venerdì 20 giugno 2025

Aborto senza limiti di tempo, la Gran Bretagna sfonda il tabù



Il Parlamento inglese modifica il Crime and Policing Bill consentendo l'aborto senza limiti di tempo e non come adesso fino alla 24esima settimana. Emendamento appoggiato dal governo Starmer che apre a una spirale aberrante.



Fabrizio Cannone, 20-06-2025

Martedì 17 la netta maggioranza dei deputati e delle deputate del Parlamento inglese (379 contro 137) ha votato una modifica del Crime and Policing Bill a proposito della cosiddetta interruzione di gravidanza (Ivg). Interruzione, per non dire «soppressione di gravidanza», che in Gran Bretagna è ammessa dal lontano 1967 (Abortion act), ma solo entro la 24esima settimana dal concepimento e con l’assenso scritto di almeno due medici.

L’attuale depenalizzazione invece, sostenuta con gran forza dai progressisti e avversata dai vescovi e da molti conservatori, permetterà ora a tutte le donne maggiorenni del regno di non essere mai «inquisite o processate» a causa di un aborto volontario. E ciò, questa la sconvolgente novità, senza alcun limite di tempo rispetto al concepimento e alla nascita del bambino. L’emendamento dovrà terminare il suo iter legislativo presso le due camere del Parlamento certo, ma la situazione per la vita umana in Gran Bretagna appare preoccupante. Anche perché lo stesso premier Keir Starmer ha detto di appoggiare l’aberrante emendamento.

Cade quindi in un paese importante dell’Europa occidentale, un limite giuridico e morale che i pro aborto hanno sempre dichiarato come logico e necessario. Il limite etico e medico all’aborto procurato, da praticarsi comunque entro alcuni periodi «rigidamente» previsti dalla legge sulla base dello «sviluppo del feto».

Shabana Mahmood, ministro della giustizia inglese, si è dichiarata contraria, benché laburista, alla riforma della legge in senso anti vita. Esprimendo a più riprese «vive inquietudini» a proposito di queste «modifiche legislative» che potranno, secondo lei, «incitare le donne» ad abortire in «condizioni pericolose», per esempio «a domicilio».

La legge del 1967 prevedeva, per la verità, la possibilità dell’aborto anche dopo la 24esima settimana, ma solo nel caso raro ed estremo del «rischio di vita» della donna incinta, da operarsi d’urgenza. Del resto, la stampa laica ignora che per la morale cristiana, non è illecito operare la donna per cercare di salvarla, per esempio da un tumore maligno, correndo il rischio di causare la morte dell’embrione che porta. Purché il medico operi con l’obiettivo di «salvare una vita» (in questo caso quella della madre) e non con l’intenzione di sopprimerne una (quella del nascituro).

La deputata Tonia Antoniazzi, laburista, ha presentato l’emendamento appena approvato, dandogli un senso fortemente liberale e libertario: la polizia e la magistratura, in definitiva, non potranno più chiedere conto alla donna che ha abortito, e questo in pratica fino al momento della nascita dell’infante. Il che è purtroppo già possibile e legale in tantissimi paesi del mondo: dalla Cina alla Russia, da alcuni stati americani all’India, ed anche in Francia, Scandinavia e Belgio quando si tratta del cosiddetto «aborto terapeutico» (per esempio per evitare la nascita di un bambino affetto da malattia giudicata «invalidante» e «inguaribile» come l’autismo).

Un’altra deputata della sinistra inglese, Stella Creasey, ha proposto che cadessero altri «paletti» della legge del 1967. E che dunque l’aborto fosse ormai considerato a Londra, esattamente come a Parigi, come un «diritto assoluto della donna». Ma questo emendamento non è passato. Come non è passato un emendamento del campo conservatore, dovuto a Caroline Johnson, che aveva chiesto alla Camera di istaurare «l’obbligo di un consulto medico» prima della prescrizione di una qualunque «pillola abortiva».

Secondo Il Post, il successo dell’emendamento pro aborto, definito di «decriminalizzazione», è dovuto al fatto che recentemente varie donne sarebbero state processate per aver abortito oltre i termini di legge: il loro numero ammonterebbe a «più di 100 negli ultimi dieci anni», e ad «almeno sette dal dicembre del 2022».

Ma entrare in questa spirale è pericoloso. Se molti violano la legge, si deve cambiare la legge e alleggerirla, o rafforzarla? Abolire qualunque limite di velocità come risposta «etica» ai pirati della strada è forse la soluzione, quando non si riesce a far rispettare una norma? Il vero problema è che le tre ideologie denunciate da oltre un mese da papa Leone, «l’indifferentismo, il materialismo e l’individualismo» ci stanno impedendo di cogliere l’ovvio: ogni vita, di qualunque essere umano, in qualunque condizione, inizia dal concepimento.





Andrea Grillo, il giovane Carlo Acutis e la “maleducazione eucaristica”: quando i teologi criticano i santi


Carlo Acutis, Servo di Dio

Articolo scritto da Jaime Gurpegui, pubblicato su Infovaticana, nella traduzione automatica curata da Sabino Paciolla (20 giugno 2025).
Per completezza di informazione, e per chi volesse proprio proprio “gustare” le “acute” riflessioni teologiche di Andrea Grillo, può leggere qui il testo di cui si parla nell’articolo che segue di Jaime Gurpegui.



“Maleducazione eucaristica” o teologia malnutrita: quando i teologi criticano i santi


Jaime Gurpegui

La recente invettiva di Andrea Grillo contro il beato Carlo Acutis – pubblicata il 17 giugno sul blog Come se non, ospitato dalla rivista Munera – merita di figurare in un’antologia del progressismo teologico: non per la sua brillantezza, ma per la sua prevedibilità, accanimento e cecità.

L’articolo di Grillo, intitolato Il giovane Carlo Acutis e la maleducazione eucaristica, pretende di «salvare» Carlo dai «cattivi maestri» che – secondo lui – lo avrebbero sviato verso una visione arcaica e miracolistica dell’Eucaristia. Il problema, però, non è Carlo. È Grillo.

Un adolescente contro settantenni disillusi

Cosa infastidisce tanto Grillo? Che un adolescente di 14 anni avesse abbastanza fede da credere nei miracoli eucaristici? Che promuovesse una mostra internazionale con decine di casi documentati, sostenuta dai vescovi e approvata dalla Chiesa? O che quello stesso adolescente, senza passare dai suoi seminari di pensiero o dai suoi blog, oggi sia beato e cammini verso gli altari?

Grillo si scandalizza del fatto che Carlo non abbia sviluppato una «teologia eucaristica moderna», come se un ragazzo di 14 anni dovesse scrivere Ecclesia de Eucharistia per essere santo. Lo accusa di ossessione per «l’inessenziale», perché si è concentrato sui miracoli, invece di tenere conferenze sul «corpo ecclesiale».

Ma ciò che l’articolo mette davvero in evidenza è un’altra cosa: che molti teologi sono infastiditi dalla santità quando non possono controllarla, quando non esce dalle loro cattedre, quando non obbedisce al loro gergo logoro e alla loro liturgia disincarnata.

L’architetto della repressione liturgica

Non è un dettaglio da poco: Andrea Grillo è stato il principale ideatore di Traditionis Custodes. Molti a Roma lo riconoscono come il teologo di riferimento di Papa Francesco in materia liturgica, lo stesso che ha definito la Messa tradizionale un «rito chiuso, inerte e senza vigore» e ne ha chiesto la definitiva scomparsa.

Grillo non solo è stato l’ispiratore del motu proprio che ha soffocato la Messa tradizionale, ma ha anche difeso apertamente posizioni incompatibili con la fede cattolica: Benedizione delle unioni omosessuali: nel suo libro Può una madre non benedire i propri figli? (2021), ne promuove il riconoscimento pastorale.
Negazione della transustanziazione: ha affermato che «Transubstantiatio non è un dogma» e che «contraddice la metafisica» (Munera, 17/12/2017).
Ordinazione femminile: sostiene l’apertura del diaconato alle donne (Munera, 9/11/2017; Adista, 25/5/2019).
Uso dei contraccettivi: firmatario della Catholic Scholars’ Statement (Wijngaards Institute, 2016), che chiede di ammetterne la legittimità morale.
Relativismo morale: nega che la Chiesa abbia autorità definitiva in materia di morale sessuale (Munera, 30/6/2021).
Indissolubilità del matrimonio: suggerisce di sostituirla con il concetto di «legame indisponibile» (Munera, febbraio 2014).

Questo è il teologo che oggi accusa Carlo Acutis di «maleducazione eucaristica». Il contrasto non potrebbe essere più eloquente: un adolescente innamorato dell’Eucaristia e un professore che ne nega i fondamenti più elementari.

Disprezzo per il soprannaturale

La parte più rivelatrice dell’articolo è quella in cui Grillo critica le parole di tre prelati che introducono la raccolta dei miracoli eucaristici compilata da Carlo. Non per ciò che dicono – che è teologicamente ortodosso – ma perché «sembrano provenire da un altro mondo», perché insistono sulla presenza reale, perché parlano di prodigi, di conversioni, di segni che commuovono.

Nel mondo di Grillo, questo è «maleducazione eucaristica».

Ma nel mondo dei santi, questa è fede cattolica.

Che i miracoli non sono «oggetto di fede»? D’accordo. Ma la Chiesa li ha sempre considerati segni provvidenziali, aiuti alla conversione, e non ostacoli. Da quando difendere la transustanziazione con parole chiare e dirette – come fa padre Coggi – è un errore teologico?

Forse il problema non è Carlo. Il problema è che molti adulti si sono abituati a una liturgia senza mistero, a una messa senza presenza reale, a un’Eucaristia senza adorazione. E quando un giovane osa ricordare che «l’Eucaristia è la mia autostrada per il Paradiso», lo accusano di superstizione.

La nuova eresia: credere nei miracoli

Grillo conclude accusando coloro che circondavano Carlo – e coloro che diffondono la sua eredità – di essere responsabili di una «grave maleducazione eucaristica».

Grillo teme che i giovani imitino Carlo. Noi lo aspettiamo con ansia.







giovedì 19 giugno 2025

Festa del Corpus Domini: il Ss. Sacramento al centro della Liturgia.



giovedì 19 giugno 2025

La Festa del Corpus Domini segue la prima Domenica dopo Pentecoste. Qui il proprio della Messa - qui l'Ordinario. Trovate precedenti interessanti qui - qui.
Abbiamo notizia che Leone XIV ripristinerà la liturgia sul sagrato della Basilica lateranense e, a seguire, la processione per raggiungere Santa Maria Maggiore. Ovviamente, domenica, secondo il Novus Ordo.



Intróitus

Ps 17:19-20.-Ps 80:17. - Cibávit eos ex ádipe fruménti, allelúja: et de petra, melle saturávit eos, allelúja, allelúja, allelúja. ~ Ps 80:2 - Exsultáte Deo, adjutóri nostro: jubiláte Deo Jacob. ~ Glória ~ Cibávit eos ex ádipe fruménti... Introito
Ps 80:17. - Li ha nutriti col fiore del frumento, alleluia: e li ha saziati col miele scaturito dalla roccia, alleluia, alleluia, alleluia. ~ Ps 80:2 - Esultate in Dio nostro aiuto: rallegratevi nel Dio di Giacobbe. ~ Gloria ~ Li ha nutriti col fiore del frumento

Il lume dello Spirito Santo che è venuto ad accrescere nella Chiesa l'intelligenza sempre più viva del mistero dell'augusta Trinità la porta a contemplare in seguito quell'altra meraviglia che racchiude per se stessa tutte le operazioni del Verbo incarnato, e ci conduce fin da questa vita all'unione divina. Il mistero della Santissima Eucaristia sta per apparire in tutto il suo splendore, ed è necessario disporre gli occhi della nostra anima a ricevere in modo salutare l'irradiazione che ci attende. Come non siano stati mai senza la nozione del mistero della Santissima Trinità e i nostri omaggi si sono sempre rivolti ad essa, così pure la Santissima Eucaristia non ha mai cessato di accompagnarci lungo tutto il corso di questo Anno liturgico sia come mezzo per rendere i nostri omaggi alla suprema Maestà, sia come alimento della vita soprannaturale. Possiamo dire che questi due ineffabili misteri ci sono noti, che li amiamo; ma le grazie della Pentecoste ci hanno aperto un nuovo ingresso in quello che hanno di più intimo, e se il primo ci è apparso ieri circonfuso dai raggi d'una luce più viva, il secondo risplenderà presto per noi d'una chiarezza che l'occhio della nostra anima non aveva ancora percepita.

Essendo la Santissima Trinità, come abbiamo mostrato, l'oggetto essenziale di tutta la religione, il centro a cui convergono tutti i nostri omaggi anche quando sembra che non ne abbiamo una intenzione immediata, si può anche dire che la divina Eucaristia è il mezzo più potente di rendere a Dio il culto che gli è dovuto, ed è per essa che la terra si unisce al cielo. È dunque facile comprendere la ragione del ritardo che la santa Chiesa ha avuto nell'istituire le due solennità che succedono immediatamente a quella della Pentecoste. Tutti i misteri che abbiamo celebrati finora erano contenuti nell'augusto Sacramento che è il memoriale e come il compendio delle meraviglie che il Signore ha operate per noi (Sal 110,4). La realtà della presenza di Cristo sotto le specie sacramentali faceva sì che nell'Ostia noi riconoscessimo nel tempo di Natale il Bambino che ci era nato, nel tempo della Passione la vittima che ci riscattava, nel tempo Pasquale il trionfatore della morte. Non potevamo celebrare tutti quei misteri senza chiamare in nostro aiuto l'immortale Sacrificio, ed esso non poteva essere offerto senza rinnovarli e riprodurli.

Le feste stesse della Santissima Vergine e dei Santi ci mantenevano nella contemplazione del divin Sacramento. Maria, che abbiamo onorata nelle sue solennità dell'Immacolata Concezione, della Purificazione, dell'Annunciazione, non ha forse alimentato con la propria sostanza quel corpo e quel sangue che offriamo sull'altare? La forza invincibile degli Apostoli e dei Martiri che abbiamo celebrati, non l'hanno forse essi attinta nel sacro alimento che dà l'ardore e la costanza? I Confessori e i Vergini non ci sono apparsi come il fiorire del campo della Chiesa che si copre di spighe e di grappoli d'uva grazie alla fecondità che gli dona Colui che è insieme il frumento e la vite (Zac 9,17)?

Raccogliendo tutti i mezzi a nostra disposizione per onorare quei beati abitatori della corte celeste, siamo ricorsi alla salmodia, agli inni, ai cantici, alle formule più solenni e più tenere; ma, in fatto di omaggi alla loro gloria, nulla eguaglia l'offerta del Sacrificio. Con questo noi entriamo in comunicazione diretta con essi, secondo l'energica espressione della Chiesa nel Canone della Messa (communicantes). Essi adorano in eterno la Santissima Trinità per Gesù Cristo e in Gesù Cristo; con il Sacrificio noi ci univamo ad essi nello stesso centro, mescolavamo i nostri omaggi ai loro, e ne risultava per loro un aumento di onore e di beatitudine. La divina Eucaristia, Sacrificio e Sacramento, ci è dunque stata sempre presente; e se, in questi giorni, dobbiamo raccoglierci per meglio comprenderne la grandezza e la potenza infinite, se dobbiamo sforzarci di gustarne con maggior pienezza l'ineffabile soavità, non è una scoperta che ci appare d'improvviso: si tratta dell'elemento che l'amore di Cristo ci ha preparato e di cui già facciamo uso per entrare in rapporto diretto con Dio e rendergli i nostri omaggi più solenni e insieme più intimi.

Prima festa del Sacramento.

Tuttavia lo Spirito che dirige la Chiesa doveva ispirarle un giorno il pensiero di istituire una solennità [1] particolare in onore del mistero augusto in cui sono racchiusi tutti gli altri. L'elemento sacro che dà a tutte le feste dell'anno la loro ragione d'essere e le illumina del loro splendore, la Santissima Eucaristia, richiedeva per se stessa una festa in rapporto con la magnificenza del suo oggetto.

Ma questa esaltazione dell'Ostia, queste marce trionfali così giustamente care alla pietà cristiana dei nostri i giorni, erano impossibili nella Chiesa al tempo dei martiri. Esse non furono usate dopo la vittoria, quasi che non rientrassero nella consuetudine e nello spirito delle forme liturgiche primitive, che continuarono per lungo tempo ad essere in uso. Erano d'altronde meno necessarie e quasi superflue per la viva fede di quel tempo: la solennità del Sacrificio stesso, la partecipazione comune ai Misteri sacri, la lode ininterrotta dei canti liturgici che risuonavano intorno all'altare rendevano a Dio omaggio e gloria, mantenevano l'esatta nozione del dogma, e conservavano nel popolo cristiano una sovrabbondanza di vita spirituale che non si riscontra più nell'età seguente. Il memoriale divino recava i suoi frutti; le intenzioni del Signore nell'istituire il mistero erano compiute, e il ricordo di quella istituzione, celebrato fin d'allora come ai nostri giorni nella Messa del Giovedì santo, rimaneva impresso profondamente nel cuore dei fedeli.

L'indebolimento della fede.

Fu così fino al secolo XIII. Ma allora, e in seguito al raffreddamento che la Chiesa deve costatare all'inizio di quel secolo (Orazione della festa delle Stimmate di san Francesco) si indebolì la fede, e con essa la profonda pietà delle antiche genti cristiane. In questa decadenza progressiva che miracoli di santità individuale non riuscivano ad arrestare, c'era da temere che l'adorabile Sacramento che è il mistero della fede per essenza, avesse a soffrire più di ogni altro per l'indifferenza e la freddezza delle nuove generazioni. Già qua e là, ispirata dall'inferno, era risonata più d'una negazione sacrilega, spaventando i popoli, ancora troppo fedeli in generale per essere sedotti, ma stimolando la vigilanza dei pastori e facendo già numerose vittime.

Le eresie sacramentarie.

Scoto Eriugena aveva tirato fuori la formula dell'eresia sacramentaria: l'Eucaristia non era per lui "che un segno, figura dell'unione spirituale con Gesù, percepita mediante il solo intelletto" [2]. Il suo oscuro pedantismo ebbe scarsa risonanza, e non prevalse contro la tradizione cattolica esposta nei profondi scritti di Pascasio Radberto, Abate di Gorbia. Riportati a galla nel secolo XI da Berengario, i sofismi di Scoto turbarono allora più seriamente e più a lungo la Chiesa di Francia, senza tuttavia sopravvivere all'astuta vanità del loro secondo padre. L'inferno avanzava poco in questi attacchi ancora troppo diretti; raggiunse meglio il suo scopo per vie traverse. L'impero bizantino nutriva i resti della setta manichea che, considerando la carne come l'opera del principio perverso, rovesciava l'Eucaristia dalla base. Mentre, avido di fama, Berengario dogmatizzava ad alta voce senza alcun vantaggio per l'errore, la Tracia e la Bulgaria inviavano sotto sotto i loro apostoli verso l'Occidente. La Lombardia, le Marche e la Toscana furono infestate; oltrepassando i monti, l'impura fiamma si sprigionò insieme in parecchi punti del regno cristianissimo: Orléans, Tolosa, Arras videro il veleno penetrare nelle proprie mura. Si credette di aver soffocato il male in radice con energiche repressioni; ma il contagio si estendeva nell'ombra. Prendendo il mezzogiorno della Francia come base delle sue operazioni, l'eresia si organizzò subdolamente per tutta la durata del secolo XII, e furono tali i suoi progressi latenti che, scoprendosi infine all'inizio del secolo XIII, pretese di sostenere con le armi alla mano i suoi perversi dogmi. Furono necessari spargimenti di sangue per vincerla e sottrarle le sue roccheforti; e ancora per lungo tempo dopo la sconfitta dell'insurrezione armata, l'Inquisizione dovette sorvegliare attivamente le province percosse dal flagello degli Albigesi.

La visione della beata Giuliana.

Simone di Montfort era stato il vindice della fede. Ma nel tempo stesso in cui il braccio vittorioso dell'eroe cristiano sbaragliava l'eresia, Dio preparava al suo Figliolo indegnamente oltraggiato dai settari nel Sacramento del suo amore un trionfo più pacifico e una riparazione più completa. Nel 1208, un'umile religiosa ospedaliera, la Beata Giuliana di Mont-Cornillon presso Liegi, aveva una visione misteriosa, in cui le appariva la luna nella sua pienezza, che mostrava sul proprio disco una incrinatura. Due anni dopo, le fu rivelato che la luna significava la Chiesa del suo tempo, e l'incrinatura che vi rilevava, l'assenza d'una solennità nel Ciclo liturgico, poiché Dio voleva che una nuova festa fosse celebrata ogni anno per onorare solennemente e in modo distinto l'istituzione della Santissima Eucaristia: il ricordo storico della Cena del Signore il Giovedì santo non rispondeva ai nuovi bisogni dei popoli turbati dall'eresia; non bastava più alla Chiesa, distratta del resto allora dalle importanti funzioni di quel giorno, e presto assorbita dalla tristezza del Venerdì santo.

Nel tempo stesso che Giuliana riceveva tale comunicazione, le fu ingiunto di porre ella stessa mano all'opera e di far conoscere al mondo i voleri divini. Passarono vent'anni prima che l'umile e timida vergine potesse trovare il coraggio d'una simile iniziativa. Si confidò infine con un canonico di S. Martino di Liegi, Giovanni di Losanna, che stimava in modo singolare per la sua grande santità, e lo pregò di discutere sull'oggetto della sua missione con i dottori. Tutti furono d'accordo nel riconoscere che non solo nulla si opponeva all'istituzione della festa progettata, ma che ne derivava al contrario un aumento della gloria divina e un gran bene nelle anime. Riconfortata da questa decisione, la Beata fece comporre e approvare per la futura festa un Ufficio proprio che cominciava con le parole: Animarum cibus, e di cui rimangono ancor oggi dei frammenti.

La festa del Corpus Domini.

La Chiesa di Liegi, a cui la Chiesa universale era già debitrice della festa della Santissima Trinità, era predestinata al nuovo onore di dar origine alla festa del Santissimo Sacramento. Fu un giorno radioso, quando, nel 1246, dopo così lungo tempo e innumerevoli ostacoli, Roberto di Torote, vescovo di Liegi, ordinò con un decreto sinodale che ogni anno, il Giovedì dopo la Santissima Trinità, tutte le Chiese della sua diocesi avrebbero dovuto osservare d'ora in poi, astenendosi dalle opere servili e praticando un digiuno di preparazione, una festa solenne in onore dell'ineffabile Sacramento del Corpo del Signore.
La festa del Corpus Domini fu dunque celebrata per la prima volta in quella insigne Chiesa, nel 1247. Il successore di Roberto, Enrico di Gueldre, uomo d'armi e gran signore, aveva altre preoccupazioni che quelle del suo predecessore. Ugo di San Caro, cardinale di Santa Sabina, legato in Germania, venuto a Liegi per porre riparo ai disordini che vi accadevano sotto il nuovo governo, sentì parlare del decreto di Roberto e della nuova solennità. Già priore e provinciale dei Frati Predicatori, era stato fra quelli che, consultati da Giovanni di Losanna, ne avevano favorito il progetto. Volle avere l'onore di celebrare egli stesso la festa, e di cantarvi la Messa in pompa magna. Inoltre, con mandato del 29 dicembre 1253 indirizzato agli Arcivescovi, Vescovi, Abati e fedeli del territorio della sua legislazione, confermò il decreto del vescovo di Liegi e lo estese a tutte le terre di sua giurisdizione, concedendo una indulgenza di cento giorni a tutti coloro che, contriti e confessati, avessero visitato devotamente le chiese in cui si celebrava l'Ufficio della festa, il giorno stesso oppure durante l'Ottava. L'anno seguente, il cardinale di Saint-Georges-au-Voile-d'Or, che gli succedette nella legazione, confermò e rinnovò le ordinanze del cardinale di Santa Sabina. Ma quei reiterati decreti non poterono vincere la freddezza generale; e furono tali le manovre dell'inferno il quale si vedeva raggiunto nei suoi profondi abissi, che dopo la partenza dei legati si videro degli ecclesiastici di gran nome e costituiti in dignità opporre alle ordinanze le loro decisioni particolari. Quando morì la Beata Giuliana, nel 1258, la Chiesa di S. Martino era sempre l'unica in cui si celebrasse la festa che ella aveva avuto la missione di stabilire nel mondo intero. Ma lasciava, perché continuasse la sua opera, una pia reclusa chiamata Eva, che era stata la confidente dei suoi desideri.

L'estensione della festa alla Chiesa Universale.

Il 29 agosto 1261 saliva al trono pontificio Giacomo Pantaleone assumendo il nome di Urbano IV. Aveva conosciuto la Beata Giuliana quando era ancora arcidiacono di Liegi, e ne aveva approvato i progetti. Eva credette di vedere in quell'esaltazione il segno della Provvidenza. Dietro le insistenze della monaca, Enrico di Gueldre scrisse al nuovo Papa per congratularsi con lui e per pregarlo di confermare con la sua sovrana approvazione la festa istituita da Roberto di Torote. Nello stesso tempo diversi prodigi, e in special modo quello del corporale di Bolsena insanguinato da un'ostia miracolosa quasi sotto gli occhi della corte pontificia che risiedeva allora ad Orvieto, parvero spingere Urbano da parte del cielo e rafforzare il grande zelo che egli aveva un tempo manifestato in onore del divin Sacramento. San Tommaso d'Aquino fu incaricato di comporre secondo il rito romano l'Ufficio che doveva sostituire nella Chiesa quello della Beata Giuliana, adattato da essa al rito dell'antica liturgia francese. La bolla Transiturus fece quindi conoscere al mondo le intenzioni del Pontefice: ricordando le rivelazioni di cui aveva avuto un giorno notizia, Urbano IV stabiliva nella Chiesa universale, per la confusione dell'eresia e l'esaltazione della fede ortodossa, una speciale solennità in onore dell'augusto memoriale lasciato da Cristo alla sua Chiesa. Il giorno fissato per tale festa era la Feria quinta ossia il Giovedì dopo l'ottava della Pentecoste.

Sembrava che la causa fosse finalmente giunta al termine. Ma i torbidi che agitavano allora l'Italia e l'Impero fecero dimenticare la bolla di Urbano IV prima ancora che fosse messa in esecuzione. Quarant'anni e più passarono prima che essa fosse di nuovo promulgata e confermata da Clemente V nel concilio di Vienna. Giovanni XXII le diede la forza di legge definitiva inserendola nel Corpo del Diritto nelle Clementine, ed ebbe così il vanto di dare l'ultima mano, verso il 1318, a quella grande opera il cui compimento aveva richiesto più d'un secolo.

Il desiderio del cuore umano.

Nondimeno, contro questa festa e il suo divino oggetto, alcuni hanno ripetuto le parole: Come possono avvenire queste cose? (Gv 3,9; 6,53). La ragione sembrava giustificare le loro affermazioni contro ciò che essi chiamavano le pretese insensate del cuore dell'uomo.
Ogni essere ha sete di felicità, e tuttavia non aspira se non al bene di cui è capace, poiché la condizione della felicità è appunto nella piena soddisfazione del desiderio che lo domina.
Come tutto ciò che vive intorno a lui, l'uomo ha sete di felicità; e tuttavia, trovandosi solo su questa terra, sente in sé aspirazioni che sorpassano infinitamente i limiti della sua fragile natura. Dio che si rivela a lui, mediante le sue opere, in un modo corrispondente alla sua natura creata; Dio causa prima e fine universale, perfezione senza limiti, bellezza infinita, somma bontà, oggetto certamente degno di fissare per sempre colmandogli il suo intelletto e il suo cuore: Dio così conosciuto, così gustato non basta più all'uomo. Questo essere da nulla vuole l'infinito nella sua sostanza, anela a conoscere il volto del Signore e la sua vita intima. La terra non è ai suoi occhi che un deserto senza uscita, senz'acque per estinguere la sua sete (Sal 62,2): "Come il cervo anela all'acqua delle fonti - esclama - così l'anima mia anela a te, o Dio! L'anima mia ha sete del Dio forte, del Dio vivo. Oh, quando verrò, quando pascolerò dinanzi al volto di Dio?" (Sal 41,2-3).

Strano entusiasmo, senza dubbio, per la fredda ragione; pretese, si direbbe, veramente insensate! Questa visione di Dio, questa vita divina, questo banchetto del quale Dio stesso sarebbe il cibo, potrebbe mai l'uomo far sì che queste sublimità non rimangano infinitamente al disopra delle potenze della sua natura, come di ogni natura creata? Un abisso lo separa dall'oggetto che lo affascina, abisso che non è altro se non la spaventosa sproporzione dal nulla all'essere. L'atto creatore nella sua onnipotenza non potrebbe da sé solo colmare tale abisso; e perché la sproporzione cessasse di essere un ostacolo alla bramata unione, bisognerebbe che Dio stesso colmasse la distanza e si degnasse di comunicare a questo rampollo del nulla le sue stesse forze. Ma che è dunque l'uomo, perché l'Essere supremo, la cui magnificenza sorpassa i cieli, si abbassi fino a lui? (Sal 143,5).

La risposta dell'amore infinito.

Dio è amore; e il miracolo non sta nel fatto che noi abbiamo a-mato Dio, ma che egli stesso ci abbia amati (1Gv 4,10). Ora l'amore richiede l'unione, e l'unione richiede degli esseri simili. O ricchezza della divina natura in cui si effondono, ugualmente infiniti, Potenza, Sapienza e Amore, che costituiscono l'augusta Trinità! Gloria a te, Spirito Santo, il cui regno appena iniziato illumina di simili raggi i nostri occhi mortali! In questa settimana che ci vede dare inizio insieme a te all'inventario dei doni preziosi lasciati nelle nostre mani dallo Sposo che saliva al cielo (cfr. Sal 67,19; Ef 4,8), in questo primo Giovedì che ci ricorda la Cena del Signore, tu riveli ai nostri cuori la pienezza e insieme il fine e la mirabile armonia delle opere che compie il Dio uno nella sua essenza e trino nelle sue persone; sotto il velo delle sacre specie, tu offri ai nostri occhi il memoriale vivo delle meraviglie compiute dall'accordo dell'Onnipotenza, della Sapienza e dell'Amore (Sal 110,4)! Solo l'Eucaristia poteva infatti mettere in piena luce lo sviluppo nel tempo, il progressivo avanzare delle divine risoluzioni ispirate dall'amore infinito che le guida sino alla fine (Gv 13,1).

Lode all'eterna Sapienza.

O Sapienza, che sei uscita dalla bocca dell'Altissimo, che corri da un'estremità all'altra e disponi ogni cosa con forza e dolcezza (la prima delle Antifone maggiori dell'Avvento), noi imploravamo nel tempo dell'Avvento la tua venuta in Betlemme, la casa del pane; tu eri la prima aspirazione dei nostri cuori. Il giorno della tua gloriosa Epifania manifestò il mistero delle nozze, e rivelò lo Sposo; la Sposa fu preparata nelle acque del Giordano; cantammo i Magi che accorrevano portando doni al banchetto rappresentativo, e gli invitati che bevevano un vino miracoloso. Ma l'acqua mutata in vino presagiva più sublimi meraviglie. La vite, la vera vite di cui noi siamo i tralci (Gv 15,5), ha dato i suoi magnifici fiori, i suoi frutti di grazia e di onore (Eccli 24,23). Il frumento abbonda nelle valli, e queste cantano un inno di lode (Sal 64,14).
O Sapienza, nobile sovrana, le cui attrattive divine conquistano fin dall'infanzia i cuori bramosi della vera bellezza (Sap 8,2), è dunque giunto il giorno del vero banchetto nuziale! Come una madre colma d'onore, tu accorri per nutrirci del pane di vita, e inebriarci della bevanda salutare (Eccli 15,2-3). Il tuo frutto è migliore dell'oro e della pietra preziosa, e la tua sostanza migliore dell'argento più puro (Prov 8,19). Quelli che ti mangiano avranno ancora fame, quelli che ti bevono non estingueranno la loro sete (Eccli 24,29), poiché la tua compagnia non ha amarezze, la tua società non dà disgusto; con te sono la letizia e il gaudio (Sap 8,16), le ricchezze, la gloria e la virtù (Prov 8,18).

In questi giorni in cui tu elevi il tuo trono nell'assemblea dei santi, penetrando con agio i misteri del divino banchetto, noi vogliamo render note le tue meraviglie e con il tuo consenso cantare le tue lodi davanti agli eserciti dell'Altissimo (Eccli 1,4). Degnati di aprire la tua bocca e di riempirci del tuo Spirito, o divina Sapienza, affinché la nostra lode sia degna del suo oggetto, e abbondi, secondo la tua promessa, nella bocca dei tuoi adoratori (Gv 12,24-25).

Messa

EPISTOLA (1Cor 11,23-29). - Fratelli: Io ho ricevuto dal Signore quello che ho insegnato a voi, che il Signore Gesù, nella notte in cui era tradito, prese del pane e, dopo aver rese le grazie, lo spezzò e disse: Prendete e mangiate: questo è il mio corpo, che sarà dato a morte per voi: fate questo in memoria di me. Parimenti, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: Questo calice è il nuovo testamento nel mio sangue: fate questo, tutte le volte che ne berrete, in memoria di me. Or dunque, tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice, annunzierete la morte del Signore, finché egli non venga. Pertanto chiunque mangerà questo pane o berrà il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Provi dunque ciascuno se stesso, e così mangi di quel pane e beva di quel calice; perché chi ne mangia e ne beve indegnamente, mangia e beve la sua condanna, non distinguendo il corpo del Signore."Annunciare la morte del Signore".

La Santissima Eucaristia, come Sacrificio e come Sacramento, è il centro della religione cristiana, sicché il Signore ha voluto che il fatto della sua istituzione fosse basato, negli scritti ispirati, su una quadruplice testimonianza. San Paolo, che abbiamo ora sentito, unisce la sua voce a quelle di san Matteo, di san Marco e di san Luca. Egli basa il suo racconto, in tutto conforme a quello degli Evangelisti, sulle parole stesse del Signore, che si degnò di apparirgli e di ammaestrarlo personalmente dopo la sua conversione.
L'Apostolo insiste sul potere che il Salvatore diede ai suoi discepoli di rinnovare l'atto che egli aveva compiuto, e ci insegna in particolare che ogni qualvolta il Sacerdote consacra il corpo e il sangue di Gesù Cristo, annuncia la morte del Signore, esprimendo con tali parole l'unità del Sacrificio sulla croce e sull'altare. Con l'immolazione del Redentore sulla croce la carne di questo Agnello di Dio è diventata "veramente un cibo", e il suo sangue "veramente una bevanda", come ci dirà presto il Vangelo. Non lo dimentichi dunque il cristiano, anche in questo giorno di trionfo. Lo si costata subito: la Chiesa nella Colletta non aveva altro scopo che di inculcare profondamente nell'anima dei suoi figli l'estrema e così commovente raccomandazione del Signore: "Ogni qualvolta berrete di questo calice del nuovo testamento, fatelo in memoria di me". La scelta di questo passo del grande Apostolo come Epistola fa sempre più comprendere al cristiano che la carne divina che nutre l'anima sua è stata preparata sul Calvario e che, se l'Agnello è oggi vivo e, immortale, è diventato nostro cibo attraverso una morte dolorosa. Il peccatore riconciliato riceverà con compunzione quel corpo santo, di cui si rimprovera amaramente di aver versato tutto il sangue con i suoi innumerevoli peccati; il giusto vi parteciperà nell'umiltà, ricordando che anche lui ha avuto la sua parte fin troppo grande ai dolori dell'innocente Agnello e che se oggi sente in sé la vita della grazia, non lo deve che al sangue della Vittima la cui carne gli sarà data in cibo.

La purezza richiesta.

Ma temiamo soprattutto il tremendo sacrilegio condannato dall'Apostolo e che non esiterebbe ad infliggere, con uno spaventoso rovesciamento, una nuova morte all'Autore della vita, nel banchetto stesso del quale il suo sangue fu il prezzo! "Giudichi dunque l'uomo sé stesso - dice san Paolo - e solo allora mangi di quel pane e beva di quel calice". Questa prova, è la confessione sacramentale per chiunque abbia coscienza d'un peccato grave non ancora confessato: qualunque pentimento egli possa averne, e fosse anche già riconciliato con Dio mediante un atto di contrizione perfetta, il precetto dell'Apostolo, interpretato dall'usanza della Chiesa e dalle sue definizioni conciliari (Concilio di Trento, Sess. XIII, c. VII, can. 11), gli vieta l'accesso alla sacra mensa, finché non abbia sottoposto la sua colpa al potere delle Chiavi.

Nella Sequenza, celebre opera del Dottor Angelico, la Chiesa, la vera Sion, manifesta il suo entusiasmo ed effonde il suo amore per il Pane vivo e vivificante, in termini d'una precisione scolastica che sembrerebbe sfidare qualunque poesia nella sua forma. Il mistero eucaristico vi si svolge con la pienezza concisa e la maestà semplice e grandiosa di cui san Tommaso possedette il meraviglioso segreto. Questa esposizione sostanziale dell'oggetto della festa, sostenuta da un canto in armonia con il pensiero, giustifica pienamente l'entusiasmo prodotto nell'anima dal susseguirsi di quelle magnifiche strofe.

SEQUENZA


Lauda, Sion Salvatórem,
lauda ducem et pastórem
in hymnis et cánticis.
Quantum potes, tantum aude:
quia maior omni laude,
nec laudáre súfficis.
Laudis thema speciális,
panis vivus et vitális
hódie propónitur.
Quem in sacræ mensa cenæ,
turbæ fratrum duodénæ
datum non ambígitur.
Sit laus plena, sit sonóra,
sit iucúnda, sit decóra
mentis iubilátio.
Dies enim solémnis ágitur,
in qua mensæ prima recólitur
huius institútio.
In hac mensa novi Regis,
novum Pascha novæ legis
Phase vetus términat.
Vetustátem nóvitas,
umbram fugat véritas,
noctem lux elíminat.
Quod in cena Christus gessit,
faciéndum hoc expréssit
in sui memóriam.
Docti sacris institútis,
panem, vinum, in salútis
consecrámus hóstiam.
Dogma datur Christiánis,
quod in carnem transit panis,
et vinum in sánguinem.
Quod non capis, quod non vides,
animósa firmat fides,
præter rerum órdinem.
Sub divérsis speciébus,
signis tantum, et non rebus,
latent res exímiæ.
Caro cibus, sanguis potus:
manet tamen Christus totus,
sub utráque spécie.
A suménte non concísus,
non confráctus, non divísus:
ínteger accípitur.
Sumit unus, sumunt mille:
quantum isti, tantum ille:
nec sumptus consúmitur.
Sumunt boni, sumunt mali:
sorte tamen inæquáli,
vitæ vel intéritus.
Mors est malis, vita bonis:
vide paris sumptiónis
quam sit dispar éxitus.
Fracto demum sacraménto,
ne vacílles, sed memento,
tantum esse sub fragménto,
quantum toto tégitur.
Nulla rei fit scissúra:
signi tantum fit fractúra:
qua nec status nec statúra
ignáti minúitur.
Ecce panis Angelórum,
factus cibus viatórum:
vere panis fíliórum,
non mitténdus cánibus.
In figúris præsignátur,
cum Isaac immolátur:
agnus paschæ deputátur:
datur manna pátribus.
Bone Pastor, panis vere,
Iesu, nostri miserére:
tu nos pasce, nos tuére:
tu nos bona fac vidére
in terra vivéntium.
Tu, qui cuncta scis et vales:
qui nos pascis hic mortales:
tuos ibi commensáles,
coherédes et sodales
fac sanctórum cívium.
Amen. Allelúia. Loda o Sion il Salvatore,
loda la Guida e il Pastore
in inni e cantici.
Quanto puoi tanto ardisci:
perché (Egli è) superiore ad ogni lode,
e (tu) non basti a lodarlo.
Come tema di lode speciale,
il Pane vivo e datore di vita
viene oggi proposto,
il quale, alla mensa della sacra cena,
alla schiera dei dodici fratelli,
non si dubita dato.
La lode sia piena, sia risonante,
sia lieto, sia appropriato
il giubilo della mente,
poiché si celebra il giorno solenne,
nel quale di questa mensa si ricorda
la prima istituzione.
In questa mensa del nuovo Re,
la nuova Pasqua della nuova legge
pone fine al vecchio tempo.
La novità (allontana) la vetustà,
la verità allontana l'ombra,
la luce elimina la notte.
Ciò che Cristo fece durante la cena
comandò da farsi
in suo ricordo.
Ammaestrati coi sacri insegnamenti,
consacriamo il pane e il vino,
ostia di salute.
Ai cristiani vien dato come dogma
che il pane si cambia in carne,
e il vino in sangue.
Ciò che non comprendi, ciò che non vedi,
ardita assicura la fede,
contro l’ordine delle cose.
Sotto specie diverse,
(che sono) solamente segni e non cose,
si nascondono cose sublimi.
La carne (è) cibo, il sangue bevanda:
eppure Cristo resta intero
sotto ciascuna specie.
Da colui che (lo) assume, non spezzato,
non rotto, non diviso:
(ma) intero è ricevuto.
(Lo) riceve uno, (lo) ricevono mille:
quanto questi tanto quello;
né ricevuto si consuma.
(Lo) ricevono i buoni, (lo) ricevono i malvagi,
ma con ineguale sorte:
di vita o di morte.
È morte per i malvagi, vita per i buoni:
vedi di pari assunzione
quanto sia diverso l’effetto.
Spezzato finalmente il Sacramento,
non tentennare, ma ricorda
che tanto c’è sotto un frammento
quanto si nasconde nell’intero.
Nessuna scissura si fa della sostanza;
si fa rottura solo del segno:
per cui né lo stato né la dimensione
del Segnato è sminuita.
Ecco il pane degli angeli
fatto cibo dei viandanti:
vero pane dei figli
da non gettare ai cani.
Nelle figure è preannunciato,
con Isacco è immolato,
quale Agnello pasquale è designato,
è dato qual manna ai padri.
Buon pastore, pane vero,
o Gesù, abbi pietà di noi:
Tu nutrici, proteggici,
Tu fa' che noi vediamo le cose buone
nella terra dei viventi.
Tu, che tutto sai e puoi,
che qui pasci noi mortali:
facci lassù Tuoi commensali,
coeredi e compagni
dei santi cittadini.
Amen. Alleluia.

VANGELO (Gv 6,56-59). - In quel tempo, disse Gesù ai Giudei: La mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre vivente mi inviò ed io vivo per il Padre, così chi mangia me, vivrà anch'egli per me. Questo è il pane disceso dal cielo; e non sarà come la manna che i vostri padri mangiarono e morirono. Chi mangia di questo pane vivrà in eterno.

L'Eucaristia, alimento di vita per l’anima…

Il discepolo prediletto non poteva rimanere silenzioso sul Mistero d'amore. Tuttavia, quando scrisse il suo Vangelo l'istituzione di questo Sacramento era già abbastanza narrata dai tre Evangelisti che l'avevano preceduto e dall'Apostolo delle Genti. Senza tornare dunque su quella divina storia, egli completò il loro racconto con quello della solenne promessa che aveva fatta il Signore un anno prima della Cena sulle rive del lago di Tiberiade.

All'innumerevole moltitudine che attira al suo seguito il recente miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù si presenta come il vero pane di vita disceso dal cielo e che preserva dalla morte, a differenza della manna data da Mosè ai loro padri. La vita è il primo dei beni, come la morte l'estremo dei mali. La vita risiede in Dio come nella sua sorgente (Sal 35,10); egli solo può comunicarla a chi vuole, e restituirla a chi l'ha perduta.

Il Verbo di Dio è venuto in mezzo agli uomini perché avessero la vita e l'avessero in abbondanza (Gv 10,10). E siccome è proprio del cibo accrescere e mantenere la vita, si è fatto cibo, cibo vivo, vivificante, disceso dal cielo. Partecipando essa stessa della vita eterna che attinge direttamente al seno del Padre, la carne del Verbo comunica questa vita a chi la mangia. Ciò che è per sua natura corruttibile - dice san Cirillo Alessandrino - non può essere vivificato diversamente che con l'unione corporea al corpo di colui è vita per natura; ora, come due pezzi di cera fusi insieme dal fuoco non ne formano più che uno solo, così fa di noi e di Cristo la partecipazione del suo corpo e del suo sangue prezioso. Questa vita dunque che risiede nella carne del Verbo, divenuta nostra in noi stessi, non sarà, come non lo fu in lui, vinta dalla morte; scuoterà nel giorno stabilito le catene dell'antica avversaria, e riporterà la vittoria sulla corruzione dei nostri corpi immortali (san Cirillo Alessandrino, Su san Giovanni, l. x, c. 2).

… e per il corpo.

Così era necessario che non soltanto l'anima fosse rinnovata dal contatto del Verbo, ma che questo stesso corpo terreno e grossolano partecipasse in qualche modo alla virtù vivificante dello Spirito, secondo l'espressione del Signore (Gv 6,64). "Coloro che hanno sorbito il veleno per l'inganno dei loro nemici - dice egregiamente san Gregorio Nisseno - uccidono in sé il virus con un rimedio opposto; ma come è accaduto per la bevanda mortale, bisogna che la pozione salutare sia introdotta fin nelle loro viscere, affinché di qui si diffonda in tutto l'organismo la sua virtù curativa. Noi dunque che abbiamo gustato il frutto deleterio, abbiamo bisogno pure d'un rimedio di salvezza che nuovamente raccolga e armonizzi in noi gli elementi disgregati e confusi della nostra natura e che, penetrando nell'intimo della nostra sostanza, neutralizzi e scacci il veleno con una forza contraria. E quale sarà questo rimedio? Non altro che quel corpo che si è mostrato più potente della morte, ed ha posto per noi il principio della vita. Come un po' di lievito - dice l'Apostolo - assimila tutta la pasta, così questo corpo, entrando nel nostro, lo trasforma interamente in sé. Ma nulla può penetrare così la nostra sostanza corporea se non mediante il mangiare e il bere; è questo il modo, conforme alla sua natura, secondo il quale giunge fino al nostro corpo la virtù vivificante" (san Gregorio Nisseno, Catechesi, xxxvii).

Processione

Chi è costei che avanza profumando il deserto del mondo d'una nube d'incenso, di mirra e di ogni sorta di profumi? La chiesa attornia la lettiga dorata in cui appare lo Sposo nella sua gloria. Accanto a lui sono raccolti i forti d'Israele, sacerdoti e leviti del Signore, potenti presso Dio. Figlie di Sion, uscitegli incontro; contemplate il vero Salomone sotto lo splendore del diadema di cui l'ha incoronato la madre nel giorno delle sue nozze e del gaudio del suo cuore (Ct 3,5-11). Questo diadema è la carne che il Verbo ha ricevuta dalla Vergine purissima, quando ha preso in isposa l'umanità (san Gregorio, Sul Cantico dei Cantici). Per quel corpo perfettissimo, per quella carne sacrosanta continua tutti i giorni, sul santo altare, l'ineffabile mistero delle nozze dell'uomo e della Sapienza eterna. Non è dunque giusto che una volta all'anno la santa Chiesa dia libero corso ai suoi trasporti verso lo Sposo nascosto sotto i veli del Sacramento? Per questo il Sacerdote ha oggi consacrato due Ostie, e dopo averne consumato una, ha posto l'altra nell'ostensorio che, recato rispettosamente in mano, attraverserà ora sotto il baldacchino, al canto degli inni, le file della moltitudine prostrata.

Storia.

Questa solenne dimostrazione verso l'Ostia santa, come già abbiamo detto, è più recente della stessa festa del Corpus Domini. Urbano IV non ne parla nella sua Bolla d'istituzione del 1264. Invece, Martino V ed Eugenio IV, nelle loro costituzioni più sopra citate (26 maggio 1429 e 26 maggio 1433), ci danno la prova che essa era già in uso fin da quel tempo, poiché concedono particolari indulgenze a coloro che la seguono. Il milanese Donato Bossio riferisce nella sua Cronaca che "il giovedì 29 maggio del 1404 si portò per la prima volta solennemente il Corpo di Cristo per le strade di Pavia, come è entrato in uso in seguito". Alcuni autori ne hanno concluso che la Processione del Santissimo Sacramento non risaliva oltre tale data, e doveva la sua prima origine alla Chiesa di Pavia. Ma una simile conclusione sorpassa il testo su cui si basa, e che può benissimo non esprimere altro che un fatto di cronaca locale.
Troviamo infatti la Processione menzionata su un titolo manoscritto della Chiesa di Chartres nel 1330, in un atto del Capitolo di Tournai nel 1325, nel concilio di Parigi del 1323 e in quello di Sens del 1320. Speciali indulgenze sono concesse da questi due concili all'astinenza e al digiuno della Vigilia del Corpus Domini, ed essi aggiungono: "Quanto alla solenne Processione che si fa il Giovedì della festa portando il divin Sacramento, siccome pare che essa sia stata introdotta ai giorni nostri per una specie di divina ispirazione, non stabiliamo nulla per il momento, lasciando ogni cosa alla devozione del clero e del popolo" (Labbe, Conc. t. XI, pp. 1680, 1711). L'iniziativa popolare sembra avere avuto dunque una grande parte in questa istituzione; e come Dio aveva scelto, nel secolo precedente, un papa francese per istituire la festa, dalla Francia ancora si diffuse a poco a poco in tutto l'Occidente questo glorioso complemento della solennità del Mistero della fede [3].
Sembra probabile tuttavia che in principio l'Ostia santa non fosse, almeno dappertutto, portata in mostra come oggi nelle processioni, ma solo velata e racchiusa in una cassa o in una teca preziosa. C'era l'usanza di portarla in questa maniera fin dal secolo XI in alcune Chiese nella Processione delle Palme e in quella del mattino della Risurrezione. Abbiamo parlato altrove di queste solenni manifestazioni che del resto non avevano tanto per oggetto di onorare direttamente il divin Sacramento, quanto di rendere più al vivo il mistero del giorno. Comunque sia, l'uso degli estensori o esposizioni, come le chiama il concilio di Colonia del 1452, seguì quasi subito l'istituzione della nuova Processione.

Dottrina del Concilio di Trento.

Tuttavia, l'eresia protestante tacciò subito di novità, di superstizione e di odiosa idolatria questi naturali sviluppi del culto cattolico ispirati dalla fede e dall'amore. Il concilio di Trento colpì di anatema le recriminazioni dei settari (Sess. XIII, c. VI) e, in un capitolo speciale, giustificò la Chiesa in termini che non possiamo fare a meno di riprodurre: "Il santo Concilio dichiara piissima e santissima l'usanza che si è introdotta nella Chiesa, di consacrare ogni anno una festa speciale a celebrare in tutti i modi l'augusto Sacramento, come pure di portarlo in processione per le vie e le pubbliche piazze con pompa ed onore. È giustissimo infatti che siano stabiliti alcuni giorni in cui i cristiani, con una dimostrazione solenne e specialissima, testimoniano la loro gratitudine e il loro devoto ricordo verso il comune Signore e Redentore, per il beneficio ineffabile e divino che ripropone ai nostri occhi la vittoria e il trionfo della sua morte. Così bisognava ancora che la verità vittoriosa trionfasse sulla menzogna e sull'eresia, in modo che i suoi avversari, in mezzo a tanto splendore e a tanto gaudio di tutta la Chiesa, o perdano il coraggio o, confusi, giungano alfine alla resipiscenza (Sessione XIII, c. V).

Le bellezze della festa del Corpus Domini.

Ma noi cattolici, fedeli adoratori del Sacramento d'amore, "con quale gaudio", esclama l'eloquente Padre Faber, "non dobbiamo contemplare quella splendente e immensa nube di gloria che la Chiesa in questa occasione fa salire verso Dio! Sì, sembrerebbe che il mondo sia ancora nel suo stato di fervore e d'innocenza primitiva! Guardate quelle gloriose processioni che, con i loro stendardi scintillanti al sole, si snodano attraverso le strade ornate di fiori dei villaggi cristiani, sotto le volte venerabili delle antiche basiliche e lungo i cortili dei seminari, asili della pietà. In quel concorso di folle, il colore del volto e la diversità delle lingue non sono che rinnovate prove dell'unità di quella fede che tutti sono lieti di professare con la voce del magnifico rituale di Roma. Su quanti altari di forma diversa, tutti ornati dei fiori più soavi e risplendenti di luce, tra nuvole d'incenso, al suono dei sacri cantici e davanti a una moltitudine prostrata e raccolta, il Santissimo Sacramento viene sollevato per ricevere le adorazioni dei fedeli, e abbassato per benedirli! E quanti atti ineffabili di fede e d'amore, di trionfo e di riparazione non ci rappresenta ognuna di queste cose! Il mondo intero e l'aria della primavera sono ripieni di canti di letizia. I giardini sono spogli dei loro più bei fiori, che mani devote gettano sul cammino del Dio che passa velato nel Sacramento. Le campane fanno risuonare lontano i loro giocondi concerti. Il Papa sul suo trono e la giovinetta nel suo villaggio, le religiose di clausura e gli eremiti solitari, i vescovi, i dignitari e i predicatori, gli imperatori, i re e i principi, tutti sono oggi ripieni del pensiero del Santissimo Sacramento. Le città sono illuminate, le abitazioni degli uomini sono animate dai trasporti della gioia. È tale la letizia universale che gli uomini vi si abbandonano senza sapere perché, e rinasce su tutti i cuori dove regna la tristezza, sui poveri, su tutti quelli che rimpiangono la libertà, la famiglia o la patria. Tutti questi milioni di anime che appartengono alla regale famiglia e al linguaggio spirituale di san Pietro sono oggi più o meno prese dal Santissimo Sacramento, sì che tutta la Chiesa militante trasalisce d'una gioia e d'una emozione simile al fremito dei flutti del mare agitato. Il peccato sembra dimenticato; le lacrime stesse sembrano piuttosto strappate dall'eccesso della felicità che dalla penitenza. È un'ebbrezza simile a quella che trasporta l'anima che fa il suo ingresso in cielo; o meglio si direbbe che la terra stessa passa nel cielo, come potrebbe accadere appunto per la gioia di cui l'inonda il Santissimo Sacramento" (Il Santissimo Sacramento, I, p. 4).
Durante la Processione si cantano gli Inni dell'Ufficio del giorno, il Lauda Sion, il Te Deum e, secondo la lunghezza del percorso, il Benedictus, il Magnificat o altri canti liturgici che abbiano qualche riferimento all'oggetto della festa, come gli Inni della Ascensione indicati nel Rituale. Ritornando alla Chiesa, la funzione termina, come al solito, con il canto del Tantum ergo, del Versetto e dell'Orazione del Santissimo Sacramento. Ma, dopo la Benedizione solenne, il Diacono espone l'Ostia santa sul trono dove i fedeli le faranno una guardia d'onore.

Preghiamo

O Dio, che in questo mirabile Sacramento ci hai lasciato il ricordo della tua passione, concedici di venerare i sacri misteri del tuo Corpo e del tuo Sangue con tanta fede da sentire sempre in noi gli effetti della tua redenzione.
___________________________
[1] A questo punto termina il testo di Dom Guéranger.
[2] Dionigi, Gerarchia celeste.
[3] Tal In seguito al concilio del 1311, in cui la festa fu definitivamente promulgata, Vienna prese come emblema un albero sormontato da un calice e da un'ostia circondate dalle parole: Vienna civitas sancta.

(da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 370-387)





mercoledì 18 giugno 2025

Cardinale Burke: corruzione dottrinale e morale “direttamente correlata” all’abuso della liturgia


Card. Raymond Leo Burke


Articolo scritto da Edward Pentin, pubblicato su National Catholic Register, nella traduzione curata da Sabino Paciolla (18 giugno 2025).




Edward Pentin,

Il cardinale Raymond Burke ha fatto appello a Papa Leone XIV affinché revochi le restrizioni sulla liturgia precedente al 1970, sottolineando che il rispetto della tradizione liturgica è fondamentale per la missione della Chiesa cattolica e che la corruzione dottrinale e morale si manifesta in «divisioni e fazioni» che portano all’abuso liturgico.

Parlando in videoconferenza a una conferenza a Londra per celebrare i 60 anni della Latin Mass Society of England and Wales, il cardinale Burke ha ricordato che la difficoltà più grave che San Paolo ha dovuto affrontare nella Chiesa primitiva di Corinto era «l’abuso che era entrato nella celebrazione della Santissima Eucaristia» e che era «direttamente collegato alle divisioni dottrinali e morali tra i membri della comunità».

La storia della Chiesa, ha affermato, dimostra che «la corruzione dottrinale e morale nella Chiesa si manifesta nella falsificazione del culto divino», aggiungendo che «dove non si rispettano la verità della dottrina e la bontà dei costumi, non si rispetta nemmeno la bellezza del culto».

La soluzione, ha affermato, è un rinnovato rispetto per la Tradizione e le leggi che regolano la sacra liturgia.

Il cardinale americano ha anche detto alla conferenza di aver già chiesto a Papa Leone XIV di rimuovere le restrizioni sulla Messa tradizionale in latino «non appena ragionevolmente possibile», nella speranza che la situazione torni ad essere quella del pontificato di Benedetto XVI.

All’inizio del suo discorso, il cardinale Burke ha citato il padre della Chiesa del V secolo Prospero d’Aquitania, che ha detto: «La legge della preghiera postula la legge della fede». Il cardinale ha aggiunto che la sacra liturgia è «la massima espressione della nostra vita in Cristo e, quindi, il vero culto non può che riflettere la vera fede».

La sacra liturgia è il «tesoro più grande» della Chiesa e insostituibile, ha continuato, aggiungendo che «il disordine e la corruzione» all’interno della fede e della sua pratica non potranno resistere di fronte alla «verità, alla bellezza e alla bontà contenute nell’adorazione di Dio “in spirito e verità”».


Rispetto per la Tradizione


Inoltre, ha sottolineato che il culto divino non è stato istituito dall’uomo, ma da Nostro Signore stesso, e quindi la fedeltà alla Tradizione – così come è stata tramandata fin dai tempi degli apostoli – è fondamentale.

«Il rispetto della Tradizione non è altro che il rispetto del ius divinum» (del diritto divino), ha affermato, ed è essenziale per «il rapporto giusto e corretto tra Dio e la sua creazione», in particolare l’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio.

Ma ha notato una «enfasi esagerata sull’aspetto umano della sacra liturgia» nel periodo postconciliare degli ultimi 60 anni, che secondo lui porta a una diminuzione dell’enfasi sull’incontro con Dio attraverso i segni sacramentali e a una negligenza del «giusto rapporto dell’uomo con Dio».

Il cardinale ha attribuito la colpa all’antinomismo – la convinzione che non vi sia alcun obbligo di osservare la legge morale – che si è diffuso a partire dagli anni ‘60 e ha dato origine all’«antinomismo liturgico», da lui definito la sua manifestazione «più orribile».

Ha ricordato al pubblico che il «primo obiettivo» dei Dieci Comandamenti è il culto divino e che il principio fondamentale dello ius divinum è «il diritto di Dio di ricevere l’adorazione dell’uomo nel modo da lui comandato». Se il culto offerto a Dio «in spirito e verità», che egli ha definito «dono di Dio all’uomo», non viene onorato, allora la legge di Dio è «corrotta per scopi umani», ha affermato. “Solo osservando e onorando il diritto di Dio di essere conosciuto, adorato e servito come Egli comanda, l’uomo trova la sua felicità”.

Ha lamentato che oggi l’attenzione alla legge liturgica “sembra totalmente estranea o, almeno, esoterica”, ma che “senza un adeguato apprezzamento della struttura giuridica della sacra liturgia, il tesoro più grande e più bello della Chiesa è soggetto a fraintendimenti e persino ad abusi”.

Sottolineando come, nel 1963, Papa San Paolo VI mise in guardia contro tali abusi e sottolineò l’importanza della disciplina che governa la liturgia affinché rimanga fedele alla tradizione, il cardinale Burke ha affermato che «ci si meraviglia» di come, fin dagli anni ’70, l’avvertimento di Paolo VI sia stato per lo più ignorato o inascoltato. Ha anche ricordato le preoccupazioni di Papa San Giovanni Paolo II riguardo a «una certa libertà “creativa”» nella liturgia nei suoi due documenti del 1980 sulla liturgia, Dominicae Cenae e Inaestimabile Donum.

«La fonte delle difficoltà è la perdita della conoscenza della sacra tradizione come veicolo insostituibile di trasmissione della sacra liturgia», ha affermato il cardinale Burke, riferendosi al discorso di Benedetto XVI alla Curia romana nel 2005.

Ha aggiunto che l’insegnamento sia di Benedetto XVI che di Giovanni Paolo II «indica chiaramente che la corretta attenzione alle norme liturgiche non costituisce una sorta di legalismo o rubricismo, ma un atto di profondo rispetto e amore per il Signore che ci ha donato il dono del culto divino, un atto di profondo amore che ha come fondamento insostituibile la conoscenza e la coltivazione della Tradizione».

Ha anche ricordato le ormai famose parole di Benedetto XVI nella lettera che accompagnava la Summorum Pontificum, che liberalizzava la celebrazione della liturgia precedente al 1970:
«Ciò che le generazioni precedenti hanno tenuto sacro, rimane sacro e grande anche per noi, e non può essere improvvisamente proibito o addirittura considerato dannoso».


Traditionis Custodes

Ma Traditionis Custodes, la lettera apostolica di Papa Francesco del 2021 che ha imposto severe restrizioni alla liturgia tradizionale, ha «gravemente turbato» la «pace liturgica che era il frutto dell’applicazione di Summorum Pontificum», ha affermato il cardinale Burke, aggiungendo che spera che le questioni giuridiche relative a Traditionis Custodes «siano affrontate il prima possibile».

In risposta a una domanda del pubblico su questo argomento, il cardinale Burke ha affermato che l’attuazione di Traditionis Custodes equivale a una «persecuzione dall’interno della Chiesa» e che «ha già avuto occasione di esprimerlo» a Papa Leone.

«Certamente spero che, non appena sarà ragionevolmente possibile, egli riprenderà lo studio di questa questione e cercherà di ripristinare la situazione com’era dopo la Summorum Pontificum, e persino di continuare a sviluppare ciò che Papa Benedetto XVI aveva così saggiamente e amorevolmente legislato per la Chiesa», ha affermato.

Il cardinale ha concluso esprimendo la sua speranza, accompagnata dalla preghiera, che «un rinnovato apprezzamento della Tradizione come principio proprio della sacra liturgia [possa] portare alla realizzazione della speranza dei Padri conciliari in comunione con il Romano Pontefice».





“Una foresta di simboli”: la sacra liturgia nel Medioevo




Nella traduzione a cura di Chiesa e post-concilio da Substack.com. Tutte le miniature presenti in questo post sono state ricavate dai manoscritti digitalizzati dalla Bibliothèque nationale de France.


Robert Keim, 15 giugno 2025

Riflessioni su un capitolo dell'ultimo libro di Peter Kwasniewski

Molti di voi, immagino, siano consapevoli che nel mondo cattolico ci sia un certo disaccordo su come dovrebbero essere condotte le funzioni religiose. Molti di voi sanno anche che l'espressione "un certo disaccordo" è un eufemismo: il dibattito, le cui radici affondano ben oltre il Concilio Vaticano II, ha scosso le fondamenta della Chiesa ed è entrato nella vita delle comunità di tutto il mondo. Ad alcuni osservatori può sembrare strano che i riti liturgici provochino una controversia così duratura, diffusa, appassionata e persino aspra, ma da una prospettiva storica non lo è, poiché le società umane tendono a prendere molto sul serio il modo in cui il loro Dio o i loro dei saranno invocati e adorati. Si consideri, ad esempio, gli antichi Greci, che per i moderni secolarizzati potrebbero evocare pensieri di mitologia piacevolmente audace, raffinatezza intellettuale e uno stile di vita mediterraneo rilassato, libero dal "dogmatismo" cristiano:
Lungo la riva, gli uomini di Pilo stavano, offrendo sacrifici - tori neri come il carbone - per compiacere il dio dai capelli scuri che scuote la terra: Poseidone, signore dei terremoti e delle sabbie mobili. Lungo la spiaggia erano stati tracciati nove settori; a ciascuno erano stati assegnati cinquecento uomini, e ogni settore sacrificò nove tori. Ora, dopo aver assaggiato le parti interne, gli uomini di Pilo, con la loro festa in corso, offrivano femori bruciati al dio.(1)

Questo brano è tratto dall'Odissea; si noti l'attenzione ai dettagli rituali e la precisione matematica nell'uso dei numeri sacri nella cerimonia.
Il prossimo esempio è tratto da un passaggio particolarmente vivido:
Il vecchio Nestore, maestro auriga, portò oro.
Il fabbro lo assottigliò così tanto che poteva ricoprire
le corna della giovenca e riempirsi di profonda gioia
Atena quando vide il sacrificio.

E, dall'interno della casa, Areto portò
una vasca ornata di forme floreali—
un bacino pieno di acqua lustrale—mentre
il cestino nell'altra mano conteneva orzo.

Allora Nestore, maestro auriga, cominciò
il rito: si lavò le mani e sparse l'orzo,
pregò Atena con fervore e lanciò
peli dalla testa della giovenca alle fiamme.

La descrizione del sacrificio continua, in questa traduzione, per altre ventiquattro righe.

Il mio punto, ancora una volta, è che le culture umane un tempo prendevano molto sul serio le cerimonie religiose, compresi i loro dettagli. Questa è una cosa naturale e, per giunta, perfettamente sensata quando si crede davvero, come Odisseo e i suoi connazionali, che gli esseri celesti esistano e abbiano potere sulla vita terrena. In effetti, non vedo spazio per l'indifferenza rituale o l'iconoclastia superficiale della modernità nelle liturgie dell'Odissea . Piuttosto, immagino che se un passante si fosse avvicinato e avesse detto a Nestore che l'oro era uno spreco di denaro, poi avesse riso dell'orzo inutilmente sparso, e infine avesse versato l'acqua lustrale per dimostrare che era inutile, sarebbe stato ucciso sul colpo.

Sebbene in qualche modo intrecciata con quasi tutto ciò che scrivo per Via Mediaevalis, la questione della prassi liturgica non riceve molta attenzione diretta in questa newsletter. Ciò accade in parte perché altri autori vi sono già pienamente impegnati, e qui abbiamo molti altri argomenti da approfondire.

Ciò accade anche, tuttavia, perché la questione tra liturgia modernizzata e tradizionale era praticamente inesistente nel Medioevo. Nella misura in cui questa newsletter ci offre l'opportunità di sperimentare, intellettualmente e poeticamente, la cultura della cristianità medievale, il senso di conflitto liturgico deve attenuarsi, perché la sacra liturgia crebbe lentamente e organicamente durante il Medioevo ed era molto meno soggetta a decisioni centralizzate. Revisioni improvvise e radicali come quelle pubblicate dagli ecclesiastici nel XX secolo erano, nel XII secolo, semplicemente inconcepibili. Lo ripeto: non rientrava nell'ambito di ciò che si poteva immaginare. Apportare modifiche drastiche a riti consacrati e tramandati, considerati di suprema importanza per il benessere della società e la salvezza delle anime, sarebbe in totale contrasto con l'ethos medievale, che insisteva sul diffidare dell'innovazione, sul rispettare la tradizione e sul preservare il nobile passato. Sarebbe opportuno riprendere una citazione del più illustre filosofo del Medioevo, che ho incluso nel post di martedì:


Le usanze del popolo di Dio e le istituzioni dei nostri antenati devono essere considerate leggi. E coloro che disprezzano le usanze della Chiesa devono essere puniti come coloro che disobbediscono alla legge di Dio. —Tommaso d'Aquino, ST I-II, Q. 97, art. 3

Cerco di assicurarmi che questa newsletter non riguardi me, né tantomeno la "mia" prospettiva su cultura, credo, società e spiritualità. Chi sono io? Nessuno: una fugace increspatura nel vasto oceano della storia, un soldato zoppo nell'innumerevole schiera del buon Dio. I miei pensieri meritano la vostra attenzione nella misura in cui derivano, risuonano con e gettano luce sui pensieri più grandi e autentici della civiltà greco-romana-giudaico-cristiana, che da qualche migliaio di anni aiccumula bellezza, saggezza ed esempi di virtù.

Spero che sia anche evidente che sono di mentalità aperta e non ho un atteggiamento polemico. Se io e te non siamo d'accordo sulle pratiche liturgiche più compatibili con la felicità umana, più favorevoli alla santificazione cristiana e più gradite a Dio Onnipotente, per me va bene. Non mi aspetto di convincerti (anche se, se vuoi essere convinto, sono più che disposto ad aiutarti), e non è probabile (e questo è un altro eufemismo) che tu riesca a convincere me. In effetti, il mio caso è particolarmente disperato per coloro che sono a favore della liturgia moderna della Chiesa, come ho sottolineato qualche tempo fa rispondendo a un attento lettore che effettivamente non è d'accordo con me e che ha gentilmente sollevato la questione. Ho spiegato che
Per diverse ragioni, considero il Rito Antico superiore al Nuovo Rito, e per quanto riguarda la sua eccellenza poetica nel comunicare realtà spirituali, lo considero di gran lunga superiore. E onestamente, questa è l'unica posizione coerente per uno come me, così appassionatamente dedito alla saggezza e alla spiritualità del Medioevo: sebbene il Rito Antico affondi le sue radici nella Chiesa primitiva e persino nell'Antica Alleanza, le sue forme liturgiche, così come le conosciamo oggi, sono frutto principalmente della cultura medievale. In effetti, la liturgia romana tradizionale è il capolavoro centrale e supremo della cultura medievale.
Detto questo, non c'è da sorprendersi nell'apprendere che ho apprezzato moltissimo e che consiglio vivamente un nuovo libro del mio amico e collega Peter Kwasniewski : "Close the Workshop: Why the Old Mass Isn't Broken and the New Mass Can't Be Fixed" (Chiudere il laboratorio: perché la Messa antica non è distrutta e la nuova Messa non può essere riparata). È un vero e proprio tour de force. Come ho scritto in un'ampia recensione che sarà pubblicata altrove, Kwasniewski ha prodotto
un testo straordinariamente completo e di vasta portata; se c'è un argomento liturgico su cui avete riflettuto negli ultimi sessant'anni, è probabile che sia da qualche parte in questo libro; e anche se l'avete già letto una dozzina di volte, troverete probabilmente qualcosa di nuovo nel caratteristico intreccio di ricerca approfondita, rara erudizione e efficacia stilistica di Kwasniewski.


Il nostro obiettivo odierno è quello di comprendere meglio il modo in cui i cristiani vivevano la sacra liturgia nel Medioevo, e lo faremo utilizzando solo un capitolo di Close the Workshop: Capitolo 15, "L'allegoria come chiave per comprendere la liturgia tradizionale".

Il termine "allegoria", come ho spiegato in un post precedente sul paradosso medievale, "deriva dal greco allo - e - agoria e quindi suggerisce 'parlare dell'altro', cioè condividere una saggezza più profonda e verità più elevate raccontando due storie contemporaneamente". I cristiani medievali erano molto in sintonia con i modelli di pensiero allegorici e alcuni percepivano la Messa come una narrazione simbolica che coinvolgeva non solo le realtà immediate del rituale liturgico, ma anche realtà mistiche come gli eventi della vita di Cristo.

L'illustre studioso di letteratura OB Hardison (m. 1990) ha scoperto che "l'interpretazione allegorica completa" della Messa ebbe inizio, non senza controversie, già nel IX secolo, con gli scritti di Amalario, vescovo di Metz. La sua opera rispondeva al desiderio dei laici di "una comprensione vivida e drammatica del rito romano" e, pertanto, godette di notevole popolarità. A testimonianza della diligenza con cui la Chiesa medievale salvaguardava i suoi tesori liturgici, alcuni membri della gerarchia condannarono Amalario per le sue teorie "fantasiose", sebbene l'uomo non fosse certo un innovatore sovversivo secondo gli standard moderni. Era, piuttosto, uno studioso colto e devoto della liturgia che contribuì allo sviluppo del rito romano in un'epoca in cui stava assorbendo elementi dai riti latini utilizzati in Gallia. Sebbene Amalario si sia spinto un po' troppo oltre con il suo misticismo liturgico, unire la mente e il cuore alla Messa attraverso un'allegoria temperata è una pratica consolidata, convalidata da "una lunga serie di interpreti" - tra cui Ugo di San Vittore, papa Innocenzo III e Tommaso d'Aquino - che "portarono avanti ed elaborarono la tradizione iniziata da Amalario".

Kwasniewski collega in modo perspicace l'allegoresi liturgica con la necessità, particolarmente acuta nell'ambiente cattolico moderno, di coltivare un incontro umile e ricettivo con la sacra liturgia:
L'atmosfera contemplativa della liturgia romana classica ha nutrito in me una disposizione paziente, aperta e speculativa verso testi, musica e cerimonie. La mia abitudine mentale è ora quella di chiedermi, in accordo con il metodo allegorico dei nostri antenati: "Quali significati posso ricavare dalla liturgia così come si presenta davanti a me?", piuttosto che "Come potrei migliorarla secondo le mie idee?".(2)
Egli discute l'usanza secondo cui i ministri sacri si siedono durante il Gloria e il Credo. Attraverso l'allegoria liturgica, questa usanza apparentemente pragmatica acquisisce un significato mistico: "Posso onestamente dire che non avevo mai meditato sul mistero della 'seduta' o della sede del Figlio di Dio finché non ho visto i ministri della Messa solenne e della Messa solenne allontanarsi dall'altare in modo liturgicamente dignitoso e sedersi cerimonialmente".(3) Questo esempio, tratto da un solo aspetto secondario della Messa, ci dà un'idea della vasta ricchezza poetica che i cristiani medievali potevano scoprire nelle liturgie a cui partecipavano. Questa ricchezza dovrebbe essere disponibile anche ai cristiani moderni, ma sfortunatamente, "l'interpretazione allegorica della liturgia... fu totalmente respinta durante il periodo della riforma liturgica, e ancor prima dai liturgisti che tendevano a spiegazioni razionalistiche o riduzionistiche". (4)


Uno dei miei versetti preferiti della Bibbia è Matteo 13:52: "Ogni scriba che viene istruito nel regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie". Questo fecondo equilibrio tra nuovo e antico è essenziale per la mia comprensione della sacra tradizione, e Kwasniewski mostra come l'interpretazione allegorica della liturgia ci aiuti a comprendere e applicare fruttuosamente questo principio. L'obiettivo non è quello di rimuovere una parte (o gran parte) del vecchio tesoro in modo che possa essere sostituito da qualcosa di nuovo, ma piuttosto di preservare il vecchio tesoro rendendo nuova la nostra esperienza di esso : le azioni cerimoniali della Messa possono sempre acquisire
Nuovi significati, nuove interpretazioni, nuove risonanze. Nella sua raffinata trama di dettagli, la liturgia tradizionale trasmette gli stessi messaggi e nuovi messaggi a ogni generazione. Come un antico poema epico, lo stesso testo si legge in modo diverso in questa o in quell'epoca, senza perdere la sua straordinaria capacità di trascenderle tutte.(5)




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Come sottolinea [don Claude] Barthe…, per oltre mille anni la Messa romana è stata considerata una “foresta di simboli”. Ogni parte del rito, ogni cerimonia, fino al più piccolo segno di croce, al movimento da sinistra a destra o al gesto dell'incenso, veniva avidamente esplorata alla ricerca di un significato. — Close the Workshop, p. 263______________________



Una liturgia antica e medievale raggiunge il suo pieno potenziale quando viene accolta e apprezzata secondo i modi di pensare antichi e medievali. L'analisi di Kwasniewski ci invita a riflettere sulla disastrosa insoddisfazione con cui molti cattolici del XX secolo consideravano una Messa che era stata amata per secoli da innumerevoli contadini, sacerdoti, studiosi e santi. Senza semplificare eccessivamente una situazione complessa, dobbiamo riconoscere che addirittura disdegnano, l'arte medievale di vivere una vita simbolica. Se, in uno scenario ancora peggiore, ciò che sostituisce questa spiritualità allegorica è "la sterilità del razionalismo accademico",(6) i riti liturgici dei nostri antenati sono destinati a sembrare inefficienti, inaccessibili, incomprensibili. È piuttosto ingiusto, tuttavia, incolpare la liturgia per questo, poiché sono state le persone, non i riti, a cambiare.

E questo ci porta a una delle frasi più memorabili e importanti di Close the Workshop:
In fondo siamo noi ad aver bisogno di riforme, non la liturgia.



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1 Tutti e tre gli estratti provengono da The Odyssey of Homer: A New Verse Translation, di Allen Mandelbaum.
2 Close the Workshop, p. 253.
3 Ivi.
4 Ivi, p. 256.
5 Ivi, pp. 256–57.
6 Ivi, p. 264. La citazione conclusiva è da p. 212.




Santa Giovanna d’Arco, l’Islam e la rinascita cristiana






di Roberto de Mattei, 11 Giugno 2025 

Il 1° giugno 2025, durante la guerriglia urbana che ha insanguinato la capitale francese, in occasione della finale di Champions League, alcuni giovani islamisti hanno issato una bandiera jahdista sulla statua di santa Giovanna d’Arco, in Place des Pyramides. Santa Giovanna d’Arco è la patrona della Francia, una nazione che è costruita sulle fondamenta della civiltà cristiana. La missione della Pulzella di Orléans fu di riconquistare, prima che un territorio, quella concezione sacrale della sovranità che è alla radice della storia di Francia e di Europa. La profanazione della statua di Giovanna d’Arco è dunque un oltraggio all’identità nazionale del nostro continente e conferma la gravità della minaccia islamista.

Il ministro dell’Interno francese Bruno Retaillaus ha minimizzato la portata dei disordini, ma l’ex ministro Gérard Darmanin ha ammesso che le violenze sono state causate da bande di immigrati, e non da una rivolta calcistica. Le sommosse hanno coinvolto varie città, con violenze, saccheggi e scontri con la polizia: 192 feriti (soprattutto agenti), tre morti, 642 arresti. La strategia del governo francese di utilizzare il calcio come uno strumento politico per favorire l’inclusione e l’integrazione degli immigrati si è rivelata fallimentare perché, invece di unire, sta generando divisioni e violenze.

Un rapporto governativo di 73 pagine, dal titolo Les Frères musulmans et islamisme politique en France, reso noto da Le Figaro il 20 maggio 2025, ha portato alla luce il progetto di “entrisme”, dei Fratelli Musulmani per infiltrare profondamente le istituzioni e la società francese, con l’obiettivo ultimo di imporre la sharia, utilizzando un linguaggio apparentemente democratico. Il rapporto individua 139 luoghi di culto dipendenti dai Fratelli Musulmani oltre ad altri 68 considerati “prossimi”, distribuiti in 55 dipartimenti. A questi si aggiungono 280 associazioni attive in settori chiave: educazione, carità, gioventù, imprenditoria e finanza.

A preoccupare è anche la “predicazione 2.0”,ovvero la diffusione dei principi islamisti attraverso social network come TikTok, Instagram e YouTube. Alcuni influencer religiosi, con centinaia di migliaia di seguaci, riescono a influenzare ampi segmenti di giovani, contribuendo alla trasformazione lenta e pervasiva del tessuto sociale e culturale francese.

Il rapporto non si limita alla Francia, ma evidenzia come diverse organizzazioni islamiche europee – tra cui la Federazione delle Organizzazioni Islamiche in Europae il Consiglio Europeo per la Fatwa – sono ispirate ai principi dei Fratelli Musulmani. A queste si aggiungono altri gruppi come Hizb ut-Tahrir, che mira a creare un califfato globale pur rifiutando la violenza, e i movimenti salafiti, spesso conservatori e religiosamente attivisti. Il documento segnala infine il pericolo delle reti jihadiste come Al-Qaeda e ISIS, che hanno sfruttato malcontento e marginalizzazione per reclutare giovani europei nelle loro file. Dal 2014 si contano oltre 30 attentati mortali nel continente.

Fin dagli anni Novanta il cardinale Silvio Oddi (1910-2001), che era stato nunzio in Egitto, affermava che il vero grande pericolo che vedeva per il futuro dell’Europa era l’avanzata dell’Islam. E fin dal 1993, il Centro Culturale Lepanto organizzò una grande protesta pubblica contro la costruzione della moschea di Roma, la più grande d’Europa, denunciando il ruolo politico e culturale svolto dalle moschee islamiche. Con il titolo Mosquées, les casernes de l’islamisation è stato pubblicato in questi giorni in Francia dall’associazione Avenir de la Culture un illuminante studio, sotto la direzione di Atilio Faoro. Il libro è un’accurata inchiesta dedicata alle “caserme” dell’Islam, di cui mette in luce il ruolo sovversivo. Le conclusioni sono inconfutabili. Le moschee, stimate in circa 2.600 in Francia, non sono semplicemente luoghi destinati alla preghiera, ma possono essere considerate centri militanti in cui si vive e si diffonde la cultura e lo stile di vita islamico.

I Fratelli Musulmani sono una delle tre correnti fondamentaliste che controllano oggi centinaia di moschee francesi. Una galassia fortemente concorrente è quella del salafismo sunnita, un movimento poco strutturato ma che ha una grande influenza tra i giovani musulmani e, come i Fratelli Musulmani, non nasconde il suo odio per l’Occidente. Diverse moschee collegate a questa scuola di pensiero hanno fatto da trampolino verso il jihadismo. Infine, c’è l’Islam turco, sostenuto dal presidente Erdogan, anch’esso in piena espansione sul territorio francese. Sotto la sua egida sono state costruite numerose moschee, come quella di Strasburgo che, una volta terminata, dovrebbe essere la più grande d’Europa.

Sotto questo aspetto, il vessillo dell’Islam che il 1° giugno è stato innalzato sulla statua di Giovanna d’Arco appare come in gesto chiaramente simbolico, non privo di collegamento con l’approvazione, il 28 maggio, del suicidio assistito da parte dell’Assemblea Nazionale: un provvedimento che, se venisse adottato in via definitiva, segnerebbe una nuova tappa nel processo di auto-dissoluzione dell’identità cristiana della Francia. Approvando la proposta di legge Falorni sul “diritto all’aiuto a morire”, l’Assemblea nazionale ha infatti proclamato ancora una volta il diritto all’omicidio legale, come già aveva fatto il presidente Emmanuel Macron, lo scorso 19 gennaio, chiedendo l’inclusione dell’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Europa.

La forza espansiva dell’Islam sta nella debolezza della società secolarizzata che ha di fronte. Gli immigrati della terza e quarta generazione di origine musulmana hanno perso l’identità originaria dei padri e dei nonni e, di fronte allo sfacelo della società occidentale, divengono adepti di un anarchismo distruttore. Per loro, l’alternativa al nichilismo è l’adesione, non necessariamente religiosa, all’islamismo radicale, una religione politica che colma il loro vuoto morale. Alla caricatura ideologica dell’islamismo la Chiesa cattolica dovrebbe rispondere proponendo una visione del mondo integrale, fondata sul Vangelo, nel quale si trova la soluzione di tutti i problemi del mondo contemporaneo. E’ infatti la mancanza di fede, ha detto il 9 maggio Leone XIV nella sua prima omelia, «che porta spesso con se’ drammi quali la perdita del senso della vita».

Le parole conclusive dell’opera di Atilio Faoro sono però incoraggianti: «Il 15 aprile 2019, il mondo intero fu testimone, inorridito, delle fiamme che devastavano la più celebre delle nostre cattedrali. Questa terribile prova ci ricorda che, come per Notre-Dame, la vita dei popoli e delle nazioni cristiane passa attraverso la croce. Questo dramma ci invita anche a non perdere mai la fede. Di fronte alla devastazione lasciata dall’incendio, molti dubitavano che l’edificio potesse un giorno ritrovare il suo splendore. L’8 dicembre 2024, Notre-Dame ha tuttavia riaperto le sue porte alla presenza dei capi di Stato di tutto il mondo e di una folla immensa, più bella che mai. Questo restauro è una lezione per tutti noi. Quante volte crediamo che tutto sia perduto, che le rovine siano definitive? »

La spettacolare manifestazione che quest’anno, a Pentecoste ha visto 19.000 pellegrini, percorrere a piedi circa 100 km, da Parigi fino alla cattedrale di Chartres è una delle tante luci di speranza che si accendono, come la restaurazione di Notre-Dame e l’aumento in Francia di conversioni dall’Islam. Molti secoli fa, il Signore manifestò il suo amore particolare per la Francia inviandole una piccola pastorella di Lorena che prese le armi e la salvò. «Gli uomini combatteranno e Dio darà loro la vittoria», diceva Giovanna d’Arco, con parole che costituiscono un programma. All’inizio del XXI secolo, l’esempio della santa guerriera costituisce un modello non solo per i francesi, ma per tutti coloro che, con il pensiero, la preghiera e l’azione, difendono la Civiltà cristiana dai suoi nemici.






«Garabandal, tra avvertimento e castigo: Dio ci chiama alla conversione»



Ricorre oggi il 60° anniversario del secondo e ultimo messaggio pubblico legato alle presunte apparizioni di Garabandal (1961-1965). La necessità di rimettere al centro l’Eucaristia. Avvertimento, miracolo, castigo: cosa si attende in base alle parole delle veggenti. La Bussola intervista padre Justo Lo Feudo.

Intervista / Padre Lo Feudo

Ecclesia 


Ermes Dovico, 18-06-2025

Oggi, 18 giugno, cade l’anniversario dell’inizio delle apparizioni di Garabandal, protrattesi per più di quattro anni (dal 18 giugno 1961 al 13 novembre 1965) e tuttora non riconosciute dalla Chiesa. Secondo la testimonianza delle quattro veggenti, tre delle quali ancora in vita, tutto iniziò con delle apparizioni di san Michele Arcangelo, preparatorie di quelle della Vergine Maria, apparsa – dal 2 luglio 1961 in poi – alle allora bambine, sotto il titolo di Nostra Signora del Monte Carmelo.

Oggi è anche il 60° anniversario del secondo e ultimo messaggio pubblico (18 giugno 1965) legato a quegli eventi, che attrassero nel piccolo villaggio spagnolo migliaia di visitatori al giorno.

Questo il testo del messaggio: «Siccome non si è compiuto, non si è fatto sufficientemente conoscere il Mio messaggio del 18 ottobre [1961, ndr], voglio dirvi che questo è l’ultimo. Prima la coppa si stava colmando, ora trabocca. Cardinali, Vescovi e Sacerdoti camminano in molti sulla via della perdizione e trascinano con loro moltissime anime. All’Eucaristia si dà sempre meno importanza. Dovete con i vostri sforzi evitare la collera del buon Dio che pesa su di voi. Se Gli chiederete perdono con animo contrito, Egli vi perdonerà. Io, vostra Madre, per mediazione di S. Michele Arcangelo, voglio esortarvi alla conversione. Questi sono gli ultimi avvertimenti! Vi amo molto e non voglio la vostra condanna. Pregate sinceramente, e Noi vi esaudiremo. Dovete fare più sacrifici. Meditate sulla Passione di Gesù».

Tra i più convinti sostenitori dell’autenticità delle apparizioni di Garabandal c’è padre Justo Lo Feudo, peraltro grande propagatore dell’adorazione eucaristica perpetua. La Nuova Bussola lo ha intervistato.

Padre Lo Feudo, può ricordare brevemente qual è la posizione della Chiesa sulle apparizioni di Garabandal?
Su Garabandal, fin dal 1961, è stato espresso un giudizio di non constat de supernaturalitate, non è stata cioè provata la soprannaturalità delle apparizioni. Dunque, la soprannaturalità non è stata espressamente negata (come sarebbe stato con un giudizio di constat de non supernaturalitate), ma nemmeno approvata. Non si può perciò escludere un nuovo pronunciamento, anche in base alle nuove Norme del Dicastero per la Dottrina della Fede.

A Garabandal sono stati lasciati due messaggi (18 ottobre 1961 e 18 giugno 1965). In entrambi emerge la centralità dell’Eucaristia: perché questo richiamo?
Allora la maggioranza delle persone non si rendeva conto di dove stesse andando la Chiesa, di quanto fosse penetrato il modernismo, con il suo rifiuto di ogni ordine soprannaturale e la sua avversione per l'Eucaristia. «All’Eucaristia si dà sempre meno importanza», si legge nel cuore del messaggio del 18 giugno 1965. La Beata Vergine è venuta ad avvertirci di ciò che allora era incipiente, ossia l’attuale degradazione dell’Eucaristia, ridotta a mero oggetto, non degno nemmeno di rispetto e devozione. È quindi necessario mettere in assoluta evidenza che l’Eucaristia è la Presenza viva e reale di Gesù Cristo, il Dio incarnato tra noi. L’Eucaristia fa la Chiesa, la Chiesa vive dell’Eucaristia. Come ha ricordato il Concilio Vaticano II, l’Eucaristia è «fonte e culmine di tutta la vita cristiana» (Lumen Gentium, 11) e dell’azione missionaria della Chiesa. Il disprezzo, i sacrilegi e gli oltraggi commessi contro di essa sono il motivo principale dell’ira divina. Ricordo che un anno dopo la fine delle apparizioni, è stato pubblicato l’eretico “catechismo olandese” (1966).

Siamo arrivati perfino al punto che ora, in molti luoghi, ai fedeli viene proibito di ricevere l’Eucaristia cattolicamente: quando desiderano ricevere la Comunione in ginocchio e sulla lingua, viene loro negata. Recentemente un noto vescovo teologo [monsignor Bruno Forte, ndr; per approfondire vedi qui e qui] ha fornito le presunte “ragioni” per cui aveva lasciato alcuni senza Eucaristia, perché quelle persone volevano ricevere la Comunione sulla lingua, cioè la forma ordinaria di comunicarsi da più di mille anni, legata alla dignità del sacramento e alla giusta devozione. Qualsiasi gesto di adorazione dell’Eucaristia e di dimostrazione che si tratta di un dono che viene dal Cielo è, spesso, chiaramente impedito. Come poteva nostra Madre non avvertirci appunto che «all’Eucaristia si dà sempre meno importanza» e che «dovete con i vostri sforzi evitare la collera del buon Dio»?

Le veggenti di Garabandal hanno parlato essenzialmente di tre grandi eventi futuri che sono stati comunicati loro dalla Madonna: un avvertimento, un miracolo, un castigo. Iniziamo dall’avvertimento: secondo le loro descrizioni, in che cosa consisterà? E come bisogna prepararsi?
La misericordia di Dio ci darà un avvertimento, imperativo di fronte all’apostasia generale, e servirà a scuotere le coscienze: coscienze morte, piuttosto che sopite. Sapere questo dovrebbe già avvertirci che non stiamo vivendo secondo la volontà di Dio. Prepararsi significa approfondire la conversione personale. L’avvertimento comincerà con un evento cosmico che susciterà molta paura, ma non ci danneggerà fisicamente, almeno non direttamente: ognuno vedrà la propria vita come la vede Dio. Sarà una sorta di giudizio personale anticipato, con il fine di stimolarci alla conversione. Vedremo interiormente il male che abbiamo fatto e gli effetti concatenati che ha prodotto. La veggente Conchita González, tra l’altro, ha detto che «l’Avvertimento sarà come una rivelazione dei nostri peccati e sarà visto e sperimentato sia da credenti sia da non credenti e da persone di qualunque religione»; «Nessuno avrà il minimo dubbio sul fatto che venga da Dio e che non sia un fatto umano».

Cosa si può dire, poi, del miracolo?
Secondo Conchita, sarà il più grande miracolo che nostro Signore abbia mai compiuto sulla terra. Ha detto pure che «gli ammalati che saranno lì [a Garabandal] saranno guariti, indipendentemente dalla loro malattia o religione. (…) Tutti i peccatori presenti si convertiranno». L’avvertimento è preparatorio al miracolo, perché prima dello stesso miracolo è necessaria la nostra purificazione. Inoltre, lo stesso giorno ci sarà un segno soprannaturale sui pini di Garabandal che rimarrà fino alla fine del mondo.

Un’obiezione divenuta molto comune riguardo al miracolo e, in generale, alla veridicità delle apparizioni di Garabandal riguarda il caso di Joey Lomangino, un cieco di cui la Madonna – stando alle parole di Conchita – avrebbe predetto, in un messaggio privato, che il giorno del miracolo «avrebbe avuto nuovi occhi e che a partire da allora avrebbe visto permanentemente». Ma il 18 giugno 2014 Lomangino è morto. Diverse persone, dopo questo fatto, hanno smesso di credere a quanto detto dalle veggenti di Garabandal. Lei che interpretazione dà?
Ci sono diversi punti a cui rispondere [vedi qui un approfondimento di padre Lo Feudo, ndr]. Innanzitutto, Lomangino è morto proprio nel giorno dell’anniversario dell’inizio delle apparizioni e, anche, del secondo messaggio di Garabandal. Questo, di per sé, è un segno. D’altra parte, si sapeva già che ci sarebbe stato qualcosa che avrebbe fatto perdere la fiducia su Garabandal. Poi, ho saputo che Joey aveva offerto la sua cecità per il riconoscimento delle apparizioni. Bisogna dire che Joey è stato il più grande apostolo di Garabandal. Infine, in tutte le apparizioni – anche se autentiche, come ritengo essere quelle di Garabandal – bisogna discernere tra ciò che la Madonna ha detto e ciò che il veggente ha interpretato o trasmesso. Il sigillo di autenticità di Garabandal, oltre all'abbondanza di eventi soprannaturali e alle circa duemila apparizioni avvenute in quel piccolo villaggio tra il 1961 e il 1965, sono i due messaggi. All’epoca incompresi, rifiutati dalla gerarchia e oggi così evidenti nella loro realizzazione.

Aggiungo un altro fatto: ci sono prove che Padre Pio credeva a Garabandal. Oltre alla lettera che il santo da Pietrelcina aveva inviato alle quattro fanciulle, Conchita conserva sue importanti reliquie, una delle quali le fu lasciata in eredità. Conchita, a circa 18 anni, visitò Padre Pio a San Giovanni Rotondo. Il santo – era il febbraio 1967, l’anno prima della sua morte – non stava bene in quel momento ed era restio a visite, ma, appena seppe che si trattava di Conchita, chiese che le venisse portata immediatamente, alle 8 dell’indomani mattina.

Dopo il miracolo, è previsto un castigo, annunciato già nel messaggio del 1961, dove però era chiaro che l’umanità – convertendosi – avrebbe potuto evitarlo. Che “bilancio” possiamo fare a 64 anni di distanza? E cosa ci dice questo sulla nostra libertà e sul rispetto che Dio ha al riguardo?

Il Cielo avverte sempre con largo anticipo. Dio non si diletta a punire, ma a salvare. Se Dio punisce nel tempo, come ultima risorsa, è per salvare nell’eternità. Oggi la situazione nella Chiesa e nel mondo è molto peggiorata. Speriamo che dopo i primi due eventi – l’avvertimento e il miracolo – si cambi, in modo che almeno il castigo sia mitigato.

Abbiamo detto della centralità dell’Eucaristia; allo stesso tempo – nel solco, potremmo dire, del celebre sogno di san Giovanni Bosco sulle due colonne – dalle testimonianze di Garabandal emerge anche il grande amore che la Madre celeste ha per ciascuno dei suoi figli… come ricambiarlo?
L’amore viene ripagato con l’amore. Dobbiamo amare di più la nostra Madre celeste, ascoltarla, soddisfare le sue richieste, recitare il Rosario ogni giorno e amare di più l'Eucaristia. La consapevolezza della presenza viva, reale del Signore Gesù nell’Eucaristia esige sempre adorazione. Poiché il nostro amore è povero, chiediamo a Dio di accrescerlo. Come gli apostoli, dobbiamo chiedere anche: «Signore, aumenta la nostra fede».