domenica 15 giugno 2025

Comunione sulla mano, quegli argomenti che non reggono




Gli argomenti, pur in buona fede, a sostegno della Comunione sulla mano non reggono alla prova della storia e della dottrina, dove la Comunione sulla lingua è la naturale erede della forma antica. Ne vediamo sei e rispondiamo.



Ora di dottrina

Catechismo 



Luisella Scrosati, 15-06-2025

Chi sostiene la “bontà” della Comunione sulla mano lo fa avvalendosi, spesso in buona fede, di argomenti che non reggono né alla prova della storia né a quella della dottrina della fede. Vediamo di esaminarne i principali e offrire una risposta adeguata.

Un paio di argomenti maggiori sono stati l’oggetto degli articoli precedenti (cui rimandiamo), ma per completezza li riprendiamo brevemente. Il primo, più “classico”, è la pretesa di aver recuperato l’uso di una non meglio precisata “Chiesa antica”, uso andato perduto per varie ragioni presunte e non comprovabili. La realtà è però ben diversa, come a lungo dimostrato: l’attuale modalità di distribuzione della Comunione sulla mano differisce dall’antica su dettagli di grande importanza, la cui mancanza espone la forma vigente a tutta una serie di problemi che i Padri esortavano a scongiurare o persino vietavano espressamente. In particolare, la forma antica non prevedeva di portare da sé l’Eucaristia alla bocca con le dita della mano destra, ma di inchinarsi verso la mano sinistra, sostenuta dalla destra, e assumere direttamente l‘Ostia consacrata. Sparito anche il rito delle abluzioni e l’uso del “domenichino”, un telo di lino da porre sulle mani delle mulieres per ricevere la santa Comunione.

A questo presunto recupero della forma antica, quale maggiore fedeltà alla Tradizione (secondo argomento), è sottesa una concezione errata di quest’ultima. Si è visto come in realtà sia proprio la Comunione sulla lingua ad essere l’erede coerente della forma antica, inverando in sé le giuste preoccupazioni dei Padri ed esprimendo in modo migliore gli atteggiamenti del fedele di fronte al mistero dell’Eucaristia. La Comunione sulla lingua raggiunge ciò verso cui la forma antica tendeva e che i Padri auspicavano; un’inversione di rotta al riguardo costituisce a tutti gli effetti un’involuzione ed è espressione di quel malsano archeologismo condannato dall’enciclica Mediator Dei (1947).

Vi è poi chi sostiene (terzo argomento) che la Comunione sulla mano sia frutto di una migliore comprensione della partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia della Chiesa. Ricevere la Comunione direttamente sulla lingua sarebbe un atteggiamento passivo, retaggio di una concezione che considera il laicato come infantile, muto spettatore, ai margini di una liturgia intesa come “faccenda del prete”. A ben vedere, una primaria passività è la realtà di ogni creatura; l’atto creativo procede dal Creatore, mentre la creatura riceve il proprio essere dalle Sue mani, senza alcuna propria attività previa. Anche il respiro e il nutrimento sono realtà primariamente passive: l’uomo trasforma attivamente ciò che riceve. Nella vita spirituale questa passività primaria (ma non esclusiva) è ancora più forte, come esprime efficacemente san Paolo: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come non l'avessi ricevuto?» (1Cor 4, 7). E ancora: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso» (1Cor 11, 23).

Dunque, sia la vita creaturale che quella cristiana sono marcate da una primaria ricezione, da una sorta di passività che è la condizione per la nostra attività. È questo uno dei sensi più profondi della via dell’infanzia spirituale: più il cristiano progredisce nella santità e più si diletta di ricevere tutto dal Padre; più cresce la vita di Dio in lui e più egli ricerca questa passività fondamentale. Nessun “infantilismo”, nessun quietismo, ma semplicemente la presa di coscienza che la condizione di una santa attività, di un autentico portare frutto sta nel rimanere uniti a Cristo, per ricevere da Lui, istante dopo istante, tutta la linfa della sua vita divina. Senza questa prospettiva, la vita del cristiano diventa una grande agitazione, una mania di protagonismo, fino al delirio di ricercare una “santità adulta” emancipandosi da Dio e dai mezzi della grazia. La Comunione sulla lingua ristabilisce, anche nella dimensione sacramentale, questa fondamentale recettività del cristiano.

Il quarto argomento di solito si accompagna al precedente: la Comunione sulla mano metterebbe maggiormente in risalto il sacerdozio battesimale di tutti i fedeli. Tuttavia, non si deve dimenticare che è solo il sacerdozio ministeriale che conferisce il potere sopra il Corpo e il Sangue di Cristo. Per questa ragione, prendere con le mani il divino Sacramento spetta solo a chi riceve l’unzione delle proprie mani e il potere di consacrare mediante il sacramento dell’Ordine. Poiché la Chiesa insegna che sacerdozio battesimale e sacerdozio ministeriale differiscono «essenzialmente e non solo di grado» (Lumen Gentium, 10; Congregazione per la Dottrina della Fede, Sacerdotium ministeriale, 1), anche i segni esterni devono esprimere questa diversità, specie in riferimento all’Eucaristia. Per questa ragione la Chiesa (vedi qui) non ha mai ammesso che i fedeli potessero autocomunicarsi, ossia prendere da sé la sacra Particola e portarla alla bocca. La nuova modalità della Comunione sulla mano favorisce invece una forma ibrida, che stabilisce dapprima una ricezione dell’Ostia dal sacerdote, ma poi prevede che sia lo stesso fedele ad afferrarla con le dita e portarla alla bocca. Sotto questo aspetto, nella Comunione sulla mano, il sacerdozio dei fedeli non è maggiormente sottolineato, ma frainteso. Esso viene esercitato nell’offerta di se stessi e di ogni realtà creata insieme alla Vittima divina, non mediante l’imitazione di gesti che sono propriamente sacerdotali.

Un quinto argomento critica la Comunione sulla lingua e in ginocchio come esito di uno spostamento dall’Eucaristia intesa e vissuta come convivio all’Eucaristia come oggetto di adorazione. L’Eucaristia, si sostiene, è stata voluta dal Signore come nutrimento, non come oggetto di adorazione. Nel suo Discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, Benedetto XVI mostrava come l’aut-aut tra Eucaristia come cibo ed Eucaristia da adorare fosse una falsa alternativa: «Nell’esperienza di preghiera della Chiesa – diceva – si è ormai manifestata la mancanza di senso di una tale contrapposizione. Già Agostino aveva detto: “…nemo autem illam carnem mandúcat, nisi prius adoráverit;… peccémus non adorándo – Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; … peccheremmo se non la adorassimo” (cfr Enarr. in Ps 98,9 CCL XXXIX 1385)». E la ragione appare con evidenza non appena si abbandona il “che cosa” è l’Eucaristia e si pone mente a Chi è: «Di fatto, non è che nell’Eucaristia riceviamo semplicemente una qualche cosa. Essa è l’incontro e l’unificazione di persone; la persona, però, che ci viene incontro e desidera unirsi a noi è il Figlio di Dio. Una tale unificazione può soltanto realizzarsi secondo le modalità dell’adorazione. Ricevere l’Eucaristia significa adorare Colui che riceviamo». La ricezione della Comunione in ginocchio e sulla lingua esprime in modo eminente questa adorazione. La Comunione sul palmo la prevedeva proprio nell’inchino profondo che il fedele era “costretto” a compiere, per portare l’Ostia consacrata direttamente dal palmo della mano sinistra alla bocca. Nella forma attuale essa è semplicemente sparita, sostituita (da quei pochi che se ne ricordano) con un semplice inchino del capo, che è tradizionalmente segno di riverenza e non di adorazione.

Un’ultima ragione poco profonda ma molto diffusa è quella igienica. Ci sia permesso di tagliare la testa al toro: la liturgia non ragiona per presunti criteri igienici, ma per la convenienza dei segni. Ad ogni modo, è bene ricordare che il tocco della lingua del fedele da parte delle dita del sacerdote sta diventando tanto più frequente quanto meno viene praticata la Comunione sulla lingua. Non è un paradosso. Molto semplicemente, i sacerdoti non sono quasi più capaci di dare la Comunione sulla lingua e i fedeli non sanno più riceverla; perché l’Ostia non dev’essere messa in bocca al fedele, ma appoggiata sulla lingua adeguatamente esposta. Seguendo queste indicazioni la possibilità di un accidentale contatto diventa molto più rara. Se guardassimo ad Oriente, resteremmo stupiti dalla straordinaria manualità dei sacerdoti di Rito bizantino nel porre nella bocca del fedele la piccola porzione di Pane consacrato insieme al Sangue di Cristo con un piccolo cucchiaio; e anche dalla semplice abilità dei fedeli di porsi in modo da agevolare il sacerdote. Con un pochino di buona volontà e di consuetudine, tutto può essere superato. Resta il criterio fondamentale che la priorità per la Chiesa è la custodia della Santa Eucaristia da ogni profanazione e dalla dispersione dei frammenti.





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