio ciò che di umano ancora resiste, si intende.



(Foto:Torre di Babele, Pieter Bruegel il Vecchio, from Google Art Project., Pubblico dominio)


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lunedì 24 febbraio 2025

Francia scristianizzata: ogni due settimane scompare una chiesa


Rapporto dell'intelligence francese: fra atti di vandalismo, roghi, attentati e profanazioni, le chiese sono perennemente sotto attacco. E dalle vette tolgono le croci, che altrimenti verrebbero vandalizzate. Cristianofobia rampante su tutti i fronti.


CRISTIANOFOBIA

Libertà religiosa 



Lorenza Formicola, 24-02-2025

Meno attacchi anti cristiani, ma più chiese devastate o date a fuoco. È il bilancio che il rapporto dell’intelligence francese ha ultimato all’inizio di febbraio e di cui ha dato notizia Europe 1.

Nel 2024, sono stati registrati quasi 50 tentativi e incendi dolosi contro luoghi di culto cattolici. Trentotto nel 2023, per un aumento di oltre il 30%. Ma l’anno appena trascorso ha scritto anche un capitolo inedito nella storia recente dell’antisemitismo con un 62% di aggressioni in più alla comunità ebraica francese: mai come da ottobre 2023 gli ebrei sono stati il bersaglio di una persecuzione subdola quanto feroce in Francia.

Quel che più stupisce, però, dal rapporto dell’intelligence è la velocità supersonica con cui si diffonde la cristianofobia oltralpe. La strategia è sempre la stessa, la tattica si evolve. O forse è soltanto sempre più ‘fantasiosa’. Da un lato ci sono le chiese in fiamme, dall’altra profanazioni e furti. L’incendio della chiesa dell’Immacolata Concezione di Saint-Omer, Pas-de-Calais, con la guglia, e il resto, inghiottiti dalle fiamme sul modello Notre Dame, per esempio, è solo uno degli ultimi, e più spettacolari, senza nessun colpevole.

La chiesa di Saint-Hilaire-le-Grand di Poitiers, del X secolo e patrimonio dell’UNESCO, dove ad ottobre sono stati appiccati ben due incendi e distrutte tutte le statue, è stata la quinta, in due anni vittima di vandalismo nella sola Poitiers. Tre solo negli ultimi sei mesi: la chiesa di Saint-Porchaire che ha visto l’antica statua del Sacro Cuore di Gesù andata in mille pezzi; la chiesa di Santa Teresa che oggi non ha più statue integre e i banchi sono stati dati alle fiamme; mentre a Saint-Jean de Montierneuf è stato trafugato il tabernacolo.

Dalla Nuova Aquitania all’Île-de-France fino all’Alvernia-Rodano-Alpi e l’Occitania passando per il Grand Est è tutta la Francia interessata dalla ferocia anti cristiana. Le forze anonime che stanno muovendo guerra alla realtà cristiana di Francia non si limitano al rogo delle chiese; il fenomeno è molto più esteso e multidimensionale.

Anche le celebrazioni eucaristiche vengono spesso interrotte. Come nella chiesa di Saint-Germain-en-Laye, per esempio, quando a Natale un uomo è salito sull'altare, e al grido di ‘Allah Akbar’ ha mostrato le natiche ai fedeli. Oppure quando la scorsa Pasqua, è stato invece sventato un attentato pianificato dallo Stato islamico contro un paio di chiese la notte santa. Tutto si fa ancora più preoccupante se si pensa al calendario di funzioni religiose che l’anno giubilare ha previsto con annessi raduni di fedeli.

«Diventa sempre più difficile sostenere che questi attentati, in nome di Allah, non abbiano nulla a che fare con l’islam, come alcuni continuano a ripetere. È infatti il cristianesimo ad essere preso di mira in quanto tale. L'assassinio di padre Hamel, le tre persone massacrate a Nizza colpevoli di essere in una chiesa cattolica, sono solo alcuni esempi più eclatanti. Certamente, i terroristi si sentono protagonisti di un islam non meno autentico di quello degli intellettuali musulmani che vivono in Occidente», raccontava alla Bussola, Rémi Brague, professore emerito di Filosofia araba medievale all’Università Parigi, a proposito di persecuzione ai cristiani. Aggiungendo, «in effetti, è anche molto interessante che quasi nessuno sia solidale con i cristiani quando vengono attaccati».

Pensare che la più grande strage di cristiani targata islam doveva essere in Francia, nel 2015. Il jihadista di Villejuif Sid-Ahmed Ghlam stava progettando di attaccare la stazione ferroviaria di Villepinte (Seine-Saint-Denis) prima che il suo sponsor, un alto funzionario delle operazioni esterne dell’Isis, gli chiedesse di «trovare una buona chiesa piena di gente» da attaccare - aveva abbandonato il suo primo piano, dopo una ricognizione, perché c’erano “troppi musulmani” in quella stazione. Il piano saltò solo perché prima di entrare in chiesa con un kalashnikov - durante la messa della domenica -, il jihadista si sparò su un piede.

Le autorità continuano a trascurare la gravità e la portata del fenomeno. Fra il 2015 ed il 2019 lungo i Pirenei si è verificata anche un’ondata di incursioni, i cui protagonisti mai sono stati identificati, contro le croci installate sulle sommità delle montagne. Parliamo di croci che pesano anche più di 40 chili: per abbatterle gli ignoti arrivavano muniti di smerigliatrici e, divelte, le lanciavano nel vuoto. In quattro anni erano state distrutte e rubate più croci di quante il Consiglio Dipartimentale dei Pirenei orientali fosse in grado di aggiustare e rimpiazzare, e nel settembre del 2019 le autorità hanno deciso di arrendersi, comunicando che sulle vette non sarebbero state installate nuove croci, né riparate: un costo eccessivo anche alla luce di vandalismi in costante aumento. Così, oggi sono sparite tutte le croci che caratterizzavano il panorama lassù.

Quella francese è una Chiesa ferita e ripiegata. Secondo Edouard de Lamaze, presidente dell’Observatoire du patrimoine religieux di Parigi, «una chiesa scompare in Francia ogni due settimane, bruciata, venduta, abbattuta. Due terzi degli incendi sono dolosi: se continuiamo così la nostra eredità sarà completamente distrutta. Perderemo tutto».

L’Osservatorio che dirige ha contato una media di mille attacchi anticristiani tra incendi, distruzioni di statue e furti di ostie all’anno. E, in questa cornice, ha previsto che il 10% del patrimonio religioso verrà distrutto, oppure abbandonato, entro il 2030. Significa che cinquemila chiese rischiano di sparire tra attentati, secolarizzazione e deteriorazione degli edifici figli soprattutto della mancanza di volontà - sia per le gerarchie politiche che religiose - di mantenere in vita un patrimonio che è lo spirito della Francia.

Per Stéphane Bern, l’ex superconsigliere di Macron per la salvaguardia del patrimonio francese, c’è un problema di scristianizzazione della Francia, «le chiese non sono più frequentate, dunque non sono più oggetto di manutenzione». Dei 40.000 edifici religiosi affidati ai comuni francesi, almeno 1.600 sono attualmente chiusi per degrado.

Se si pensa al mondano dibattito che ha interessato Notre-Dame nella sua ricostruzione tra vetrate e nuova guglia, si comprende la portata reale del fenomeno. Durante le chiusure che la Chiesa mondiale s’è auto imposta per il Covid, i sondaggi condotti raccontarono che oltralpe non sortirono chissà quale effetto sulla pratica religiosa: la metà dei francesi neanche se n’era accorta.

Vi è, poi, il capitolo delle profanazioni di matrice politica e religiosa. Nel primo caso si tratta delle sempre più frequenti irruzioni, a scopo vandalico, nei luoghi di culto ad opera di attivisti appartenenti al mondo anarchico e del femminismo; nel secondo caso si tratta di episodi riconducibili a gruppi satanisti allo scopo precipuo di dissacrare. La profanazione della chiesa di Notre-Dame-des-Enfants a Nîmes, nel 2019, per esempio, non può neanche essere raccontata per la sua gravità.

Il dossier dell’intelligence mette in luce anche l’aumento esponenziale dei furti nei luoghi di culto, raddoppiati rispetto all’anno prima.

La consapevolezza di un accerchiamento poliedrico dovrebbe spingere la comunità cattolica ad organizzare una reazione, specie sul piano culturale. e le autorità dovrebbero porsi il problema di investire maggiori risorse per perseguire penalmente gli autori di roghi e profanazioni. Ma, ad oggi, tra l’accidia dei primi e l’indolenza dei secondi si è soltanto nel bel mezzo di un’accelerazione di una scristianizzazione opprimente e violenta.

E pensare che la prima cosa che si fa quando si visita una piccola o grande città è la chiesa.



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Pubblicato da ASSOCIAZIONE MADONNA DELL’UMILTÀ alle 02:08 Nessun commento:

Mio Figlio No. Campagna Nazionale per la Libertà Educativa. Governo, Svegliati! 83% dei Genitori la Vuole.



22 Febbraio 2025 Pubblicato da Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, offriamo alla vostra attenzione questo messaggio ricevuto dagli amici di pro Vita & Famiglia. Buona lettura e condivisione.



di Jacopo Coghe


Ciao Marco,

hanno cercato di convincerti che fossimo in pochi.

Ti hanno fatto credere che la battaglia contro l’ideologia gender nelle scuole dei nostri figli e nipoti fosse solo una nostra fissazione.

Ma ora abbiamo i numeri.

E i numeri dimostrano che la maggioranza degli italiani è con noi!

Mercoledì mattina, all’Hotel Nazionale di Roma, abbiamo presentato i risultati del sondaggio nazionale esclusivo condotto dall’istituto Noto Sondaggi.

I numeri parlano chiaro:



L’83% degli italiani chiede che le famiglie siano informate preventivamente su progetti scolastici che parlano di sessualità e affettività.



Il 76% dice chiaramente che l’educazione su questi temi spetta ai genitori, non alla scuola.

Marco, si tratta di risultati incoraggianti.



Gli italiani non vogliono che i loro figli vengano educati da attivisti e ideologi LGBTQ nelle scuole.

Gli italiani non vogliono che lo Stato imponga ai bambini concetti come fluidità di genere e identità non biologica.

Ma c’è di più. Senti qua:Il 78% degli elettori di Fratelli d’Italia, il 75% della Lega e il 70% di Forza Italia si oppongono fermamente alla propaganda gender nelle scuole.
Il 74% degli elettori di FdI, il 59% della Lega e il 45% di Forza Italia rigettano la carriera alias nelle scuole.

Questo è un dato politico pesantissimo.

Eppure, il Governo e il Ministero dell’Istruzione (in quota Lega) continuano a restare in silenzio.

Il Governo ha il dovere morale e politico di rispondere alla volontà della propria base elettorale, proteggendo la libertà educativa della famiglia e impedendo la diffusione di teorie ideologiche nei programmi scolastici.

Meloni, Salvini, Tajani avevano promesso di vietare l’indottrinamento gender nelle scuole.

Questo Governo ha preso impegni precisi con gli elettori. Ora è tempo di passare dalle parole ai fatti. Non basta dire “no” all’ideologia gender: bisogna contrastarla con atti concreti.

Di fronte a questi dati e all’immobilismo politico, abbiamo lanciato davanti al parlamento la nuova campagna nazionale “MIO FIGLIO NO” per dire basta all’indottrinamento gender nelle scuole!



Questo è solo l’inizio.

Abbiamo presentato una richiesta precisa al Governo per una legge che tuteli la libertà educativa dei genitori e che rispetti i seguenti punti, per noi non negoziabili:Divieto di introdurre nelle scuole iniziative sulla fluidità di genere.

Diritto di consenso informato: i genitori devono approvare ogni programma scolastico su sessualità e affettività.

Diritto di opt-out: le famiglie devono poter esonerare i figli dai corsi gender.

Stop agli attivisti LGBT nelle scuole.

Supervisione ministeriale per bloccare la propaganda gender nei programmi scolastici.

Abolizione della carriera alias nelle scuole.

Ora si passa all’azione.

Ecco le prime mosse della mobilitazione nazionale: Una grande petizione popolare per chiedere una Legge sulla Libertà Educativa delle Famiglie.

Azioni di sensibilizzazione nelle piazze e davanti alle istituzioni.

Incontri pubblici per informare e mobilitare famiglie, docenti e cittadini.

Una campagna di comunicazione massiccia per raggiungere milioni di italiani.

Non c’è più tempo per sperare nelle loro promesse elettorali.

Non c’è più tempo per tollerare la propaganda gender nelle scuole dei nostri figli e nipoti.

Marco, il tempo è scaduto. Vogliamo una legge per la libertà educativa delle famiglie. Ora!

Abbiamo tracciato una linea.

Ora il Governo e il Ministro Valditara devono decidere da che parte stare.

E noi non ci fermeremo finché non otterremo questa legge.

Presto riceverai nuove informazioni sulle prossime azioni.

Tieni alta l’attenzione. Il tempo è scaduto.

In alto i cuori!












*Portavoce di Pro Vita & Famiglia Onlus


Fonte
Pubblicato da ASSOCIAZIONE MADONNA DELL’UMILTÀ alle 01:53 Nessun commento:

domenica 23 febbraio 2025

Domenica di Sexagesima


Noè e il diluvio

Vedi: L'inizio del ciclo pasquale con la Dominica in septuagesima [qui]; e, a seguire, Dominica in quinquagesima [qui]



Domenica di Sexagesima 23 febbraio 2025

Nel corso di questa settimana la santa Chiesa ci presenta la storia di Noè e del diluvio universale.
Nonostante i severi ammonimenti, Dio non era riuscito ad ottenere la fedeltà e la sottomissione dell’umanità e fu costretto ad infliggere un tremendo castigo a questo nuovo nemico. Trovato però un uomo giusto, farà ancora una volta nella sua persona alleanza con noi. Ma prima vuol far conoscere che è Sovrano e Padrone nel momento da lui stabilito; l’uomo che andava così fiero della sua esistenza, s’inabisserà sotto le rovine della sua dimora terrestre.

A base degli insegnamenti della settimana, poniamo innanzi tutto alcuni brani dal libro del Genesi, estratti dall’Ufficio dell’odierno Mattutino. 

Dal libro del Genesi (Gen 6,5-13)

Or Dio vedendo che la malizia degli uomini era grande sopra la terra e che ogni pensiero del loro cuore era di continuo al male, si pentì d’aver fatto l’uomo sulla terra, e, addolorato, nel profondo del cuore disse: “Sterminerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato: uomo e animali, rettili e uccelli del cielo; ché mi pento d’averli fatti”. Ma Noè trovò grazia davanti al Signore.

Questa è la posterità di Noè. Noè fu uomo giusto e perfetto fra i suoi contemporanei, e camminò con Dio, e generò tre figliuoli: Sem, Cam e Iafet. Or la terra era corrotta davanti a Dio e ripiena d’iniquità. Ed avendo Dio veduto che la terra era corrotta (ogni carne infatti seguiva sulla terra la via della corruzione) disse a Noè: “Davanti a me è giunta la fine d’ogni vivente; siccome la terra per opera degli uomini è piena d’iniquità, io li sterminerò con la terra”.

La catastrofe che si scatenò allora sulla specie umana fu ancora una volta frutto del peccato; meno male che però fu trovato almeno un giusto, e per merito suo e della sua famiglia il mondo fu salvo dalla rovina totale.

Degnatosi di rinnovare la sua alleanza, Dio lasciò ripopolare la terra, e i tre figli di Noè divennero i padri delle tre grandi razze umane che la abitano.

È questo il mistero contenuto nell’Ufficiatura della presente settimana. Quella della Messa poi, figurata dalla precedente, è ancor più importante. Moralmente parlando, non è la terra sommersa da un diluvio di vizi e di errori? Allora si deve popolare di uomini timorosi di Dio, come Noè. È la parola di Dio, germe di vita, che fa nascere la nuova generazione e procrea i figli di cui parla il Discepolo prediletto, “i quali non da sangue, né da volere di carne né da voler di uomini, ma da Dio sono nati” (Gv 1,13).

Sforziamoci d’entrare a far parte di questa famiglia, e se già vi apparteniamo, conserviamo gelosamente questa fortuna, perché ora è il tempo di salvarci dai marosi del diluvio e trovare un rifugio nell’arca della salvezza; è il tempo di divenire quella terra buona nella quale la semente fruttifica al cento per uno; e lo saremo, se ci mostreremo avidi della Parola di Dio che illumina le anime e le converte (Sal 18). Preoccupiamoci di fuggire l’ira ventura, affinché non abbiamo a perire insieme ai peccatori.

Messa

La Stazione è in Roma, nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura.

Intorno alla tomba del Dottore delle genti, del propagatore della divina semenza, di colui che per la sua predicazione ha una grande paternità sui popoli, la Chiesa Romana oggi raduna i suoi fedeli, per significare che il Signore ha risparmiato la terra solo a patto che si riempia di veri credenti adoratori del Nome suo.

L’Epistola è tratta da una Lettura del grande Apostolo, nella quale, costretto dai suoi nemici a difendersi per l’onore e il successo del suo ministero, c’insegna a quale prezzo gli uomini apostolici seminarono la divina Parola negli aridi campi del paganesimo, per operarvi la rigenerazione cristiana.

EPISTOLA (2Cor 11,19-33; 12,1-9). 

– Fratelli: Voi, che siete saggi, li sopportate volentieri i pazzi; infatti, se uno vi asservisce, se vi spolpa, se vi ruba, se vi tratta con alterigia, se vi piglia a schiaffi, lo sopportate! Lo dico con vergogna, come chi è stato debole da questo lato; del resto, in qualunque altra cosa uno ardisca vantarsi (parlo da stolto) ardisco anch’io. Son essi Ebrei? Anch’io. Sono Israeliti? Anch’io. Son discendenti di Abramo? Anch’io. Sono ministri di Cristo? (Parlo da stolto) lo son più di loro: più di loro nelle fatiche, più di loro nelle carceri, molto più nelle battiture, e spesso mi son trovato nei pericoli di morte. Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio; ho passato una notte e un giorno nel profondo del mare. Spesso in viaggio, tra i pericoli dei fiumi, pericoli degli assassini, pericoli da parte dei miei connazionali, pericoli dei Gentili, pericoli nelle città, pericoli nel deserto, pericoli in mare, pericoli dai falsi fratelli. Nella fatica, nella miseria, in continue vigilie, nella fame, nella sete, nei frequenti digiuni, nel freddo e nella nudità. Oltre a quello che mi vien dal di fuori, ho anche l’affanno quotidiano, la cura di tutte le Chiese. Chi è debole, senza che io ne soffra? Chi si scandalizza, senza che io ne arda? Se c’è bisogno di gloriarsi, mi glorierò di ciò che è proprio della mia debolezza. Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il quale è benedetto nei secoli, sa ch’io non mentisco. A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto guardie intorno alla città dei Damasceni, per catturarmi, e da una finestra fui calato in una cesta lungo il muro e così scampai dalle sue mani. Se c’è bisogno di gloriarsi (veramente non sarebbe utile!) verrò alle visioni ed alle rivelazioni del Signore. Io conosco un uomo in Cristo, il quale quattordici anni fa (se fu col corpo o senza il corpo, non lo so, lo sa Dio) fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo (se col corpo, o fuori del corpo, non lo so, lo sa Dio) fu rapito in paradiso e udì parole arcane che non è lecito all’uomo di proferire. Riguardo a quest’uomo, potrei gloriarmi; ma riguardo a me non mi glorierò che della mia debolezza. Però, anche se volessi gloriarmi, non sarei un pazzo, perché direi la verità; ma me ne astengo, pel timore che qualcuno non mi stimi più di quello che vede in me o che sente da me. E affinché la grandezza delle rivelazioni non mi facesse insuperbire, m’è stato dato lo stimolo della mia carne, un angelo di satana che mi schiaffeggi. Tre volte ne pregai il Signore, perché lo allontanasse da me. Ed Egli mi ha detto: Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza si fa meglio sentire nella debolezza. Volentieri adunque mi glorierò nelle mie infermità, affinché abiti in me la potenza di Cristo.

VANGELO (Lc 8,4-15). 

– In quel tempo: radunandosi e accorrendo a Gesù dalle città gran folla, disse in parabola: Andò il 
seminatore a seminare la sua semenza e nel seminarla, parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e la beccarono gli uccelli dell’aria; parte cadde sul sasso e, appena nata, si seccò, non avendo umore; parte cadde tra le spine, e queste, cresciute insieme, la soffocarono; parte poi cadde in buon terreno e, cresciuta, diede il centuplo. Ciò detto esclamò: Chi ha orecchie da intendere intenda. E i suoi discepoli gli chiesero che volesse mai dire questa parabola. Ed Egli rispose loro: A voi è concesso d’intendere il mistero del regno di Dio; ma a tutti gli altri parlo in parabole, affinché guardando non vedano, ed ascoltando non intendano. Ecco il significato della parabola: la semenza è la parola di Dio. Quelli lungo la strada sono coloro che ascoltano, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore affinché non credano e non si salvino. E quelli sul sasso sono coloro che, udita la parola, l’accolgono con gioia; ma non hanno radice, e credon quindi per un certo tempo e poi al tempo della tentazione si tirano indietro. Seme caduto fra le spine sono coloro che hanno ascoltato, ma,coll’andare avanti, restano soffocati da cure, da ricchezze, e dai piaceri della vita, e non arrivano a maturare. Seme poi caduto in buon terreno sono coloro che ritengono la parola ascoltata in un cuore buono e perfetto, e perseverando, portano frutto.Vigilanza e fedeltà

Con ragione san Gregorio Magno osserva che la parabola ora letta non ha bisogno di spiegazione, perché la stessa eterna Sapienza ce ne ha data la chiave. Perciò non ci resta che trar profitto da un insegnamento così prezioso ed accogliere in terra buona la semenza celeste che cade in noi.

Quante volta finora l’abbiamo lasciata calpestare dai passanti, o carpire dagli uccelli dell’aria! Quant’altre volte è inaridita sulla gelida roccia del nostro cuore, o fu soffocata da spine funeste! Ascoltavamo la Parola, la trovavamo affascinante, e ciò bastava a farci star tranquilli. Spesso pure la ricevemmo con gioia e prontezza, ma non appena cominciava a germogliare in noi ne facevamo arrestare la crescita. Mentre d’ora in poi dobbiamo produrre frutti, perché tale è la virtù della semente gettata in noi, e dalla quale il divin Seminatore aspetta il cento per uno. Se la terra del nostro cuore è buona ed abbiamo cura di coltivarla usando i mezzi che la santa Chiesa ci offre, sarà abbondante la messe il giorno in cui il Signore, risorgendo vittorioso dal sepolcro, verrà ad unire i fedeli credenti agli splendori della sua Risurrezione.

Preghiamo

O Dio, che vedi come non confidiamo nelle nostre azioni, concedici, propizio, d’essere difesi contro ogni avversità dalla protezione di san Paolo Dottore delle genti.



da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – I. Avvento – Natale – Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 439-442



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