mercoledì 21 maggio 2025

Agostino, l'agostinismo e il nuovo momento del papato




Nella traduzione a cura di Chiesa e post-concilio da The Catholic Thing, Robert Royal nota che Leone XIV, profondamente radicato nella tradizione agostiniana, ha scelto per il suo stemma una frase tratta dal Sermone di Sant'Agostino sul Salmo 127: in illo Uno unum ("In quell'Uno siamo uno").


Postato il 21 maggio 2025



Robert Royal

Benedetto XVI pregava spesso una frase che aveva notato nelle Confessioni di Agostino: “da quod iubes, et iube quod vis”, “O Signore, dammi ciò che comandi e comanda ciò che vuoi” (Libro X, xxix). Vale la pena recitarla ogni giorno, perché è sia breve che profonda. Ed è tipico di come i grandi pensatori possano dire molto in poche parole (multum in parvo, come dicevano gli antichi Romani). Sorprendentemente, Benedetto/Ratzinger è stato talvolta criticato per aver usato quelle parole, come è successo allo stesso Agostino. Il contesto – Agostino pregava per la continenza, che il dizionario definisce come “autocontrollo, soprattutto riguardo al sesso” – ne è chiaramente parte. Ma c'è senza dubbio di più – molto di più.

Da decenni nella Chiesa ci troviamo a vivere sotto un'errata convinzione. Molti credono che Dio non sarebbe mai così antidemocratico da "comandare" alcunché. Ironicamente, proprio queste stesse persone spesso credono che Egli comandi in modo esplicito l'ordinazione delle donne, l'accettazione dell'ideologia LGBT, la Comunione ai divorziati risposati, ecc. In questo contesto, viene spesso citata un'altra frase concisa di Agostino: "Ama e fa' ciò che vuoi" (Serm. 110), sebbene il suo nome non sia solitamente associato a questo sentimento apparentemente piuttosto moderno.

Ma Agostino non ha mai detto ciò che la gente pensa abbia detto in quel sermone. Subito prima della famosa frase, egli traccia alcune chiare distinzioni:
troviamo persone rese feroci dall'amore; e rese seducentemente gentili dalla malvagità. Un padre picchia un ragazzo, mentre un rapitore lo accarezza. Se gli venisse offerta la scelta tra percosse e carezze, chi non sceglierebbe le carezze ed eviterebbe le percosse? Ma quando consideri le persone che le danno, ti rendi conto che è l'amore che picchia, la malvagità che accarezza. Questo è ciò su cui insisto: le azioni umane possono essere comprese solo dalla loro radice nell'amore. Ogni tipo di azione potrebbe apparire buona senza provenire dalla radice dell'amore. Ricorda, anche le spine hanno fiori: alcune azioni sembrano davvero brutali, ma sono compiute per amore della disciplina motivata dall'amore.

In teoria lo sappiamo tutti, soprattutto quando osserviamo altre persone, ma nella pratica lo ignoriamo quando entra in conflitto con un nostro obiettivo a lungo accarezzato.

Per l'Agostino maturo – cioè il pensatore cristiano che si era liberato dalle confusioni del manicheismo e dalle sue passioni personali – tutto è mosso dall'amore. Amori buoni o amori cattivi, ma amori pur sempre, perché il Creatore ha creato il mondo da un amore disinteressato. E tutto ciò che ha creato è degno del nostro amore, correttamente inteso. Ma è qui la difficoltà. Dopo la Caduta, i nostri amori sono disordinati. A tal punto che Agostino spiega il male stesso come la mancanza di un amore appropriato, al posto giusto, al momento giusto, nella giusta misura. L'amore correttamente ordinato ci eleva. L'amore erroneamente ordinato ci appesantisce.

Come afferma in un altro celebre passaggio delle Confessioni:
Tutte le cose, spinte dal loro stesso peso, vanno verso il loro posto. L'olio versato sul fondo dell'acqua, si solleva; l'acqua versata sull'olio, affonda sul fondo dell'olio. Sono spinte dal loro stesso peso, a cercare il loro posto. Le cose un po' fuori posto diventano inquiete: rimettetele in ordine e si quietano. Il mio peso è il mio amore [pondus meum amor meus]: da esso sono portato, ovunque io sia portato. (Libro XIII, IX)
Ho scandalizzato alcuni amici eccessivamente attaccati agli elementi tomisti della Commedia di Dante (che vi sono presenti e importantissimi) sostenendo che il concetto agostiniano dell'ordine degli amori sia ciò che ci fornisce un'immagine più fondamentale e globale di peccatori, penitenti e santi sparsi nel cosmo dantesco. Questo è innegabile e del tutto comprensibile, perché Agostino ha avuto una profonda influenza sia su San Tommaso che su Dante. E dovrebbe avere lo stesso effetto anche su di noi.

Perché Agostino ci aiuta anche a comprendere come siamo fatti a immagine e somiglianza dell'Amore stesso. Nel De Trinitate, paragona le Tre Persone della Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – alle tre potenze della persona umana: memoria, intelletto e volontà. Si tratta di un'analogia, ovviamente, non di un'equivalenza esatta. Nessuno dei misteri cristiani può essere spiegato completamente, ma solo parzialmente compreso attraverso la loro somiglianza con le cose del nostro mondo.

Ma questo paragone non solo ci dà un senso del nostro essere "a immagine e somiglianza", ma suggerisce anche come le tre "persone" della Trinità possano essere tre eppure una: comprendiamo che memoria, intelletto e volontà possono essere distinti eppure uniti in una persona umana.

Egli esprime ciò che potrebbe sembrare astruso in modo piuttosto poetico:
Ora, questa triade di memoria, intelletto e volontà non è composta da tre vite, ma da una; non da tre menti, ma da una. Ne consegue che non sono tre sostanze, ma una sola sostanza... Pertanto, poiché tutte sono rivestite l'una dall'altra, singolarmente e nella loro interezza, il tutto di ciascuna è uguale al tutto di ciascuna e il tutto di ciascuna al tutto insieme. E queste tre costituiscono una cosa sola, una vita, una mente, una sola essenza. (De Trinitate, Libro X, XVIII)
Il nostro nuovo Papa Leone XIV era profondamente radicato in questa tradizione, come è evidente dalla scelta di una frase tratta dal Sermone di Agostino sul Salmo 127 come motto del suo stemma: In illo Uno unum ("In quell'Uno siamo uno"). Tra i tanti segnali incoraggianti che ha già offerto come papa, questo sottolinea chiaramente che, per quanto cerchiamo di trovare ordine, significato, verità e pace come individui e nella nostra vita comune, nessun progetto meramente umano – nessuna scienza, psicologia, sistema di auto-aiuto, politica, economia, diplomazia o rinnovamento culturale – ci darà ciò che solo Dio stesso può dare. È esattamente ciò di cui i nostri tempi tristi e confusi hanno più bisogno.

Oh, dammi ciò che comandi, Signore, e comanda ciò che vuoi.





Mons. Strickland: La fede della Chiesa non è un insieme di politiche da adeguare, né una piattaforma politica da negoziare.


Il vescovo Joseph Strickland di Tyler, Texas, USA

Di seguito l’articolo scritto dal vescovo Mons. Joseph Strickland, pubblicato sul suo Substack nella traduzione curata da Sabino Paciolla (21 maggio 2025).




Mons. Joseph Strickland, vescovo

Benvenuti a un altro episodio di “A Shepherd’s Voice”.

C’è qualcosa di profondamente soddisfacente in un muro ben costruito. Non un moderno muro a secco con montanti e viti, ma un muro in pietra posato a mano o una struttura in legno la cui resistenza deriva dal preciso allineamento. E per questo tipo di lavoro è indispensabile uno strumento: il filo a piombo. Un semplice peso sospeso a un filo rivela la verticale assoluta, indipendentemente da ciò che suggerisce l’occhio.

Ora immaginate Cristo nella sua bottega di falegname. Prima di predicare una parabola, prima di guarire un cieco, prima di salire sul Calvario, modellava il legno. E forse, come suggeriscono la tradizione e la devota immaginazione, usava gli stessi strumenti di qualsiasi artigiano: una squadra, un righello e, sì, un filo a piombo.

È un’immagine appropriata, perché Cristo non è solo il falegname di Nazareth, ma è l’Architetto della Chiesa. Egli non costruisce sulla sabbia mobile o secondo il consenso popolare. Egli costruisce secondo una misura divina, e la Sua dottrina – ciò che ha insegnato e tramandato – è il filo a piombo.

Questo episodio di “A Shepherd’s Voice” si intitola “La misura del carpentiere: lo standard di Cristo e l’integrità dottrinale”. Esamineremo qual è lo standard, perché non può essere spostato e come la Chiesa, specialmente oggi, deve riallinearsi ad esso.

In ogni generazione sorge la tentazione di spostare leggermente la linea, di modificare la dottrina per adattarla ai tempi. Ma la verità ha un peso. Essa cade direttamente dal cielo, come il filo a piombo del profeta Amos, come lo strumento tenuto dalla mano ferma del carpentiere di Nazareth. Non si può spingere un filo a piombo. E non si può piegare la dottrina senza allontanarsi da Cristo.

Il profeta Amos ci offre questa immagine: «Ecco, il Signore sta su un muro costruito con un filo a piombo, e nella sua mano c’è un filo a piombo. Il Signore mi disse: “Che cosa vedi, Amos?” Io risposi: “Un filo a piombo”. Il Signore disse: “Ecco, io metterò un filo a piombo in mezzo al mio popolo Israele; non risparmierò più nessuno”» (Amos 7,7-8).

L’immagine è chiara. Dio non misura Israele in base ai suoi vicini o alla sua percezione di sé. Lo misura in base alla Sua giustizia, e lo trova storto.
Il filo a piombo non è punitivo. È rivelatore. Mostra ciò che è vero e falso, retto o storto. Non si piega. Non si adatta. Rivela semplicemente ciò che è.
Il filo a piombo non è uno strumento di compromesso. Non oscilla né si curva verso il muro. Rivela la verità. Se il muro è storto, non è il filo a piombo che è sbagliato.

E così è con la dottrina. La rivelazione di Dio è il filo a piombo calato dal cielo: la Sua verità che discende nel nostro mondo, immutabile nonostante i venti del cambiamento. È Cristo stesso, il Verbo fatto carne.
Per trent’anni Cristo ha vissuto nascosto a Nazareth. Il Creatore di tutte le cose ha lavorato con il legno e la pietra: Colui che sostiene l’universo era obbediente al mestiere del padre adottivo. Riuscite a immaginarlo? Chino sul banco, con gli attrezzi in mano, paziente e forte. Tra i suoi attrezzi c’era sicuramente il filo a piombo.

È venuto per raddrizzare ciò che era storto. Non piegando la linea a noi, ma chiamandoci a raddrizzarci secondo la Sua misura.
E quando insegnava, insegnava con autorità, senza mai cambiare la verità per adattarla alla folla, senza mai cedere alle evasioni degli scribi.
Egli disse: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Matteo 24, 35). Egli è la misura. E ha affidato questa misura alla Chiesa.

La fede della Chiesa non è un insieme di politiche da adeguare, né una piattaforma politica da negoziare. È il deposito affidato agli apostoli, l’eredità dei santi, la regola della fede tramandata integra e completa.
San Paolo scrisse a Timoteo: «Rimani fedele alla forma delle parole sane che hai udito da me, nella fede e nell’amore che sono in Cristo Gesù. Conserva il bene che ti è stato affidato mediante lo Spirito Santo che abita in noi» (2 Timoteo 1, 13-14).

E ai Galati ammoniva con santa severità: «Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi annunciasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema» (Galati 1, 8).
Questa è la missione apostolica: non innovare, ma perseverare. Eppure, quanto è forte la tentazione di cercare di «spingere il filo a piombo», di cercare di distorcere la dottrina per adattarla a un’epoca che cambia. Ma un vero filo a piombo non cede. Se si cerca di forzare una trave storta a sembrare dritta tirando la corda, il filo tornerà indietro. Semplicemente non può essere spostato. Allo stesso modo, la verità divina non cede alla pressione umana.

Oggi ci viene detto che il mondo è cambiato e quindi anche la Chiesa deve cambiare. La legge morale deve evolversi, i comandamenti devono ammorbidirsi e la dottrina deve diventare più «pastorale». Ma non si può spingere un filo a piombo. Si può spingere contro di esso, ma non si muove.
Ci si può piegare o rompere il muro, ma il filo rimane.

Pensate a Sant’Atanasio, che rimase saldo durante l’eresia ariana. Il mondo intero sembrava impazzito. Vescovi e imperatori, concili e sacerdoti insistevano che Cristo non era consustanziale al Padre, che era solo una creatura, anche se esaltata.
Ma sant’Atanasio rimase fermo. Fu esiliato cinque volte, bollato come disturbatore della pace, ma non rinnegò mai che Cristo è consustanziale al Padre. Misurò la dottrina secondo lo standard del Carpentiere, non secondo la pressione imperiale.

Ario, un sacerdote di Alessandria, insegnava che il Figlio di Dio era stato creato dal Padre e quindi non coeterno. In breve, gli ariani credevano che «c’era un tempo in cui Egli non era».
Ciò contraddiceva direttamente l’insegnamento apostolico secondo cui Gesù è vero Dio da vero Dio, generato, non creato, consustanziale al Padre – una dottrina che la Chiesa definì formalmente nel Concilio di Nicea nel 325 d.C. nel Credo niceno.

Atanasio rimase fedele alla verità immutabile che Cristo è consustanziale al Padre, anche quando ciò significava esilio, calunnie e perdite personali. La Chiesa non aveva ancora definito dogmaticamente il termine «consustanziale» quando Ario iniziò a diffondere la sua eresia. C’era un’enorme pressione politica e sociale per trovare una «via di mezzo» per l’unità. Molti erano disposti a piegare la dottrina per amore della pace.

San Girolamo scrisse in seguito: “Il mondo intero gemeva e si stupiva di trovarsi ariano”.
Ma Atanasio sapeva che la dottrina non si costruisce con il consenso. Si misura in base a ciò che è stato tramandato, a ciò che è in linea con il Vangelo, con la testimonianza apostolica e con la chiara rivelazione della divinità di Cristo. Egli vide chiaramente che se Cristo non era veramente Dio, allora noi non siamo veramente salvati.

Avrebbe potuto evitare il conflitto ammorbidendo la sua posizione, ma non lo fece. Come un carpentiere che controlla il muro con il filo a piombo, egli mantenne l’insegnamento allineato allo standard e disse: «Questo non è allineato». Il fatto che sia stato esiliato cinque volte per la sua fedeltà dimostra solo che la sua misura era giusta. Il muro era storto, ma la linea era dritta. Come dice il proverbio: «Athanasius contra mundum» – Atanasio contro il mondo. Ma in verità era il mondo ad essere inclinato. Lui si limitava a mantenere la linea.

Santa Giovanna d’Arco, condannata come eretica dal clero corrotto, rimase fedele alla sua missione e alla sua fede. Morì con il nome di Cristo sulle labbra, non perché si era conformata, ma perché non voleva farlo.

Un altro esempio: Santa Caterina da Siena. Una terziaria domenicana, una laica – non una suora di clausura – che rimase fedele alla verità in mezzo alla corruzione e alla crisi. Richiamò il papa a Roma. Si scontrò con vescovi, sacerdoti, persino con il Santo Padre stesso – non con arroganza, ma con carità soprannaturale. Scrisse: «Sii ciò che Dio ha voluto che tu fossi, e incendierai il mondo».

E sant’Ignazio di Antiochia, all’inizio del II secolo, scrisse mentre andava al martirio: «Non fate nulla senza il vescovo, ma soprattutto ascoltate la dottrina di Cristo… Rimanete saldi come un’incudine sotto il martello». Parlava dei vescovi come di una salvaguardia, ma non solo per la loro carica. La loro carica è una salvaguardia solo SE mantengono la linea.

Durante la rivolta protestante, San Tommaso Moro preferì sacrificare la propria vita piuttosto che riconoscere un re come capo della Chiesa. Disse: «Sono un buon servitore del re, ma prima di tutto di Dio». Morì per una linea di piombo. Per uno standard invisibile a molti, ma essenziale per la struttura.
Questi santi non cercavano il conflitto. Si rifiutavano semplicemente di compromettere la verità. Il mondo li definiva testardi. La Chiesa li definisce santi.

Il loro allineamento con il filo a piombo è costato loro caro, ma ha dato loro tutto.
Quando Pietro e Giovanni furono portati davanti al Sinedrio e gli fu ordinato di non parlare nel nome di Gesù, risposero: «Dobbiamo obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (Atti 5, 29).
I primi vescovi della Chiesa hanno dato testimonianza non solo con le parole, ma con il sangue.
E san Paolo fu picchiato, imprigionato, naufragò, fu lapidato, eppure scrisse con gioia dalle sue catene: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Timoteo 4, 7).
San Giovanni, l’ultimo degli apostoli originari, rese testimonianza al Verbo fatto carne fino alla vecchiaia, custodendo la verità dai falsi maestri che cercavano di distorcere l’identità di Cristo.

Questi uomini non erano innovatori. Erano custodi. Come esortava San Giuda ai primi fedeli: «Combattete per la fede che è stata trasmessa ai santi» (Giuda 1, 3).
In ogni epoca ci sono state pressioni per ridefinire la dottrina, per ammorbidire gli insegnamenti morali, per reinterpretare i dogmi, per sostituire le verità con i sentimenti.

Cosa significa questo per noi?
Significa che non possiamo semplicemente affidarci all’opinione della maggioranza, alle notizie dei media o persino all’autorità umana quando si allontana dall’insegnamento di Cristo. Dobbiamo esaminare ogni cosa alla luce della misura, la misura del Carpentiere.
I fedeli devono familiarizzarsi con la vera dottrina, non come un elenco di divieti, ma come la struttura della vita eterna. Leggete il catechismo. Studiate i concili. Conoscete le Scritture.
«Gesù Cristo, ieri, oggi e sempre» (Eb 13, 8).

Egli non cambia. Le sue parole non cambiano. E coloro che rimangono fedeli a Lui non devono cambiare.
Come ha ammonito Papa Pio X nella Pascendi Dominici Gregis: «I veri amici del popolo non sono né rivoluzionari né innovatori, ma tradizionalisti».
Non ci aggrappiamo alle cose vecchie per il loro valore intrinseco. Ci aggrappiamo alla misura di Cristo, perché è divina.
È la verità di Cristo, misurata dalla Sua stessa mano, la misura del carpentiere. Non cerchiamo di spostarla, ma di spostare noi stessi. Costruiamo sulla roccia, con muri resi diritti dalla regola della Sua parola e con cuori plasmati dall’amore per la verità.

Nel nostro tempo abbiamo visto il filo a piombo vacillare, ma mai spezzarsi. Alcune affermazioni di Papa Francesco, purtroppo, hanno causato grande confusione perché sembravano discostarsi dalla chiara misura dell’insegnamento di Cristo.

Un esempio lampante è il Documento sulla fratellanza umana del 2019, firmato ad Abu Dhabi, in cui si afferma che «la diversità delle religioni […] è voluta da Dio nella sua sapienza». Ciò ha causato profonda confusione. La Chiesa ha sempre insegnato che le false religioni nascono dalla ricerca di Dio da parte dell’uomo e, sebbene in esse si possano trovare semi di verità, solo una fede è rivelata e voluta da Dio nella sua pienezza: la fede cattolica. Come dice San Paolo: «Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Efesini 4,5).

Dire che tutte le religioni sono ugualmente volute da Dio non è misericordia, è un disallineamento. Il filo a piombo non è una misura della sincerità, ma della verità. E la verità ha un nome: Gesù Cristo, che ha detto: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non attraverso di me» (Giovanni 14,6).
Oppure prendiamo l’ambiguità che circonda la benedizione delle coppie dello stesso sesso. Sebbene la Chiesa debba sempre accogliere ogni anima con amore, la sua dottrina non può contraddirsi: non può benedire ciò che è contrario alla legge di Dio. Il filo a piombo non si piega al sentimento. Cristo ha accolto la donna sorpresa in adulterio, ma le ha anche detto: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Giovanni 8, 11).

In questi momenti, i fedeli non devono farsi prendere dal panico, né abbandonare la Chiesa, ma ricordare la misura del Carpentiere. Le parole di Cristo rimangono la regola. Non siamo chiamati a giudicare i cuori, ma siamo chiamati a rimanere saldi nella verità, specialmente quando anche le alte cariche della Chiesa sembrano vacillare al vento.

Mentre la Chiesa entra in un nuovo capitolo con l’elezione di un nuovo papa, la nostra speranza e la nostra preghiera è che egli assuma la misura del Carpentiere con riverenza e determinazione. Preghiamo affinché egli riallinei ciò che è stato lasciato inclinare, chiarisca ciò che è diventato confuso e predichi la verità non in termini vaghi, ma con l’audacia degli Apostoli. Un successore di Pietro non è chiamato a reinventare la Chiesa, ma a rafforzare i suoi fratelli e a custodire il Deposito della Fede. Possa egli essere un uomo che sta sotto il filo a piombo di Cristo, non sopra di esso, e così facendo contribuisca a riportare la Chiesa all’integrità dottrinale visibile.

Come dice il Salmo 18:
«La legge del Signore è immacolata, che converte le anime; la testimonianza del Signore è fedele, che rende saggi i piccoli» (Salmo 18, 8).
Preghiamo per essere allineati a questa misura. Non spingiamo la linea a piombo, né la ignoriamo, né la distorciamo. Restiamo sotto di essa e lasciamoci raddrizzare.
E se ci troviamo storti? Confessiamolo e riallineiamoci. La Chiesa non è una casa storta. È un tempio costruito sulla Pietra Angolare. Che non costruiamo nulla che non possa stare sotto la misura del Carpentiere.

Che il Signore, che è la Pietra Angolare e il Maestro Costruttore della Sua Chiesa, vi conceda la grazia di rimanere saldi nella verità, di camminare retti nella fede e di essere misurati con il Suo metro perfetto in tutte le cose. Possano i vostri cuori essere rafforzati, le vostre menti illuminate e le vostre vite allineate al filo a piombo di Cristo che è la Verità.

E possa la benedizione di Dio Onnipotente, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo scendere su di voi e rimanere con voi per sempre. Amen.






martedì 20 maggio 2025

I vescovi di Francia e il cardinale Roche ancora in guerra contro i pellegrinaggi tradizionali della Francia. Cosa farà Leone XIV?




Nella traduzione a cura di Chiesa e post-concilio da Rorate Caeli. Nelle ultime settimane, i Cardinali Roche, Aveline e i vescovi francesi hanno preso provvedimenti per evitare la celebrazione del TLM nel pellegrinaggio di Chartres di quest'anno, gettando enormi ostacoli sulla sua strada. 
Precedenti a partire a qui. E più di recente sembrava ci fosse una contro-tendenza a favore della Messa qui. Sarà molto interessante vedere come i coordinatori e il clero in pellegrinaggio risponderanno a questa escalation senza precedenti. Come dice la fonte francese: "È evidente che i nostri vescovi sono particolarmente preoccupati per il successo pastorale di questi pellegrinaggi, che riuniscono moltitudini di giovani pellegrini, portando alcuni di loro a tornare alla pratica religiosa, proprio perché queste manifestazioni di fede non rientrano nell'ambito del nuovo programma pastorale. Non importa che questo programma ora è chiaramente fallito! La loro cecità ideologica, che non cambia da decenni, gli fa credere di poter inserire questo impulso cattolico nello stampo della loro liturgia. O peggio, preferiscono soffocare e uccidere questo impulso piuttosto che vederlo attribuito alla vecchia liturgia.


20 maggio 2025

A volte le decisioni possono aspettare. Altre volte devono essere prese in fretta. Ad aprile e all'inizio di maggio, sfruttando l'interregno per i loro nefandi fini, i vescovi antitradizionalisti di Francia hanno tramato con il cardinale Roche, prefetto del culto divino, per rendere il più difficile possibile la celebrazione della messa latina tradizionale e dei sacramenti durante il pellegrinaggio Parigi-Chartres e tutti gli altri pellegrinaggi in Francia.

Leone XIV non è stato coinvolto in queste decisioni. Cosa farà ora? Cosa farà ora Roche?

Da Paix Liturgique:

Il Dicastero per il Culto Divino affidato al cardinale Roche e la Conferenza dei vescovi francesi del cardinale Aveline auspicano che i pellegrinaggi tradizionali, tanto fiorenti in Francia, siano svolti secondo l'ordinamento liturgico di Paolo VI.

Quindi, una lettera del 6 maggio dell'arcivescovo Jordy di Tours e Lebrun, arcivescovo di Rouen, incaricato delle relazioni con le comunità sacerdotali tradizionali, indirizzata a tutti i vescovi di Francia, li informa delle risposte del cardinale Roche dell'8 aprile circa la forma di culto durante il pellegrinaggio della cristianità.

È chiaro che queste disposizioni romane sono state richieste dai vescovi firmatari, i quali, sapendo che la difesa della liturgia tradizionale è in gran parte opera dei fedeli laici, cercano in ultima analisi di riconquistare potere sul mondo tradizionale affermando il principio secondo cui solo il vescovo è padrone della liturgia nella sua diocesi, il che sarebbe un principio valido in una situazione normale, ma non quando è il vescovo stesso a promuovere una riforma deleteria.

Per questo motivo, si intende imporre ai sacerdoti che accompagneranno il pellegrinaggio una serie di misure drastiche:

1 – Pertanto, in stretta applicazione della Traditionis Custodes (16 luglio 2021):

- I sacerdoti ordinati prima della TC potrebbero celebrare la Messa tradizionale, ma dovrebbero chiedere il permesso ai vescovi di ogni diocesi attraversata lungo il cammino (ad esempio, Évry, Versailles, Chartres).

- Per i sacerdoti ordinati dopo la TC, il vescovo dovrà chiedere il permesso al Dicastero per il Culto Divino.

2 - Tutti i sacerdoti dovrebbero poter celebrare la nuova Messa durante il pellegrinaggio.

3 - Inoltre, per le confessioni dei pellegrini, i sacerdoti usino il nuovo rituale.

Misure impraticabili: riuscite davvero a immaginare sacerdoti pellegrini che, prima di ogni messa, chiamano con i loro cellulari i vescovi nel cui territorio stanno per celebrare all'aperto?

Sembra chiaro che questa lettera fosse indirizzata al nuovo presidente della CEF, eletto il 2 aprile. Sappiamo anche che il presidente della CEF, il cardinale Aveline, è stato interrogato da mons. Olivier de Germay, arcivescovo di Lione, in merito alla decisione da lui comunicata ai membri dell'associazione Via Lucis: il divieto di celebrare la Messa tradizionale al termine del pellegrinaggio che intendevano organizzare alla Basilica di Fourvière. L'arcivescovo ha proposto di sostituirla con una Messa di Paolo VI in latino, proposta che Via Lucis ha ovviamente rifiutato, preferendo annullare il pellegrinaggio.

D'altronde, la ripresa nel 2025 del pellegrinaggio provenzale Nosto Fe, con partenza da Cotignac e arrivo alla chiesa di Saint Maximin la Sainte Baume con una messa tradizionale (celebrata l'anno scorso da Mons. Rey), sta suscitando grande agitazione tra tutti i vescovi della provincia e incontrando le maggiori difficoltà con Mons. Touvet, nuovo vescovo di Fréjus-Tolone.

È evidente che i nostri vescovi sono particolarmente preoccupati per il successo pastorale di questi pellegrinaggi, che riuniscono moltitudini di giovani pellegrini, spingendone di fatto alcuni a tornare alla pratica religiosa, proprio perché queste manifestazioni di fede non si inseriscono nel quadro del nuovo programma pastorale. Non importa che questo programma sia ormai chiaramente fallito! La loro cecità ideologica, immutata da decenni, li porta a credere di poter adattare questo impulso cattolico allo stampo della loro liturgia. O peggio, preferiscono soffocare e uccidere questo impulso piuttosto che vederlo attribuito alla vecchia liturgia.

E che dire del nuovo papa Leone XIV?

Chiaramente, vuole calmare gli animi. Ma è improbabile che si sia interessato finora a questa scottante questione liturgica. Il suo pontificato, come disse Valéry Giscard d'Estaing il primo giorno della sua presidenza – mi si perdoni il paragone… – è una pagina bianca, su cui si possono scrivere molte cose.

Care sentinelle parigine, preghiamo intensamente per lui e per la libertà della Messa mentre recitiamo i nostri rosari davanti agli uffici dell'arcidiocesi, 10 rue du Cloître-Notre-Dame, dal lunedì al venerdì, dalle 13:00 alle 13:30, a Saint-Georges de La Villette, 114 avenue Simon Bolivar, il mercoledì e il venerdì alle 17:00, davanti a Notre-Dame du Travail, 59 rue Vercingétorix, e anche a Sainte-Clotilde, il lunedì alle 12:45.







Aiuto al suicidio, riecco i cattolici che votano leggi ingiuste



Già approvato alla Camera, il 14 luglio sarà discusso al Senato un disegno di legge che richiama, con qualche miglioramento, i criteri indicati dalla Consulta per l’accesso al suicidio assistito e sembra poter raccogliere il voto del centrodestra. Ma il male, anche se “minore”, non può essere approvato.




Tommaso Scandroglio,  20-05-2025

Ci sono tre cose certe nella vita. Le tasse, la morte e i politici cattolici che votano leggi ingiuste. Forse qualcuno si è distratto, ma sul tavolo del Parlamento giacciono diversi disegni di legge sul fine vita. Pare che uno tra questi abbia le carte in regola per essere votato e votato dalla maggioranza di centrodestra che sui temi sensibili ha dato spesso prova negli anni di essere di centrosinistra.

Il testo è stato già approvato alla Camera e avrebbe dovuto essere discusso al Senato il prossimo 17 giugno, ma grazie all’intervento del capogruppo di Forza Italia, Maurizio Gasparri, l’esame slitterà al 14 luglio. Gasparri ha dichiarato che questo procrastinare servirà a trovare «un punto comune, [dal momento che] c’è un comitato ristretto che sta lavorando».

Il disegno di legge, proposto dai relatori delle Commissioni 2a (Giustizia) e 10a (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) in sede redigente, riguarda l’aiuto al suicidio ed è ancora in fieri. Ciò detto, vediamo cosa prevede attualmente nei suoi lineamenti essenziali. In modo preliminare dobbiamo ricordare che per ben due volte la Corte costituzionale spronò il Parlamento a legiferare sulla materia finché, stanca di tanta inerzia, pensò lei stessa a normare, nel vero senso della parola, il suicidio assistito e lo fece con la sentenza n. 242/2019 (qui un approfondimento) e la sentenza n. 135/2024 (qui un approfondimento).

Il disegno di legge richiama, con un’aggiunta, i criteri indicati dalla Consulta per l’accesso al suicidio assistito. All’art. 2 del Ddl infatti leggiamo: «La presente legge disciplina la facoltà di accesso al percorso di fine vita assistito da parte di una persona maggiorenne affetta da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che reputa intollerabili, tenuta in vita o dipendente da trattamenti di sostegno vitale, già inserita in un programma di cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38, capace di prendere decisioni autonome, libere e consapevoli».

Notiamo innanzitutto che il Ddl usa l’espressione “facoltà di accesso”, una espressione che, in senso letterale, dovrebbe escludere il “diritto di accesso”, configurandosi invece come mera facoltà di fatto, facoltà speculare alla scriminante in capo al medico riguardo al reato di aiuto al suicidio ex art. 580 del Codice penale. In breve, se, in capo al medico, dare la morte non è un diritto, ma solo una condotta depenalizzata – così come molti hanno interpretato le due sentenze della Consulta – ne consegue che parimenti, in capo al paziente, il darsi la morte non è un diritto, bensì una mera facoltà di fatto. Ma le riserve che avevamo espresso a suo tempo in merito a questa interpretazione che vedeva l’intervento della Consulta volto solo a depenalizzare il suicidio assistito e non a qualificarlo come diritto, potrebbero rinnovarsi anche in relazione al suddetto Ddl. Però attendiamo la sua versione definitiva per meglio esprimerci.

Proseguiamo. I criteri presenti nel Ddl ricalcano in massima parte, come detto, quelli indicati dalla Consulta. Però gli estensori del disegno di legge hanno aggiunto anche l’obbligo per il richiedente di essere inserito in un programma di cure palliative, programma che potrebbe dissuadere in modo significativo il paziente dal chiedere la morte.

Altro punto del Ddl da evidenziare è il criterio che fa riferimento ai sostegni vitali: la persona deve essere «tenuta in vita o dipendente da trattamenti di sostegno vitale». In prima battuta non comprendiamo la differenza di significato tra trattamenti di sostegno vitale che tengono in vita una persona e trattamenti di sostegno vitale da cui si è dipendenti. Se si è dipendenti da trattamenti salvavita, vuol dire che senza di essi si muore e quindi il caso della dipendenza da tali trattamenti non può che essere ricompreso nel primo caso dove i trattamenti salvavita permettono di tenere in vita una persona. Ciò detto, manca nel Ddl, a differenza della sentenza n. 135/2024 della Consulta, la descrizione analitica di cosa si debba intendere per trattamenti di sostegno vitale.

Aspetto migliorativo del Ddl rispetto alla sentenza della Consulta è quello che riguarda il criterio delle sofferenze insopportabili. I giudici parlavano di «sofferenze fisiche o psicologiche». Il disegno di legge parla di «sofferenze fisiche e psicologiche». Dunque per la Consulta la sofferenza poteva essere o solo fisica o solo psicologica o fisica e psicologica. Per il Ddl la sofferenza deve essere congiuntamente fisica e psicologica. La differenza non è da poco: per i giudici, candidati all’eutanasia potevano anche essere persone fisiologicamente sane che soffrivano solo psicologicamente: depressi, disabili mentali, persone massimamente frustrate dalla vita, eccetera. Per gli estensori del Ddl queste categorie di persone sono escluse, a meno che sperimentino anche sofferenze fisiche.

Ritorniamo ora ai cattolici che votano leggi ingiuste, cattolici presenti anche nelle file di quel centrodestra che ha proposto questo Ddl. Quasi certamente il giro mentale dei proponenti è stato il seguente: meglio una legge sul fine vita elaborata da noi oggi che una legge proposta dalla sinistra domani. Se noi giochiamo d’anticipo, li facciamo fessi perché potremmo varare una legge meno iniqua della loro. È la tesi sposata, ad esempio, da padre Maurizio Faggioni, professore di bioetica all’Alfonsiana e nostra vecchia conoscenza, il quale in un testo pubblicato dalla cattolica Scienza & Vita di qualche anno fa, rammaricandosi che i cattolici non avessero votato una legge sulle unioni civili prima di quella della Cirinnà, così concludeva: «Giocare d’anticipo e non di rimessa può essere opportuno perché sarebbe poi più difficile lavorare su progetti di legge che nascono da visioni antropologiche ed etiche inconciliabili con la legge naturale e, quindi, di ardua perfettibilità» [Il teorema della legge imperfetta e il principio del male minore, in L. Eusebi (a cura di), Il problema delle «leggi imperfette». Etica della partecipazione all’attività legislativa in democrazia, Morcelliana, Brescia, 2017, p. 99].

Posto che qualsiasi norma che legittimi in qualsiasi modo le relazioni omosessuali è inconciliabile con la legge naturale, occorre ricordare che proporre e/o votare una legge ingiusta – come quella che vorrebbe nascere dal suddetto Ddl – seppur meno ingiusta di un’altra, sono atti intrinsecamente malvagi perché proporre o votare a favore di una ingiustizia sono essi stessi atti ingiusti. Non si può approvare, tantomeno per legge, il suicidio, nemmeno quello assistito. Non si può legittimare l’ingiustizia, piccola o grande che sia. Non è lecito approvare il male, nemmeno per scamparne ad uno peggiore. E dunque il male minore non può essere oggetto di approvazione, mai, cioè a dire anche in stato di necessità – il PD voterà di certo una legge peggiore – e anche spinti dalla buona intenzione di evitare danni peggiori.






lunedì 19 maggio 2025

Leone XIV inizia il pontificato invocando amore e unità



Ieri in piazza San Pietro la solenne celebrazione eucaristica per l’inizio del ministero petrino di Leone XIV. Nell’omelia, il neo Papa cita sant’Agostino. Il programma: custodire la fede, con uno sguardo alle sfide odierne. La discontinuità discreta rispetto a Francesco, con il proposito di «non cedere mai alla tentazione di essere un condottiero solitario».


La Messa d’insediamento

Ecclesia 


Nico Spuntoni, 19-05-2025

Un sole più estivo che primaverile – inframmezzato da qualche nuvola – ha salutato la Messa d’insediamento di Leone XIV. Tanti gli ombrelli a riparare dal caldo nella grande folla che ha invaso piazza San Pietro e tutta via della Conciliazione.

Il Papa ha lasciato il suo appartamento al Palazzo del Sant’Uffizio verso le 9 accompagnato dal giovane segretario don Edgard Iván Rimaycuna Inga. Senza esitazione, Robert Francis Prevost è salito sulla jeep bianca che tutto il mondo conosce come papamobile, pronto per il suo primo bagno di folla in piazza. Roma si è blindata per accogliere i grandi del mondo che si sono riversati, ancora una volta, a San Pietro per quest’ennesima giornata importante per la Chiesa cattolica.

L’impronta del nuovo Papa si è vista nell’icona della Madonna del Buon Consiglio, copia di quella del santuario di Genazzano che Prevost ha visitato poche ore dopo l’elezione al soglio di Pietro. Ieri si sono svolti i riti previsti in occasione dell’inizio del ministero petrino. Il pallio è stato imposto a Leone XIV dal cardinale veneto Mario Zenari, il vice protodiacono. Il diplomatico ha sostituito all'ultimo minuto il cardinale protodiacono Dominique Mamberti che aveva già annunciato l’Habemus Papam dieci giorni prima e ieri ha avuto problemi cardiaci. Ad accompagnare l’imposizione, la preghiera del cardinale congolese Fridolin Ambongo Besungu. L’Anello del pescatore è stato invece consegnato dal cardinale vescovo Luis Antonio Tagle prima della formula di obbedienza pronunciata a nome di tutto il sacro collegio dal canadese Francis Leo, dal brasiliano Jaime Spengler e dal papuano John Ribat. Insomma, una cerimonia che ha tenuto in considerazione l’universalità della Chiesa con un rappresentante del collegio per ciascun continente.

Ancora una volta Leone ha scelto il “suo” sant’Agostino per aprire l’omelia. «Ci hai fatti per te, [Signore,] e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te», la citazione tratta dalle Confessioni. Nella sua omelia Prevost ha ripercorso queste settimane decisive che lo hanno visto salire sul trono di Pietro. Un primo pensiero per la tristezza del popolo di Dio causata dalla morte del predecessore Francesco. «Proprio nel giorno di Pasqua, però – ha detto il Papa – abbiamo ricevuto la sua ultima benedizione e, nella luce della Risurrezione, abbiamo affrontato questo momento nella certezza che il Signore non abbandona mai il suo popolo, lo raduna quando è disperso e lo custodisce come un pastore il suo gregge».

Ripercorrendo i giorni del conclave, Prevost ha ricordato come i cardinali arrivassero «da storie e strade diverse» e nel collegio convivesse il desiderio di eleggere «un pastore capace di custodire il ricco patrimonio della fede cristiana e, al contempo, di gettare lo sguardo lontano, per andare incontro alle domande, alle inquietudini e alle sfide di oggi». Per evidenziare il concetto di unità emerso sul suo nome in Sistina, Leone XIV ha usato la metafora dei diversi strumenti musicali che riescono a far vibrare le corde del cuore in un’unica melodia. E proprio «unità» accostata ad «amore» è la parola ribadita dal Papa per spiegare «le due dimensioni della missione affidata a Pietro da Gesù». «Come può Pietro portare avanti questo compito?», si è chiesto Prevost lasciando al Vangelo la risposta quando dice che «è possibile solo perché ha sperimentato nella propria vita l’amore infinito e incondizionato di Dio, anche nell’ora del fallimento e del rinnegamento».

Un passaggio più degli altri dell’omelia segna la discontinuità, sia pur giustamente prudente e non sfacciata, con Francesco per il quale, in ogni caso, ha avuto belle parole. Leone XIV infatti ha ricordato che «se la pietra è Cristo, Pietro deve pascere il gregge senza cedere mai alla tentazione di essere un condottiero solitario o un capo posto al di sopra degli altri, facendosi padrone delle persone a lui affidate». La speranza di diversi cardinali è che in conclave, grazie all'ispirazione dello Spirito Santo, sia davvero stato scelto un uomo in grado di privilegiare l'unità e la concordia, mettendo fine alla stagione dell'arbitrarietà e della polarizzazione.





domenica 18 maggio 2025

Perché nelle chiese moderne il Tabernacolo non è più al centro?



Posted By: admin 18 Maggio 2025



La questione della posizione del Tabernacolo non si pone tanto per le grandi chiese (cattedrali e santuari) dove la collocazione laterale serve soprattutto a non farlo smarrire nella grandezza del tempio, quanto per le chiese di medio-piccola grandezza. C’è un senso in quello che sta avvenendo negli ultimi anni? Pensiamo proprio di sì. Questo va trovato nei motivi che costituiscono l’essenza del pensiero post-conciliare. Uno su tutti: il voler considerare l’edificio liturgico più come realtà di comunione (come indubbiamente anche è) che come realtà di mistero. E qui dobbiamo porci un interrogativo decisivo: l’edificio liturgico è “luogo” per una assemblea oppure “luogo” per una Presenza? Da questa alternativa, o meglio, anche da questo porre l’accento soprattutto sulla prima possibilità (la chiesa come luogo per assemblea) scaturisce quello che si può definire perdita del senso del mistero e dell’incontro. Perdita che –come è sotto gli occhi di tutti- ha reso meno persuasivo l’Annuncio cristiano.

Tutte le ragioni utilizzate per giustificare l’uso di porre a lato il Tabernacolo anche se non volessero diminuire l’atteggiamento di adorazione, ne minano la ragion d’essere. Non esiste una sola ragion d’essere dell’adorazione, se ne potrebbero almeno individuare un paio: l’adorazione prossima e l’adorazione presente.

La prima (l’adorazione prossima) è riscontrabile in tutte quelle spiritualità che posseggono almeno una di queste due caratteristiche: riconoscimento dell’uomo come non-creatura oppure riconoscimento dell’uomo come realtà totalmente separata da Dio e quindi insanabile. In queste spiritualità l’adorazione è prossima, in quanto non esisterebbero le condizioni per poter veramente adorare.

L’adorazione presente è, invece, un tratto tipico del cattolicesimo, perché in questo manca tanto la caratterizzazione panteistica, quanto quella protestantica di demonizzazione del mondo. Nel cattolicesimo di certo la tensione dell’attesa non è assente, ma è fondamentale la convinzione secondo cui tutto ciò che attualmente è sperimentabile dall’uomo è già “luogo” di una Presenza vera e salvifica del mistero del Verbo incarnato. Ciò è della fede nella Presenza reale dell’Uomo-Dio nell’Eucaristia.

La Chiesa è sì comunione dei figli di Dio, ma nella, con e per la Presenza reale di Cristo. La centralità del Tabernacolo è la centralità dell’Eucaristia, cioè della presenza reale, fisica, di Cristo ancor oggi nella Chiesa. La centralità del Tabernacolo ha lo scopo di rendere l’edificio liturgico non luogo per attendere e per ricordare, ma luogo per incontrare una Presenza “presente” (chiediamo scusa del gioco di parole) che è anche fisica.





venerdì 16 maggio 2025

Conferenza di don Enrico Bini a Pistoia. La grazia in S. Tommaso D'Aquino

 








Il nuovo Leone riuscirà a scacciare i lupi?



Immagine generata con l’intelligenza artificiale (ChatGPT – DALL·E),
 modificata con Canva Pro




di José Antonio Ureta

In poco più di due settimane, la Chiesa, che sembrava immersa nelle convulsioni dell’agonia, ha mostrato un’insospettata vitalità, rivelando la sua origine divina e l’assistenza permanente dello Spirito Santo.

I media liberal si erano compiaciuti nel sottolineare che, nonostante il pontificato populista e modernizzante del defunto Papa Francesco, l’emorragia della pratica religiosa nella Chiesa cattolica non si era arrestata, né si era fermata la chiusura delle chiese dovuta al continuo calo delle ordinazioni sacerdotali, alla corrispondente diminuzione delle entrate per mantenere le sue attività liturgiche e caritative, e, ancor peggio, alle lotte intestine provocate dall’“apertura” del pontefice argentino. Questi analisti prevedevano che presto la grande istituzione che aveva plasmato la cultura e la civiltà occidentale e influenzato il mondo intero con il suo pensiero sarebbe caduta nell’insignificanza…

E invece no! La convergenza di oltre cento Capi di Stato per i funerali di Francesco e la presenza a Roma di oltre 1.500 giornalisti per coprire le congregazioni generali del collegio dei cardinali, il conclave e l’elezione del nuovo papa, hanno attirato l’attenzione di milioni di cattolici e non cattolici nei cinque continenti. Ai loro occhi, l’istituzione millenaria fondata da Gesù Cristo è apparsa nello splendore dei suoi giorni migliori. E ne sono rimasti affascinati.

Lo scrittore boliviano José Andrés Rojo lo ha espresso bene sulle pagine del quotidiano spagnolo di sinistra El País:

“Qualsiasi laico che si avvicina a questo processo resta abbagliato dai protocolli che lo regolano. L’attenta gestione del tempo, la disposizione accurata delle figure, degli spazi e dei colori, le vesti dei protagonisti, le informazioni rilasciate con il contagocce, lo spettacolo... I leader del nuovo ordine si sono precipitati in Vaticano per imparare dalla Chiesa cattolica. Non che siano interessati alle sue omelie o speculazioni teologiche, né ai suoi comandamenti; ciò che vogliono capire è come operano i suoi splendidi cerimoniali. E così imparare a conquistare gli affetti del gregge e suscitare emozioni per condurlo verso quella nuova età dell’oro che promettono con tanto fervore.”

Per ventiquattro ore, infatti, gli occhi del mondo intero si sono concentrati sul gabbiano che si posava con orgoglio accanto alla piccola canna fumaria installata dai dipendenti vaticani, dalla quale sarebbe uscita la fumata — nera o bianca — a indicare l’esito dei misteriosi scrutini della più aristocratica elezione del mondo odierno democratico.

132 elettori, per lo più scelti dal defunto sovrano secondo criteri piuttosto eccentrici, hanno partecipato al conclave, senza neanche aver avuto modo di conoscersi intimamente nei concistori periodici, come si faceva un tempo. La difficoltà aggiuntiva della loro provenienza da 77 paesi, con culture e interessi pastorali molto diversi, faceva presagire un processo lungo per eleggere qualcuno in grado di ottenere il consenso di almeno i due terzi di questo eterogeneo corpo elettorale: un’eterogeneità aggravata dalla divergenza teologica tra i prelati progressisti, desiderosi di proseguire l’avventuroso “cambio di paradigma” intrapreso da Papa Francesco, e coloro che vedevano la sua apertura allo Zeitgeist come un tradimento del messaggio evangelico, al punto che non pochi osservatori avevano ipotizzato uno scisma.

Ancora una volta, tutte le aspettative sono state disattese. In appena quattro scrutini è stato eletto il 267° successore di San Pietro. L’arcivescovo di Algeri, un prelato ultra-progressista, ha dichiarato che, dopo un momento iniziale di “espressione delle differenze” nei voti, “si è presto raggiunta un’enorme unanimità”. A suo dire, il voto “avrebbe potuto concludersi prima”, lasciando intendere che già al terzo scrutinio il cardinale Robert Vincent Prevost aveva quasi raggiunto la maggioranza qualificata necessaria. Una scelta che ha contraddetto sia i pronostici dei bookmaker sia i desideri segreti di quanti auspicavano un successore che proseguisse l’avventura bergogliana e de-occidentalizzasse ulteriormente la Chiesa cattolica verso le periferie del Sud globale.

Ispirato dalla prudenza, che richiedeva una figura capace di unire una Chiesa profondamente divisa dalla linea pastorale e dallo stile autoritario di Francesco, affinché potesse tornare a guidare i fedeli e illuminare le coscienze nel caos geopolitico attuale — e, si spera, anche ispirato dallo Spirito Santo — il collegio dei cardinali ha scelto una persona sconosciuta al grande pubblico, ma che incarnava i tratti che il cardinale Timothy Dolan auspicava, parlando ai microfoni della NBC prima di salire sull’aereo a New York:

“Mi piacerebbe vedere qualcuno con il vigore, la convinzione e la forza di Giovanni Paolo II. Mi piacerebbe vedere qualcuno con l’intelligenza di Papa Benedetto. Mi piacerebbe vedere qualcuno con il cuore di Papa Francesco... qualcuno con lo stesso stile di Francesco, quel calore, quel cuore, quel sorriso, quella bontà, quell’abbraccio, magari con un po’ della chiarezza nell’insegnamento di Giovanni Paolo e Benedetto, più raffinatezza nella tradizione della Chiesa, e più approfondimento nei tesori del passato per ricordarci cosa Gesù si aspetta da noi oggi.”

Il recupero delle tradizioni della Chiesa è stato ben rappresentato fin dalla prima apparizione di Leone XIV sul balcone, che nulla ha lasciato a desiderare per i cuori innamorati degli splendori della pompa papale: mozzetta e stola ricamata, croce pettorale e processionale in oro, nessuna improvvisazione personalistica, ma un discorso scritto, pronunciato con tono sobrio e con una marcata nota religiosa, centrato sulla predicazione di Cristo risorto e sull’affidamento filiale del suo ministero petrino alla Madonna. Una devozione mariana confermata il giorno seguente dalla sua visita inaspettata al santuario della Madonna del Buon Consiglio a Genazzano, l’affresco ispiratore, dai tratti orientali, trasportato dagli angeli dall’Albania alle porte di Roma, cuore della devozione mariana dell’Ordine agostiniano, al quale il nuovo Papa apparteneva.

Il primo sermone di Leone XIV ai cardinali, nella Cappella Sistina, è stato anch’esso un richiamo a ciò che Gesù si aspetta da noi oggi. Commentando il contesto dell’episodio evangelico della confessione di San Pietro, il suo successore ha sottolineato che è avvenuto in un contesto simile al nostro, cioè “un mondo che considera Gesù una persona totalmente priva d’importanza, al massimo un personaggio curioso” e che “non esiterà a respingerlo e a eliminarlo” quando la sua presenza diventa scomoda; oppure un mondo che lo considera uno che dice cose giuste come altri grandi profeti e lo segue “almeno finché possono farlo senza troppi rischi e inconvenienti”, ma che “lo considerano solo un uomo, e perciò, nel momento del pericolo, durante la Passione, anch’essi lo abbandonano e se ne vanno, delusi”. Secondo il nuovo Papa, questi due atteggiamenti sono molto attuali: “incarnano infatti idee che potremmo ritrovare facilmente – magari espresse con un linguaggio diverso, ma identiche nella sostanza – sulla bocca di molti uomini e donne del nostro tempo”. Anche tra i battezzati, non mancano coloro che riducono Gesù “a una specie di leader carismatico o di superuomo” e che finiscono per “col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto”.

Questa visione dello stato dell’umanità è l’antitesi dell’ottimismo beato che ha presieduto alla convocazione, alle discussioni e alle scelte pastorali del Concilio Vaticano II, basate sull’idea che l’umanità si stesse muovendo verso i valori del Vangelo, e che quindi gli anatemi non fossero più necessari e bastasse una presentazione positiva di quei valori. L’immagine della Chiesa militante doveva essere sostituita da quella della Chiesa pellegrina, in cammino mano nella mano col mondo verso un Regno escatologico dalla collocazione incerta — in questo mondo o nell’altro.

Nulla di tutto ciò si ritrova nella visione del nuovo Papa. Di fronte a un’umanità che disprezza, ignora o svaluta Cristo, egli ci chiama a “testimoniare la fede gioiosa in Cristo Salvatore” e a ripetere con San Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”. Un compito che il suo successore riconosce di aver ricevuto come un tesoro, affinché “col suo aiuto, ne sia fedele amministratore”, in modo che la Chiesa “sia sempre più città posta sul monte, arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo”. Siamo ben lontani dalla Dichiarazione di Abu Dhabi e dalle scandalose affermazioni di Singapore secondo cui tutte le religioni sarebbero vie verso Dio…

È ancora presto per sapere fin dove il nuovo Papa porterà questo programma missionario, ma una cosa sembra chiara: la sua elezione rappresenta un ritorno all’ordine. Speriamo che ciò non si limiti solo all’aspetto esteriore — giacché, come diceva Victor Hugo, “la forma è la sostanza che affiora” — ma anche sul piano dottrinale e disciplinare, affinché l’immensa confusione seminata dal pontificato precedente, con le sue dichiarazioni azzardate e i documenti controversi come Amoris Laetitia e Fiducia Supplicans, possa essere dissipata, e cessino le persecuzioni verso chierici, intellettuali e fedeli emarginati e sanzionati per la loro fedeltà all’insegnamento morale della Chiesa o al suo rito liturgico immemorabile.

Spiegando la scelta del nome Leone, il nuovo pontefice ha dichiarato che una ragione era in memoria di Leone XIII, che gettò le basi della dottrina sociale della Chiesa in risposta alle sfide della Rivoluzione Industriale, così come oggi essa affronta le sfide della nuova rivoluzione digitale. Un’altra spiegazione potrebbe essere il suo affetto per Leone XIII, che nacque nei pressi di Genazzano, fu educato dagli Agostiniani e fu colui che inserì l’invocazione Mater Boni Consilii nelle Litanie Lauretane.

Secondo Le Figaro, il cardinale serbo Ladislav Nemet ha condiviso una battuta che circolava tra i cardinali e offriva un’altra spiegazione per la scelta del nome Leone (“Leo” in latino): “Finora abbiamo avuto Francesco, che parlava con i lupi. Ora abbiamo un leone che scaccerà i lupi.”

Speriamo che lo faccia davvero, dissipando una volta per tutte il “fumo di Satana” entrato nella Chiesa ai tempi di Paolo VI, e ponendo fine al “misterioso processo di autodistruzione” che ha condotto alla crisi attuale. Possa Leone XIV andare oltre le intenzioni dei cardinali elettori (che forse lo hanno scelto come figura di consenso) e riportare davvero la pace nella Chiesa.

Speriamo sia la vera pace di Sant’Agostino — cioè “la tranquillità dell’ordine”, che presuppone l’eliminazione più radicale possibile dei fattori di disordine dottrinale e disciplinare dilaganti in ogni ambiente cattolico, e in particolare in Europa. Con questa speranza, uniamoci alle voci delle migliaia di fedeli che, ai piedi della loggia di San Pietro, hanno acclamato Leone XIV con un fragoroso: “Viva il Papa!”.



Fonte: Voice of the family, 14 maggio 2025. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.





mercoledì 14 maggio 2025

Denatalità, uno studio mostra che l’uomo è a rischio estinzione



Uno studio pubblicato su PLOS One spiega che per garantire il ricambio generazionale e quindi evitare l’estinzione dell’umanità servono 2,7 figli per donna, anziché 2,1 (valore peraltro non raggiunto nella gran parte dei casi) come si era ritenuto finora. Urge un cambio di mentalità e di azione, a favore della vita.


L’allarme dei ricercatori

Vita e bioetica 

Luca Volontè, 14-05-2025

Siamo in pieno “sboom” demografico. Pensavamo che avere 2,1 figli per donna fosse sufficiente a far prosperare l’umanità? Un nuovo studio suggerisce invece che questo parametro potrebbe essere troppo basso, insufficiente per evitarci l’estinzione. Con tale studio, pubblicato sulla rivista scientifica PLOS One e ripreso da molti siti e riviste a livello globale, dei ricercatori taiwanesi ci mostrano la realtà nuda e cruda: il classico "livello di sostituzione" di 2,1 figli, ovvero il tasso di fertilità minimo per garantire il ricambio generazionale, è insufficiente e abbiamo bisogno di circa 2,7 figli per evitare l’estinzione della razza umana dal pianeta. Altro che tutela di scimpanzé, elefanti e tigri della Malesia!

Gli autori giustamente spiegano come il tasso di fertilità di 2,1 figli per donna non tiene pienamente conto della natura imprevedibile della vita, soprattutto nelle popolazioni più piccole. «Oscillazioni casuali nelle nascite, nei decessi e nel numero effettivo di figli possono spazzare via le linee familiari nel tempo», tutti fattori che i ricercatori hanno definito «stocasticità demografica» di cui è necessario tener conto nella verifica e rivalutazione del parametro di sopravvivenza e prosperità della razza umana sul pianeta.

Secondo lo studio, questo elemento casuale diventa cruciale quando si considera la sopravvivenza a lungo termine e così gli autori, utilizzando modelli matematici, hanno scoperto che la soglia reale per evitare l'estinzione in sicurezza è molto più alta di quanto si pensasse in precedenza. «I risultati indicano che il tasso di fertilità dovrebbe superare 2,7 per evitare l'estinzione», si afferma nello studio, una evidenza che incrina considerevolmente la sicurezza offerta dal valore di 2,1 figli per donna, valore peraltro non raggiunto in aree che rappresentano circa due terzi della popolazione mondiale.

«Considerando la stocasticità dei tassi di fertilità e mortalità e del rapporto tra i sessi, i nati maschi sono maggiori delle femmine anche per via degli aborti selettivi crescenti, un tasso di fertilità superiore al livello di sostituzione standard è necessario per garantire la sostenibilità della nostra popolazione», ha affermato in una nota Diane Cuaresma, coautrice dello studio. Poiché i tassi di fertilità nella maggior parte dei Paesi sviluppati sono ben al di sotto della soglia dei 2,7 figli, i ricercatori suggeriscono che «le linee familiari di quasi tutti gli individui sono destinate prima o poi a estinguersi». Sebbene molti grandi Paesi non siano di fronte a un collasso immediato, sulla base delle tendenze attuali, il quadro a lungo termine per le singole linee familiari appare fosco. È interessante notare che lo studio ha anche individuato un potenziale sistema di sicurezza biologico: ripristinare la sostanziale parità di nate femmine e nati maschi. Ciò vorrebbe dire, lo affermiamo noi senza ombra di dubbio, vietare sempre e comunque l’aborto selettivo, diffusissimo in molte comunità asiatiche presenti anche nei Paesi occidentali oltreché in Paesi come India, Bangladesh, Pakistan, eccetera.

Secondo gli autori della ricerca, per sostenere davvero le popolazioni, insieme alle lingue, alle culture e alle storie comunitarie e familiari che rappresentano, è quindi necessario puntare molto più in alto del vecchio obiettivo/tasso di sostituzione di 2,1 figli. Nonostante l’estinzione non sia imminente, è necessario agire per tempo, ben sapendo che senza una costante azione culturale a favore della vita e natalità non sarà possibile risalire la china e salvare l’umanità dall’estinzione. Le Nazioni Unite prevedono che la popolazione mondiale raggiungerà un picco di 10,3 miliardi di persone entro la metà degli anni Ottanta del XXI secolo e poi si fermerà. Un esempio. L'anno scorso, il tasso di fertilità degli Stati Uniti ha toccato un minimo storico. Tra il 2014 e il 2020, il tasso di fertilità è diminuito costantemente del 2% ogni anno, secondo i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC).

In particolare, le donne di età compresa tra i 20 e i 39 anni non hanno lo stesso numero di figli delle generazioni precedenti. Solo a titolo di esempio, secondo uno studio della Michigan State University, pubblicato lo scorso aprile, la percentuale di adulti senza figli negli Stati Uniti che hanno deciso di non volerne è più che raddoppiata negli ultimi due decenni, passando dal 14% del 2002 a un sorprendente 29% nel 2023. «Nello stesso periodo, la percentuale di non genitori che prevede di avere figli in futuro è scesa dal 79% al 59%», aveva dichiarato Jennifer Watling Neal, docente di psicologia alla MSU. Allo stesso tempo, il tasso di fertilità degli Stati Uniti è sceso ancora una volta nel 2023 a soli 54,5 nati per 1.000 donne in età fertile, un nuovo minimo storico. Un problema che sta emergendo anche nel Regno Unito dove ormai si parla di “bomba a tempo” per descrivere la drammatica situazione di denatalità galoppante. Gli ultimi dati mostrano che il numero medio di figli nati da una donna in Inghilterra e Galles nel corso della sua vita è sceso a 1,44 nel 2023, il livello più basso dall'inizio delle registrazioni e statistiche nel 1938, secondo l'Office for National Statistics che ha fatto una semplice equazione realistica: meno figli, meno tasse, meno servizi pagati dal pubblico.

In Italia i dati pubblicati dall’Istat lo scorso marzo confermano l'estinzione in atto e, per altro verso, il sostanziale disinteresse della politica e dei governi degli ultimi 30 anni: molte parole, pochi soldi, meno fatti e ancor meno consapevolezza culturale. Nel 2024 la popolazione italiana è scesa di 37.000 unità a 58,93 milioni; dal 2014 si è ridotta di quasi 1,9 milioni di unità, più degli abitanti di Milano o della Calabria. Il dato dei 370.000 bambini nati nel 2024 significa il 16° calo annuale consecutivo ed è stato il dato più basso dall’Unità d’Italia (1861).

Il resto dell’Unione Europea non sta meglio: nel 2023 sono nati nell'UE 3,67 milioni di bambini, con un calo del 5,4% rispetto ai 3,88 milioni del 2022. Si tratta del maggior calo annuale registrato dal 1961. Il tasso di fertilità totale nel 2023 era di 1,38 nati vivi per donna nell'UE, in calo rispetto all’1,46 del 2022.

Nella nostra scia il Giappone, dove la popolazione cittadina è scesa a 120,3 milioni nell'ottobre 2024, segnando un calo record di 898.000 persone rispetto all'anno precedente e il 13° calo consecutivo della popolazione non straniera: è stato il calo più ampio da quando il governo ha iniziato a raccogliere dati comparabili nel 1950. La Cina vive la medesima crisi epocale di nascite e matrimoni stabili.

Tutto ciò ha un impatto sulla produzione, la crescita economica, i consumi, le politiche abitative, le spese sociali, scolastiche e sanitarie a livello di ogni singolo Paese e globalmente, nonché appunto sulla stessa sopravvivenza dell’umanità.





martedì 13 maggio 2025

Fine vita, lo stop del Governo alla legge toscana non basta




Il Governo ha impugnato alla Consulta la legge toscana sul suicidio assistito. Perché non spetta alle regioni legiferare, ma affinché questa non sia una strategia perdente, è bene affermare la contrarietà ad una legge sul fine vita. Anche per via parlamentare.


Suicidio assistito

Editoriali 



Modalità organizzative per l’attuazione delle sentenze della Corte costituzionale 242/2019 e 135/2024 è il nome della legge della Regione Toscana che ha legittimato il suicidio assistito. Un testo normativo che trova la sua matrice giuridica nella proposta di legge di iniziativa popolare promossa dai Radicali. Per accedere all’aiuto al suicidio il paziente deve essere in possesso dei requisiti indicati dalla Corte costituzionale nelle due sentenze citate nel titolo della legge (qui e qui un approfondimento): la persona deve essere capace di intendere e volere, essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da patologia irreversibile e da sofferenze giudicate intollerabili.

La legge regionale ha poi previsto una procedura per accedere al suicidio assistito: una Commissione multidisciplinare costituita presso ogni Ausl ha l’onere di verificare la sussistenza dei requisiti che abbiamo appena indicato e di appurare che il paziente sia stato informato sulla possibilità di accesso alle cure palliative. La Commissione successivamente chiede un parere al Comitato per l’etica istituito sempre dalla Regione. Se il parere è positivo, la Ausl definisce le modalità per praticare l’aiuto al suicidio, il Comitato per l’etica esprime un suo secondo parere e infine la Commissione predispone il necessario per l’«autosomministrazione del farmaco autorizzato».

Il testo di legge è stato approvato lo scorso 11 febbraio e promulgato il 14 marzo. Il Centrodestra fece immediatamente ricorso al collegio di garanzia della Regione, ma lo perse. Ora ci ha pensato il Consiglio dei Ministri ad impugnare la norma davanti alla Corte Costituzionale. Il motivo principale del ricorso è dato dal conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato: non sta alle Regioni legiferare su questo tema, perché materia riservata esclusivamente allo Stato dall’art 117 della Costituzione: spetta solo allo Stato la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». E la salute è un diritto civile. Sempre secondo la Costituzione spettano in modo concorrenziale allo Stato e alle Regioni «la tutela della salute». Dunque se leggiamo in combinato disposto entrambi gli enunciati ciò significa che lo Stato deve fissare i principi normativi sui diritti civili e sociali e alle Regioni rimane il compito da dare attuazione pratica a questi principi.

Dunque, nel nostro caso, compete solo al Parlamento decidere se un paziente può o non può accedere all’aiuto al suicidio, indicando, in caso positivo, anche i requisiti e le modalità per l’accesso. Una volta deciso che il suicidio assistito è un diritto del paziente, spetterà alle Regioni dare concreta attuazione a queste disposizioni del Parlamento. Nel caso in cui invece le Regioni avochino a sé la regolamentazione della materia sul fine vita – proprio come sta accedendo attualmente – ci potrebbe essere uno strambo federalismo eutanasico: alcune Regioni, come la Regione Toscana, legittimano l’aiuto al suicidio, altre no, come il Veneto, la Lombardia e il Piemonte. Va da sé che invece una materia di questa rilevanza legata a diritti fondamentali della persona come il vivere e il morire non può che essere disciplinata in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. E questo può avvenire solo grazie al Parlamento.

Non spetta poi alle Regioni legiferare sull’aiuto al suicidio, perché, a ben vedere, la materia non è quella relativa alla salute dei cittadini, ma la materia riguarda il diritto penale e dunque, sempre ex art 117 Cost, di spettanza esclusiva del Parlamento. Infatti la Corte Costituzionale, secondo molti interpreti tra cui anche i proponenti la legge toscana (ma noi non siamo tra questi), non ha riconosciuto un nuovo diritto, la legittimazione al suicidio assistito, bensì ha ridotto l’ambito delle condotte penalmente rilevanti in merito al reato di aiuto al suicidio ex art. 580 cp. Dunque se la materia ha natura penale di certo non possono normare su di essa le Regioni.

Infine spetta al Parlamento e non alle Regioni legiferare sul tema perché, più banalmente, è stata la stessa Corte Costituzionale a chiederlo esplicitamente più volte al Parlamento. La Consulta non l’ha chiesto alle Regioni, bensì al Parlamento.

A tal proposito si obietterà che il Parlamento è obbligato a legiferare su questa materia proprio perché la Corte costituzionale glielo ha chiesto. No, non c’è obbligo sia perché il potere legislativo è autonomo rispetto a quello giudiziario, sia perché l’iniziativa legislativa, ex. art. 70 Cost. non spetta ai giudici. Giudici che, nel caso delle due sentenze già citate della Consulta, hanno invece giocato a fare i parlamentari.

Detto tutto ciò, concentrare la strategia per opporsi alla legge toscana solo sul conflitto di poteri, aspetto sicuramente da far valere davanti alla Consulta, è comunque una strategia perdente perché, così facendo, già si è accettato il principio contrario a morale – sì al suicidio assistito – facendo opposizione non sull’oggetto del contendere – appunto la liceità giuridica e morale del suicidio assistito – ma solo sul soggetto chiamato a legiferare. È un po’ come se tutti fossero d’accordo che Tizio debba essere ucciso e ci si dividesse solo sul nome del killer. A ben vedere, questo più che un esempio è la descrizione fedele della realtà.




Tempi di Maria, tempi di consacrazione al suo Cuore



Da Fatima in poi, la Madonna ha ripetutamente chiesto la consacrazione al suo Cuore Immacolato. Un libro di Pietro M. Pedalino passa in rassegna apparizioni e santi che spiegano la necessità di questa consacrazione per resistere alle insidie del demonio.


Il libro

Ecclesia



Ermes Dovico,  13-05-2025

Sono passati 108 anni dall’inizio delle apparizioni di Fatima, in cui la Madonna venne a stabilire nel mondo la devozione al suo Cuore Immacolato, secondo un preciso disegno di Dio, come la Santa Vergine stessa rivelò ai tre pastorelli. Da quel fondamentale ciclo mariano, passando attraverso altre apparizioni, si sono moltiplicati gli appelli della Madre celeste a consacrarsi al suo Cuore come mezzo per appartenere più perfettamente a Gesù e quindi conseguire più facilmente la salvezza eterna. Sono appelli, quelli di Maria, che ci dicono che la battaglia escatologica contro Satana si sta progressivamente intensificando e siamo dentro quel quadro di profezie bibliche di cui il capitolo 12 dell’Apocalisse è lo snodo centrale.


Questa è la riflessione di fondo di un libro fresco di stampa, Tempi di Maria e Consacrazione al Cuore Immacolato (Ares, 2025), scritto da fratel Pietro Maria Pedalino. L’autore, un consacrato laico francescano, si sofferma su una serie di apparizioni mariane dell’età contemporanea (in specie da quelle di Rue du Bac, nel 1830, in poi), collegando i messaggi e le richieste della Madonna a quanto contenuto nella Bibbia e alle parole di vari santi, il tutto con uno sguardo a certe tendenze moderniste nella Chiesa e a quanto sta avvenendo più in generale nelle nostre società, sempre più dimentiche di Dio e dei suoi comandamenti. Come diceva il venerabile Pio XII in un discorso del 1952 citato nel libro di Pedalino, negli ultimi secoli il demonio è riuscito a plasmare «un’economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio. Il “nemico” si è adoperato e si adopera perché Cristo sia un estraneo nelle Università, nella scuola, nella famiglia, nell’amministrazione della giustizia, nell’attività legislativa, nel consesso delle nazioni, là ove si determina la pace o la guerra. Esso sta corrompendo il mondo con una stampa e con spettacoli, che uccidono il pudore nei giovani e nelle fanciulle e distruggono l’amore fra gli sposi; inculca un nazionalismo che conduce alla guerra» (Discorso agli uomini di Azione Cattolica, 12 ottobre 1952).

Contro questo male dilagante nel mondo che si traduce poi nella dannazione eterna di tante anime, la Madonna è venuta a indicarci il grande rimedio della consacrazione al suo Cuore Immacolato: un rimedio sicuro per ogni singola persona, le famiglie, le nazioni, la Chiesa e il mondo intero, un rimedio donatoci appunto da Dio stesso, che vuole che ogni realtà umana si rifugi in questo Cuore materno, nel quale il Maligno non è mai riuscito a entrare.

L’espressione “Tempi di Maria” richiama l’insegnamento di san Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716) che nel suo capolavoro – il Trattato della vera devozione alla Santa Vergine – spiega proprio l’importanza di consacrarsi alla Madre celeste. Il Montfort parla dei consacrati a Maria come «veri apostoli degli ultimi tempi», i quali «saranno veri discepoli di Gesù Cristo secondo le orme della sua povertà, umiltà, disprezzo del mondo e carità, insegneranno la via stretta di Dio nella pura verità, secondo il santo Vangelo, e non secondo i canoni del mondo (...). Avranno in bocca la spada a due tagli della parola di Dio e porteranno sulle spalle lo stendardo insanguinato della Croce, il crocifisso nella mano destra, la corona nella sinistra, i sacri nomi di Gesù e di Maria sul cuore, la modestia e la mortificazione di Gesù Cristo in tutta la loro condotta» (cfr. VD, 58-59).

Avvicinandoci ai giorni nostri, troviamo un altro grande santo che ha sottolineato la necessità di consacrarsi al Cuore Immacolato di Maria: san Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941), martire nel campo di concentramento di Auschwitz. Nell’atto di consacrazione proposto dal fondatore della Milizia dell’Immacolata ci si offre alla Santa Vergine come sua «cosa e proprietà». Non a caso, negli scritti del santo polacco si insiste sul fatto che la consacrazione a Maria, per essere autentica, deve essere illimitata. E questa totale donazione di sé, nell’ottica dell’apostolato di padre Kolbe, va propagata su tutta la terra perché, attraverso Maria, Dio regni nei cuori di tutti.





lunedì 12 maggio 2025

Marcia in difesa della vita, grande partecipazione e testimonianze



In marcia in 10mila in difesa della vita a Roma. Testimonianze di madri, prigionieri di coscienza e un malato di Sla per la difesa di un diritto inviolabile in ogni fase dell'esistenza umana, sin dal concepimento.


Fabio Piemonte, 12-05-2025

Dal bambino nel grembo materno all’anziano allo stadio terminale: ogni vita ha il diritto di essere difesa e custodita dal primo all’ultimo respiro, semplicemente perché umana. Per questa ragione 10mila persone si sono ritrovate sabato 10 maggio alle ore 14 in Piazza della Repubblica per ribadire il loro sì alla vita senza compromessi per la quarta edizione della Manifestazione Nazionale “Scegliamo la Vita” 2025.

Sono soprattutto tante giovani famiglie a sfilare per le vie del centro di Roma, 110 le associazioni aderenti. Uomini, donne e bambini con palloncini colorati, bandiere e striscioni, contenti di essere «la generazione per la vita», come recita un cartoncino che espongono. Anche perché «finché Provita, c’è speranza», recita un’altra iscrizione.

In Piazza della Repubblica - insieme ai due coordinatori dell’evento Massimo Gandolfini e Maria Rachele Ruiu – ci sono per un breve saluto anche Teodora e Paul della “March for Life Bucharest” e Marie Gabrielle, Agathe ed Emrik della “Marcia per la Vita Parigi”, a testimonianza della necessità di una cooperazione e mobilitazione internazionale sulla difesa del diritto alla vita di ogni uomo.

Una giovane mamma, Aurora, rievoca piangendo come abbia solo potuto pensare all’idea di abortire suo figlio. Però nel contempo ricorda, in special modo grazie al prezioso supporto ricevuto da alcuni volontari dei Centri per la Vita, che «ora Edoardo ha due mesi ed è la mia vita, la mia gioia più grande». Livia Tossici-Bolt – condannata nel Regno Unito lo scorso aprile a pagare 20mila sterline e a 2 anni di carcere semplicemente per aver sostato in silenzio nella ‘zona cuscinetto’ di una clinica abortista con un cartello tra le mani: «Here to talk if you want» («Qui per parlare, se vuoi») – testimonia come nel Regno Unito sia minacciata persino la libertà di pregare silenziosamente e di espressione.


«Non sono un problema da risolvere, ma una persona da ascoltare. Ho una malattia rara (la Sla, ndr), ma ho scelto di non mollare. E questo si chiama vivere. Non c’è un tasso minimo di perfezione per meritare la vita. Qualcuno ha deciso che ne valesse la pena e io non me la sento di dargli torto!». Con voce determinata racconta così dalla sedia a rotelle il suo amore per la vita Emanuel Cosmin Stoica, giovane attivista per i diritti dei disabili e influencer. Al termine della sua testimonianza lo stesso decide proprio dal palco della Manifestazione di fare la proposta di matrimonio alla sua fidanzata, tra le lacrime di gioia di lei che pronuncia subito il suo sì e la commozione degli astanti.

Sul palco sale anche Maurizio Marrone - Assessore alle Politiche Sociali e alla Famiglia della Regione Piemonte - il quale, grazie al Fondo Vita Nascente, sta portando avanti politiche di sostegno alla natalità e alle famiglie. Infatti dalla Regione «orgogliosamente amica della vita e della famiglia, sono arrivati in tre anni 2 milioni e mezzo di euro che si sono trasformati in sussidi concreti di supporto a famiglie e mamme in difficoltà per un figlio inaspettato o indesiderato e che, nonostante le difficoltà, hanno portato a termine la gravidanza, anche grazie al prezioso supporto dei volontari dei Centri per la Vita. Ai partecipanti alla Manifestazione anche il Presidente della Camera Lorenzo Fontana fa pervenire il suo saluto, «perché è possibile sperare, amare e garantire il diritto alla vita per tutti». D’altra parte gli stessi organizzatori a più riprese chiedono al Governo dal palco «più coraggio» nelle politiche nazionali in favore della natalità anche per porre un argine a un declino demografico del nostro Paese che pare inarrestabile.

Con un breve videomessaggio Eduardo Verastegui - celebre attore e produttore messicano interprete dei film Bella, Cristiada e The sound of freedom e del cortometraggio Il circo della farfalla - ribadisce l’esigenza di fare ciascuno la propria parte: «Difendiamo la vita sempre con la nostra vita».

Durante il corteo fanno capolino anche alcune femministe che contestano la Manifestazione con lo striscione «Prima o poi abortiamo pure voi. Roma vi schifa» e i cori «Le femmine pro vita si chiudono col fuoco», mentre alzano il dito medio. Eppure costoro dimenticano che le loro stesse madri sono pro vita, dal momento che le hanno custodite in grembo e fatte venire alla luce.

È la rock band The Marcos ad accogliere il popolo della vita ai Fori Imperiali sulle note di Viva
la mamma di Bennato per un momento di musica live.

«Siamo contenti che la Manifestazione “Scegliamo la Vita” si svolga a due giorni dall’elezione di Papa Leone XIV, il quale siamo certi alzerà forte la voce per la dignità umana in ogni fase della sua esistenza e contro tutte le forme di offesa che ne disprezzano il valore innato, come dimostrato partecipando da Vescovo alla Marcia per la Vita in Perù e affermando l’urgenza di “difendere la vita umana in ogni momento”», esprimono infine dal palco Gandolfini e Ruiu.

In effetti «i pro vita sono la maggioranza» nel Paese, per quanto silenziata dai media e dall’ideologia woke dominante. Perciò è fondamentale che, attraverso “Scegliamo la Vita” almeno una volta all’anno tornino in piazza a manifestare pubblicamente contro la ‘cultura dello scarto’ la bellezza del dono della vita di ciascun essere umano, in special modo quando è più indifesa e fragile.






Il nome Leone e la Dottrina sociale della Chiesa










Il nuovo pontefice ha scelto di richiamarsi a Leone XIII e alla Rerum novarum: un'enciclica da inquadrare nell'intero corpus del pensiero di papa Pecci. Alcuni aspetti da chiarire affinché non resti un richiamo generico.



 Magistero
Dottrina sociale


Stefano Fontana, 12-05-2025

Parlando ai cardinali, Leone XIV ha soddisfatto, almeno in parte, gli interrogativi sui motivi della scelta del nome, esprimendosi in questo modo: «Proprio sentendomi chiamato a proseguire in questa scia, ho pensato di prendere il nome di Leone XIV. Diverse sono le ragioni, però principalmente perché il Papa Leone XIII, infatti, con la storica Enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un'altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell'intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro».

Come valutare questo richiamo alla Dottrina sociale della Chiesa? A prima vista è da valutare in modo positivo. Chi scrive ha di recente pubblicato un articolo per sostenere che nel pontificato di Francesco la Dottrina sociale della Chiesa era stata completamente messa da parte, quindi risulta apprezzabile questo suo recupero, anche se per il momento si tratta solo di un accenno. Anche in questo caso, come in altri pronunciamenti di papa Leone in questi primi giorni del suo pontificato, bisogna attendere i concreti sviluppi.
Nel caso specifico della Dottrina sociale della Chiesa sono soprattutto tre gli aspetti che andranno chiariti.

Il primo è in cosa consisterà il richiamo a Leone XIII e alla Rerum novarum, ossia quanto e cosa verrà ripreso del suo insegnamento. Si tratta solo di un richiamo generico al fondatore della Dottrina sociale della Chiesa nell’epoca moderna, oppure si intende riprendere in modo specifico qualche aspetto del suo insegnamento? Tutti coloro che si rifanno alla Dottrina sociale citano Leone XIII, poi però riconsiderano gran parte del suo pensiero ritenuto non più adatto ai tempi o comunque bisognoso di approfondimenti. Possiamo fare un caso tra i più rilevanti: Giovanni Paolo II, commemorando nella Laborem exercens la Rerum novarum ribadisce che non esiste soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo, confermando così il testo di Leone XIII, ma quando si occupa del diritto del lavoratore al riposo festivo non lo intende più come culto pubblico a Dio, ma come espressione della libertà religiosa. Le due cose difficilmente possono stare insieme.

Il secondo aspetto del richiamo a Leone XIII è che la Rerum novarum non era una enciclica isolata ma inserita in un corpus di pensiero ampio che riguardava la corretta filosofia da adoperare, il fondamento dell’autorità civile, i doveri dei fedeli cattolici, la libertà politica, la natura della democrazia, l’esistenza di un ordine naturale nelle cose che riguardano la vita sociale, i rapporti tra politica e religione e così via. Augusto Del Noce aveva detto che Leone XIII era stato il più grande filosofo cattolico dell’Ottocento e che se togliamo la Rerum novarum da questo contesto di pensiero risulta incomprensibile. Ne terrà conto il nuovo Leone?

Un terzo ed ultimo aspetto riguarda la continuità con Francesco. Questa continuità era già evidente nel primo discorso dalla loggia delle Benedizioni l’8 maggio scorso, come abbiamo osservato altrove. Negli appuntamenti dei giorni successivi, in particolare nell’incontro con i cardinali, questa continuità è stata ampiamente ribadita anche in modo articolato, ossia richiamando alcune linee del pontificato di Francesco. Però in molte cose questo pontificato era contrario alla Dottrina sociale della Chiesa in quanto tale. Se Leone intendesse riprendere tutto il pontificato precedente, ossia una linea teologica e magisteriale reinterpretata completamente in continuità, troverebbe grandi difficoltà a riprendere la Dottrina sociale della Chiesa come egli dice di voler fare. A meno di non trasformarla, ma in questo caso il richiamo a Leone XIII perderebbe di peso.




domenica 11 maggio 2025

Sei ragioni per cui tornano le balaustre d’altare e si ravviva la devozione eucaristica



Immagine generata con l’intelligenza artificiale 
(ChatGPT – DALL·E), modificata con Canva Pro



di John Horvat

In chiese di tutto il Paese, i parroci stanno installando nuovamente le balaustre d’altare. Alcune parrocchie le stanno riportando in chiese antiche, dopo che erano state rimosse decenni fa. Altre le stanno aggiungendo a chiese nuove che non le avevano mai avute.

Le balaustre stanno tornando per richiesta popolare. Stanno cambiando il modo in cui i fedeli percepiscono la Santa Eucaristia. E soprattutto, questo ritorno è molto apprezzato e sta risvegliando entusiasmo tra i fedeli.

Dopo il Concilio Vaticano II, molte chiese rimossero le balaustre d’altare, sostenendo che esse separavano “il popolo di Dio” dal sacerdote nel presbiterio. L’idea era trasformare la Messa in “un’esperienza di culto condivisa e comunitaria”. Tuttavia, ciò comportò anche la perdita del senso del sacro che un tempo dominava la chiesa, e la devozione eucaristica ne risentì.

Un catechismo scolpito nella pietra

La rimozione delle balaustre d’altare ha confermato ciò che tutti sanno sull’architettura e il design delle chiese: la chiesa non è uno spazio neutro. Ogni suo aspetto dovrebbe essere carico di significato e simbolismo. La chiesa è un catechismo in pietra che insegna al popolo a conoscere e amare Dio più profondamente.

Quando il Santissimo Sacramento non viene più trattato come qualcosa di sacro e non viene collocato in un luogo centrale e visibile, le persone smettono di credere nella Presenza Reale — una realtà confermata anche dai sondaggi.

Trasformare le parrocchie

In un eccellente articolo pubblicato sul National Catholic Register, il giornalista Joseph Pronechen riferisce come tutto ciò sia cambiato con la diffusione delle balaustre d’altare. Il ritorno delle balaustre sta trasformando le parrocchie ed è accolto con entusiasmo dai cattolici di tutte le età, compresi i giovani che non le avevano mai conosciute.

I fedeli nei banchi citano molte ragioni per cui si sentono attratti da questi semplici divisori. Anche i parroci restano sorpresi dalla rapidità con cui questo gesto apparentemente semplice ha ravvivato la devozione eucaristica.

Ci sono sei ragioni per cui i cattolici accolgono con favore il ritorno delle balaustre d’altare.

Un modo più riverente di ricevere l’Eucaristia

Anzitutto, la balaustra rende la ricezione dell’Eucaristia più riverente. I fedeli apprezzano il tempo supplementare offerto dalla sosta alla balaustra per riflettere su Chi stanno per ricevere. Si crea così un’atmosfera di raccoglimento, in cui chi si accosta alla Comunione non sente fretta di sbrigrasi. La ricezione diventa un momento breve ma intimo tra Cristo e il comunicando.

Quando viene data la possibilità di scegliere, circa il 90% dei fedeli preferisce inginocchiarsi alla balaustra. Molti di coloro che si inginocchiano si sentono anche spinti a ricevere la Comunione sulla lingua.

Un senso di confine e di timore reverenziale


In secondo luogo, la balaustra d’altare trasmette un senso di confine sacro e di timore reverenziale. Padre Matthew Tomeny, dei Marian Fathers e rettore del Santuario Nazionale della Divina Misericordia a Stockbridge, Massachusetts, ha ricordato che la balaustra è “vista come un’estensione dell’altare, talvolta chiamata ‘l’altare del popolo’. È quella soglia tra il cielo e la terra, dove il cielo è rappresentato dal santuario e la terra dalla navata dove si raduna il popolo.”

In terzo luogo, inginocchiarsi per ricevere il Signore è la più grande espressione fisica di umiltà, riverenza e adorazione. Esprimersi in un modo così forte e diverso non può che influenzare il modo in cui si comprende l’Eucaristia. Il corpo manifesta lo stupore e la meraviglia dell’anima davanti a un così grande mistero.

Altre considerazioni

La quarta ragione è che i parroci riferiscono come la balaustra sia di per sé un elemento di bellezza e simbolismo che attira le persone alla parrocchia. I fedeli percepiscono una maggiore devozione verso il Signore presente nel Santissimo Sacramento e si avvicinano alla comunità. In particolare, molte famiglie giovani si sentono attratte e desiderano unirsi a parrocchie dove la Comunione viene ricevuta in modo più riverente. Un parroco ha riferito che il ritorno delle balaustre ha portato a una grande crescita spirituale e a una più profonda comprensione del significato della Presenza Reale.

Un’altra ragione è di ordine più pratico. Alcuni parroci osservano che l’uso della balaustra ha reso più semplice e veloce la distribuzione della Santa Comunione, al punto da rendere superflua la presenza di ministri straordinari. I chierichetti notano inoltre che, con l’area del presbiterio delimitata, ci sono meno distrazioni.

Infine, le balaustre servono anche come luogo di devozione al di fuori della Comunione e della Messa. I fedeli trovano comodo inginocchiarsi alla balaustra per pregare davanti al Santissimo Sacramento. L’assenza della balaustra rappresentava una barriera che impediva alle persone di avvicinarsi all’altare per pregare. Le nuove balaustre, invece, le invitano ad accostarsi per una devozione più intima.

Una proposta vincente rifiutata

Il ritorno della balaustra d’altare dovrebbe essere un modello a livello nazionale per ravvivare la devozione eucaristica. Le storie di successo delle parrocchie che le hanno reintrodotte dovrebbero ispirarne molte altre a fare lo stesso.

Tuttavia, non tutti sono favorevoli a questi cambiamenti — nemmeno in questi tempi “sinodali”, in cui si invita ufficialmente ad ascoltare i parrocchiani.

La rimozione delle balaustre fu una scelta deliberata da parte di cattolici progressisti decisi a “devastare” le chiese dopo il Concilio. Chi ancora oggi aderisce a questa ideologia progressista non nasconde le ragioni della rimozione né mostra alcun rimorso. Sostengono che l’eliminazione delle balaustre contribuisca a creare uno spazio più accogliente e inclusivo per tutti, a prescindere da background o convinzioni. Il loro intento era promuovere una visione più egualitaria — e teologicamente scorretta — di Dio e della Chiesa, e la rimozione della balaustra della Comunione era perfettamente coerente con tale obiettivo.


Fonte





Fonte: Tfp.org, 5 maggio 2025. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.